Luciano S. dipendente delle
Ferrovie dello Stato, ha ottenuto dal Tribunale di
Genova l'annullamento del suo licenziamento con ordine
di reintegrazione nel posto di lavoro. In seguito a tale
decisione egli in base all'art. 18 St. Lav., ha
esercitato l'opzione per l'indennità di 15 mensilità in
sostituzione della reintegra. L'azienda non gli ha
corrisposto l'indennità. Il lavoratore si è nuovamente
rivolto al Tribunale di Genova chiedendo la condanna
dell'azienda al pagamento della retribuzione globale di
fatto fino alla data del pagamento dell'indennità di 15
mensilità. Le Ferrovie dello Stato si sono difese
sostenendo che il pagamento della retribuzione non era
dovuto per il periodo successivo alla comunicazione
dell'esercizio dell'opzione, in quanto con tale scelta
doveva ritenersi cessato l'obbligo della reintegra. Il
Tribunale ha accolto la domanda condannando l'azienda al
pagamento della retribuzione per il periodo successivo
alla comunicazione dell'opzione. Questa decisione è
stata confermata in grado di appello dalla Corte di
Genova che ha motivato la sua decisione rilevando che
con l'esercizio dell'opzione l'obbligazione della
reintegrazione è sostituita dall'obbligazione di pagare
l'indennità, la quale, ponendosi sullo stesso piano
della prima, trae fondamento dalla permanenza
dell'obbligo giuridico contrattuale la cui risoluzione è
stata posta nel nulla. L'azienda ha proposto ricorso per
cassazione censurando la decisione della Corte genovese
per violazione di legge.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n.
21044 del 13 ottobre 2011, Pres. Roselli, Rel. Stile) ha
rigettato il ricorso ricordando la sua costante
giurisprudenza secondo cui nel caso di scelta, da parte
del lavoratore illegittimamente licenziato,
dell'indennità sostitutiva della reintegrazione ai sensi
dell'art. 18, comma 5, cit., fino all'effettivo
pagamento dell'indennità il datore è obbligato a pagare
le retribuzioni globali di fatto (Cass. 6 marzo 2003 n.
3380, 28 luglio 2003 n. 11609, 16 marzo 2009 n. 6342).
Il sistema dell'art. 18 St. Lav. -
ha osservato la Corte - si fonda sul principio di
effettiva realizzazione dell'interesse del lavoratore a
non subire, o a subire al minimo, i pregiudizi
conseguenti al licenziamento illegittimo; principio che
Cass. n. 6342 del 2009 chiama "di effettività dei
rimedi" e che impedisce al datore di lavoro di tardare
nel pagamento dell'indennità in questione
assoggettandosi al solo pagamento di rivalutazione e
interessi ex art. 429 c.p.c.; il principio di
effettività dei rimedi giurisdizionali, espressione
dell'art. 24 Cost. significa che il rimedio
risarcitorio, ossia del risarcimento del danno deve
ridurre il più possibile il pregiudizio subito dal
lavoratore e, in corrispondenza, distogliere il datore
di lavoro dall'inadempimento o dal ritardo
nell'adempiere l'obbligo indennitario. Va precisato - ha
aggiunto la Corte - che non è dubbio che la scelta
dell'indennità sostitutiva da parte del lavoratore sia
irrevocabile e che il rapporto di lavoro non possa
perciò essere ricostituito; tuttavia l'ammontare del
risarcimento del danno da ritardo dev'essere pari alle
retribuzioni perdute, fino a che il lavoratore non venga
effettivamente soddisfatto. |