Laura ANDRAO
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“I motivi per cui i valori sono
«sballati» non conta. L'importante è che l'etilometro
abbia rilevato il superamento della soglia alcolemica”:
è quanto sostiene la Corte di Cassazione con la sentenza
n. 38793/2011, depositata il 26 ottobre.
Nel caso di specie un'automobilista
viene fermata e sottoposta al test alcolemico: la donna
dichiarava di aver bevuto un unico bicchiere.
Il risultato delle prove era
tuttavia ben diverso. Di qui la denuncia per guida in
stato di ebbrezza.
La donna sottolineava a propria
difesa la necessità, per lei, di assumere
quotidianamente certo un farmaco – tale da allungare
normalmente i tempi di assorbimento dell'alcol.
I giudici ritenevano comunque
colpevole l'imputata “per non aver agito in modo da
evitare il superamento dei limiti di concentrazione di
alcol nel sangue consentiti”.
L'imputata presentava a quel punto
ricorso per cassazione.
I giudici di Piazza Cavour
sottolineeranno che “il parametro di riferimento
adottato dal legislatore per valutare lo stato di
ebbrezza non è rappresentata dalla quantità di alcol
assunta, bensì da quella assorbita dal sangue, misurata
in grammi per litro”: e la conclusione è che il soggetto
versa “in stato di ebbrezza ogniqualvolta venga
accertato il superamento della soglia alcolemica massima
consentita”
La corte di Cassazione ritiene così
accertata la responsabilità della donna, e rigetta il
ricorso. Ritenuto in fatto
1. La Corte d'appello di Firenze ha
confermato la sentenza del tribunale di Firenze con la
quale L.D. è stata ritenuta colpevole del reato di guida
in stato di ebbrezza e, concesse attenuanti generiche, è
stata condannata a Euro 614 di ammenda, a seguito di
procedimento celebrato con rito abbreviato. La L. è
stata fermata alla guida della sua autovettura e
sottoposta al test alcolimetrico, che ha dato un
risultato pari a milligrammi per litro 1,03 alla prima
prova e milligrammi per litro 0,96 alla seconda.
Entrambi i giudici hanno ritenuto la imputata
responsabile del contestato reato, ritenendo che lo
stato di cui sopra non potesse essere ricondotto
all'assunzione di un farmaco che assumeva a cagione
della sua patologia (arterite di Takayasu), così come
dalla donna sostenuto; la donna era consapevole della
possibilità che il farmaco influisse sul risultato del
testo, tanto che ella stessa lo aveva fatto presente
agli agenti operanti; inoltre, osservava la corte di
appello, la documentazione medica acquisita in causa non
dimostrava affatto che i farmaci assunti potevano
aumentare i dati di concentrazione dell'alcol, ma solo
che "probabilmente" ritardavano l'eliminazione
dell'etanolo dal sangue e dunque che lo smaltimento
dell'etanolo avveniva in tempi più lunghi; dovevano
considerarsi validi e attendibili i risultati del test
ed in colpa la L. quanto meno per non aver agito in modo
da evitare il superamento dei limiti di concentrazione
di alcol nel sangue consentiti.
2.
Avverso questa sentenza ha presentato ricorso per
cassazione il difensore dell'imputata. Lamenta con un
primo motivo che erroneamente la corte d'appello ha
ritenuto l'imputata colpevole sulla base di un unico
accertamento, laddove l'articolo 186 del codice della
strada richiede due accertamenti e cioè richiede che
siano preventivamente acquisiti elementi utili quale il
comportamento della persona fermata percepito dagli
agenti intervenuti o un accertamento anche attraverso
apparecchi portatili che giustifichi la sottoposizione
della stessa al test alcolimetrico; nella specie invece
il comportamento tenuto dalla donna al momento del fermo
non aveva giustificato il sospetto di uno stato di
ebbrezza, tanto che dal verbale degli accertamenti
urgenti non risulta che gli agenti intervenuti abbiano
rilevato alcuna delle condotte tipiche di tale stato.
Con un secondo motivo il difensore lamenta l'erroneità
della sentenza impugnata laddove ha disatteso la tesi
della difesa secondo cui l'alterazione era frutto del
farmaco assunto dalla donna, farmaco che poteva alterare
in aumento i dati di concentrazione dell'alcol nel
sangue senza però avere influenza sulla capacità di
guida; il difensore lamenta che questa tesi si basava
sulla documentazione medica prodotta che la corte
avrebbe travisato; infatti la corte ha ignorato il
certificato dello specialista Dott. F..M.
dell'Università di (...) con cui si afferma che i
farmaci possono comportare il rallentamento delle
normali funzioni, possono comportare una concentrazione
plasmatica superiore a quanto atteso in soggetti sani e
più a lungo; ed inoltre non ha tenuto conto del fatto
che il dottor C.G. aveva comunque affermato che quei
farmaci possono avere influenza sui test alcolimetrici
senza condizionare i riflessi neurologici; quindi non vi
è prova dell'incidenza sullo stato di lucidità e della
guida in stato di ebbrezza; inoltre si lamenta il
difensore che non sia stato ritenuto applicabile il
beneficio della non menzione.
Con
successiva memoria si insiste sul fatto che la L. è
affetta da una rara malattia poco conosciuta e che è
stata superficialmente affrontata la problematica
attinente all'influenza del farmaco, con un
atteggiamento che si risolve in una penalizzazione
ingiusta delle persone malate.
Considerato in diritto
1. Il ricorso non merita
accoglimento.
2.
La L. è stata giudicata con rito abbreviato e dunque
sulla base degli atti acquisiti, tra cui la annotazione
di servizio e gli scontrini del test. Dalla prima
risultava che gli agenti avevano percepito l'alito
vinoso della donna, dai secondi il superamento del
limite consentito. Risulta dunque positivamente
accertato lo stato di ebbrezza, che, a differenza di
quanto si sostiene con il ricorso, non necessita,
peraltro, di un duplice sostegno probatorio e cioè i di
elementi sintomatici e dell'accertamento strumentale ma
può essere ritenuto sulla base di un "accertamento"
compiuto nell'uno o nell'altro morto (sez. IV sentenza
N. 41846 del 29/9/2009 RV245788).
3.
Anche il secondo motivo è infondato. La norma punisce
chiunque si pone alla guida in stato di ebbrezza
conseguente all'uso di bevande alcoliche. Il parametro
di riferimento adottato dal legislatore per valutare lo
stato di ebbrezza non è rappresentata dalla quantità di
alcol assunta, bensì da quella assorbita dal sangue,
misurata in grammi per litro. Si tratta con tutta
evidenza di una presunzione “iuris et de iure”, che
porta a ritenere il soggetto in stato di ebbrezza
ogniqualvolta venga accertato il superamento della
soglia di alcolemia massima consentita, senza
possibilità da parte del conducente di discolparsi
fornendo una prova contraria circa le sue reali
condizioni psicofisiche e la sua idoneità alla guida.
Nella specie, per averlo ammesso la stessa imputata, è
pacifico che ella aveva assunto un bicchiere di vino,
atto che soltanto la L. colloca alcune ore prima del
controllo, sostenendo che il permanere e il
potenziamento dell'effetto di tale modesta quantità di
alcol erano conseguenza del farmaco. Anche ammesso che
ciò possa essere vero, la responsabilità dell'imputata è
correttamente accertata; infatti chi sa di assumere
farmaci di tal genere deve astenersi dalla ingestione di
alcol e specialmente deve evitare di mettersi alla guida
oppure deve controllare con gli appositi test facilmente
reperibili in commercio di trovarsi in condizioni tali
da non risultare passibile della sanzione penale.
4.
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con
condanna della ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la
ricorrente al pagamento delle spese processuali. |