Segnalata dall'Avv. Luca Maenza
Svolgimento del processo
DirittoCon citazione notificata in
data 18 ottobre 2004, M. P. conveniva in giudizio V.P. e
B.C. esponendo che nel 1987 suo padre aveva concesso in
locazione ai convenuti un appartamento in Forlì; che nel
2003, dopo la morte del padre, aveva già intentato nei
confronti dei convenuti una causa per risoluzione
contrattuale e risarcimento dei danni arrecati
all'immobile; che tale causa si era conclusa con una
conciliazione in base alla quale i convenuti si erano
impegnati a rilasciare l'immobile; che, entrata
nell'appartamento, aveva avuto modo di verificare che
dall'immobile erano stati asportati caldaia,
termosifoni, porte, scuretti ed altro subendo danni per
un importo di euro 49.000.
Nel corso del giudizio, si
costituivano i convenuti, i quali, dopo aver fatto
presente di aver asportato soltanto beni di loro
proprietà deducevano che all'atto della riconsegna
dell'immobile la M. aveva sottoscritto una transazione
in cui dichiarava di non aver nulla a pretendere.
In esito al giudizio, il Tribunale
rigettava la domanda attrice ed avverso tale decisione
la M. proponeva appello, definito con sentenza
depositata in data l aprile 2009, con cui la Corte di
Appello di Bologna rigettava l'impugnazione. Avverso la
detta sentenza la M. ha quindi proposto ricorso per
cassazione articolato in nove motivi, illustrato da
memoria. Resistono con controricorso il V. e la B.
Motivi della decisione
Con la prima doglianza, deducendo
il vizio di motivazione contraddittoria circa un punto
decisivo della controversia, la ricorrente ha censurato
la tesi della Corte di Appello, secondo cui la somma di
euro 7.500,00 da lei versata in sede conciliativa, non
avrebbe costituito il compenso per le addizioni e
migliorie apportate ma avrebbe invece costituito il
corrispettivo della rinuncia alla domanda
riconvenzionale, proposta dai conduttori, per ottenere
il risarcimento dei danni subiti a causa
dell'inadempimento di essa locatrice, la quale aveva
richiesto il rilascio dell'immobile prima della
scadenza.
Ed invero - e tali rilievi
sostanziano la seconda e terza doglianza, articolate
rispettivamente sotto il profilo della violazione e/o
falsa applicazione dell'art. 1362 e dell'art.1366 cc la
Corte territoriale, attribuendo al versamento della
somma suddetta il significato di corrispettivo della
rinuncia, come sopra specificato, avrebbe nel medesimo
tempo violato i principi dell'interpretazione letterale
e dell'interpretazione secondo buona fede previsti in
materia di ermeneutica contrattuale.
I motivi, che vanno esaminati
congiuntamente in quanto, sia pure sotto diversi ed
articolati profili, prospettano l’unica censura
concernente l'erroneità della interpretazione data dai
giudici di seconde cure al versamento della somma di cui
sopra, sono inammissibili. Ed invero, la ragione di
inammissibilità deriva dal rilievo che le doglianze,
come risulta di ovvia evidenza dalle espressioni usate
dalla ricorrente, non concernono violazioni o false
applicazioni del dettato normativa bensì la valutazione
della realtà fattuale, come è stata operata dalla Corte
di merito. In effetti, la ricorrente, si limita a
contrapporre la propria interpretazione a quella datane
dai giudici di seconde cure e mira ad un'ulteriore
valutazione delle risultanze processuali, che non è
consentita in sede di legittimità, spettando solo al
giudice del merito valutare le prove , controllarne
l’attendibilita' e la concludenza. Con la conseguenza
che deve ritenersi inammissibile la doglianza mediante
la quale la parte ricorrente, pur deducendo formalmente
un vizio di legittimità o anche un vizio motivazionale,
avanza, nella sostanza delle cose, così come nel caso di
specie, un'ulteriore istanza di revisione delle
valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito,
diretta all'ottenimento di una nuova pronuncia sul
fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalita'
del giudizio di cassazione.
E ciò, senza considerare che, in
materia di ermeneutica contrattuale, è censurabile in
sede di legittimità soltanto la determinazione dei
criteri generali ed astratti da applicare al caso
concreto, mentre costituisce accertamento di fatto, come
tale incensurabile in detta sede, se sorretto da
motivazione adeguata ed immune da vizi logici e
giuridici, la valutazione delle risultanze processuali.
Inoltre secondo consolidato orientamento
giurisprudenziale, il vizio di motivazione, sotto il
profilo della contraddittorietà della medesima, può
dirsi sussistente solo quando esista insanabile
contrasto tra le argomentazioni complessivamente
adottate, tale da non consentire l'identificazione del
procedimento logico¬giuridico posto a base della
decisione (cfr Cass. n.29203/08, n. 9368/06, n.2399/04).
Tutto ciò premesso e considerato, va rilevato che la
ricorrente no. 1 ha saputo indicare le ragioni secondo
le quali sarebbero stati violati i criteri ermeneutici
indicati cosi come non ha saputo evidenziare effettive
contraddizioni nel percorso motivazionale della sentenza
impugnata.
Passando a11'esame delle successive
censure, va osservato che la quarta doglianza, svolta
sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione
dell'art.1362 cc, si fonda sulla considerazione che la
Corte di Appello avrebbe sbagliato quando ha ritenuto
che la dichiarazione rilasciata
il 30 aprile 2004, con cui essa M.
dichiarava di non aver null'altro da pretendere dai
conduttori a qualunque titolo e/o spesa passati e futuri
relativamente alla locazione oggetto di transazione, non
fosse una era clausola di stile come doveva essere
invece intesa per la sua genericità.
Del resto - in tal modo si passa ad
esaminare le due successive censure - la suddetta
dichiarazione costituiva una dichiarazione di scienza
priva di efficacia negoziale concretando una semplice
manifestazione del convincimento dell'interessato di
essere soddisfatto di tutti i suoi diritti (in tali
termini, il quinto motivo per violazione degli artt.
1199, 1362, 1 965cc) La Corte avrebbe motivato in
maniera contraddittoria descrivendo come preciso e
circostanziato l'oggetto della quietanza benché essa si
limitasse a far riferimento alla locazione intervenuta
senza alcun accenno ai danni riguardo ai quali era
destinata ad operare (in tali termini, la sesta
doglianza per motivazione contraddittoria su un punto
decisivo della controversia).
Tali motivi, che possono essere
trattati congiuntamente, proponendo profili di censura
intimamente connessi tra loro, sane infondati. Ed
invero, sono clausole di stile solo quelle espressioni
generiche frequente mente contenute nei contratti o
negli atti notarili, che per la loro eccessiva ampiezza
e indeterminazione rivelano la funzione di semplice
completamento formale mentre non può considerarsi tale
la clausola che abbia un concreto contenuto volitivo ben
determinato, riferibile al negozio posto in essere dalle
parti (cfr Cass. n.5203/83, Cass.1950/09).
Nel caso di specie, il giudice a
quo ha ritenuto che la menzionata clausola non poteva
essere intesa quale mera clausola di stile, alla luce
della considerazione che " la detta rinuncia è precisa e
circostanziata e comprende qualunque titolo o spesa
passati o futuri relativi al rapporto locatizio oggetto
della transazione; il che significa in termini più
espliciti che essa M. con particolare riferimento a
titoli futuri .ha inteso rinunciare ora per allora ad
eventuali future controversie suscettibili di sfociare
in un contenzioso relativo al contratto de quo”.
Ciò posto, deve ritenersi che la
Corte territoriale ha argomentato adeguatamente sul
merito della questione con una motivazione sufficiente,
logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa
applicabile, evidenziando la specificità e la
funzionalità della clausola a testimonianza della sicura
consapevolezza e volontà dei contraenti. Ed è appena il
caso di osservare che l'accertamento se una determinata
clausola contrattuale sia soltanto "di stile" ovvero
contenga una reale concreta manifestazione di volontà
dei contraenti è rimesso all'apprezzamento del giudice
di merito ed è, come tale incensurabile in Cassazione
qualora sia adeguatamente motivato. Ne deriva
l'infondatezza delle ragioni di doglianza.
Restano da esaminare gli ultimi tre
motivi di impugnazione con cui il ricorrente ha
rispettivamente denunciato la contraddittorietà della
motivazione nella parte in cui i giudici di seconde cure
hanno ritenuto di non accogliere la richiesta di CTU per
l'avvenuta ristrutturazione dell’immobile mentre la
richiesta di CTU prescindeva dalla ristrutturazione (7°
motivo); l'omessa pronuncia su una domanda contenuta in
un motivo di appello, relativa all'obbligo del
conduttore ex art. l590 cc di restituire la cosa nel
medesimo stato in cui l'aveva ricevuta (8° motivo); l'
insufficiente motivazione della sentenza su un punto
decisivo della controversia, costituito dal giudizio di
irrilevanza delle prove testimoniali richieste in
appello, non avendo la Corte chiarite le ragioni
dell’irrilevanza (9° motivo).
Le doglianze sono inammissibili: in
primo luogo, perché non sono in correlazione con le
ragioni della decisione, fondate sulla preclusione
derivante dalla rinuncia, formalizzata dalla M. in sede
di transazione, ad ogni future; azione risarcitoria con
conseguente superfluità sia dell'indagine tecnica sia
della prova testimoniale, sia della verifica
dell'obbligo dei conduttori di cui all'art.1590 cc.; in
secondo luogo la considerazione riguarda in particolare
il settimo ed il nono motivo perché il vizio di
motivazione per omessa ammissione della prova
testimoniale o di altra prova o anche di una richiesta
di CTU può essere denunciato per cassazione solo nel
caso in cui essa abbia determinato l'omissione di
motivazione su un punto decisivo della controversia e,
quindi, ove la prova o la CTU non ammessa sarebbero
state idonee a dimostrare circostanze tali da
invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera
probabilità, l'efficacia delle altre risultanze
istruttorie che hanno determinato il convincimento del
giudice di merito, di modo che la "ratio decidendi"
sarebbe venuta a trovarsi priva di fondamento. (cfr
Cass. n. 5377/11, Cass. n. 11457/07) La denuncia in sede
di legittimità avrebbe dovuto contenere pertanto
l’indicazione delle ragioni per le quali la prova per
testi o la CTU non ammesse avrebbero senza dubbio dato
luogo ad una decisione diversa, onere che non è stato
invece assolto dalla ricorrente.
Considerato che la sentenza
impugnata appare esente dalle censure dedotte, ne
consegue che il ricorso per cassazione, in esame,
siccome infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del
ricorso segue la condanna della ricorrente alla
rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità,
liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese
processuali che liquida in euro 2.200,00 di cui euro
200,00 per esborsi oltre accessori di legge. |