Con atto di citazione notificato il
2-6-1993 L.A. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale
di Messina La. A. chiedendo dichiararsi la nullità del
testamento olografo di L.G., deceduto in (OMISSIS),
pubblicato il 23-4-1990, con il quale era stata nominata
erede universale la sorella La.An. ed esclusa dalla
eredita l'esponente, nipote "ex fratre" del "de cuius".
La convenuta resisteva alla domanda attrice. Il
Tribunale adito con sentenza del 5-4-2002 dichiarava La.
A. indegna di succedere a L.G., dichiarava la nullità
del testamento olografo del quale La.An. aveva fatto
scientemente uso, ed ordinava alla O., erede di La.An.,
deceduta nelle more del giudizio, di rilasciare alla
istante, erede legittima avente diritto alla metà
dell'asse ereditario ed alla quota spettante alla
propria dante causa indegna, i beni ereditari ed i
frutti percepiti dopo l'apertura della successione.
Proposto gravame da parte della O. cui resisteva L. A.
che formulava anche un appello incidentale la Corte di
Appello di Messina con sentenza del 2-2-2005 ha
rigettato l'appello principale, ha dichiarato
inammissibile l'appello incidentale, ed ha condannato la
O. al rimborso delle spese del secondo grado di
giudizio. Per la cassazione di tale sentenza L.A. ha
proposto un ricorso articolato in due motivi cui la O.
ha resistito con controricorso introducendo altresì un
ricorso incidentale basato su quattro motivi; la L. ha
successivamente depositato una memoria....
LA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA
CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. ODDO
Massimo - Presidente -
Dott. MAZZACANE
Vincenzo - rel. Consigliere -
Dott. MIGLIUCCI
Emilio - Consigliere -
Dott. PROTO Cesare
Antonio - Consigliere -
Dott. FALASCHI
Milena - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza sul ricorso proposto da:
.... Omissis.....
avverso la sentenza n. 69/2005
della CORTE DDAPPELLO di MESSINA, depositata il
02/02/2005;
udita la relazione della causa
svolta nella pubblica udienza del 18/01/2011 dal
Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;
udito il P.M. in persona del
Sostituto Procuratore Generale Dott. CARESTIA
Antonietta che ha concluso per l'accoglimento primo
motivo del ricorso principale assorbito il resto.
Rigetto del ricorso incidentale.
Fatto
Con atto di citazione notificato il
2-6-1993 L.A. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale
di Messina La.
A. chiedendo dichiararsi la nullità
del testamento olografo di L.G., deceduto in (OMISSIS),
pubblicato il 23-4-1990, con il quale era stata nominata
erede universale la sorella La.An. ed esclusa dalla
eredita l'esponente, nipote "ex fratre" del "de cuius".
La convenuta resisteva alla domanda
attrice.
Il Tribunale adito con sentenza del
5-4-2002 dichiarava La.
A. indegna di succedere a L.G.,
dichiarava la nullità del testamento olografo del quale
La.An. aveva fatto scientemente uso, ed ordinava alla
O., erede di La.An., deceduta nelle more del giudizio,
di rilasciare alla istante, erede legittima avente
diritto alla metà dell'asse ereditario ed alla quota
spettante alla propria dante causa indegna, i beni
ereditari ed i frutti percepiti dopo l'apertura della
successione.
Proposto gravame da parte della O.
cui resisteva L. A. che formulava anche un appello
incidentale la Corte di Appello di Messina con sentenza
del 2-2-2005 ha rigettato l'appello principale, ha
dichiarato inammissibile l'appello incidentale, ed ha
condannato la O. al rimborso delle spese del secondo
grado di giudizio.
Per la cassazione di tale sentenza
L.A. ha proposto un ricorso articolato in due motivi cui
la O. ha resistito con controricorso introducendo
altresì un ricorso incidentale basato su quattro motivi;
la L. ha successivamente depositato una memoria.
Diritto
Anzitutto deve disporsi la riunione
dei ricorsi in quanto proposti contro la medesima
sentenza.
Preliminarmente deve essere
esaminata l'eccezione sollevata dalla L. nella memoria
depositata ex art. 378 c.p.c. di inammissibilità del
controricorso e del ricorso incidentale in quanto,
essendo stato il ricorso principale notificato il
10-5-2005 e depositato il 30-5-2005, il termine
perentorio per la notifica del controricorso ai sensi
dell'art. 370 c.p.c. è scaduto il 19-6-2005, mentre
nella specie il controricorso era stato notificato il
30/6/2005.
L'eccezione è infondata, in quanto
dalla relata di notifica a mezzo posta del controricorso
della O. risulta che esso è stato spedito il 16-6-2005,
quindi nel rispetto dei termini di legge.
Sempre in via preliminare deve poi
essere esaminata l'eccezione sollevata dalla O. di
inammissibilità del ricorso principale in quanto la
relativa procura è stata redatta su di un foglio
separato unito al ricorso stesso solo tramite punti
metallici ma privo di elementi di unicità come i timbri
di congiunzione.
L'eccezione è infondata in quanto
la procura in oggetto, rilasciata nel penultimo foglio
del ricorso, risulta far parte integrante di tale atto,
e quindi risponde al requisito di specialità richiesto
dalla legge.
Venendo quindi all'esame del
ricorso principale, si rileva che con il primo motivo
L.A., denunciando violazione dell'art. 343 c.p.c. nella
formulazione antecedente a quella introdotta con la L.
26 novembre 1990, n. 353, assume che erroneamente il
giudice di appello ha dichiarato la inammissibilità
della domanda finalizzata ad ottenere la quantificazione
dei frutti percepiti dalla controparte tra la data di
apertura della successione ed il 12-8-2002, giorno di
immissione in possesso dell'erede nell'unico cespite
ereditario, avendo ritenuto che l'appellante si sarebbe
dovuta costituire in giudizio almeno 20 giorni prima
dell'udienza di comparizione e che, non avendo
rispettato tale termine, si era costituita tardivamente;
invero la sentenza impugnata ha
applicato alla fattispecie l'art 343 c.p.c. nel testo
previsto dalla legge sopra citata, non considerando che
quest'ultima era entrata in vigore successivamente alla
data di proposizione della domanda introduttiva del
giudizio, e che pertanto nella specie la costituzione
dell'appellante incidentale era stata tempestiva e
rituale e l'appello incidentale era stato formulato
prima di ogni altra difesa con la comparsa depositata
alla prima udienza di comparizione a norma dell'art. 343
c.p.c. come previsto dal vecchio rito.
La ricorrente principale aggiunge
che la Corte territoriale avrebbe comunque dovuto
pronunciarsi sulla suddetta richiesta che in realtà
costituiva una semplice riproposizione della domanda già
formulata in primo grado e non del tutto esaminata dal
Tribunale, onde evitare che potesse ritenersi rinunziata
ai sensi dell'art. 346 c.p.c..
La censura è fondata.
La sentenza impugnata ha ritenuto
inammissibile l'appello incidentale della L. (avente ad
oggetto la quantificazione dei frutti percepiti dalla O.
dalla data di apertura della successione fino alla data
di immissione della L. nel possesso del bene ereditario)
in quanto non proposto ai sensi dell'art. 343 c.p.c.
nella comparsa di risposta mediante costituzione in
cancelleria ex art. 166 c.p.c. almeno venti giorni prima
della udienza di prima comparizione; tale assunto è
infondato in quanto, considerato che il presente
giudizio è stato introdotto in primo grado con atto di
citazione notificato il 2-6-1993, ad esso deve
applicarsi la formulazione dell'art. 343 c.p.c.
antecedente all'entrata in vigore del testo introdotto
con la L. 26 novembre 1990, n. 353 a decorrere dal
30-4-1995, posto che ai fini della disciplina
transitoria dettata dall'art. 90 di questa normativa,
per stabilire se alle cause in corso alla data del
30-4-1995 trovi applicazione tale disposizione o il
nuovo regime introdotto dalla stessa legge, si deve fare
riferimento alla data di introduzione del giudizio di
merito, solitamente coincidente con quella di
notificazione della citazione davanti al giudice di
primo grado (Cass. 9-9-2003 n. 13147; Cass. 16/5/2007 n.
11301).
Con il secondo motivo L.A.,
deducendo omessa e/o contraddittoria motivazione in
relazione all'art. 91 c.p.c. e violazione del D.M. n.
127 del 2004, art. 4 sostiene che il giudice di appello,
nel liquidare a carico dell'esponente le spese del
grado, previa compensazione di esse per 1/3, in
complessivi Euro 1650,00 per onorari di avvocato, non ha
fornito alcun criterio logico - giuridico per poter
risalire alla individuazione dello scaglione tariffario
onde poter verificare il controllo di legittimità in
relazione al rispetto dei minimi tariffari; in ogni
caso, in considerazione del valore indeterminabile della
controversia, lo scaglione tariffario da applicare per
gli onorari di avvocato doveva essere quello previsto
per le cause di valore superiore ad Euro 103300,00; ne
consegue che il suddetto importo liquidato a tale titolo
non corrispondeva al minimo tariffario previsto dal
relativo scaglione per le voci studio della
controversia, consultazioni con il cliente, preparazione
comparsa, partecipazione a due udienze, redazione delle
difese e discussione per un totale di Euro 4835,00.
Tale motivo resta assorbito
all'esito dell'accoglimento del primo motivo di ricorso.
Venendo quindi all'esame del
ricorso incidentale, si rileva che con il primo motivo
la O., denunciando erronea e falsa applicazione
dell'art. 463 c.c. e vizio di motivazione, assume che il
giudice di appello, nel confermare la declaratoria di
indegnità nei confronti di La.An., ha erroneamente
affermato che la conoscenza della falsità del suddetto
testamento da parte di quest'ultima (ovvero l'averne
fatto scientemente uso) era in "re ipsa", attesa la
coincidenza tra la persona del compilatore e quella
dell'utente della scheda testamentaria che la
contemplava come unica erede universale, nonostante la
presenza di altra erede legittima; in realtà, a
prescindere dal considerare che la O. non era erede
universale ma erede testamentaria, avendo La.An.
disposto per testamento anche in favore di un'altra
persona, non vi era prova certa che quest'ultima avesse
redatto il testamento per cui è causa per i motivi già
dedotti nel giudizio di merito; pertanto erroneamente
La.An. era stata ritenuta indegna a succedere "ex lege"
al fratello G. in concorso con la nipote A. in
rappresentazione del padre premorto L.T..
La censura è infondata.
Il giudice di appello ha ritenuto
che la conoscenza da parte di La.An. della falsità del
testamento olografo suddetto era in "re ipsa" per la
coincidenza accertata tra la persona del compilatore e
quella dell'utente della scheda testamentaria che la
contemplava come unica erede universale nonostante la
presenza, nota all'erede apparente, di altra erede
legittima, nipote del "de cuius"e della stessa erede
apparente, aggiungendo che non poteva sostenersi che la
falsità del testamento, non disconosciuta neppure
dall'appellante, potesse configurarsi come circostanza
disgiunta dall'uso consapevole che della scheda era
stato fatto da La.
A.; pertanto il convincimento
espresso dalla Corte territoriale, basato sulla premessa
che la stessa La. aveva falsificato il testamento in
oggetto, e che quindi intendeva avvalersi di tale
falsificazione per poter risultare unica erede di L.G.,
è frutto di un accertamento di fatto sorretto da logica
e congrua motivazione, come tale insindacabile in questa
sede.
Con il secondo motivo la O.,
deducendo erronea e falsa applicazione dell'art. 24
Cost. e dell'art. 345 c.p.c. nonché omessa e
contraddittoria motivazione, censura la sentenza
impugnata per non aver disposto il rinnovo della C.T.U.
richiesto dall'esponente, indispensabile sotto due
diversi profili.
Anzitutto la manifesta differenza
delle caratteristiche grafologiche del testamento
olografo di L.G., la cui formazione era stata attribuita
ad La.An., e del testamento olografo redatto da
quest'ultima per regolare la propria successione,
portava a dubitare della formazione del primo dei
suddetti testamenti da parte della stessa La..
Inoltre la O., essendo divenuta
parte del presente giudizio solo dopo la notifica del
ricorso in riassunzione a seguito dell'interruzione del
processo per il decesso di La.
A., era stata costretta a subire
passivamente gli effetti di un procedimento dalla stessa
non incardinato.
La censura è infondata.
La sentenza impugnata ha rilevato,
all'esito dell'esame della C.T.U. di natura calligrafica
espletata nel primo grado di giudizio, che il testamento
olografo di L.G. era apocrifo e che lo stesso era stato
compilato dalla apparente erede universale La.An., dando
atto della scrupolosità e dell'accuratezza di tale
indagine tecnica che si era avvalsa di diverse firme di
comparazione sia di L.G. sia di La.An.; logicamente
quindi il giudice di appello, nell'ambito dei suoi
poteri discrezionali quale giudice di merito, ha
ritenuto implicitamente superfluo disporre un rinnovo
della C.T.U.;
è poi evidente, con riferimento al
secondo profilo di censura, che il successore universale
della parte deceduta in pendenza di giudizio subentra
nei complesso della posizione processuale di
quest'ultima e quindi anche nello stato del processo
maturato fino a quel momento.
Con il terzo motivo la ricorrente
incidentale, deducendo erronea e falsa applicazione
degli artt. 464 e 535 c.c. e vizio di motivazione,
censura la sentenza impugnata per aver condannato
l'esponente al rilascio dei frutti pervenuti dopo
l'apertura della successione;
premesso infatti che ai sensi
dell'art. 464 c.c. l'indegno a succedere è obbligato
alla restituzione dei frutti pervenuti dopo l'apertura
della successione sul presupposto che egli è possessore
di mala fede, tale non può essere considerato colui che
all'indegno succede "iure ereditatis".
La censura è infondata.
Invero nel caso di successione nel
possesso ai sensi dell'art. 1146 c.c., il possesso
stesso continua nell'erede con le stesse caratteristiche
e prerogative, e quindi l'erede deve considerarsi
possessore di mala fede qualora, come nella specie, il
"de cuius" fosse possessore di mala fede (Cass.
11-9-2000 n. 11914).
Con il quarto motivo la O.,
deducendo erronea e falsa applicazione degli artt. 535 e
1148 c.c. e vizio di motivazione, sostiene che la Corte
territoriale non ha considerato gli oneri gravanti
sull'eredità di L.G. (quali le spese funerarie e gli
oneri fiscali inerenti al periodo intercorrente dalla
data di apertura della successione sino alla pronuncia
della sentenza impugnata) che La.An. si era accollata.
La censura è inammissibile.
Invero la ricorrente con
argomentazioni generiche non ha specificato ne la
statuizione della sentenza impugnata oggetto di censura
ne il motivo di appello da essa formulato ed
eventualmente non esaminato dal giudice di appello.
Il ricorso incidentale deve essere
pertanto rigettato.
In definitiva la sentenza impugnata
deve essere cassata in relazione all'accoglimento del
primo motivo del ricorso principale, e la causa deve
essere rinviata anche per la pronuncia sulle spese del
presente giudizio alla Corte di Appello di Catania.
P.Q.M.
LA CORTE Riunisce i ricorsi,
accoglie il primo motivo del ricorso principale,
dichiara assorbito il secondo, rigetta il ricorso
incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al
motivo accolto e rinvia la causa anche per la pronuncia
sulle spese del presente giudizio alla Corte di Appello
di Catania.
Così deciso in Roma, il 18 gennaio
2011.
Depositato in Cancelleria il 18
febbraio 2011 |