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Una coppia di coniugi ricorreva, in
proprio e in rappresentanza del figlio minore, alle cure
del giudice di primo grado del Tribunale di Verona, per
ottenere il ristoro dei danni in conseguenza della
condotta colposa tenuta dai sanitari dell’ospedale
civile, in occasione del parto, condotta dalla quale
erano derivati gravissimi danni al figlio minore.
Anche la Corte d’appello di
Venezia, investita del gravame proposto dai coniugi,
rigettava la domanda.
La Cassazione ha voluto precisare
in ordine al riparto degli onera probandi, nel
sottosistema della responsabilità sanitaria civile, che
in tema di responsabilità contrattuale della struttura
sanitaria e di responsabilità professionale da contratto
sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere
probatorio, il paziente danneggiato deve limitarsi a
provare l’esistenza del contratto (o il contratto
sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia
ed allegare l’inadempimento del debitore o struttura
debitrice, astrattamente idoneo a provocare il danno
lamentato.
Rimane, invece, a carico del
debitore dimostrare che tale inadempimento non vi è
stato, ovvero pur esistendo, esso non è stato rilevante.
Occorre tenere presente tali
parametri probatori anche all’esito del riferimento alla
responsabilità del sanitario per interventi di speciale
difficoltà, rispetto ai quali potrebbe sussistere
l’esonero di responsabilità per il medico ex art. 2236
c.c., atteso che un parto rientra, per il fatto stesso,
nel novero della categoria degli interventi di routine,
con le conseguenze probatorie che ne derivano.
***
Corte di Cassazione, sez. III
Civile, sentenza 29 settembre – 11 novembre 2011, n.
23562
Presidente Musso – Relatore
Travaglino
Svolgimento del processo
A..M. e A..T., in proprio e in
rappresentanza del figlio minore N., convennero in
giudizio, dinanzi al tribunale di Verona, l'ospedale
civile di XXXXX (cui sarebbe poi succeduto in giudizio
la gestione liquidatoria della Usl territorialmente
competente), il primario del reparto di ginecologia,
M..S., i ginecologi R..B. e T.B. e, infine, la primaria
del reparto di neonatologia, Ma.Va. , chiedendone la
condanna in solido al risarcimento dei danni subiti, in
proprio e dal proprio figliolo, in conseguenza della
condotta colposa tenuta dai sanitari in occasione del
parto, condotta dalla quale erano derivati gravissimi
danni al minore.
Il giudice di primo grado respinse
la domanda. La corte di appello di Venezia, investita
del gravame proposto dai coniugi M., lo rigettò a sua
volta, opinando:
Che la ragionata accettazione, da
parte del giudice di primo grado, dei risultati della
CTU comportava l'implicito disattendimento delle
argomentazioni e dei rilievi esposti dai consulenti di
parte, senza necessità di specifica e analitica
confutazione;
Che l'individuazione della causa
delle lesioni non rilevava, ai fini della decisione, non
essendo riconducibile, nel caso concreto, a specifica
responsabilità dei medici convenuti;
Che, in particolare, non era stato
chiesto al CTU di individuare, dopo 16 anni, la causa
delle patologie da cui M.N. risultava affetto, quale che
ne fosse la derivazione causale, bensì di accertare se
le predette patologie fossero astrattamente riferibili
al momento del parto e all'assistenza del neonato
immediatamente dopo la nascita, e se fossero nel caso di
specie derivate da un comportamento negligente o
imperito dei medici e da carenze organizzative della
struttura ospedaliera;
Che la condivisione, nella pratica
professionale del CTU, di determinate metodologie
applicate durante e dopo il parto non ne pregiudicavano
né l'imparzialità né l'attendibilità delle conclusioni;
Che, quanto all'onere della prova,
incombeva al paziente dimostrare 1) che le concrete
modalità di esecuzione dell'intervento medico-sanitario
differivano, nel caso in esame, da quelle comunemente
ritenute idonee; 2) il nesso di causalità tra quelle
condotte e il danno lamentato, sia che le prime
implicassero la soluzione di problemi tecnici di
particolare difficoltà - e in tal caso al professionista
che avesse invocato il più discreto grado di colpa di
cui all'art. 2236 c.c. incombeva l'onere di provare la
complessità dell'intervento - sia che si trattasse di un
intervento di routine;
Che gli appellanti, a confutazione
della ricostruzione dei fatti, non avevano indicato
quali azioni od omissioni avessero in concreto differito
dalla corretta pratica da applicare nel caso specifico,
né avevano censurato le ragioni sviluppate in sentenza
per giustificare l'interruzione del monitoraggio
cardiotocografico durante la fase espulsiva del parto,
l'esclusione del ricorso al parto cesareo, l'omessa
convocazione, già durante il parto, del neonatologo per
un eventuale intervento di aspirazione delle vie aeree
del neonato (attesa la probabile ingestione di liquido
amniotico), l'esclusione che, tra le patologie del
nascituro, vi fossero i segni tipici dell'asfissia
neonatale;
Che la mancata risposta del CTU a
tutti i quesiti sottopostigli (descrizione delle
lesioni, quantificazione del danno e valutazione di
congruità delle spese mediche) era giustificata dalla
natura condizionata dei quesiti stessi, che postulavano
il previo accertamento di una responsabilità (in
concreto esclusa in perizia) dei convenuti;
Che il rilievo di omessa
segnalazione, da parte dell'ausiliario del giudice, del
rifiuto dell'Ospedale di consegnargli la documentazione
clinica in originale - nonché l'omesso esame della
documentazione trasmessagli dagli appellanti su sua
richiesta, perché erroneamente ritenuta superflua -
doveva essere disatteso, poiché il CTU poté esaminare
tutta la documentazione in copia, mentre la conformità
delle copie agli originali era comunque verificabile dai
difensori e dai consulenti di parte; Che la mancata
assunzione, sempre da parte del perito, di ogni utile
informazione relativa al consenso informato doveva dirsi
irrilevante, non essendo stato specificato dagli
appellanti le concrete ripercussione di tale, eventuale
carenza;
Che nessun significato confessorio
né confermativo della responsabilità dei convenuti
poteva essere attribuito alla dichiarazione resa
nell'immediatezza del parto dalla Dott.ssa Ma., che ebbe
a dichiarare, una volta giunta in loco, di "essere
arrivata quando ormai era troppo tardi"; Che i
riferimenti contenuti nella cartella clinica in ordine
alla sofferenza neonatale ovvero fetale erano stati
motivatamente esclusi dal primo giudice;
Che l'incapacità del CTU di fornire
spiegazioni all'evento di danno, attesa l'assoluta
normalità del parto, se non ipotizzando uno "stato
infettivo" maturato durante la gravidanza - al contrario
mai rilevato - non comportava ipso facto,
necessariamente e univocamente, la responsabilità dei
convenuti, da individuarsi in concreto, nel caso
specifico, e non "a contrario" dal mancato riscontro di
eventuali eziologie antecedenti e alternative, che -
secondo la testuale affermazione della corte di appello
- "può essere esso stesso eventualmente colpevole".
La sentenza è stata impugnata dai
coniugi M. con ricorso per cassazione articolato in 2
motivi (il secondo dei quali composto di sei
sub-motivi).
Resistono con controricorso la
Gestione liquidatoria della ex USL XX in persona del
liquidatore pro tempore e Ma.Gi. .
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato nei limiti di
cui si dirà. Con il primo motivo, si denuncia violazione
e/o falsa applicazione delle norme sulla diligenza
dell'adempimento (ex art. 1176 II comma c.c.) sulla
responsabilità del debitore (ex art. 1218 c.c.) e
sull'onere della prova (ex art. 2697 c.c.) in relazione
all'art. 360 n. 3 c.p.c. Il motivo si conclude con il
seguente quesito di diritto: Dica la corte se la
sentenza della corte di appello di Venezia sia incorsa
nella violazione degli artt. 1176, 1218, 2697 c.c. in
relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. non individuando, in
merito alle gravissime lesioni di cui soffre N..M.,
l'evento imprevedibile (e non superabile con la
diligenza ordinaria) che ha cagionato le lesioni stesse,
incombendo al medico (rectius alla struttura sanitaria,
anche per l'art. 1218 c.c.) fornire la prova della
particolare difficoltà della prestazione e perché solo
in quest'ultima circostanza si potrebbe esonerare il
medico da responsabilità ex art. 2236 c.c. Il motivo è
fondato.
Questa Corte, anche a sezioni
unite, ha, difatti, avuto modo di precisare, in ordine
al riparto degli onera probandi nel sottosistema della
responsabilità sanitaria civile(Cass. ss.uu. 577/08),
che in tema di responsabilità contrattuale della
struttura sanitaria e di responsabilità professionale da
contatto sociale del medico, ai fini del riparto
dell'onere probatorio l'attore, paziente danneggiato,
deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto (o il
contatto sociale) e l'insorgenza o l'aggravamento della
patologia ed allegare l'inadempimento del debitore,
astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato,
rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale
inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo,
esso non è stato eziologicamente rilevante. La corte
veneziana non si è, all'evidenza, attenuta, nella sua
decisione, a tali parametri probatori, anche all'esito
dell'improprio riferimento alla (sia pur eventuale)
responsabilità del sanitario per interventi di speciale
difficoltà (tematica mai dibattuta in prime cure, e del
tutto esorbitante dal thema decidendum, atteso che un
parto rientra, ipso facto, nel novero degli interventi
routinari, con le conseguenze probatorie che ne
derivano), onde, sul punto, la sentenza deve essere
cassata.
Con il secondo motivo si denuncia
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Il motivo, articolato in 6
sub-motivi, è in gran parte inammissibile a causa della
mancata esposizione della sintesi del fatto decisivo
lamentato come fonte del denunciato vizio motivazionale.
Esso risulta, viceversa, risulta
fondato nella parte in cui può ritenersi esente da tale
vizio procedurale. Alla scure della inammissibilità sono
destinati i submotivi uno (ff. 28-30), due (ff. 30-31),
quattro (ff. 33-34), sei, tutti privi - all'esito di una
pur analitica e particolareggiata esposizione di fatti e
circostanze di cui ancor oggi si predica la decisiva
rilevanza ai fini del decidere - del necessario momento
di sintesi espositiva idonea a sottoporre alla corte la
questione del difetto motivazionale sub specie della sua
omissione, insufficienza, contraddittorietà.
Ammissibili e fondati sono, di
converso, i sub-motivi terzo (ff. 31-33) e quinto (ff.
34-35), il primo volto a lamentare l'omesso esame, da
parte della corte territoriale, della circostanza del
rifiuto di consegna, da parte dell'ospedale, degli
originali delle cartelle cliniche al CTU (omissione
sicuramente rilevante, alla luce di quanto affermato
dalla giurisprudenza di questa corte a far data dalla
sentenza 11488/04), il secondo condivisibilmente
predicativo di una sostanziale omissione di motivazione
della sentenza impugnata, sotto il profilo della sua
mera apparenza, in ordine alla (altrettanto rilevante)
circostanza costituita dalle dichiarazioni rese in
continenti dalla Dott.essa Me.
Entrambe le censure, di carattere
puntuale e specifico, risultano, sotto il profilo della
relativa ammissibilità, sufficientemente enucleate ed
evidenziate in seno al ricorso sì come funzionali alla
rilevazione di un vizio motivazionale idoneo a condurre
alla cassazione della sentenza impugnata.
Il ricorso è pertanto accolto nei
limiti di cui alla motivazione che precede, con
conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio
del procedimento alla corte di appello di Trieste.
La disciplina delle spese del
giudizio di legittimità è parimenti rimessa, alle
determinazioni del giudice del rinvio.
P.Q.M.
La corte accoglie il ricorso, cassa
la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del
giudizio di cassazione, alla corte di appello di
Trieste.
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