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Una Pizzeria, dopo aver stipulato
un contratto preliminare per la vendita di un fabbricato
adibito a bar, conveniva la promittente venditrice che,
in realtà, non era la vera proprietaria dell’immobile, a
causa di un contenzioso con il Demanio dello Stato
relativo alla titolarità dell’area su cui erano stati
realizzati gli edifici. La Pizzeria, che nel frattempo
entrata in possesso del bene, chiedeva il trasferimento
della proprietà, o, in subordine, la risoluzione del
preliminare con risarcimento dei danni. Il Tribunale,
accertato che la promittente non era l’effettiva
proprietaria, rigettava la richiesta di concludere il
contratto ex art. 2932 c.c. e dichiarava risolto il
preliminare per inadempimento della convenuta,
condannando quest’ultima a restituire la parte di prezzo
ricevuta. Escludeva, infine, il risarcimento dei danni
in favore della promissaria acquirente. Elemento ancora
controverso, e oggetto del ricorso per cassazione, è
l’imputazione dei danni, subiti dall’immobile nelle more
del giudizio relativo alla titolarità: la Corte
d’appello, infatti, ha ricollegato tali danni alla
condotta colposamente omissiva della promissaria
acquirente, indipendentemente dal fatto che la
promittente venditrice non fosse proprietaria.
E’ vero, infatti, che la
promittente venditrice si è resa colpevole di una grave
inadempienza, dichiarandosi proprietaria di un bene su
cui invece pendeva una controversia con il Demanio
statale e stipulando comunque il preliminare.
Ma, prosegue la S:C., la Pizzeria,
promissaria acquirente, ha conseguito il possesso
dell’immobile prima del trasferimento del diritto di
proprietà, ed è stata esclusivamente una sua scelta
quella di non eseguire i lavori di manutenzione
necessari sull’immobile stesso, con la conseguenza di
rendere il bene inagibile, e di non poterlo sfruttare
economicamente. I danni (principalmente da lucro
cessante) che ne sono derivati, insomma, sono stati
causati proprio da questa omissione e non possono essere
ricollegati causalmente all’inadempimento della
venditrice relativo al trasferimento della proprietà.
Manca il nesso eziologico tra
l’inadempimento della venditrice e il danno da lucro
cessante lamentato.
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Corte di Cassazione, sez. II
Civile, sentenza 22 settembre – 9 novembre 2011, n.
23348
Presidente Schettino – Relatore
Matera
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il
18-9-1996 la Pizzeria il Veliero s.n.c. conveniva
dinanzi al Tribunale di Verona C.I., deducendo di avere
stipulato con quest'ultima, in data 1-1-1987, un
contratto preliminare di compravendita di un fabbricato
sito in (omissis), adibito a bar pizzeria; di avere
corrisposto alla stipula dell'atto la somma di lire
87.000.000 e in seguito l'ulteriore importo di lire
63.000.000; di avere invano sollecitato la promittente
venditrice alla stipula del rogito, avendo
successivamente appreso che la convenuta, dichiaratasi
proprietaria dei beni, aveva un contenzioso con il
Demanio dello Stato, che rivendicava la proprietà
dell'area sulla quale erano stato realizzati gli edifici
promessi in vendita. Tanto premesso, l'attrice chiedeva
che venisse emessa sentenza produttiva del contratto non
concluso, con la condanna della convenuta al
risarcimento danni. In via subordinata, ove fosse
accertato che la C. non era proprietaria degli immobili
oggetto del preliminare, la società istante chiedeva la
risoluzione di tale contratto per grave inadempimento
della promittente venditrice, con condanna di
quest'ultima alla restituzione delle somme ricevute a
titolo di prezzo ed al risarcimento danni.
Nel costituirsi, la C. contestava
la fondatezza della domanda, chiedendo preliminarmente
di essere autorizzata a chiamare in causa il Ministero
delle Finanze.
All'udienza del 14-5-1997 il
Giudice Istruttore, in accoglimento dell'eccezione
sollevata dal Ministero delle Finanze, dichiarava
l'incompetenza funzionale del Tribunale di Verona in
favore di quello di Venezia, disponendo la cancellazione
della causa dal ruolo.
A seguito della riassunzione della
causa, con sentenza del 7-1-2001 il Tribunale di Venezia
rigettava la domanda ex art. 2932 c.c., rilevando che,
non essendo intervenuta l'approvazione del Ministero, la
proprietà dell'immobile non si era radicata in capo alla
C., la quale, quindi, non poteva trasferirla a terzi; in
accoglimento della domanda subordinata, dichiarava la
risoluzione del preliminare per inadempimento della
convenuta, la quale aveva garantito acquirente la piena
ed assoluta proprietà del bene, tacendo l'altruità dello
stesso; condannava la C. alla restituzione della parte
di prezzo ricevuta, con gli interessi legali dalla data
dei singoli pagamenti; rigettava la domanda di
risarcimento danni proposta dall'attrice; condannava il
Ministero a rimborsare alla convenuta le somme sborsate
a titolo di accessori in favore dell'attrice.
Avverso la predetta sentenza
proponevano appello principale il Ministero
dell'Economia e Finanze ed appello incidentale la
Pizzeria il Veliero e la C..
Con sentenza depositata il 9-5-2005
la Corte di Appello di Venezia, in accoglimento
dell'appello principale, rigettava le domande proposte
dalla C. nei confronti del terzo chiamato; rigettava,
invece, entrambi gli appelli incidentali.
Per la cassazione di tale sentenza
ricorre la Pizzeria il Veliero, sulla base di due
motivi.
Il Ministero dell'Economia e delle
Finanze resiste con controricorso.
La C. non si è costituita.
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo la
ricorrente si duole dell'omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione in relazione alla mancata
ammissione dei mezzi di prova dedotti. Rileva che il
capitolato articolato tendeva a provare il progressivo
calo delle entrate della odierna ricorrente in
conseguenza della (dapprima) ridotta utilizzabilità
dell'immobile promesso in vendita e del successivo
inutilizzo totale dello stesso (a decorrere dal 1993),
dovuto alle gravi infiltrazioni d'acqua provenienti dal
tetto, nonché al cattivo funzionamento (e poi dal
blocco) dell'impianto elettrico, idraulico ed
igienico-sanitario. Deduce che le circostanze
capitolate, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte
di Appello, erano idonee a fornire la prova del danno
patrimoniale da diminuzione del volume d'affari, la cui
ascrivibilità al fatto dannoso-inadempimento andava
valutata in base al criterio della c.d. causalità
ipotetica. Aggiunge che la motivazione della sentenza
gravata appare insufficiente e contraddittoria anche in
relazione al diniego della invocata consulenza tecnica
d'ufficio, volta a determinare i mancati guadagni a
decorrere dal 1993 (anno di cessazione
dell'utilizzazione dell'immobile per cui è causa),
tenuto conto della percentuale di ricarico e di utili
desumibili dalla scritture private.
Il motivo, nella parte in cui
lamenta la mancata ammissione della prova testimoniale,
è inammissibile per l'assorbente rilievo che difetta del
requisito di autosufficienza.
E invero, secondo il costante
orientamento di questa Corte, la censura contenuta nel
ricorso per Cassazione relativa alla mancata ammissione
della prova testimoniale è inammissibile se il
ricorrente non provveda a trascrivere i capitoli di
prova e ad indicare i testi e le ragioni per le quali
gli stessi sarebbero qualificati a testimoniare,
trattandosi di elementi necessari a valutare la
decisività del mezzo istruttorio richiesto (Cass. Sez.
2, 23-9-2004 n. 19138; Sez. 2, 23-4-2010 n. 9748); e ciò
in quanto, per il principio dell'autosufficienza del
ricorso per cassazione, la Corte di Cassazione deve
essere posta in grado di compiere tale valutazione in
base alle sole deduzioni contenute nell'atto, alle cui
lacune non è consentito sopperire con indagini
integrative (Cass. Sez. Un., 24-2-1998 n. 1988).
Nella specie il ricorrente, pur
avendo trascritto il contenuto dei capitoli di prova
articolati nel giudizio di merito, ha omesso di indicare
i nominativi dei testi da escutere, non ponendo, quindi,
questa Corte nelle condizioni di valutare se sussisteva
o meno la decisività delle prove non ammesse.
Le critiche rivolte dalla
ricorrente in ordine alla mancata ammissione della
richiesta consulenza tecnica d'ufficio sono prive di
fondamento.
È il caso di rammentare che la
consulenza tecnica d'ufficio è un mezzo istruttorio (e
non una prova vera e propria) sottratto alla
disponibilità delle parti ed affidato al prudente
apprezzamento del giudice del merito, rientrando nel
potere discrezionale di quest'ultimo la valutazione di
disporre la nomina dell'ausiliario giudiziario; e tale
valutazione, se adeguatamente motivata, non può essere
sindacata in sede di giudizio di legittimità (v. Cass.
Sez. 2, 6-5-2002 n. 6479; Sez. 3, 2-3-2006 n. 4660; Sez.
1, 5-7-2007 n. 15219; Sez. L., 21-4-2010 n. 9461).
Nel caso in esame, la Corte di
Appello ha dato sufficiente conto delle ragioni per le
quali ha ritenuto di non far ricorso ad indagini
tecniche volte alla quantificazione del dedotto danno da
lucro cessante, spiegando che dagli atti non è emerso un
collegamento causale tra i minori guadagni eventualmente
acclarati per il periodo successivo al 1993 e la
situazione dedotta dalla Pizzeria il Veliero. La
decisione impugnata, pertanto, in quanto sorretta da
adeguata motivazione, non è censurabile in questa sede.
2) Con il secondo motivo la
ricorrente si duole dell'omessa, insufficiente, illogica
e contraddittoria motivazione in ordine alla imputazione
dei danni da essa reclamati alla condotta colposamente
omissiva della promissaria acquirente. Deduce, in
particolare, che, contrariamente a quanto ritenuto dalla
Corte di Appello, gli interventi da eseguire
sull'immobile promesso in vendita non avevano natura
meramente manutentiva, consistendo nell'integrale
rifacimento degli impianti e nella totale
ristrutturazione del tetto, resa indifferibile dalle
copiose infiltrazioni di acqua. Sostiene che la
motivazione della sentenza impugnata è illogica e
contraddittoria laddove, pur riconoscendo la grave
inadempienza della promittente venditrice, pretende di
imputare i danni alla promittente acquirente, in
considerazione di un'asserita condotta colposa della
Pizzeria, la quale, secondo il ragionamento del giudice
di appello, pur non avendo, nonostante i reiterati
solleciti, conseguito la proprietà dell'immobile
promesso in vendita, avrebbe dovuto sobbarcarsi i costi
assai gravosi delle opere di ristrutturazione del
medesimo.
Il motivo è infondato.
La Corte di Appello ha disatteso la
domanda di risarcimento danni avanzata dall'attrice
sulla base di una motivazione esaustiva e non
contraddittoria, con la quale ha rilevato in primo luogo
che non vi è prova che l'immobile promesso in vendita
non fosse utilizzabile se non con l'esecuzione di
interventi onerosi di manutenzione. Ha aggiunto che
dalla stessa versione dei fatti fornita dalla stessa
Pizzeria il Veliero, così come risultante dai capitoli
di prova, emerge che per effetto della scelta compiuta
dalla odierna ricorrente di non eseguire i lavori, in
quanto implicanti una spesa di svariate decine di
milioni, si sarebbe determinato un danno ben superiore,
avendo la Pizzeria quantificato (cap. 15) i mancati
ricavi in lire 200.000.000. Di qui il rilievo secondo
cui l'evento dannoso dedotto (inagibilità sopravvenuta
dell'immobile oggetto del preliminare dalla quale
l'attrice intende far derivare il danno da mancato
guadagno) è frutto della condotta colpevolmente omissiva
della Pizzeria il Veliero, la quale, avendo conseguito
il possesso dell'immobile anticipatamente rispetto al
trasferimento del diritto di proprietà, era onerata
dell'esecuzione degli interventi manutentivi necessari
per la conservazione della cosa. Con la conclusione,
pienamente coerente, secondo cui il pregiudizio
patrimoniale lamentato dall'attrice non può essere
ricollegato causalmente con l'inadempimento della C.
rispetto all'obbligo di trasferire alla Pizzeria la
proprietà dell'immobile.
Si tratta di argomentazioni che
valgono a fornire una valida base argomentativa alla
decisione adottata e a fronte delle quali le censure
mosse dalla ricorrente, attraverso la formale
prospettazione di vizi di motivazione, mirano, in buona
sostanza, ad ottenere una diversa valutazione delle
emergenze processuali; il tutto al fine di ribaltare il
giudizio espresso dalla Corte territoriale circa la
mancanza di un nesso eziologico tra l’acclarato
inadempimento della promittente venditrice agli obblighi
derivanti dal contratto preliminare e il danno da lucro
cessante asseritamente subito dalla prominente
acquirente, rappresentato dai mancati guadagni connessi
alla dedotta inagibilità sopravvenuta dell'immobile
promessole in vendita. In tal modo, peraltro, si
sollecita a questa Corte l'esercizio di poteri di
cognizione che esulano dai limiti del sindacato di
legittimità ad essa riservato. I vizi di motivazione
denunciabili ex art. 360 n. 5 c.p.c., infatti, non
possono consistere nella difformità dell'apprezzamento
dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito
rispetto a quello preteso dalla parte, perché spetta
solo a quel giudice individuare le fonti del proprio
convincimento e a tale fine valutare le prove,
controllarne la attendibilità e la concludenza,
scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute
idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare
prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova (tra le
tante v. Cass. 14-10-2010 n. 21224; Cass. 5-3-2007 n.
5066; Cass. 21-4-2006 n. 9368; Cass. 20-4-2006 n. 9234).
3) Poiché la C. non ha svolto
alcuna attività difensiva, nei suoi confronti non va
emessa alcuna pronuncia sulle spese.
Analogamente, non deve provvedersi
sulle spese nei confronti del Ministero dell'Economia e
delle Finanze, la cui attività difensiva si è esaurita
nel deposito di un controricorso inammissibile, in
quanto notificato alla ricorrente oltre il termine
prescritto dall’art. 370 c.p.c.. Il controricorso
inammissibile (nella specie, per tardività della
notificazione), infatti, non può essere posto a carico
del ricorrente (soccombente) nel computo dell'onorario
di difesa da rimborsare al resistente, che deve essere
quindi limitato alla eventuale discussione della causa
fatta dal patrono della parte vittoriosa alla pubblica
udienza (Cass. Sez. 3,2-11-2010 n. 22269).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. |