MASSIMA
1. In tema di divieto di reformatio
in peius in sede di impugnazione, il giudice
dell'impugnazione, confermando la sentenza impugnata,
può senza violare il principio dispositivo, anche
d'ufficio, correggerne, modificarne o integrarne la
motivazione, purché la modifica non concerna statuizioni
adottate dal giudice di grado inferiore non impugnate
dalla parte interessata, con la conseguenza che, in
assenza d'impugnazione della parte parzialmente
vittoriosa (appello o ricorso per cassazione), la
decisione non può essere più sfavorevole all'impugnante
e più favorevole alla controparte di quanto non sia
stata la sentenza impugnata e non può, quindi, dare
luogo ad una reformatio in peius in danno del primo.
2. In caso di cassazione con rinvio
di una sentenza, i poteri del giudice di rinvio, in
ragione del carattere dispositivo dell'impugnazione,
vanno determinati con esclusivo riferimento
all'iniziativa delle parti, con la conseguenza che in
assenza di impugnazione incidentale della parte
parzialmente vittoriosa, la decisione del giudice del
rinvio non può essere più sfavorevole, nei confronti
della parte che abbia impugnato, di quanto non sia stata
la sentenza oggetto di gravame, e non può quindi dare
luogo alla sua reformatio in peius in danno di
quest'ultima.
CASUS DECISUS
Il signor B..F., tenente della
Guardia di finanza, in data 6 giugno 2003 propose
ricorso alla Corte d'appello di Venezia a norma
dell'art. 2 della legge n. 89 del 2001, chiedendo la
condanna del Ministro della Giustizia al pagamento di
un'equa riparazione per i danni derivati dal mancato
rispetto del termine di ragionevole durata del processo
penale nel quale egli era stato imputato. Al ricorrente
erano stati contestati i reati previsti dagli artt. 81,
319, 323, 326 e 490 cod. pen., e per effetto
dell'eccessiva durata del processo egli aveva subito
danni alla carriera, danni biologici (per i quali era
stata riconosciuta la causa di servizio dalla
Commissione Medico ospedaliera di omissis il 10 luglio
1991), danni morali e danni esistenziali. Con decreto in
data 5 gennaio 204, la Corte d'appello di Venezia
accertò che il processo penale era durato, in due gradi
di giudizio, 15 anni e 11 mesi, pur dovendosi detrarre
il periodo conseguente al rinvio disposto per
l'astensione degli avvocati, e giudicò che esso si
sarebbe dovuto concludere in cinque anni. In relazione
ai danni risarcibili, la Corte considerò che al
ricorrente sarebbe stata ricostruita la carriera a norma
del d.lgs. 19 marzo 2001, n. 69, ma che nel frattempo
egli non aveva potuto ricoprire incarichi operativi: ciò
faceva presumere che, non potendo vantare l'esperienza e
la preparazione che avrebbe potuto acquisire se il
processo si fosse concluso in tempo ragionevole, egli
non potesse aspirare a quegli incarichi e gradi che
presuppongono il precedente svolgimento di particolari
funzioni, per il che gli riconobbe un danno patrimoniale
di Euro 15.000,00. La Corte escluse che fosse stato
provato un nesso di causalità tra il prolungamento del
processo e le spese di trasferimento in altra sede,
nonché il danno biologico costituito dall'aggravamento
di una "cefalea a grappolo" e dall'insorgenza di un
carcinoma, giudicando insufficiente la dichiarazione del
dottor Fedi, tanto più che, quanto alla cefalea, la
patologia in questione era stata riconosciuta dalla
Commissione Medica di Firenze per il particolare tipo di
lavoro svolto, sicché era al riguardo inutile
l'assunzione della consulenza tecnica, che era stata
richiesta dall'amministrazione resistente. La Corte
riconobbe infine il danno non patrimoniale, comprensivo
del danno esistenziale per il venir meno dell'interesse
allo svolgimento d'attività non remunerative, fonte di
compiacimento e di benessere, e lo liquidò in Euro
50.000,00. 2. - Avverso tale decreto il F. propose
ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura.
Il Ministro della giustizia resistette con controricorso
e ricorso incidentale con due motivi di censura. La
Corte di cassazione, con la sentenza n. 14832 del 27
giugno 2006, riuniti i ricorsi, rigettò il ricorso
principale, accolse il primo motivo del ricorso
incidentale, rigettò il secondo motivo dello stesso
ricorso incidentale, cassò il decreto impugnato in
relazione al motivo accolto e rinviò la causa, anche per
il regolamento delle spese del giudizio di legittimità,
alla Corte d'appello di Venezia, in diversa
composizione. Per quanto in questa sede ancora rileva,
la Corte nell'accogliere il primo motivo del ricorso
incidentale dell'Amministrazione, osservò: “Con il primo
motivo del ricorso incidentale si denunciano violazione
della L. n. 89 del 2001, art. 2, dell'art. 2697 c.c. e
del D. Lgs. n. 69 del 2001, art. 32, e vizi di
motivazione su un punto decisivo. Si deduce che, in
contrasto con il principio che il danno patrimoniale
deve essere provato, la Corte lo aveva presunto sulla
base dell'impossibilità per il F. di aspirare a
incarichi e gradi che presuppongono lo svolgimento di
particolari funzioni, ponendosi in contrasto con il
disposto del D. Lgs. n. 69 del 2001, art. 32, sulla
ricostruzione della carriera, pur contraddittoriamente
richiamato in sentenza. Il motivo è fondato quanto al
denunciato vizio di motivazione. Le disposizioni
contenute nel D. Lgs. 19 marzo 2001, n. 69, artt. 32 e
segg. (Riordino del reclutamento, dello stato giuridico
e dell'avanzamento degli ufficiali del Corpo della
Guardia di finanza), contenuti nel Capo 3 ("Cessazione
delle cause impeditive della valutazione o della
promozione"), delineano un sistema, tendenzialmente
completo, diretto a neutralizzare gli effetti negativi
verificati nella progressione in carriera
dell'ufficiale, nei cui riguardi il procedimento penale
o quello disciplinare, avviato per l'eventuale
irrogazione di una sanzione di stato, si sia concluso
con esito favorevole, o per il quale sia stata revocata
la sospensione dall'impiego di carattere precauzionale.
La Corte territoriale, decidendo sulla domanda di equa
riparazione del danno patrimoniale, lamentato dal
tenente F. in conseguenza dell'ingiustificato
prolungamento del processo penale al quale era stato
sottoposto, ha affermato che le disposizioni ricordate
avrebbero trovato applicazione a favore del ricorrente.
Nonostante ciò, la Corte ha aggiunto che il rimedio
offerto dalla legge non sarebbe stato completo, sul
presupposto che nel frattempo egli non avesse ricoperto
incarichi operativi: quest'ultima circostanza faceva
presumere che, non potendo vantare l'esperienza e la
preparazione che avrebbe potuto acquisire se il processo
si fosse concluso in tempo ragionevole, il ricorrente
non potesse aspirare a quegli incarichi e gradi che
presuppongono il precedente svolgimento di particolari
funzioni. In tal modo la Corte ha basato la sua
decisione su una presunzione semplice che si poneva in
contrasto con la precedente affermazione,
dell'applicabilità al caso di specie del rimedio
previsto dalla legge. È bensì vero che quella disciplina
legale, dettata ad altri fini, non preclude
l'accertamento di ulteriori danni patrimoniali subiti
dal ricorrente nello svolgimento del suo rapporto con
l'amministrazione; ma quest'ultima, osservando che tali
danni non potevano essere presunti, come ha invece
ritenuto la Corte, coglie nel segno, sia perché il danno
patrimoniale in genere non può essere presunto, ma deve
essere dimostrato da chi ne chiede la riparazione, sia
perché la precedente affermazione giustificava, semmai,
una presunzione (semplice) di segno contrario. In tal
modo, la Corte è incorsa nel denunciato vizio di
motivazione su un punto decisivo - esistenza di un danno
patrimoniale passibile di equa riparazione - che
comporta la cassazione della sentenza. [...] La
cassazione del decreto in relazione al motivo accolto
comporta il rinvio della causa, anche per il regolamento
delle spese del presente giudizio di legittimità, alla
Corte stessa territoriale, in altra composizione.
Questa, nel procedere al nuovo giudizio sull'esistenza e
l'ammontare del danno patrimoniale, motiverà la sua
decisione, se favorevole al ricorrente, identificando i
vantaggi patrimoniali, collegati alla carriera, ai quali
la parte avrebbe potuto aspirare - dopo lo spirare del
termine di ragionevole durata del processo già stabilito
- e che, pregiudicati di fatto dal mancato svolgimento
di particolari funzioni nel tempo d'ingiustificata
protrazione del processo, non troverebbero copertura
nelle disposizioni del citato D. Lgs. n. 69 del 2001”.
3. - Riassunto il giudizio dal F. con ricorso notificato
il 1 ottobre 2007, la Corte di Venezia dispose
consulenza tecnica d'ufficio “volta ad accertare se e
quali danni patrimoniali, a causa della durata del
processo che lo aveva interessato, avesse subito il
ricorrente nella carriera, ulteriori rispetto a quelli
ai quali la ricostruzione della carriera, effettuata ai
sensi degli articolo 32 e segg. del decreto legislativo
n. 69/01, aveva già rimediato”. Con decreto depositato
il 28 novembre 2008, la Corte adita ha condannato il
Ministro della giustizia a corrispondere al F. la somma
di Euro 274.878,86, oltre gli interessi legali dalla
data della pronuncia al saldo. In particolare, per
quanto in questa sede ancora rileva, la Corte di Venezia
ha affermato che il consulente tecnico d'ufficio: a) “ha
accertato che, tenendo conto sia della situazione dei
meriti, sia della situazione dell'anzianità, deve
ritenersi evidente oltre ogni ragionevole dubbio che
B..F. (ora tenente colonnello F.) è stato danneggiato
dal prolungamento del processo”, prendendo in
considerazione, al riguardo, “(come gli era stato
richiesto e come indicato dalla Cassazione) il periodo
successivo ai cinque anni e undici mesi ritenuti dalla
Corte d'Appello come tempo di ragionevole durata del
processo e considerato tale anche dal Supremo Collegio”
e tenendo conto anche “della rapida progressione in
carriera compiuta subito dopo la assoluzione anche in
secondo grado, e il conseguimento di diversi elogi”; b)
a tale conclusione “è pervenuto valutando che, nel
periodo di ingiustificata protrazione del processo (dal
14 settembre 1994 al 20 dicembre 2002) non ha potuto
essere nominato Maggiore - grado che avrebbe conseguito
nel gennaio 2001 - e, quindi, non ha potuto assumere un
comando che gli avrebbe permesso la automatica
progressione in carriera (che per i militari può
avvenire solo ove dimostrino di avere ricevuto un
incarico di comando effettivo nel periodo in cui
conservano il grado)”, con la conseguenza che, “rispetto
ai colleghi del suo corso che hanno potuto usufruire di
tale opportunità nel periodo normale in cui avevano il
grado di Maggiore, B..F. è sicuramente danneggiato,
posto che tutti otterranno la promozione al grado di
Colonnello mentre il Tenente Colonnello F. non la
otterrà mai”. Inoltre, la Corte di Venezia ha affermato
che: c) da quanto prima esposto può desumersi il danno
economico patito dal F., relativo non a quello derivante
dal mancato avanzamento nella carriera - posto che dopo
l'assoluzione in secondo grado è stata effettuata a suo
favore la ricostruzione della carriera fino al grado di
Tenente Colonnello -, ma alla impossibilità di
raggiungere il grado di Colonnello: infatti, “poiché le
vicende giudiziarie occorse gli impediranno sicuramente
di raggiungere il grado di Colonnello al quale egli
poteva legittimamente aspirare e che aveva la
ragionevole tranquillità di conseguire, è evidente che
il predetto non potrà mai beneficiare del miglior
trattamento economico legato allo scatto di carriera,
subendo così un danno patrimoniale che si protrarrà
anche nel periodo di quiescenza”. Infine, in ordine alla
determinazione dell'entità del danno patrimoniale patito
dal F., la stessa Corte ha affermato: d) “Il consulente
ha quantificato tale danno tenendo conto sia che non
potranno essere calcolati gli interessi su di una somma
che, liquidata da questa Corte, gli sarà corrisposta in
unica soluzione, sia della rivalutazione annuale degli
stipendi. Il consulente tecnico ha illustrato nel
dettaglio i calcolo argomentando ogni passaggio con
esposizione puntuale, logica coerente, che non si presta
ad alcuna censura: del resto, nessuna delle due parti ha
formulato critiche all'elaborato, neppure il Ministero
che, nella sua comparsa di costituzione, successiva al
deposito dell'elaborato, nulla ha contestato sul punto.
La Corte, pertanto, fa proprie le conclusioni del
Consulente”. 4. - Avvero tale decreto il Ministro della
giustizia ha proposto ricorso per cassazione, deducendo
tre motivi di censura. Resiste, con controricorso
illustrato da memoria, F.B..
PRECEDENTI
Conforme Difforme
Quanto alla massima n. 1, cfr., ex
plurimis, la sentenza n. 14127 del 2011. Quanto alla
massima n. 2, cfr., ex plurimis, la sentenza n. 1823 del
2005.
ANNOTAZIONE
La sentenza in esame ha ad oggetto
il ricorso promosso da un Tenente della Guardia di
Finanza per non aver ottenuto dal giudice di merito il
riconoscimento del diritto al risarcimento del danno
biologico cagionato dall'eccessiva durata di un processo
penale a suo carico (15 anni e 11 mesi), ma unicamente
il riconoscimento del danno patrimoniale e non
patrimoniale per non aver potuto aspirare agli incarichi
e gradi che presuppongono il precedente svolgimento di
particolari funzioni.
La Suprema Corte cassa con rinvio
la pronuncia ed il giudice del rinvio ripercorrendo
l’iter motivazionale della sentenza di merito ritiene di
dover disporre una ctu per l’accertamento dei danni
patrimoniali, osservando che la pronuncia dei giudici di
merito non potesse fondarsi su una presunzione semplice
sul danno determinato dal fatto di non aver potuto
ricoprire incarichi funzionali alla carriera. All’esito
della ctu, il giudice accerta i danni e li quantifica in
misura nettamente superiore alla precedente pronuncia
(per la somma di € 274.878,86, oltre gli interessi
legali dalla data della pronuncia al saldo). Il
ministero della giustizia propone così nuovo ricorso
alla Cassazione, ritenendo che il giudice del rinvio non
avrebbe potuto travalicare la precedente pronuncia in
assenza di specifica impugnazione incidentale della
parte parzialmente vittoriosa: la decisione del giudice
non può essere di maggior sfavore, nei confronti
dell’impugnante, di quanto non sia stata la sentenza
oggetto di gravame e non può quindi dare luogo a una
reformatio in peius in danno di quest’ultimo. Nel caso
di specie, il Tenente aveva impugnato per cassazione il
precedente decreto solo con riferimento al mancato
riconoscimento del danno biologico.La Cassazione
accoglie il ricorso ritenendo che il giudice del rinvio,
che ha aumentato l’importo del risarcimento confermando
la sentenza impugnata, non avrebbe potuto emettere una
pronuncia di maggior sfavore nei confronti
dell’impugnante e di maggior favore nei confronti della
controparte di quanto non sia stata la sentenza
impugnata, non potendo dare luogo a una reformatio in
peius in danno del primo. In definitiva la Suprema Corte
ha annullato il decreto impugnato restando coperto da
giudicato il decreto precedente, nella parte in cui ha
riconosciuto al Tenente l’indennizzo di € 50.000,00, a
titolo di danno non patrimoniale e di € 15.000,00, a
titolo di danno patrimoniale.
TESTO DELLA SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE
- SENTENZA 1 novembre 2011, n.23240 - Pres. Salmè – est.
Di Palma
Motivi della decisione
1. - Con il primo motivo (con cui
deduce: “Violazione e falsa applicazione dell'art. 2
della legge 24 marzo 2001, n. 89, dell'art. 394 c.p.c. -
art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.”), il ricorrente -
premesso che, in ragione del carattere dispositivo
dell'impugnazione, i poteri del giudice di rinvio vanno
determinati con esclusivo riferimento all'iniziativa
delle parti, in assenza di impugnazione incidentale
della parte parzialmente vittoriosa, la decisione del
giudice non può essere più sfavorevole, nei confronti
dell'impugnante, di quanto non sia stata la sentenza
oggetto di gravame e non può quindi dare luogo ad una
reformatio in peius in danno di quest'ultimo - critica
il decreto impugnato, sostenendo che, nella specie, il
F. aveva impugnato per cassazione il precedente decreto
del 5 gennaio 1994 soltanto con riferimento al mancato
riconoscimento del danno biologico.
Con il secondo (con cui deduce:
“Violazione e falsa applicazione del'art. 2 della legge
24 marzo 2001, n. 89, dell'art. 32 D. L.vo 19 marzo
2001, n. 69, dell'art. 394 c.p.c., nonché degli artt.
1223, 2043 e 2697 c.c., con riferimento all'art. 360 n.
3, c.p.c.”) e con il terzo motivo (con cui deduce:
“Insufficiente motivazione circa un fatto controverso e
decisivo del giudizio - art. 360, n. 5, c.p.c.”) - i
quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto
riguardo alla loro stretta connessione - il ricorrente
critica il decreto impugnato - anche sotto il profilo
del vizio di motivazione -, sostenendo che i Giudici a
quibus hanno sostituito alla presunzione di esistenza di
danno patrimoniale ulteriore rispetto alla operata
ricostruzione della carriera del F., altra presunzione
fondata sulle indimostrate affermazioni del consulente
tecnico d'ufficio che ha tenuto per certe circostanze
che, invece, sono soltanto ipotetiche, cioè la normalità
della promozione a Maggiore in base alla mera anzianità,
dell'affidamento al Maggiore di incarichi di comando, e
della promozione del Maggiore a Tenente Colonnello.
2. - Il ricorso merita accoglimento
in riferimento al primo motivo.
2.1. - Il secondo ed il terzo
motivo del ricorso sono privi di fondamento.
Secondo il costante orientamento di
questa Corte condiviso dal Collegio -, in tema di
risarcimento del danno, il creditore che voglia ottenere
i danni derivanti dalla perdita di chance - che, come
concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire
un determinato bene, non costituisce una mera
aspettativa di fatto ma un'entità patrimoniale a sé
stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di
autonoma valutazione - ha l'onere di provare, pur se
solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di
probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei
presupposti per il raggiungimento del risultato sperato
ed impedito dalla condotta illecita della quale il danno
risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta
(cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 11353 del 2010, 4052
del 2009, 21544 del 2008, 1752 del 2005, 18945 del
2003).
Orbene, la Corte di Venezia, sulla
base delle argomentate e motivatamente condivise
valutazioni del consulente tecnico d'ufficio ha ritenuto
sussistente il danno economico patito dal F. -
concernente non quello derivante dal mancato avanzamento
nella carriera, dal momento che dopo l'assoluzione in
secondo grado era stata effettuata a suo favore la
ricostruzione della carriera fino al grado di Tenente
Colonnello, ma l'impossibilità di raggiungere il grado
di Colonnello -, in quanto il procedimento penale di cui
questi è stato vittima (protrattosi per ben quindici
anni ed undici mesi e conclusosi con l'assoluzione piena
del F. ) gli ha sicuramente impedito, alla luce dei
criteri normalmente seguiti all'interno del Corpo per la
progressione nella carriera di ufficiale della Guardia
di finanza, di raggiungere il grado di Colonnello “al
quale egli poteva legittimamente aspirare e che aveva la
ragionevole tranquillità di conseguire”, con la
conseguenza che “il predetto non potrà mai beneficiare
del miglior trattamento economico legato allo scatto di
carriera, subendo così un danno patrimoniale che si
protrarrà anche nel periodo di quiescenza”. Così
argomentando, la Corte di Venezia non si è
sostanzialmente discostata dai principi di diritto
dianzi richiamati, in quanto ha ritenuto dimostrata,
mediante ragionevoli e motivate presunzioni sulla base
dell'id quod plerumque accidit (progressione nella
carriera di ufficiale della Guardia di Finanza secondo i
criteri normalmente seguiti all'interno del Corpo) e
secondo un ragionevole calcolo di probabilità, la
realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per
il raggiungimento del risultato sperato - promozione dal
grado di Tenente Colonnello a quello di Colonnello - ed
impedito dall'irragionevole durata del predetto
procedimento penale dal quale il danno risarcibile è
immediatamente e direttamente derivato.
2.2. - Il primo motivo è, invece,
fondato.
Come dianzi precisato (cfr., supra,
Svolgimento del processo, n. 1-), la Corte d'Appello di
Venezia, con il decreto del 5 gennaio 2004, ha
riconosciuto al F. l'indennizzo di cui all'art. 2 della
legge n. 89 del 2001, quantificandolo in Euro 15.000,00,
a titolo di danno patrimoniale, ed in Euro 50.000,00, a
titolo di danno non patrimoniale, comprensivo del danno
esistenziale.
Avverso tale decreto - nella parte
in cui ha riconosciuto e liquidato il danno patrimoniale
- ha interposto ricorso incidentale per cassazione il
solo Ministro della giustizia, mentre il F. ha proposto
ricorso principale, con due motivi, soltanto per il
mancato riconoscimento della voce di danno non
patrimoniale afferente al danno biologico (“Con il
ricorso principale si censura il rigetto, da parte della
Corte del merito, della domanda di riparazione del danno
biologico”: cfr. i Motivi della decisione della sentenza
della Corte di cassazione n. 14832 del 2006).
Orbene, secondo il costante
orientamento di questa Corte concernente il divieto di
reformatio in peius in sede di impugnazione, il giudice
dell'impugnazione, confermando la sentenza impugnata,
può senza violare il principio dispositivo, anche
d'ufficio, correggerne, modificarne o integrarne la
motivazione, purché la modifica non concerna statuizioni
adottate dal giudice di grado inferiore non impugnate
dalla parte interessata, con la conseguenza che, in
assenza d'impugnazione della parte parzialmente
vittoriosa (appello o ricorso per cassazione), la
decisione non può essere più sfavorevole all'impugnante
e più favorevole alla controparte di quanto non sia
stata la sentenza impugnata e non può, quindi, dare
luogo ad una reformatio in peius in danno del primo
(cfr., ex plurimis, la sentenza n. 14127 del 2011). Più
in particolare, e con specifico riferimento al caso di
specie, è stato enunciato il principio secondo cui, in
caso di cassazione con rinvio di una sentenza, i poteri
del giudice di rinvio, in ragione del carattere
dispositivo dell'impugnazione, vanno determinati con
esclusivo riferimento all'iniziativa delle parti, con la
conseguenza che in assenza di impugnazione incidentale
della parte parzialmente vittoriosa, la decisione del
giudice del rinvio non può essere più sfavorevole, nei
confronti della parte che abbia impugnato, di quanto non
sia stata la sentenza oggetto di gravame, e non può
quindi dare luogo alla sua reformatio in peius in danno
di quest'ultima (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 1823
del 2005).
È, dunque, evidente che la Corte di
Venezia - in presenza di ricorso principale per
cassazione del F. , concernente il solo capo del decreto
impugnato relativo al mancato riconoscimento
dell'indennizzo relativo al danno non patrimoniale
(danno biologico), e di ricorso incidentale del Ministro
della giustizia, concernente il capo del medesimo
decreto relativo al riconoscimento dell'indennizzo
relativo al danno patrimoniale nella misura di Euro
15.000,00 - non poteva riconoscere al F. , a titolo di
danno patrimoniale, in assenza di impugnazione dello
stesso sul punto, una somma maggiore di quella
liquidatagli dalla stessa Corte con il decreto del 5
gennaio 2004.
Da ciò consegue che il decreto
impugnato deve essere annullato, restando coperto da
giudicato il decreto del 5 gennaio 2004, nella parte in
cui ha riconosciuto al F. l'indennizzo di Euro
50.000,00, a titolo di danno non patrimoniale.
3. - Non essendo necessari
ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere
decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384, secondo
comma, cod. proc. civ..
Le medesime considerazioni, svolte
dianzi (cfr., supra, n. 2.1.) per respingere il secondo
ed il terzo motivo del presente ricorso, possono essere
poste a fondamento dell'equitativo riconoscimento al F.
dell'indennizzo di Euro 15.000,00, a titolo di danno
patrimoniale (perdita di chance), posto che è
indubitabile che lo stesso F. , a causa dell'abnorme
protrazione del giudizio penale presupposto conclusosi
con la sua assoluzione, ha subito anche un danno
patrimoniale connesso, quantomeno, alla mancata
progressione in carriera dal grado di Tenente Colonnello
a quello di Colonnello.
In conclusione, al F. spetta
l'indennizzo di Euro 50.000,00, a titolo di danno non
patrimoniale, in forza del giudicato formatosi sul
decreto della Corte d'Appello di Venezia in data 5
gennaio 2004, oltre gli interessi dalla data della
domanda di equa riparazione e fino al saldo, nonché
l'indennizzo di Euro 15.000,00, in forza della presente
sentenza, oltre gli interessi dalla data della domanda
di equa riparazione e fino al saldo.
3.1. - Conseguentemente, le spese
processuali debbono essere nuovamente liquidate, sulla
base delle tabelle A, paragrafo IV, e B, paragrafo I,
allegate al Decreto del Ministro della giustizia 8
aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti
contenziosi, come segue: 1) quanto al primo giudizio di
merito, conclusosi con il decreto del 5 gennaio 2004, in
complessivi Euro 3.635,70, di cui Euro 335,70 per
esborsi, Euro 1.300,00 per diritti ed Euro 2.000,00 per
onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori
come per legge; 2) quanto al primo giudizio di
legittimità, in complessivi Euro 3.500,00 di cui Euro
500,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli
accessori come per legge; 3) quanto al giudizio di
rinvio, conclusosi con il decreto impugnato, in
complessivi Euro 3.635,70, di cui Euro 335,70 per
esborsi, Euro 1.300,00 per diritti ed Euro 2.000,00 per
onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori
come per legge.
3.2. - Le spese del presente grado
di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate
nel dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il secondo ed il terzo
motivo del ricorso ed accoglie il primo; cassa il
decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito,
condanna il Ministro della giustizia al pagamento al
ricorrente della somma di Euro 15.000,00, oltre gli
interessi dalla domanda, condannandolo altresì al
rimborso, in favore del F., delle spese del giudizio,
che determina: 1) quanto al primo giudizio di merito,
conclusosi con il decreto del 5 gennaio 2004, in
complessivi Euro 3.635,70, di cui Euro 335,70 per
esborsi, Euro 1.300,00 per diritti ed Euro 2.000,00 per
onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori
come per legge; 2) quanto al primo giudizio di
legittimità, in complessivi Euro 3.500,00 di cui Euro
500,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli
accessori come per legge; 3) quanto al giudizio di
rinvio, conclusosi con il decreto impugnato, in
complessivi Euro 3.635,70, di cui Euro 335,70 per
esborsi, Euro 1.300,00 per diritti ed Euro 2.000,00 per
onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori
come per legge; 4) quanto al presente grado del
giudizio, in complessivi Euro 2.500,00 di cui Euro
500,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli
accessori come per legge. |