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 E' IL MEDICO A DOVER PROVARE CHE NON C'E' STATO INADEMPIMENTO- Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2011, n. 23562, pres. Musso, rel. Travaglino -

 

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Una coppia di coniugi ricorreva, in proprio e in rappresentanza del figlio minore, alle cure del giudice di primo grado del Tribunale di Verona, per ottenere il ristoro dei danni in conseguenza della condotta colposa tenuta dai sanitari dell’ospedale civile, in occasione del parto, condotta dalla quale erano derivati gravissimi danni al figlio minore.

Anche la Corte d’appello di Venezia, investita del gravame proposto dai coniugi, rigettava la domanda.

La Cassazione ha voluto precisare in ordine al riparto degli onera probandi, nel sottosistema della responsabilità sanitaria civile, che in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contratto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio, il paziente danneggiato deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contratto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore o struttura debitrice, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato.

Rimane, invece, a carico del debitore dimostrare che tale inadempimento non vi è stato, ovvero pur esistendo, esso non è stato rilevante.

Occorre tenere presente tali parametri probatori anche all’esito del riferimento alla responsabilità del sanitario per interventi di speciale difficoltà, rispetto ai quali potrebbe sussistere l’esonero di responsabilità per il medico ex art. 2236 c.c., atteso che un parto rientra, per il fatto stesso, nel novero della categoria degli interventi di routine, con le conseguenze probatorie che ne derivano.

 

                                                ***

 

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 29 settembre – 11 novembre 2011, n. 23562

Presidente Musso – Relatore Travaglino

 

Svolgimento del processo

 

A..M. e A..T., in proprio e in rappresentanza del figlio minore N., convennero in giudizio, dinanzi al tribunale di Verona, l'ospedale civile di XXXXX (cui sarebbe poi succeduto in giudizio la gestione liquidatoria della Usl territorialmente competente), il primario del reparto di ginecologia, M..S., i ginecologi R..B. e T.B. e, infine, la primaria del reparto di neonatologia, Ma.Va. , chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni subiti, in proprio e dal proprio figliolo, in conseguenza della condotta colposa tenuta dai sanitari in occasione del parto, condotta dalla quale erano derivati gravissimi danni al minore.

Il giudice di primo grado respinse la domanda. La corte di appello di Venezia, investita del gravame proposto dai coniugi M., lo rigettò a sua volta, opinando:

Che la ragionata accettazione, da parte del giudice di primo grado, dei risultati della CTU comportava l'implicito disattendimento delle argomentazioni e dei rilievi esposti dai consulenti di parte, senza necessità di specifica e analitica confutazione;

Che l'individuazione della causa delle lesioni non rilevava, ai fini della decisione, non essendo riconducibile, nel caso concreto, a specifica responsabilità dei medici convenuti;

Che, in particolare, non era stato chiesto al CTU di individuare, dopo 16 anni, la causa delle patologie da cui M.N. risultava affetto, quale che ne fosse la derivazione causale, bensì di accertare se le predette patologie fossero astrattamente riferibili al momento del parto e all'assistenza del neonato immediatamente dopo la nascita, e se fossero nel caso di specie derivate da un comportamento negligente o imperito dei medici e da carenze organizzative della struttura ospedaliera;

Che la condivisione, nella pratica professionale del CTU, di determinate metodologie applicate durante e dopo il parto non ne pregiudicavano né l'imparzialità né l'attendibilità delle conclusioni;

Che, quanto all'onere della prova, incombeva al paziente dimostrare 1) che le concrete modalità di esecuzione dell'intervento medico-sanitario differivano, nel caso in esame, da quelle comunemente ritenute idonee; 2) il nesso di causalità tra quelle condotte e il danno lamentato, sia che le prime implicassero la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà - e in tal caso al professionista che avesse invocato il più discreto grado di colpa di cui all'art. 2236 c.c. incombeva l'onere di provare la complessità dell'intervento - sia che si trattasse di un intervento di routine;

Che gli appellanti, a confutazione della ricostruzione dei fatti, non avevano indicato quali azioni od omissioni avessero in concreto differito dalla corretta pratica da applicare nel caso specifico, né avevano censurato le ragioni sviluppate in sentenza per giustificare l'interruzione del monitoraggio cardiotocografico durante la fase espulsiva del parto, l'esclusione del ricorso al parto cesareo, l'omessa convocazione, già durante il parto, del neonatologo per un eventuale intervento di aspirazione delle vie aeree del neonato (attesa la probabile ingestione di liquido amniotico), l'esclusione che, tra le patologie del nascituro, vi fossero i segni tipici dell'asfissia neonatale;

Che la mancata risposta del CTU a tutti i quesiti sottopostigli (descrizione delle lesioni, quantificazione del danno e valutazione di congruità delle spese mediche) era giustificata dalla natura condizionata dei quesiti stessi, che postulavano il previo accertamento di una responsabilità (in concreto esclusa in perizia) dei convenuti;

Che il rilievo di omessa segnalazione, da parte dell'ausiliario del giudice, del rifiuto dell'Ospedale di consegnargli la documentazione clinica in originale - nonché l'omesso esame della documentazione trasmessagli dagli appellanti su sua richiesta, perché erroneamente ritenuta superflua - doveva essere disatteso, poiché il CTU poté esaminare tutta la documentazione in copia, mentre la conformità delle copie agli originali era comunque verificabile dai difensori e dai consulenti di parte; Che la mancata assunzione, sempre da parte del perito, di ogni utile informazione relativa al consenso informato doveva dirsi irrilevante, non essendo stato specificato dagli appellanti le concrete ripercussione di tale, eventuale carenza;

Che nessun significato confessorio né confermativo della responsabilità dei convenuti poteva essere attribuito alla dichiarazione resa nell'immediatezza del parto dalla Dott.ssa Ma., che ebbe a dichiarare, una volta giunta in loco, di "essere arrivata quando ormai era troppo tardi"; Che i riferimenti contenuti nella cartella clinica in ordine alla sofferenza neonatale ovvero fetale erano stati motivatamente esclusi dal primo giudice;

Che l'incapacità del CTU di fornire spiegazioni all'evento di danno, attesa l'assoluta normalità del parto, se non ipotizzando uno "stato infettivo" maturato durante la gravidanza - al contrario mai rilevato - non comportava ipso facto, necessariamente e univocamente, la responsabilità dei convenuti, da individuarsi in concreto, nel caso specifico, e non "a contrario" dal mancato riscontro di eventuali eziologie antecedenti e alternative, che - secondo la testuale affermazione della corte di appello - "può essere esso stesso eventualmente colpevole".

La sentenza è stata impugnata dai coniugi M. con ricorso per cassazione articolato in 2 motivi (il secondo dei quali composto di sei sub-motivi).

Resistono con controricorso la Gestione liquidatoria della ex USL XX in persona del liquidatore pro tempore e Ma.Gi. .

 

Motivi della decisione

 

Il ricorso è fondato nei limiti di cui si dirà. Con il primo motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione delle norme sulla diligenza dell'adempimento (ex art. 1176 II comma c.c.) sulla responsabilità del debitore (ex art. 1218 c.c.) e sull'onere della prova (ex art. 2697 c.c.) in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: Dica la corte se la sentenza della corte di appello di Venezia sia incorsa nella violazione degli artt. 1176, 1218, 2697 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. non individuando, in merito alle gravissime lesioni di cui soffre N..M., l'evento imprevedibile (e non superabile con la diligenza ordinaria) che ha cagionato le lesioni stesse, incombendo al medico (rectius alla struttura sanitaria, anche per l'art. 1218 c.c.) fornire la prova della particolare difficoltà della prestazione e perché solo in quest'ultima circostanza si potrebbe esonerare il medico da responsabilità ex art. 2236 c.c. Il motivo è fondato.

Questa Corte, anche a sezioni unite, ha, difatti, avuto modo di precisare, in ordine al riparto degli onera probandi nel sottosistema della responsabilità sanitaria civile(Cass. ss.uu. 577/08), che in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell'onere probatorio l'attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante. La corte veneziana non si è, all'evidenza, attenuta, nella sua decisione, a tali parametri probatori, anche all'esito dell'improprio riferimento alla (sia pur eventuale) responsabilità del sanitario per interventi di speciale difficoltà (tematica mai dibattuta in prime cure, e del tutto esorbitante dal thema decidendum, atteso che un parto rientra, ipso facto, nel novero degli interventi routinari, con le conseguenze probatorie che ne derivano), onde, sul punto, la sentenza deve essere cassata.

Con il secondo motivo si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Il motivo, articolato in 6 sub-motivi, è in gran parte inammissibile a causa della mancata esposizione della sintesi del fatto decisivo lamentato come fonte del denunciato vizio motivazionale.

Esso risulta, viceversa, risulta fondato nella parte in cui può ritenersi esente da tale vizio procedurale. Alla scure della inammissibilità sono destinati i submotivi uno (ff. 28-30), due (ff. 30-31), quattro (ff. 33-34), sei, tutti privi - all'esito di una pur analitica e particolareggiata esposizione di fatti e circostanze di cui ancor oggi si predica la decisiva rilevanza ai fini del decidere - del necessario momento di sintesi espositiva idonea a sottoporre alla corte la questione del difetto motivazionale sub specie della sua omissione, insufficienza, contraddittorietà.

Ammissibili e fondati sono, di converso, i sub-motivi terzo (ff. 31-33) e quinto (ff. 34-35), il primo volto a lamentare l'omesso esame, da parte della corte territoriale, della circostanza del rifiuto di consegna, da parte dell'ospedale, degli originali delle cartelle cliniche al CTU (omissione sicuramente rilevante, alla luce di quanto affermato dalla giurisprudenza di questa corte a far data dalla sentenza 11488/04), il secondo condivisibilmente predicativo di una sostanziale omissione di motivazione della sentenza impugnata, sotto il profilo della sua mera apparenza, in ordine alla (altrettanto rilevante) circostanza costituita dalle dichiarazioni rese in continenti dalla Dott.essa Me.

Entrambe le censure, di carattere puntuale e specifico, risultano, sotto il profilo della relativa ammissibilità, sufficientemente enucleate ed evidenziate in seno al ricorso sì come funzionali alla rilevazione di un vizio motivazionale idoneo a condurre alla cassazione della sentenza impugnata.

Il ricorso è pertanto accolto nei limiti di cui alla motivazione che precede, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio del procedimento alla corte di appello di Trieste.

La disciplina delle spese del giudizio di legittimità è parimenti rimessa, alle determinazioni del giudice del rinvio.

 

P.Q.M.

 

La corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte di appello di Trieste.

 

 

 

 

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