Il licenziamento per giusta causa
deve sempre essere corroborato da un ragionamento sulla
proporzionalità della sanzione che gustifichi la
graduazione della pena. Non è sufficiente, dunque, il
mero richiamo da parte del giudice alla sussistenza di
una infrazione al codice disciplinare. Lo ha stabilito
la Corte di cassazione, sentenza n. 22129/2011,
accogliendo il ricorso di un cassiere di supermercato
licenziato per aver accreditato sulla propria fidelity
card i punti della spesa accumulati dai clienti del
supermercato, e rinviando per la decisione alla Corte di
appello di Milano.
Per la Suprema corte, infatti,
“giusta causa di licenziamento e proporzionalità della
sanzione disciplinare sono nozioni che la legge, allo
scopo di adeguare le norme alla realtà da disciplinare,
articolata e mutevole nel tempo, configura con
disposizioni, ascrivibili alla tipologia delle
cosiddette clausole generali, di limitato contenuto e
delineanti un modulo generico che richiede di essere
specificato in sede interpretativa”. Simili
specificazioni “hanno natura giuridica e la loro
disapplicazione è, quindi, deducibile in sede di
legittimità”.
All'opposto: “Nel caso in esame la
Corte territoriale, al fine di giudicare la
proporzionalità della sanzione, ha omesso ogni
considerazione riguardo alla graduazione della pena,
limitandosi ad affermare la sussistenza della
fattispecie disciplinare”.
Bocciato, invece, il secondo motivo
di ricorso relativo alla mancata predeterminazione delle
sanzioni disciplinari. La Corte ha chiarito che “il
codice disciplinare aziendale non necessariamente deve
contenere una analitica e specifica predeterminazione
delle infrazioni e, in relazione allo loro gravità,
delle corrispondenti sanzioni secondo il rigore formale
proprio del sistema sanzionatorio penale statuale”. Ma
“è sufficiente che sia redatto in forma che renda chiare
le ipotesi di infrazione, sia pure dandone una nozione
schematica e non dettagliata delle varie prevedibili o
possibili azioni del singolo”.
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