La falsa dichiarazione di aver
smarrito un assegno consegnato invece in pagamento ad un
altro soggetto integra il reato di calunnia poiché
simula ai danni del prenditore del titolo il reato di
furto o di ricettazione e non eventualmente quello di
appropriazione indebita di cosa smarrita. È perciò
irrilevante il fatto che alla denuncia di smarrimento
non abbia fatto seguito la proposizione della querela
per i reati di appropriazione indebita di cosa smarrita
e di falso in assegno. Perché possa configurarsi il
delitto di appropriazione indebita di cosa smarrita
infatti è necessario che la cosa sia uscita
definitivamente dalla sfera di disponibilità del
legittimo possessore e che questi non sia in grado di
ripristinare su di essa il primitivo potere e poiché è
sicuramente e agevolmente possibile risalire, sulla base
delle annotazioni contenute nell'assegno, al titolare
del conto, chi se ne impossessa illegittimamente
commette o il reato di furto o quello di ricettazione
Cassazione, sez. VI, 28 ottobre
2011, n. 39237
(Pres./Rel. De Roberto)
Osserva
1. Con sentenza 7 ottobre 2010 la
Corte di appello di Catania confermava la decisione 17
marzo 2009 del locale Tribunale, Sezione distaccata di
Mascalucia, che aveva affermato la penale responsabilità
di S..C. in ordine a due reati di calunnia uniti dal
vincolo della continuazione (più precisamente, perché
con denuncia presentata il 9 giugno 2004 ai carabinieri
di S. Agata Li Battiati affermava falsamente che un
assegno dell'importo di Euro 1.550 tratto sul suo conto
corrente presso il Credito Siciliano intestato a se
stessa e con apposta la firma di girata, era stato
smarrito, così simulando a carico del beneficiario del
titolo, che sapeva innocente, le tracce del reato di
ricettazione, essendosi accertato che era stata la C. ad
autorizzare la consegna dell'assegno al legale
rappresentante del MAG Confezioni spa; e perché
denunciava falsamente lo smarrimento di altro assegno
tratto sulla medesima banca già negoziato, così da
simulare a favore del successivo prenditore le tracce
del reato di furto o di ricettazione), condannandola,
concesse le circostanze attenuanti generiche, alla pena
di un anno e quattro mesi di reclusione, oltre al
risarcimento del danno in favore del legale
rappresentante del MAG, S..G. .
2. Ricorre per cassazione la C. ,
articolando cinque ordini di motivi.
Denuncia, anzi tutto, erronea
applicazione dell'art. 178, lettera c), c.p.p. e
manifesta illogicità della motivazione della sentenza
impugnata nella parte in cui ha disatteso la censura
incentrata sul rigetto, da parte del giudice di primo
grado, dell'ordinanza con cui veniva revocata
l’ammissione dell'unico teste indicato dalla difesa. Il
punto riguarda la falsa interpretazione del diniego di
testimonianza da parte della madre dell'imputata Z.D. ,
colei che aveva consegnato gli assegni al G. , provocata
anche dai reiterati interventi del difensore di parte
civile.
Con un secondo motivo si denuncia
la nullità dell'ordinanza 17 marzo 2009 con la quale il
Tribunale aveva revocato la richiesta di esame
dell'imputata con conseguenti riverberi sulla sentenza
impugnata la quale ha, oltre tutto, ritenuto
equiparabile l’esame alle dichiarazioni spontanee.
Si denuncia, ancora, violazione
dell'art. 159 c.p. avendo il Tribunale disposto
illegittimamente la sospensione della prescrizione
nonostante l’udienza fosse stata rinviata per
l’acquisizione della prova.
Con il quarto motivo si lamenta
mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in
relazione alla ritenuta sussistenza dell'elemento
psicologico del reato di calunnia.
Si deduce, infine, violazione della
legge penale per l’omesso riconoscimento della
circostanza attenuante del danno di speciale tenuità.
3. Il ricorso è inammissibile.
3.1. Non consentita, ai sensi
dell'art. 606, comma 3, c.p.p., è la censura con la
quale la ricorrente ha contestato il rigetto, da parte
del giudice di primo grado, dell'ordinanza con cui
veniva "revocata" l’ammissione dell'unico teste indicato
dalla difesa, vale a dire la madre dell'imputata, D..Z.,
che avrebbe negoziato il titolo pervenuto al legale
rappresentante del MAG Confezioni spa.
La sentenza impugnata, riportando
il contenuto del verbale stenotipico, ha ritenuto che la
Z. abbia espresso la volontà di non deporre così
esercitando la facoltà di cui all’art. 199 c.p.p. Gli
argomenti addotti dalla difesa si risolvono, dunque, in
una interpretazione arbitraria dell'atto processuale e
che, come tale, non può trovare ingresso in questa sede
di legittimità, considerato l’univoco incontestabile
contenuto del verbale stenotipico.
3.2. Identica è la sorte da
assegnare al secondo motivo.
La Corte territoriale ha
rigorosamente precisato che, come risulta dal verbale
stenotipico dell'udienza 4 novembre 2008, il Tribunale
ha rinviato il processo all'udienza del 2 dicembre 2008
anche per l’esame dell'imputata; a tale udienza la C.
non si è presentata e correttamente il giudice di primo
grado all'udienza successiva ha ammesso soltanto le sue
spontanee dichiarazioni. D'altro canto, la
giurisprudenza costante di questa Corte è nel senso che
il mancato esame dell'imputato, anche se in precedenza
ammesso dal giudice del dibattimento, non comportando
alcuna limitazione alla facoltà di intervento, di
assistenza e di rappresentanza dell'imputato medesimo,
non integra alcuna violazione del diritto di difesa,
tanto più che in ogni momento l’imputato ha la facoltà
di rendere le sue spontanee dichiarazioni (cfr., ex
plurimis, Sez. IV, 3 novembre 2005, Di Mauro).
3.3. Sempre nel catalogo delle
cause di inammissibilità (più precisamente, in quella
prevista dall'art. 591, comma 1, lettera a), c.p.p.) va
annoverato il terzo motivo in quanto non computando il
periodo di sospensione (erroneamente disposto), il
termine di prescrizione sarebbe comunque maturato il 9
dicembre 2011.
3.4. Nel novero delle doglianze non
consentite va apprezzato pure il quarto motivo di
ricorso.
Va premesso che la falsa
dichiarazione di aver smarrito un assegno consegnato
invece in pagamento ad un altro soggetto integra il
reato di calunnia poiché simula ai danni del prenditore
del titolo il reato di furto o di ricettazione e non
eventualmente quello di appropriazione indebita di cosa
smarrita. È perciò irrilevante il fatto che alla
denuncia di smarrimento non abbia fatto seguito la
proposizione della querela per i reati di appropriazione
indebita di cosa smarrita e di falso in assegno. Perché
possa configurarsi il delitto di appropriazione indebita
di cosa smarrita infatti è necessario che la cosa sia
uscita definitivamente dalla sfera di disponibilità del
legittimo possessore e che questi non sia in grado di
ripristinare su di essa il primitivo potere e poiché è
sicuramente e agevolmente possibile risalire, sulla base
delle annotazioni contenute nell'assegno, al titolare
del conto, chi se ne impossessa illegittimamente
commette o il reato di furto o quello di ricettazione
(Sez. VI, 4 luglio 1996, Arno; Sez. VI, 29 gennaio 1999,
Gioviale).
A tale stregua le censure della
ricorrente sono iscrivibili, ancora una volta, nel
catalogo delle cause di inammissibilità di cui all'art.
606, comma 3, c.p.p., anche considerando l’assoluta
irrilevanza, ai fini della integrazione degli elementi
oggettivi e soggettivi della fattispecie per cui è
intervenuta condanna, delle vicende concernenti i
rapporti tra l’imputata e la Z. .
Le doglianze si risolvono allora in
una non ammessa rilettura delle fonti di prova
ampiamente e correttamente vagliate dal giudice a quo.
Ma, come è ormai diritto vivente, in sede di ricorso per
cassazione sono rilevabili esclusivamente i vizi di
motivazione che incidano sui requisiti minimi di
esistenza e di logicità del discorso argomentativo
svolto nel provvedimento e non sul contenuto della
decisione. Il controllo di logicità deve rimanere
all'interno del provvedimento impugnato e non è
possibile procedere a una nuova e diversa valutazione
degli elementi probatori o a un diverso esame degli
elementi materiali e di fatto delle vicende oggetto del
giudizio, salvo i casi prevista dal "novellato" art.
606, comma 1, lettera e, c.p.p..
Le ricostruzioni alternative, al
pari delle censure sulla selezione e l’interpretazione
del materiale probatorio, non possono essere idonee ad
accedere al giudizio di legittimità quando la
motivazione sia, nei suoi contenuti fondamentali,
coerente e plausibile. In presenza di una corretta
ricostruzione della vicenda, in questa sede non è
ammessa incursione alcuna nelle risultanze processuali
per giungere a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti,
dovendosi la Corte di legittimità limitare a
ripercorrere l’iter argomentativo svolto dal giudice di
merito per verificarne la completezza e la insussistenza
di vizi logici ictu oculi percepibili (cfr., ex
plurimis, Sez. un., 23 febbraio 2003, Petrella).
3.5. Palesemente inammissibile è,
infine, il quinto motivo, avendo la Corte di merito
adeguatamente argomentato, con giudizio di fatto,
incensurabile in questa sede, le ragioni del diniego
dell'invocata circostanza.
4. Alla dichiarazione di
inammissibilità del ricorso consegue la condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una
somma in favore della cassa delle ammende che si ritiene
equi determinare in Euro mille. La C. va altresì
condannata a rimborsare alla parte civile le spese di
questo grado che si liquidano in complessivi Euro 2.500,
oltre IVA e CPA.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e
condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed alla somma di Euro mille alla cassa delle
ammende. Condannata altresì la ricorrente a rimborsare
alla parte civile le spese del grado che si liquidano in
complessivi Euro 2.500, oltre IVA e CPA.
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