- Dr.ssa Mariagabriella Corbi)
In presenza di una ex moglie ed una
moglie la percentuale di pensione di reversibilità tiene
conto sì di quanto previsto dal terzo comma
dell’articolo 9 della legge 898 del 1970, così come
modificato dalla L. 74 del 1987 che cita: “qualora
esista un coniuge superstite avente i requisiti per la
pensione di reversibilità, una quota della pensione e
degli altri assegni a questi spettanti è attribuita dal
tribunale, tenendo conto della durata del rapporto, al
coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la
sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti
civili del matrimonio e che sia titolare dell’assegno di
cui all’articolo 5 nel caso in cui l’ex coniuge abbia
contratto nuove nozze e vi sia, di conseguenza, un ex
equo tra coniuge divorziato e coniuge superstite”, ma
anche delle finalità solidaristiche enunciate dall’art 5
della stessa legge .
E’ il caso di una vedova di un
avvocato il cui matrimonio è durato alcuni mesi rispetto
al precedente rapporto coniugale con la prima moglie di
12 anni. Venendo a mancare il de cuius il Tribunale di
Rovigo attribuiva alla ex moglie l’80% della pensione di
reversibilità. Successivamente la Corte d’Appello di
Venezia confermava l’equità della ripartizione perchè:
“ - non poteva ritenersi che la
(prima moglie) avesse rinunciato all’assegno divorzile
solo per effetto del suo mancato pagamento da parte
dell’obbligato (onde dovevano ritenersi irrilevanti le
dichiarazioni reddituali del defunto e l’ordine di
esibizione di quelle della reclamata); né tale rinuncia
poteva essere ritenuta in base alla lettera inviata dal
(padre) alla figlia in data 6.11.1995, sia perché
proveniente dalla parte obbligata, sia perché detta
lettera era equivoca, posto che l’asserita disponibilità
della (prima moglie) poteva riferirsi semplicemente al
fatto che l’avente diritto era disponibile ad utilizzare
in favore della figlia anche quanto le spettava come
assegno divorzile; inoltre le prove orali dovevano
considerarsi inammissibili, perché dirette a contrastare
le risultanze di un provvedimento giurisdizionale e
dovendo considerarsi, alla stregua della richiamata
giurisprudenza di legittimità, la necessità di un
ulteriore intervento giurisdizionale, senza alcuna
possibilità di incisione automatica e diretta dei fatti
sopravvenuti sulle statuizioni economiche discendenti
dalla sentenza divorzile;
- neppure era meritevole di censura
la distribuzione percentuale della pensione effettuata
dal primo Giudice, nella misura dell’80% in favore della
prima moglie, il cui matrimonio aveva avuto una durata
legale di poco meno di 12 anni (dal 30 settembre 1968 al
27 agosto 1980) contro i pochi mesi (dal 6 giugno all’11
ottobre 2007) dell’ultimo matrimonio; infatti anche
volendo valorizzare solo il periodo in cui vi era stata
coincidenza tra vincolo legale ed effettiva convivenza
coniugale,(la prima moglie) poteva comunque vantare un
periodo maggiore (dal 30 settembre 1968 al 1972) contro
i quattro mesi (della seconda); era quindi evidente che
il Tribunale aveva valorizzato ampiamente anche la
convivenza more uxorio tra la (seconda moglie ed il de
cuius), così come allegata, a prescindere dal dato
formale secondo cui le rispettive residenze anagrafiche
erano rimaste distinte sino in prossimità della
celebrazione.”
A tale responso la vedova
dell’avvocato si rivolge ai Supremi Giudici. Con
sentenza n. 23670 la Corte di Cassazione rigetta il
ricorso e conferma l’esito del Tribunale e della Corte
d’Appello precisando che “la ripartizione del
trattamento di reversibilità, in caso di concorso fra
coniuge divorziato e coniuge superstite aventi entrambi
i requisiti per la relativa pensione, deve essere
effettuata, oltre che sulla base del criterio della
durata dei rispettivi matrimoni, anche ponderando (alla
luce della sentenza interpretativa di rigetto della
Corte costituzionale n. 419 del 1999) ulteriori
elementi, correlati alla finalità solidaristica che
presiede al trattamento di reversibilità, da
individuare, nell’ambito dell’art. 5 della legge n.
898/70, in relazione alle particolarità del caso
concreto, nella misura in cui ciò sia necessario per
evitare, per quanto possibile, che l’ex coniuge sia
privato dei mezzi necessari a mantenere il tenore di
vita che gli avrebbe dovuto assicurare (o contribuire ad
assicurare nel tempo l’assegno di divorzio ed il secondo
coniuge del tenore di vita che il de cuius gli
assicurava (o contribuiva ad assicurargli) in vita
nonché alla durata delle rispettive convivenze
prematrimoniali. (Cfr. Cass. nn. 10669/2007; 5060/2006;
4868/2006; 6272/2004); b) in quest’ambito, se deve
escludersi che l’applicazione del criterio temporale si
risolva nell’impossibilità di attribuire una maggiore
quota di pensione al coniuge il cui matrimonio sia stato
di minore durata, resta fermo il divieto di giungere,
attraverso la correzione del medesimo criterio
temporale, sino al punto di abbandonare totalmente ogni
riferimento alla durata dei rispettivi rapporti
matrimoniali […….]
La decisione della Corte
territoriale è in linea con tali principi, avendo
ritenuto, nei termini esposti nello storico di lite, la
congruità della ripartizione operata dal primo Giudice
(e, quindi, confermata) sulla base dell’elemento
(correttivo della sola durata del vincolo matrimoniale)
costituito dalla convivenza more uxorio tra la seconda
moglie e l’Avvocato”.
Quindi, ove ricorrano i presupposti
generali previsti dall’ articolo 9 della legge 898 del
1970, così come modificato dalla L. 74 del 1987, anche
il coniuge divorziato, oltre al coniuge superstite, ha
diritto a percepire una quota della pensione di
reversibilità. Tale fondamento trova spiegazione oltre
che nella funzione assistenziale della pensione anche
nella necessità di valutare il contributo che ciascun
coniuge (divorziato e superstite) ha apportato al
patrimonio del defunto.
La differenza risiede nel fatto
che, qualora vi fosse concorso tra coniuge divorziato e
coniuge superstite, bisogna adire ad una pronuncia del
Tribunale che stabilisca le quote spettanti a ciascun
coniuge. L’istanza va proposta mediante ricorso e
troverà soluzione con sentenza al termine di un
procedimento camerale ove il giudice stabilirà le
modalità di corresponsione dell’assegno e l’entità dello
stesso.
Il criterio di proporzionalità
temporale per la suddivisione in percentuale della
pensione di reversibilità si basava sull’interpretazione
letterale del comma terzo dell’articolo 9 (che parla
unicamente di “durata del rapporto”). Pertanto per la
ripartizione del trattamento di reversibilità tra
coniuge superstite e coniuge divorziato non poteva
essere utilizzato parametri diversi da quello fornito
dalla durata del rapporto matrimoniale, un numero
fornito dalla proporzione fra le estensioni temporali
dei rapporti matrimoniali degli stessi coniugi con l’ex
coniuge deceduto
A seguito di sentenza della Corte
Costituzionale (N. 419/99) chiamata a valutare il
criterio di legittimità costituzionale dell’articolo 9
su citato, in riferimento agli articoli 3 e 38 della
Costituzione ha stabilito che “nel disciplinare i
rapporti patrimoniali tra coniugi in caso di
scioglimento o cessazione degli effetti civili del
matrimonio, il legislatore ha assicurato all’ex coniuge,
al quale sia stato attribuito l’assegno di divorzio, la
continuità del sostegno economico correlato al permanere
di un effetto della solidarietà familiare, mediante la
reversibilità della pensione che trae origine da un
rapporto previdenziale anteriore al divorzio, o di una
quota di tale pensione qualora esista un coniuge
superstite che abbia anch’esso diritto alla
reversibilità.”
La pensione di reversibilità
realizza la sua funzione solidaristica come :
- forma di ultrattività
della solidarietà coniugale, assicurando la
continuazione del sostentamento prima assicurato dal
reddito del coniuge deceduto (sentenze n. 70 del 1999).
- diritto diretto della
pensione, nei confronti dell’ex coniuge come mezzo
necessario per il proprio adeguato sostentamento;
- conservazione di un
diritto, quello alla reversibilità di un trattamento
pensionistico geneticamente collegato al periodo in cui
sussisteva il rapporto coniugale 18 del 1998).
Mariagabriella Corbi
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. VIDIRI
Guido - Presidente -
Dott. STILE
Paolo - Consigliere -
Dott. BANDINI
Gianfranco - rel. Consigliere -
Dott. ZAPPIA
Pietro - Consigliere -
Dott. MELIADO'
Giuseppe - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza sul ricorso 10508/2010 proposto da:
B.G., - ricorrente -
contro
C.D., elettivamente domiciliata
in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14, presso lo studio
dell'avvocato BARBANTINI MARIA TERESA, rappresentata
e difesa dall'avvocato MODENA FRANCO, giusta delega in
atti; -controricorrente -
e contro
CASSA NAZIONALE PREVIDENZA
ASSISTENZA FORENSE; - intimata -
avverso la sentenza n. 13/2 010
della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata il
11/02/2010 R.G.N. 1152/09;
udita la relazione della causa
svolta nella pubblica udienza del 20/09/2011 dal
Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;
udito l'Avvocato MANTOVANI
ANNIBALE;
Udito l'Avvocato MODENA FRANCO;
udito il P.M. in persona del
Sostituto Procuratore Generale Dott. SEPE Ennio
Attilio, che ha concluso per accoglimento del ricorso
per quanto di ragione.
Fatto
Con sentenza depositata
l'11.2.2010, la Corte d'Appello di Venezia rigettò il
gravame proposto da B.G., vedova dell'avvocato M.P.,
avverso il decreto del Tribunale di Rovigo che aveva
attribuito a C.D., coniuge divorziata del M., la
pensione di reversibilità di quest'ultimo in ragione di
una quota dell'80%.
A fondamento del decisum la Corte
territoriale osservò quanto segue:
- non poteva ritenersi che la C.
avesse rinunciato all'assegno divorziale solo per
effetto del suo mancato pagamento da parte
dell'obbligato (onde dovevano ritenersi irrilevanti le
dichiarazioni reddituali del defunto e l'ordine di
esibizione di quelle della reclamata); ne tale rinuncia
poteva essere ritenuta in base alla lettera inviata dal
M. alla figlia in data 6.11.1995, sia perché proveniente
dalla parte obbligata, sia perché detta lettera era
equivoca, posto che l'asserita disponibilità della C.
poteva riferirsi semplicemente al fatto che l'avente
diritto era disponibile ad utilizzare in favore della
figlia anche quanto le spettava come assegno divorziale;
inoltre le prove orali dovevano considerarsi
inammissibili, perché dirette a contrastare le
risultanze di un provvedimento giurisdizionale e dovendo
considerarsi, alla stregua della richiamata
giurisprudenza di legittimità, la necessità di un
ulteriore intervento giurisdizionale, senza alcuna
possibilità di incisione automatica e diretta dei fatti
sopravvenuti sulle statuizioni economiche discendenti
dalla sentenza divorziale; - neppure era meritevole di
censura la distribuzione percentuale della pensione
effettuata dal primo Giudice, nella misura dell'80% in
favore della C., prima moglie, il cui matrimonio aveva
avuto una durata legale di poco meno di 12 anni (dal 30
settembre 1968 al 27 agosto 1980) contro i pochi mesi
(dal 6 giugno all'11 ottobre 2007) dell'ultimo
matrimonio;
infatti anche volendo valorizzare
solo il periodo in cui vi era stata coincidenza tra
vincolo legale ed effettiva convivenza coniugale, la C.
poteva comunque vantare un periodo maggiore (dal 30
settembre 1968 al 1972) contro i quattro mesi della B.;
era quindi evidente che il Tribunale aveva valorizzato
ampiamente anche la convivenza more uxorio tra la B. ed
il M., così come allegata, a prescindere dal dato
formale secondo cui le rispettive residenze anagrafiche
erano rimaste distinte sino in prossimità della
celebrazione.
Avverso la suddetta sentenza della
Corte territoriale, B. G. ha proposto ricorso per
cassazione fondato su cinque motivi e illustrato con
memoria.
L'intimata C.D. ha resistito con
controricorso.
L'intimata Cassa Nazionale di
Previdenza e Assistenza Forense non ha svolto attività
difensiva.
Diritto
1. Con il primo motivo la
ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata
(ai sensi all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), rilevando
il contrasto tra la parte espositiva, facente
riferimento al reclamo proposto alla Corte d'Appello di
Venezia "avverso il provvedimento del 23 ottobre/18
novembre 2009 del Tribunale di Rovigo" e la parte
dispositiva, che recita: "il Tribunale (...), così
decide: (...)" e reca la data del "25 gennaio 2009";
invoca inoltre la ricorrente la giurisprudenza di questa
Corte in base alla quale il principio secondo cui la
portata precettiva della sentenza va individuata tenendo
conto non solo delle statuizioni formali contenute nel
dispositivo, ma anche delle enunciazioni della
motivazione, trova applicazione solo quando il
dispositivo della decisione di merito contenga comunque
una pronuncia di accertamento o di condanna e non è
invece estensibile al caso in cui il dispositivo
medesimo non abbia un contenuto precettivo, ma si limiti
(come nel caso di specie) al rigetto del gravame. 1.1
Osserva il Collegio che il ricordato principio
giurisprudenziale (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n.
6706/1993; Cass., n. 4026/1999) è inconferente nella
fattispecie, non essendovi alcuna divergenza tra il
decisum (rigetto del reclamo) e le motivazioni poste a
sostegno, sicché non sussiste in radice necessità alcuna
di ricorrere alla disamina della motivazione per
individuare l'esatta portata precettiva della pronuncia.
Un tanto premesso, va escluso che le evidenziate
discrepanze determinino la pretesa nullità della
sentenza impugnata, derivando le stesse all'evidenza da
errori materiali di trascrizione contenuti nel
dispositivo, inidonei tuttavia ad impedire la
comprensione della portata della decisione ed
immediatamente evincibile, come tali, dal testo dello
stesso provvedimento giudiziale, in particolare dalla
sua intestazione, ove risulta che la pronuncia fu
emessa, quanto all'Organo giudicante, dalla "Corte di
Appello di Venezia, sezione 3^ civile", e, quanto alla
data, dalla espressa indicazione "Causa discussa e
decisa nella Camera di Consiglio del giorno 25 gennaio
2010" (nonché dalla indicazione della data del
provvedimento reclamato - "23 ottobre/18 novembre 2009"
- successiva a quella erroneamente apposta in calce alla
parte dispositiva). Ne discende l'infondatezza del
motivo all'esame. 2. Con il secondo motivo la ricorrente
denuncia la nullità della sentenza impugnata (ai sensi
all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), deducendo l'omessa
pronuncia nei confronti dell'appellata Cassa Nazionale
di Previdenza e Assistenza Forense, litisconsorte
necessario, alla quale l'appello era stato notificato,
ma della cui partecipazione al giudizio non viene fatta
menzione. 2.1 In ordine al motivo all'esame deve
osservarsi che, nella giurisprudenza di legittimità, si
sono confrontati sul tema orientamenti ermeneutici non
univoci. Un orientamento ritiene infatti la sussistenza
della nullità della sentenza laddove l'omessa o inesatta
indicazione del nome di una delle parti determini una
situazione di incertezza, non eliminabile a mezzo della
lettura dell'intera sentenza, in ordine ai soggetti cui
la decisione si riferisce (cfr, ex plurimis, Cass., n.
8242/2003). Secondo un diverso orientamento è stata
invece ritenuta l'insussistenza della nullità laddove
l'individuazione della parte pretermessa o inesattamente
indicata sia possibile anche sulla base dagli atti e
provvedimenti comunque compiuti o intervenuti nel corso
del processo, ancorché non richiamati nella sentenza
impugnata (cfr, Cass., n. 9077/2001). In base ad un
terzo orientamento, per così dire intermedio, è stato
ritenuto che l'indicazione della parte nella sentenza
possa essere anche non nominativa, bensì presente per
relationem, cioè per avere la sentenza indicato un atto
od un provvedimento il cui contenuto consenta di
individuare la parte non indicata dalla sentenza (cfr,
Cass., nn. 14776/2010, 17957/2007; 6020/2000; nonché,
sostanzialmente, Cass., n. 4796/2006). Dovendo farsi
applicazione dei principi sulle nullità e, in
particolare, di quello secondo cui la nullità non
sussiste, qualora, nel caso di mancanza di prescrizione
espressa della nullità, l'atto si presenti carente dei
requisiti necessari al raggiungimento del suo scopo e,
tuttavia, nonostante tale carenza, abbia comunque
raggiunto il suo scopo (art. 156 c.p.c., commi 2 e 3),
il terzo degli indicati orientamenti appare più
convincente, dovendo ritenersi che lo scopo proprio
della indicazione espressa delle parti possa "...
ritenersi raggiunto allorquando la sentenza contenga
espressioni che, pur senza nominare la parte o le parti
e, quindi, senza indicarla o indicarle nominati,
consentano di individuarle come soggetti cui si
riferisce la statuizione in quanto ad essi si riferisca
un atto o provvedimento del processo che, invece, la
sentenza nomini espressamente o a cui parametri la
posizione della parte. In tal caso, infatti, l'atto
sentenza, pur mancando del requisito formale della
indicazione della parte, è comunque idoneo a soddisfare
lo scopo di quella indicazione, perché attraverso
l'esame dell'atto processuale cui la sentenza si è
riferita o direttamente o correlandovi la posizione
della parte (nei senso suindicato) si può senza dubbio
pervenire alla individuazione di quali siano stati i
soggetti tra i quali la sentenza è stata pronunciata"
(così, Cass., n. 17957/2007, cit. in motivazione).
Applicando tale principio alla presente fattispecie (e
atteso che questa Corte può procedere all'esame diretto
degli atti processuali, essendo stato dedotto un error
in procedendo) è agevole rilevare come la sentenza
impugnata faccia espresso richiamo della "integrazione
del contraddittorio nei confronti della Cassa Forense,
così come disposto con decreto 20/4-18/5 2009 di questa
Corte avverso un primo decreto del Tribunale di Rovigo
del 23 febbraio 2009", riporti le conclusioni della
reclamante assunte anche nei confronti della Cassa
Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense e faccia
testuale riferimento al "reclamo" proposto avverso il
provvedimento 23 ottobre/18 novembre 2009, svolto anche
contro la Cassa predetta e alla medesima notificato
(come la stessa reclamante del resto riconosce). Deve
quindi convenirsi che la sentenza impugnata, pur non
indicando espressamente la Cassa Nazionale di Previdenza
e Assistenza Forense nell'intestazione, nella parte
relativa ai motivi della decisione e nel dispositivo,
sia stata tuttavia pronunciata anche nei confronti di
quest'ultima. Il motivo all'esame va pertanto disatteso.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione
di legge (artt. 2697, 2721 e 2722 c.c.; artt. 115 e 116
c.p.c.) dolendosi della ritenuta inammissibilità delle
prove orati offerte a dimostrazione dell'intervenuto
accordo fra il M. e la C. in ordine alla rinuncia di
quest'ultima all'assegno divorziale, potendo l'assegno
di divorzio formare validamente oggetto di rinunzia
definitiva; nello svolgimento del motivo viene anche
sostenuto che (affermazione della Corte territoriale in
merito alla valenza della lettera del M. in data
6.11.1995 non sarebbe "logica ne condivisibile". Con il
quarto motivo, denunciando violazione di norme di
diritto e vizio di motivazione, in relazione alla L. n.
898 del 1970, art. 9, comma 3, come sostituito dalla L.
n. 74 del 1987, la ricorrente si duole ancora delle
determinazioni della Corte territoriale in ordine alla
prova dell'asserito accordo di rinuncia all'assegno. 3.
Il motivi, tra loro connessi e da esaminarsi
congiuntamente, sono inammissibili perché: - in
violazione del principio di specificità e
autosufficienza del ricorso per cassazione non
contengono la trascrizione delle prove testimoniali
della cui mancata ammissione si dolgono (cfr, ex
plurimis, Cass., nn. 7852/2001; 1113/2006); - sempre in
violazione del suddetto principio, non contengono la
trascrizione del contenuto della lettera di cui viene
denunciata l'errata interpretazione (cfr, Cass. nn.
13953/2002; 11052/2002; 2527/2003; 9954/2005;
12362/2006; 15952/2007); - le censure svolte e
concernenti i pretesi vizi di motivazione non indicano
quali siano gli elementi di contraddittorietà o
illogicità che rendano del tutto irrazionali le
argomentazioni del giudice del merito, risolvendosi
invece nella richiesta di una lettura delle risultanze
processuali diversa da quella operata nella sentenza
impugnata, laddove, secondo la costante giurisprudenza
di questa Corte, la deduzione con il ricorso per
cassazione di un vizio di motivazione non conferisce al
giudice di legittimità il potere di riesaminare il
merito della vicenda processuale sottoposta al suo
vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il
profilo della coerenza logico formale, delle
argomentazioni svolte dal giudice di merito, essendo del
tutto estranea all'ambito del vizio in parola la
possibilità, per la Corte di legittimità, di procedere
ad una nuova valutazione di merito attraverso l'autonoma
disamina delle emergenze probatorie (cfr, ex plurimis,
Cass., nn. 8718/2005; 15693/2004; 2357/2004; 12467/2003;
16063/2003; 3163/2002). 4. Con il quinto motivo la
ricorrente denuncia violazione di legge (L. n. 898 del
1970, art. 9, comma 3, come sostituito dalla L. n. 74
del 1987, anche in relazione all'art. 2697 c.c.), nonché
vizio di motivazione, dolendosi che la Corte
territoriale, nella valutazione della congruità della
ripartizione del trattamento di reversibilità, abbia
trascurato di tener conto della durata della convivenza
effettiva fra essa ricorrente ed il de cuius (coniugano
more uxorio), della cui protrazione per diciotto anni
era stata offerta prova orale, assumendo che nessuna
valutazione delle condizioni soggettive economiche e di
salute delle parti era stata effettuata, ne alcuna
parametrazione delle percentuali di attribuzione della
pensione di reversibilità in base ad "elementi
correttivi del criterio della durata del rapporto
prematrimoniale dei quali sia stata determinata la
rilevanza in concreto". 4.1 Secondo la giurisprudenza di
questa Corte (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 10638/2007;
10575/2008): a) la ripartizione del trattamento di
reversibilità, in caso di concorso fra coniuge
divorziato e coniuge superstite aventi entrambi i
requisiti per la relativa pensione, deve essere
effettuata, oltre che sulla base del criterio della
durata dei rispettivi matrimoni, anche ponderando (alla
luce della sentenza interpretativa di rigetto della
Corte costituzionale n. 419 del 1999) ulteriori
elementi, correlati alla finalità solidaristica che
presiede al trattamento di reversibilità, da
individuare, nell'ambito della L. n. 898 del 1970, art.
5, in relazione alle particolarità del caso concreto,
nella misura in cui ciò sia necessario per evitare, per
quanto possibile, che l'ex coniuge sia privato dei mezzi
necessari a mantenere il tenore di vita che gli avrebbe
dovuto assicurare (o contribuire ad assicurare) nel
tempo l'assegno di divorzio ed il secondo coniuge del
tenore di vita che il de cuius gli assicurava (o
contribuiva ad assicurargli) in vita, nonché alla durata
delle rispettive convivenze prematrimoniali (cfr, Cass.,
nn. 10669/2007; 5060/2006; 4868/2006; 6272/2004); b) in
quest'ambito, se deve escludersi che l'applicazione del
criterio temporale si risolva nell'impossibilità di
attribuire una maggiore quota di pensione al coniuge il
cui matrimonio sia stato di minore durata, resta fermo
il divieto di giungere, attraverso la correzione del
medesimo criterio temporale, sino al punto di
abbandonare totalmente ogni riferimento alla durata dei
rispettivi rapporti matrimoniali (cfr, Cass., n.
2092/2007); c) non tutti gli ulteriori elementi devono
necessariamente concorrere, ne essere valutati in eguale
misura, rientrando nell'ambito del prudente
apprezzamento del giudice di merito la determinazione
della loro rilevanza in concreto (cfr, Cass., n.
6272/2004 cit.). 4.2 La decisione della Corte
territoriale è in linea con tali principi, avendo
ritenuto, nei termini esposti nello storico di lite, la
congruità della ripartizione operata dal primo Giudice
(e, quindi, confermata) sulla base dell'elemento
(correttivo della sola durata del vincolo matrimoniale)
costituito dalla convivenza more uxorio tra il B. ed il
M.; trattasi evidentemente di valutazione di merito,
che, siccome coerente con i dati esaminati e immune da
vizi logici, sfugge, alla luce dei già richiamati
principi sui limiti del controllo consentito in sede di
legittimità, alle censure svolte; le quali, peraltro,
non sono neppure immuni da profili di inammissibilità,
non essendo stato riportato in ricorso il contenuto
delle prove testimoniali offerte in ordine alla dedotta
durata della convivenza more uxorio tra la ricorrente e
il suo defunto marito, ne le risultanze probatorie
dimostrative di quelle ulteriori "condizioni soggettive,
economiche e di salute" delle parti che avrebbero dovuto
concorrere, secondo l'assunto, ad una pretesa diversa
parametrazione delle rispettive percentuali del
trattamento pensionistico in parola. Anche il motivo
all'esame non può dunque trovare accoglimento. 5. In
definitiva il ricorso va rigettato. Le spese, liquidate
come in dispositivo a favore della parte
controricorrente, seguono la soccombenza. Non è luogo a
provvedere al riguardo quanto all'intimata Cassa
Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, che non ha
svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e
condanna la ricorrente alla rifusione delle spese in
favore della controricorrente, che liquida in Euro oltre
ad Euro 3.000,00 (tremila) per onorari, spese generali,
Iva e Cpa come per legge; nulla per le spese quanto
all'intimata Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza
Forense. Così deciso in Roma, il 20 novembre 2011. |