SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
25 ottobre 2011
«Regolamento (CE) n. 44/2001- Competenza giurisdizionale
ed esecuzione delle decisioni in materia civile e
commerciale - Competenza "in materia di illeciti civili
dolosi o colposi" - Direttiva 2000/31/CE - Pubblicazione
di informazioni su Internet - Violazione dei diritti
della personalità - Luogo in cui l'evento dannoso è
avvenuto o può avvenire - Diritto applicabile ai servizi
della società dell'informazione»
Nei procedimenti riuniti C-509/09 e C-161/10,
aventi ad oggetto due domande di pronuncia pregiudiziale
proposte alla Corte, ai sensi dell'art. 267 TFUE, dal
Bundesgerichtshof (Germania) (C-509/09) e dal Tribunal
de grande instance de Paris (Francia) (C-161/10) con
decisioni 10 novembre 2009 e 29 marzo 2010, pervenute in
cancelleria rispettivamente il 9 dicembre 2009 e il 6
aprile 2010, nelle cause
eDate Advertising GmbH
contro
X
e
Olivier Martinez,
Robert Martinez
contro
MGN Limited,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A.
Tizzano, J.N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts, J.-C.
Bonichot, U. Lõhmus e M. Safjan (relatore), presidenti
di sezione, dai sigg. E. Levits, A. Ó Caoimh, L. Bay
Larsen e T. von Danwitz, giudici,
avvocato generale: sig. P. Cruz Villalón
cancelliere: sig. B. Fülöp, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito
all'udienza del 14 dicembre 2010,
considerate le osservazioni presentate:
- per l'eDate Advertising GmbH, dagli avv.ti H.
Graupner e M. Dörre, Rechtsanwälte;
- per il sig. X, dall'avv. A. Stopp,
Rechtsanwalt;
- per la MGN Limited, dall'avv. C. Bigot;
- per il governo tedesco, dal sig. J. Möller e
dalla sig.ra J. Kemper, in qualità di agenti;
- per il governo francese, dal sig. G. de Bergues
e dalla sig.ra B. Beaupère-Manokha, in qualità di
agenti;
- per il governo danese, dal sig. C. Vang, in
qualità di agente;
- per il governo ellenico, dalla sig.ra S. Chala,
in qualità di agente;
- per il governo italiano, dalla sig.ra W.
Ferrante, in qualità di agente;
- per il governo lussemburghese, dal sig. C.
Schiltz, in qualità di agente;
- per il governo austriaco, dalla sig.ra C.
Pesendorfer e dal sig. E. Riedl, in qualità di agenti;
- per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra F.
Penlington, in qualità di agente, assistita dalla sig.ra
J. Stratford, QC;
- per la Commissione europea, dal sig. M.
Wilderspin, in qualità di agente,
sentite le conclusioni dell'avvocato generale,
presentate all'udienza del 29 marzo 2011,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono
sull'interpretazione dell'art. 5, punto 3, del
regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 2000, n.
44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il
riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia
civile e commerciale (GU 2001, L 12, pag. 1; in
prosieguo: il «regolamento»), nonché dell'art. 3, nn. 1
e 2, della direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni
aspetti giuridici dei servizi della società
dell'informazione, in particolare il commercio
elettronico, nel mercato interno («direttiva sul
commercio elettronico») (GU L 178, pag. 1; in prosieguo:
la «direttiva»).
2 Tali domande sono state presentate nell'ambito
di due controversie che vedono contrapposti
rispettivamente, da un lato, il sig. X e l'eDate
Advertising GmbH (in prosieguo: l'«eDate Advertising»)
e, dall'altro, i sigg. Olivier e Robert Martinez e la
MGN Limited (in prosieguo: la «MGN»), in merito alla
responsabilità civile dei predetti convenuti per
informazioni e foto pubblicate su Internet.
Contesto normativo
Il regolamento
3 L'undicesimo 'considerando' del regolamento
così recita :
«Le norme sulla competenza devono presentare un alto
grado di prevedibilità ed articolarsi intorno al
principio della competenza del giudice del domicilio del
convenuto, la quale deve valere in ogni ipotesi salvo in
alcuni casi rigorosamente determinati, nei quali la
materia del contendere o l'autonomia delle parti
giustifichi un diverso criterio di collegamento. Per le
persone giuridiche il domicilio deve essere definito
autonomamente, in modo da aumentare la trasparenza delle
norme comuni ed evitare i conflitti di competenza».
4 Ai sensi dell'art. 2, n. 1, del regolamento,
contenuto nel capo II («Competenza») di quest'ultimo,
sezione 1, intitolata «Disposizioni generali»:
«Salve le disposizioni del presente regolamento, le
persone domiciliate nel territorio di un determinato
Stato membro sono convenute, a prescindere dalla loro
nazionalità, davanti ai giudici di tale Stato membro».
5 L'art. 3, n. 1, del medesimo regolamento così
dispone:
«Le persone domiciliate nel territorio di uno Stato
membro possono essere convenute davanti ai giudici di un
altro Stato membro solo in base alle norme enunciate
nelle sezioni da 2 a 7 del presente capo».
6 Al capo II, sezione 2, intitolata «Competenze
speciali», l'art. 5, punto 3, è formulato nei seguenti
termini :
«La persona domiciliata nel territorio di uno Stato
membro può essere convenuta in un altro Stato membro:
(.)
3) in materia di illeciti civili dolosi o colposi,
davanti al giudice del luogo in cui l'evento dannoso è
avvenuto o può avvenire».
La direttiva
7 La quarta frase del ventiduesimo 'considerando'
della direttiva ha il seguente tenore:
«Inoltre, per garantire efficacemente la libera
circolazione dei servizi e la certezza del diritto per i
prestatori e i loro destinatari, questi servizi devono
in linea di principio essere sottoposti alla normativa
dello Stato membro nel quale il prestatore è stabilito».
8 Il ventitreesimo 'considerando' della direttiva
sancisce quanto segue:
«La presente direttiva non è volta a introdurre norme
supplementari di diritto internazionale privato sui
conflitti di leggi, né tratta della competenza degli
organi giurisdizionali. Le disposizioni della legge
applicabile in base alle norme del diritto
internazionale privato non limitano la libertà di
fornire servizi della società dell'informazione come
stabilito dalla presente direttiva».
9 Il venticinquesimo 'considerando' della
direttiva precisa quanto segue:
«Le giurisdizioni nazionali, anche civili, chiamate a
dirimere controversie di diritto privato possono
adottare provvedimenti per derogare alla libertà di
fornire servizi della società dell'informazione
conformemente alle condizioni stabilite nella presente
direttiva».
10 Conformemente al suo art. 1, n. 1, la direttiva
mira «a contribuire al buon funzionamento del mercato
garantendo la libera circolazione dei servizi della
società dell'informazione tra Stati membri».
11 L'art. 1, n. 4, della direttiva è redatto nei
seguenti termini:
«La presente direttiva non introduce norme supplementari
di diritto internazionale privato, né tratta delle
competenze degli organi giurisdizionali».
12 Ai termini dell'art. 2, lett. h), sub i), della
direttiva :
«[L]'ambito regolamentato riguarda le prescrizioni che
il prestatore deve soddisfare per quanto concerne:
- l'accesso all'attività di servizi della società
dell'informazione, quali ad esempio le prescrizioni
riguardanti le qualifiche e i regimi di autorizzazione o
notifica;
- l'esercizio dell'attività di servizi della
società dell'informazione, quali ad esempio le
prescrizioni riguardanti il comportamento del
prestatore, la qualità o i contenuti del servizio,
comprese le prescrizioni applicabili alla pubblicità e
ai contratti, oppure la responsabilità del prestatore».
13 L'art. 3, nn. 1 e 2, della direttiva così
dispone:
«1. Ogni Stato membro provvede affinché i servizi
della società dell'informazione, forniti da un
prestatore stabilito nel suo territorio, rispettino le
disposizioni nazionali vigenti in detto Stato membro
nell'ambito regolamentato.
2. Gli Stati membri non possono, per motivi che
rientrano nell'ambito regolamentato, limitare la libera
circolazione dei servizi [della] società
dell'informazione provenienti da un altro Stato membro».
14 L'art. 3, n. 4, della direttiva precisa le
condizioni in presenza delle quali gli Stati membri
possono adottare provvedimenti in deroga al n. 2, per
quanto concerne un determinato servizio della società
dell'informazione.
Cause principali e questioni pregiudiziali
Causa C-509/09
15 Nel 1993 il sig. X, domiciliato in Germania, è
stato condannato da un giudice tedesco all'ergastolo,
assieme a suo fratello, per l'omicidio di un attore
famoso. Nel gennaio 2008, egli è stato ammesso alla
liberazione condizionale.
16 L'eDate Advertising, stabilita in Austria,
gestisce un portale Internet accessibile all'indirizzo
«www.rainbow.at». Nella rubrica «Info-news», sulle
pagine riservate alle notizie meno recenti, fino al 18
giugno 2007 la convenuta ha mantenuto accessibile, ai
fini della sua consultazione, una notizia risalente al
23 agosto 1999, in cui si diceva, citando segnatamente
il sig. X nonché suo fratello, che essi avevano entrambi
presentato un ricorso avverso la loro condanna dinanzi
al Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale
federale) di Karlsruhe (Germania). Oltre ad una breve
descrizione dei fatti commessi nel 1990, veniva citato
l'avvocato incaricato dai due condannati, a detta del
quale essi intendevano provare che, nel corso del
processo, molti dei principali testimoni dell'accusa non
avrebbero dichiarato il vero.
17 Il sig. X ha ingiunto all'eDate Advertising di
smettere di riportare una simile notizia e di assumersi
un obbligo di non fare mediante un'apposita
dichiarazione. L'eDate Advertising non ha risposto alla
suddetta lettera, ma, in data 18 giugno 2007, essa ha
eliminato dal proprio sito Internet l'informazione
contestata.
18 Con il suo ricorso dinanzi ai giudici tedeschi,
il sig. X chiede all'eDate Advertising di non riportare
più notizie che lo concernono, indicando il suo nome per
esteso in relazione all'atto commesso. L'eDate
Advertising ha contestato principalmente la competenza
internazionale dei giudici tedeschi. Poiché il ricorso
ha avuto esito positivo nei due gradi di giudizio
inferiori, la medesima rinnova, dinanzi al
Bundesgerichtshof, le proprie conclusioni volte al
rigetto del ricorso.
19 Il Bundesgerichtshof rileva che l'esito di tale
ricorso dipende dalla questione se i giudici dei gradi
inferiori abbiano, a giusto titolo, riconosciuto la
propria competenza internazionale per dirimere la
controversia conformemente all'art. 5, punto 3, del
regolamento.
20 Ove venga accertata la competenza internazionale
dei giudici tedeschi, si porrebbe la questione se sia
applicabile il diritto tedesco o il diritto austriaco.
Ciò dipenderebbe dall'interpretazione dell'art. 3, nn. 1
e 2, della direttiva.
21 Da un lato, il principio del paese d'origine
potrebbe costituire un correttivo sul piano del diritto
sostanziale. L'esito giuridico sostanziale, previsto dal
diritto dichiarato applicabile in base alle norme di
conflitto dello Stato del foro, verrebbe, nel caso
concreto, modificato a livello contenutistico e ridotto
alle prescrizioni meno rigorose del diritto del paese
d'origine. Secondo questa interpretazione, il principio
del paese d'origine non inciderebbe sulle norme
nazionali sul conflitto di leggi dello Stato del foro e
- al pari delle libertà fondamentali enunciate nel
Trattato CE - interverrebbe solo nell'ambito di una
comparazione concreta, tra costi e benefici, sul piano
del diritto sostanziale.
22 D'altro lato, l'art. 3 della direttiva potrebbe
sancire un principio generale in materia di norme di
conflitto che comporti la sola applicazione del diritto
vigente nel paese d'origine, con esclusione delle norme
nazionali sul conflitto di leggi.
23 Il Bundesgerichtshof evidenzia che, qualora si
consideri il principio del paese d'origine come un
ostacolo all'applicazione del diritto sul piano
sostanziale, troverebbe applicazione il diritto
internazionale privato tedesco e occorrerebbe annullare
la decisione impugnata e respingere definitivamente il
ricorso, poiché non si potrebbe riconoscere al
ricorrente una pretesa inibitoria fondata sul diritto
tedesco. Per contro, se si riconosce al principio del
paese d'origine il carattere di una norma di conflitto,
la pretesa inibitoria del sig. X andrebbe valutata in
base al diritto austriaco.
24 Ciò premesso, il Bundesgerichtshof ha deciso di
sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le
seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se, per l'ipotesi di (minacciata) violazione di
diritti della personalità attraverso contenuti di un
sito Internet, la locuzione "luogo in cui l'evento
dannoso può avvenire" di cui all'art. 5, punto 3, del
regolamento (...) debba essere interpretata nel senso
che
l'interessato può esercitare un'azione inibitoria contro
il gestore del sito Internet, indipendentemente dallo
Stato membro di stabilimento del gestore, anche dinanzi
ai giudici di ogni Stato membro in cui il sito Internet
può essere consultato,
oppure
la competenza dei giudici di uno Stato membro, in cui il
gestore del sito Internet non è stabilito, presuppone
che, oltre alla mera accessibilità tecnica a tale sito,
sussista uno specifico collegamento dei contenuti
controversi o del sito Internet con lo Stato del foro.
2) Qualora sia richiesto un siffatto collegamento
con lo Stato del foro:
secondo quali criteri esso vada riscontrato;
se assume rilievo il fatto che il sito Internet cui si
riferisce l'azione inibitoria si rivolga, alla luce
delle scelte del gestore, (anche) agli utenti di
Internet nello Stato del foro, o se sia sufficiente che
le informazioni accessibili sul sito presentino un
collegamento oggettivo con lo Stato del foro, nel senso
che, secondo le circostanze del caso concreto ed in
particolare in base al contenuto del sito controverso,
un conflitto tra interessi contrapposti - l'interesse
del ricorrente al rispetto dei propri diritti della
personalità e l'interesse del gestore ad impostare
discrezionalmente il proprio sito e a fornire
informazione - possa essersi verificato o potrà
verificarsi nello Stato del foro;
se, al fine del riscontro di tale collegamento con lo
Stato del foro, sia determinante il numero di accessi al
sito Internet controverso operati da detto Stato.
3) Ove, ai fini della sussistenza della competenza
giurisdizionale, non sia necessario alcuno specifico
collegamento con lo Stato del foro oppure tale
collegamento si presuma qualora le informazioni
controverse presentino un collegamento oggettivo con lo
Stato del foro, nel senso che un conflitto tra
contrapposti interessi, alla luce delle circostanze del
caso concreto ed in particolare in base al contenuto del
sito Internet controverso, possa essersi verificato o
potrà verificarsi in detto Stato e la presunzione di
tale collegamento non presupponga il riscontro di un
numero minimo di accessi al sito Internet controverso
dallo Stato del foro:
se l'art. 3, nn. 1 e 2, della direttiva (...) debba
essere interpretato nel senso che
alle menzionate disposizioni va attribuito carattere di
norme di conflitto, nel senso che esse, anche
nell'ambito del diritto civile, prescrivono la sola
applicazione del diritto vigente nel paese d'origine,
con esclusione delle norme di conflitto nazionali,
oppure
tali disposizioni costituiscono un correttivo rilevante
sul piano giuridico materiale, attraverso il quale
l'esito giuridico sostanziale del diritto individuato
come applicabile dalle norme di conflitto nazionali
viene modificato a livello contenutistico e ridotto alle
prescrizioni normative dello Stato d'origine.
Per il caso in cui i nn. 1 e 2 dell'art. 3 della
direttiva (...) abbiano carattere di norme di conflitto:
se le disposizioni citate si limitino a prescrivere la
sola applicazione del diritto sostanziale del paese
d'origine o prescrivano anche l'applicazione delle norme
di conflitto ivi in vigore, con la conseguenza che resti
possibile il rinvio da parte del diritto dello Stato di
origine al diritto dello Stato del foro».
Causa C-161/10
25 Dinanzi al Tribunal de grande instance di
Parigi, l'attore francese Olivier Martinez e suo padre,
Robert Martinez, lamentano violazioni della loro vita
privata e del diritto all'immagine di Olivier Martinez,
che sarebbero avvenute tramite la messa in rete, sul
sito Internet accessibile all'indirizzo
«www.sundaymirror.co.uk», di un testo redatto in lingua
inglese, datato 3 febbraio 2008 ed intitolato, secondo
la traduzione francese non contestata, depositata in
udienza, «Kylie Minogue è di nuovo con Olivier
Martinez», unitamente a dettagli relativi al loro
incontro.
26 In base all'art. 9 del codice civile francese,
il quale dispone che «ciascuno ha diritto al rispetto
della propria vita privata», è stata intentata un'azione
contro la società di diritto inglese MGN, editrice del
sito del quotidiano britannico Sunday Mirror. Tale
società eccepisce l'incompetenza del Tribunal de grande
instance di Parigi per insussistenza di un collegamento
sufficiente tra la pubblicazione on line controversa e
il presunto danno sul territorio francese, mentre i
ricorrenti ritengono al contrario che un siffatto
collegamento non sia necessario e che, in ogni caso,
esso sussista.
27 Il giudice del rinvio rileva che un evento
dannoso, il cui supporto è costituito dalla rete
Internet, può essere considerato come prodottosi sul
territorio di uno Stato membro soltanto qualora sussista
un nesso sufficiente, sostanziale o significativo, che
lo colleghi con detto territorio.
28 Il giudice del rinvio ritiene che la soluzione
della questione della competenza del giudice di uno
Stato membro a conoscere di una violazione dei diritti
della personalità commessa sulla rete Internet, a
partire da un sito edito da una persona domiciliata in
un altro Stato membro ed essenzialmente destinato al
pubblico di quest'altro Stato, non emerge chiaramente
dal tenore letterale degli artt. 2 e 5, punto 3, del
regolamento.
29 In tale contesto, il Tribunal de grande instance
di Parigi ha deciso di sospendere il procedimento e di
sottoporre alla Corte la seguente questione
pregiudiziale:
«Se gli artt. 2 e 5, [punto 3,] del regolamento (...)
debbano essere interpretati nel senso che riconoscono la
competenza del giudice di uno Stato membro a decidere in
merito ad un'azione per una violazione dei diritti della
personalità commessa mediante la pubblicazione di
informazioni e/o fotografie su un sito Internet edito in
un altro Stato membro da una società stabilita in detto
secondo Stato (oppure in un terzo Stato membro, in ogni
caso diverso dal primo):
- alla mera condizione che tale sito Internet
possa essere consultato a partire dal primo Stato,
oppure
- solamente qualora tra l'evento dannoso e il
territorio del primo Stato sussista un collegamento
sufficiente, sostanziale e significativo e, in questa
seconda ipotesi, se il collegamento possa derivare:
- dalla quantità di connessioni alla pagina
controversa provenienti dal primo Stato membro, in
valore assoluto o relativo al numero totale di
connessioni alla pagina,
- dalla residenza o dalla nazionalità della
persona che lamenta la violazione dei propri diritti
della personalità o, più in generale, dalla residenza o
dalla nazionalità delle persone interessate,
- dalla lingua in cui è diffusa l'informazione
controversa o da qualunque altro elemento idoneo a
dimostrare la volontà dell'editore del sito Internet di
rivolgersi specificamente al pubblico del primo Stato,
- dal luogo in cui sono avvenuti i fatti
lamentati e/o dove sono state effettuate le riprese
fotografiche eventualmente pubblicate in linea,
- da altri criteri».
30 Con ordinanza 29 ottobre 2010, il presidente
della Corte di giustizia ha deciso, ai sensi dell'art.
43 del regolamento di procedura della Corte, di riunire
i procedimenti C-509/09 e C-161/10 ai fini della
trattazione orale e della sentenza.
Sulla ricevibilità
31 Il governo italiano considera che le questioni
poste nel procedimento C-509/09 devono essere dichiarate
irricevibili per difetto di rilevanza nella causa
principale. L'azione inibitoria costituirebbe uno
strumento giurisdizionale d'urgenza e presupporrebbe
quindi l'attualità del comportamento dannoso.
Dall'esposizione dei fatti di causa risulterebbe,
nondimeno, che la condotta assunta come lesiva non era
più attuale al momento della proposizione della domanda
inibitoria, in quanto il gestore del sito aveva già
eliminato la notizia controversa prima dell'inizio del
giudizio.
32 A tal riguardo occorre rammentare che, secondo
costante giurisprudenza, nell'ambito di un procedimento
ex art. 267 TFUE, spetta soltanto al giudice nazionale,
cui è stata sottoposta la controversia e che deve
assumersi la responsabilità dell'emananda decisione
giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari
circostanze della causa, sia la necessità di una
pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere
la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni
che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le
questioni sollevate riguardano l'interpretazione del
diritto dell'Unione, la Corte, in via di principio, è
tenuta a pronunciarsi (v. sentenza 17 febbraio 2011,
causa C-52/09, TeliaSonera Sverige, non ancora
pubblicata nella Raccolta, punto 15 e giurisprudenza ivi
citata).
33 Il rifiuto, da parte della Corte, di
pronunciarsi su una domanda di pronuncia pregiudiziale
proposta da un giudice nazionale è, infatti, possibile
soltanto qualora appaia in modo manifesto che
l'interpretazione del diritto dell'Unione richiesta non
ha alcun rapporto con la realtà effettiva o l'oggetto
della causa principale, in particolare qualora la
questione sia di tipo ipotetico (v. sentenza TeliaSonera
Sverige, cit., punto 16).
34 Orbene, non sembra che, nella causa principale,
l'azione inibitoria sia divenuta priva di oggetto per il
fatto che il gestore del sito avesse già rimosso la
notizia controversa prima dell'inizio del procedimento.
Infatti, come ricordato al punto 18 della presente
sentenza, l'azione inibitoria ha avuto esito favorevole
nei due gradi di giudizio inferiori.
35 Ad ogni modo, la Corte ha già statuito che, alla
luce del suo tenore letterale, l'art. 5, punto 3, del
regolamento non presuppone la sussistenza attuale di un
danno (v., in tal senso, sentenza 1° ottobre 2002, causa
C-167/00, Henkel, Racc. pag. I-8111, punti 48 e 49). Ne
consegue che rientra nell'ambito di applicazione di tale
disposizione un'azione diretta ad impedire che si
riproduca un comportamento considerato illecito.
36 Pertanto, la domanda di pronuncia pregiudiziale
deve essere considerata ricevibile.
Sulle questioni pregiudiziali
Sull'interpretazione dell'art. 5, punto 3, del
regolamento
37 Con le sue prime due questioni nel procedimento
C-509/09 e con la sua questione unica nel procedimento
C-161/10, che occorre esaminare congiuntamente, i
giudici del rinvio chiedono sostanzialmente alla Corte
come debba essere interpretata la locuzione «luogo in
cui l'evento dannoso è avvenuto o può avvenire», di cui
all'art. 5, punto 3, del regolamento, in caso di
asserita lesione di diritti della personalità attraverso
contenuti messi in rete su un sito Internet.
38 Per risolvere dette questioni occorre ricordare
che, da un lato, secondo una costante giurisprudenza, le
disposizioni del regolamento vanno interpretate in modo
autonomo, alla luce del loro sistema generale e delle
loro finalità (v., in particolare, sentenza 16 luglio
2009, causa C-189/08, Zuid-Chemie, Racc. pag. I-6917,
punto 17 e giurisprudenza ivi citata).
39 D'altro lato, poiché il regolamento ha
sostituito, nei rapporti tra Stati membri, la
Convenzione 27 settembre 1968 concernente la competenza
giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in
materia civile e commerciale (GU 1972, L 299, pag. 32),
come modificata dalle successive convenzioni relative
all'adesione dei nuovi Stati membri a tale Convenzione
(in prosieguo: la «Convenzione di Bruxelles»),
l'interpretazione fornita dalla Corte con riferimento
alle disposizioni di tale Convenzione vale anche per
quelle del citato regolamento, quando le disposizioni di
tali atti comunitari possono essere qualificate come
equivalenti (sentenza Zuid-Chemie, cit., punto 18).
40 Secondo costante giurisprudenza, la norma sulla
competenza speciale enunciata all'art. 5, punto 3, del
regolamento, in deroga al principio della competenza dei
giudici del domicilio del convenuto, trova il suo
fondamento nell'esistenza di un collegamento
particolarmente stretto tra una data controversia e i
giudici del luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto,
che giustifica un'attribuzione di competenza a questi
ultimi giudici ai fini della buona amministrazione della
giustizia e dell'economia processuale (v. sentenza
Zuid-Chemie, cit., punto 24 e giurisprudenza ivi
citata).
41 Va altresì ricordato che la locuzione «luogo in
cui l'evento dannoso è avvenuto» si riferisce sia al
luogo del fatto generatore del danno sia a quello in cui
il danno si è concretato. Questi due luoghi possono
costituire un significativo collegamento dal punto di
vista della competenza giurisdizionale, dato che
ciascuno di essi può, a seconda della circostanze,
fornire un'indicazione particolarmente utile dal punto
di vista della prova e dello svolgimento del processo
(sentenza 7 marzo 1995, causa C-68/93, Shevill e a.,
Racc. pag. I-415, punti 20 e 21).
42 Per quanto riguarda l'applicazione di questi due
criteri di collegamento ad azioni dirette al
risarcimento di un danno immateriale asseritamente
causato da una pubblicazione diffamatoria, la Corte ha
considerato che, in caso di diffamazione mediante un
articolo di stampa diffuso in più Stati contraenti, la
vittima può esperire nei confronti dell'editore
un'azione di risarcimento sia dinanzi ai giudici dello
Stato contraente del luogo ove è stabilito l'editore
della pubblicazione diffamatoria, i quali sono
competenti a pronunciarsi sul risarcimento dei danni
derivanti dalla diffamazione nella loro integralità, sia
dinanzi ai giudici di ciascuno Stato contraente in cui
la pubblicazione è stata diffusa e in cui la vittima
assume aver subìto una lesione della sua reputazione, i
quali sono competenti a conoscere dei soli danni
cagionati nello Stato del giudice adito (sentenza
Shevill e a., cit., punto 33).
43 A tal riguardo, la Corte ha parimenti precisato
che, nonostante gli inconvenienti derivanti dalla
limitazione della competenza dei giudici dello Stato di
diffusione ai soli danni cagionati nello Stato del foro,
l'attore ha pur sempre la facoltà di esperire l'azione
nel suo complesso dinanzi al giudice sia del domicilio
del convenuto, sia del luogo dove è stabilito l'editore
della pubblicazione diffamatoria (sentenza Shevill e a.,
cit., punto 32).
44 Come evidenziato dall'avvocato generale al
paragrafo 39 delle sue conclusioni, tali considerazioni
possono essere applicate anche ad altri mezzi e supporti
di comunicazione e possono coprire un'ampia gamma di
violazioni dei diritti della personalità conosciute dai
vari ordinamenti giuridici, come quelle lamentate dai
ricorrenti nella causa principale.
45 Tuttavia, come rilevato tanto dai giudici del
rinvio quanto dalla maggioranza delle parti e degli
interessati che hanno presentato osservazioni alla
Corte, la messa in rete di contenuti su un sito Internet
si distingue dalla diffusione circoscritta
territorialmente di un mezzo di comunicazione quale una
stampa, giacché, in via di principio, essa mira
all'ubiquità di detti contenuti. Questi possono essere
consultati istantaneamente da un numero indefinito di
internauti, ovunque al mondo, indipendentemente da
qualsiasi intenzione del loro emittente in ordine alla
loro consultazione al di là del proprio Stato membro di
stabilimento e al di fuori del proprio controllo.
46 Sembra dunque che Internet riduca l'utilità del
criterio inerente alla diffusione, poiché la portata
della diffusione di contenuti messi in rete, in linea di
principio, è universale. Inoltre, sul piano tecnico è
tuttora impossibile quantificare tale diffusione con
certezza ed attendibilità rispetto ad un determinato
Stato membro e, di conseguenza, valutare il danno
causato esclusivamente in tale Stato membro.
47 Le difficoltà di attuazione, nel contesto di
Internet, di detto criterio della concretizzazione del
danno, sancito nella citata sentenza Shevill e a.,
contrastano, come rilevato dall'avvocato generale al
paragrafo 56 delle sue conclusioni, con la gravità della
lesione che può subire il titolare del diritto della
personalità, il quale constata che un'informazione
lesiva di suddetto diritto è disponibile in qualunque
parte del mondo.
48 I criteri di collegamento ricordati al punto 42
della presente sentenza vanno quindi adeguati nel senso
che la vittima di una lesione di un diritto della
personalità per mezzo di Internet può adire un foro, a
seconda del luogo di concretizzazione del danno
cagionato da detta lesione nell'Unione europea, per la
totalità di tale danno. Poiché l'impatto, sui diritti
della personalità di un soggetto, di un'informazione
messa in rete può essere valutata meglio dal giudice del
luogo in cui la presunta vittima possiede il proprio
centro di interessi, l'attribuzione di competenza a tale
giudice corrisponde all'obiettivo di una buona
amministrazione della giustizia, ricordato al punto 40
della presente sentenza.
49 Il luogo in cui una persona ha il proprio centro
di interessi corrisponde, in via generale, alla sua
residenza abituale. Tuttavia, una persona può avere il
proprio centro di interessi anche in uno Stato membro in
cui non risiede abitualmente, ove altri indizi, quali
l'esercizio di un'attività professionale, possano
dimostrare l'esistenza di un collegamento
particolarmente stretto con tale Stato.
50 La competenza del giudice del luogo in cui la
presunta vittima ha il proprio centro di interessi è
conforme all'obiettivo della prevedibilità delle norme
sulla competenza (v. sentenza 12 maggio 2011, causa
C-144/10, BVG, non ancora pubblicata nella Raccolta,
punto 33) anche nei confronti del convenuto, poiché chi
emette l'informazione lesiva, al momento della messa in
rete della stessa, è in condizione di conoscere i centri
d'interessi delle persone che ne formano oggetto.
Occorre dunque considerare che il criterio del centro
d'interessi consente, al contempo, all'attore di
individuare agevolmente il giudice al quale può
rivolgersi e al convenuto di prevedere ragionevolmente
dinanzi a quale giudice può essere citato (v. sentenza
23 aprile 2009, causa C-533/07, Falco Privatstiftung e
Rabitsch, Racc. pag. I-3327, punto 22 e giurisprudenza
ivi citata).
51 Peraltro, in luogo di un'azione di risarcimento
per la totalità del danno, il criterio della
concretizzazione del danno, sancito nella citata
sentenza Shevill e a., conferisce competenza ai giudici
di ciascuno Stato membro sul cui territorio
un'informazione messa in rete sia accessibile oppure lo
sia stata. Questi sono competenti a conoscere del solo
danno causato sul territorio dello Stato membro del
giudice adito.
52 Di conseguenza, le prime due questioni nel
procedimento C-509/09 e la questione unica nel
procedimento C-161/10 vanno risolte dichiarando che
l'art. 5, punto 3, del regolamento deve essere
interpretato nel senso che, in caso di asserita
violazione dei diritti della personalità per mezzo di
contenuti messi in rete su un sito Internet, la persona
che si ritiene lesa ha la facoltà di esperire un'azione
di risarcimento, per la totalità del danno cagionato, o
dinanzi ai giudici dello Stato membro del luogo di
stabilimento del soggetto che ha emesso tali contenuti,
o dinanzi ai giudici dello Stato membro in cui si trova
il proprio centro d'interessi. In luogo di un'azione di
risarcimento per la totalità del danno cagionato, tale
persona può altresì esperire un'azione dinanzi ai
giudici di ogni Stato membro sul cui territorio
un'informazione messa in rete sia accessibile oppure lo
sia stata. Questi ultimi sono competenti a conoscere del
solo danno cagionato sul territorio dello Stato membro
del giudice adito.
Sull'interpretazione dell'art. 3 della direttiva
53 Con la sua terza questione nel procedimento
C-509/09, il Bundesgerichtshof intende sapere se le
disposizioni di cui all'art. 3, nn. 1 e 2, della
direttiva abbiano carattere di norme di conflitto, nel
senso che esse prescrivono anche in materia civile
l'applicazione esclusiva, per i servizi della società
dell'informazione, del diritto in vigore nel paese
d'origine con esclusione della norme nazionali sul
conflitto di leggi, oppure se esse costituiscano un
correttivo al diritto dichiarato applicabile secondo le
norme nazionali sul conflitto di leggi, per modificarne
il contenuto conformemente alle prescrizioni del paese
d'origine.
54 Si devono analizzare tali disposizioni tenendo
conto non soltanto della lettera delle stesse, ma anche
del loro contesto e degli scopi perseguiti dalla
normativa di cui esse fanno parte (v. sentenze 19
settembre 2000, causa C-156/98, Germania/Commissione,
Racc. pag. I-6857, punto 50; 7 dicembre 2006, causa
C-306/05, SGAE, Racc. pag. I-11519, punto 34, nonché 7
ottobre 2010, causa C-162/09, Lassal, non ancora
pubblicata nella Raccolta, punto 49).
55 In tal senso, il dispositivo di un atto
dell'Unione è indissociabile dalla sua motivazione e
deve essere pertanto interpretato, se necessario,
tenendo conto dei motivi che hanno portato alla sua
adozione (sentenze 29 aprile 2004, causa C-298/00 P,
Italia/Commissione, Racc. pag. I-4087, punto 97 e
giurisprudenza ivi citata, nonché Lassal, cit., punto
50).
56 La direttiva, adottata in base agli artt. 47, n.
2, CE, 55 CE e 95 CE, ai sensi del suo art. 1, n. 1,
mira a contribuire al buon funzionamento del mercato
interno garantendo la libera circolazione dei servizi
della società dell'informazione tra gli Stati membri. Il
suo quinto 'considerando' elenca, quali ostacoli
giuridici al buon funzionamento del mercato interno in
tale settore, le divergenze tra le normative nazionali,
nonché l'incertezza sul diritto nazionale applicabile a
tali servizi.
57 Orbene, per la maggior parte degli aspetti del
commercio elettronico, la direttiva non prevede
un'armonizzazione delle norme sostanziali, bensì
definisce un «ambito regolamentato», in cui il
meccanismo previsto dall'art. 3 deve consentire, secondo
il ventiduesimo 'considerando' della direttiva in
parola, di sottoporre, Error! Not a valid link.i servizi
della società dell'informazione alla normativa dello
Stato membro in cui è stabilito il prestatore.
58 A tal riguardo va rilevato, da una parte, che la
normativa dello Stato membro di stabilimento del
prestatore comprende l'ambito del diritto civile, il che
emerge, in particolare, dal venticinquesimo
'considerando' della direttiva, nonché dalla circostanza
che l'allegato di quest'ultima elenca i diritti e gli
obblighi di natura civilistica ai quali non si applica
il meccanismo di cui all'art. 3. D'altra parte,
l'applicazione del medesimo alla responsabilità dei
prestatori è espressamente prevista dall'art. 2, lett.
h), sub i), secondo trattino, della direttiva.
59 La lettura dell'art. 3, nn. 1 e 2, della
direttiva, alla luce delle disposizioni e degli
obiettivi summenzionati, dimostra che il meccanismo
delineato dalla direttiva dispone, anche in diritto
civile, l'osservanza delle prescrizioni del diritto
sostanziale vigente nel paese di stabilimento del
prestatore. Invero, in mancanza di disposizioni
vincolanti di armonizzazione, adottate a livello
dell'Unione, soltanto il riconoscimento del carattere
vincolante della normativa nazionale, al quale il
legislatore ha deciso di sottoporre i prestatori e i
lori servizi, può garantire la piena efficacia della
libera prestazione dei medesimi servizi. L'art. 3, n. 4,
della direttiva può corroborare siffatta lettura in
quanto precisa le condizioni alle quali gli Stati membri
possono derogare al n. 2 dell'articolo in parola,
condizioni da considerarsi esaustive.
60 Orbene, l'interpretazione dell'art. 3 della
direttiva deve anche tenere conto del suo art. 1, n. 4,
secondo cui essa non introduce norme supplementari di
diritto internazionale privato relative al conflitto di
leggi.
61 A tal riguardo va rilevato, da un lato, che
un'interpretazione della norma relativa al mercato
interno, di cui all'art. 3, n. 1, della direttiva, nel
senso che essa conduce all'applicazione del diritto
sostanziale vigente nello Stato membro di stabilimento,
non determina la sua qualificazione come norma di
diritto internazionale privato. Infatti, tale paragrafo
impone principalmente agli Stati membri l'obbligo di
provvedere affinché i servizi della società
dell'informazione, forniti da un prestatore stabilito
sul loro territorio, rispettino le disposizioni
nazionali applicabili in tali Stati membri, rientranti
nell'ambito regolamentato. L'imposizione di un obbligo
siffatto non presenta le caratteristiche di una norma di
conflitto, destinata a dirimere un conflitto specifico
tra più diritti applicabili.
62 D'altra parte, l'art. 3, n. 2, della direttiva
contiene un divieto per gli Stati membri di limitare,
per motivi che rientrano nell'ambito regolamentato, la
libera circolazione dei servizi della società
dell'informazione provenienti da un altro Stato membro.
Per contro, dall'art. 1, n. 4, della direttiva, letto
alla luce del ventitreesimo 'considerando' della
medesima, emerge che, in linea di principio, gli Stati
membri ospitanti sono liberi di designare, in base al
loro diritto internazionale privato, le norme
sostanziali applicabili, purché non ne derivi una
restrizione della libera prestazione dei servizi del
commercio elettronico.
63 Ne consegue che l'art. 3, n. 2, della direttiva
non impone un recepimento in forma di norme specifiche
di conflitto di leggi.
64 Occorre tuttavia interpretare le disposizioni di
cui all'art. 3, nn. 1 e 2, della direttiva in modo da
garantire che l'approccio coordinativo prescelto dal
legislatore dell'Unione consenta effettivamente di
assicurare la libera circolazione dei servizi della
società dell'informazione tra gli Stati membri.
65 A tale proposito va ricordato che la Corte ha
già statuito che le disposizioni imperative di una
direttiva, necessarie per la realizzazione degli
obiettivi del mercato interno, devono potersi applicare
anche nonostante una scelta legislativa diversa (v., in
tal senso, sentenze 9 novembre 2000, causa C-381/98,
Ingmar, Racc. pag. I-9305, punto 25, nonché 23 marzo
2006, causa C-465/04, Honyvem Informazioni Commerciali,
Racc. pag. I-2879, punto 23).
66 Orbene, per quanto riguarda il meccanismo di cui
all'art. 3 della direttiva, occorre considerare che la
sottoposizione dei servizi del commercio elettronico
alla normativa dello Stato membro di stabilimento dei
rispettivi prestatori, in forza dell'art. 3, n. 1, non
consentirebbe di garantire pienamente la libera
circolazione di tali servizi qualora, in definitiva, i
prestatori dovessero rispettare, nello Stato membro
ospitante, prescrizioni più rigorose di quelle loro
applicabili nel proprio Stato membro di stabilimento.
67 Ne consegue che, fatte salve le deroghe
autorizzate secondo le condizioni di cui al suddetto
art. 3, n. 4, l'art. 3 della direttiva osta a che il
prestatore di un servizio del commercio elettronico sia
soggetto a prescrizioni più rigorose di quelle previste
dal diritto sostanziale in vigore nello Stato membro di
stabilimento di tale prestatore.
68 Alla luce di quanto precede, la terza questione
nel procedimento C-509/09 deve essere risolta
dichiarando che l'art. 3 della direttiva deve essere
interpretato nel senso che esso non impone un
recepimento in forma di norma specifica di conflitto.
Nondimeno, per quanto attiene all'ambito regolamentato,
gli Stati membri devono assicurare che, fatte salve le
deroghe autorizzate alle condizioni previste dall'art.
3, n. 4, della direttiva, il prestatore di un servizio
del commercio elettronico non sia assoggettato a
prescrizioni più rigorose di quelle previste dal diritto
sostanziale applicabile nello Stato membro di
stabilimento di tale prestatore.
Sulle spese
69 Nei confronti delle parti nella causa principale
il presente procedimento costituisce un incidente
sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta
quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri
soggetti per presentare osservazioni alla Corte non
possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1) L'art. 5, punto 3, del regolamento (CE) del
Consiglio 22 dicembre 2000, n. 44/2001, concernente la
competenza giurisdizionale, il riconoscimento e
l'esecuzione delle decisioni in materia civile e
commerciale, deve essere interpretato nel senso che, in
caso di asserita violazione dei diritti della
personalità per mezzo di contenuti messi in rete su un
sito Internet, la persona che si ritiene lesa ha la
facoltà di esperire un'azione di risarcimento, per la
totalità del danno cagionato, o dinanzi ai giudici dello
Stato membro del luogo di stabilimento del soggetto che
ha emesso tali contenuti, o dinanzi ai giudici dello
Stato membro in cui si trova il proprio centro
d'interessi. In luogo di un'azione di risarcimento per
la totalità del danno cagionato, tale persona può
altresì esperire un'azione dinanzi ai giudici di ogni
Stato membro sul cui territorio un'informazione messa in
rete sia accessibile oppure lo sia stata. Questi ultimi
sono competenti a conoscere del solo danno cagionato sul
territorio dello Stato membro del giudice adito.
2) L'art. 3 della direttiva del Parlamento europeo
e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a
taluni aspetti giuridici dei servizi della società
dell'informazione, in particolare il commercio
elettronico, nel mercato interno («direttiva sul
commercio elettronico»), deve essere interpretato nel
senso che esso non impone un recepimento in forma di
norma specifica di conflitto. Nondimeno, per quanto
attiene all'ambito regolamentato, gli Stati membri
devono assicurare che, fatte salve le deroghe
autorizzate alle condizioni previste dall'art. 3, n. 4,
della direttiva 2000/31, il prestatore di un servizio
del commercio elettronico non sia assoggettato a
prescrizioni più rigorose di quelle previste dal diritto
sostanziale applicabile nello Stato membro di
stabilimento di tale prestatore.
Firme
Fonte: http://curia.europa.eu |