Pubblicato il: 08/11/2011
La diversa disciplina dettata dagli
articoli 1110 e 1134 cod. civ. in materia di rimborso
delle spese sostenute dal partecipante per la
conservazione della cosa comune, rispettivamente, nella
comunione e nel condominio di edifici, che condiziona il
relativo diritto, in un caso, a mera trascuranza degli
altri partecipanti e, nell'altro caso, al diverso e piu'
stringente presupposto dell'urgenza, trova fondamento
nella considerazione" che, nella comunione, i beni
comuni costituiscono l'utilita' finale del diritto dei
partecipanti, i quali, se non vogliono chiedere lo
scioglimento, possono decidere di provvedere
personalmente alla loro conservazione, mentre nel
condominio i beni predetti rappresentano utilita'
strumentali al godimento dei beni individuali, sicche'
la legge regolamenta con maggior rigore la possibilita'
che il singolo possa interferire nella loro
amministrazione. Ne discende che, istaurandosi il
condominio sul fondamento della relazione di
accessorieta' tra i beni comuni e le proprieta'
individuali, poiche' tale situazione si riscontra anche
nel caso di condominio minimo, cioe' di condominio
composto da due soli partecipanti, la spesa
autonomamente sostenuta da uno di essi e' rimborsabile
solo nel caso in cui abbia i requisiti dell'urgenza, ai
sensi dell'articolo 1134 cod. civ."
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele -
Presidente
Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio -
Consigliere
Dott. PETITTI Stefano - rel.
Consigliere
Dott. MANNA Felice - Consigliere
Dott. D'ASCOLA Pasquale -
Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GU. MA. FR. (C.F.: (OMESSO)),
rappresentata e difesa, per procura speciale a margine
del ricorso, dall'Avvocato Mario Franco, elettivamente
domiciliata in Roma, via Ziliotto n. 20, presso l'ing.
Ferdinando Fusco;
- ricorrente -
contro
GU. AN. (C.F.: (OMESSO)), GU. FI.
(C.F.: (OMESSO)), G. F. (C.F.: (OMESSO)), rappresentati
e difesi, per procura speciale in calce al
controricorso, dall'Avvocato Castronuovo Michele,
elettivamente domiciliati in Roma, viale Giulio Cesare
n. 59, presso lo studio dell'Avvocato Mario Cesareo;
- controricorrenti -
e
CI. GR. (C.F.: (OMESSO)),
elettivamente domiciliata in Roma, via Virginia n. 23,
presso lo studio dell'Avvocato Davide Amorosi,
rappresentata e difesa dall'Avvocato Adelina Cervino per
procura speciale in calce al controricorso;
- controricorrente -
nonche'
LI. RO. , GU. VI. fu Lo. ,;
- intimati -
avverso la sentenza del Tribunale
di Lagonegro n. 181 del 2004, depositata il 9 agosto
2004;
Udita, la relazione della causa
svolta nell'udienza pubblica del 14 aprile 2011 dal
Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;
udito il Pubblico Ministero, in
persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO
Rosario Giovanni, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente
notificato, Gu. Ma. Fr. conveniva in giudizio, dinnanzi
al Giudice di pace di Sant'Arcangelo, Gu. Vi. , Li. Ro.
, Gu. An. , Gu. Fi. , G. F. e Ci. Gr. e, assumendo di
essere comproprietaria e condomina di un immobile sito
in (OMESSO), frazione (OMESSO), unitamente ai convenuti,
chiedeva la condanna di questi ultimi al pagamento, con
vincolo solidale o separatamente, della somma di lire
2.789,250, oltre interessi, assumendo di avere fatto
eseguire, previo consenso dei convenuti, lavori di
riparazione dell'immobile comune e di avere anticipato
la somma relativa ai canoni dell'acqua per il periodo
luglio-settembre 2000.
Instauratosi il contraddittorio, i
convenuti, ad eccezione di Gu. Vi. , si costituivano e
contestavano la domanda, in quanto i lavori erano stati
eseguiti senza il loro consenso e comunque perche' si
trattava di spese non urgenti.
L'adito Giudice di pace, con
sentenza depositata il 4 maggio 2002, rigettava la
domanda.
Gu. Ma. Fr. proponeva appello,
sostenendo che il Giudice di pace aveva errato
nell'applicare l'articolo 1134 cod. civ. e dolendosi
della mancata decisione in ordine alle spese relative ai
canoni dell'acqua.
Si costituivano gli appellati, ad
eccezione di Gu. Vi. , chiedendo il rigetto del gravame.
Ci. Gr. reiterava l'eccezione di difetto di
legittimazione passiva.
Con sentenza depositata il 9 agosto
2004, il Tribunale di Lagonegro, in parziale
accoglimento del gravame, condannava i convenuti al
pagamento della somma di euro 19,92 ciascuno,
compensando integralmente le spese del doppio grado di
giudizio.
Il Tribunale, rilevato che
correttamente il Giudice di pace aveva fatto
applicazione dell'articolo 1134 cod. civ., ha poi
ritenuto che non fosse stata dimostrata l'urgenza della
esecuzione dei lavori, atteso che la denuncia al Comune
era stata presentata il 26 gennaio 2000, mentre i lavori
erano stati eseguiti nel mese di ottobre 2000, e che
dovesse escludersi che gli altri condomini avessero
avuto regolare preavviso in ordine ai lavori da eseguire
e avessero prestato il loro consenso alla esecuzione
delle opere.
Il Tribunale riteneva invece
fondato il gravame con riferimento alla domanda relativa
alla restituzione delle somme versate a titolo di
pagamento dei canoni dell'acqua, per un importo
documentato di lire 270.000; detta somma doveva quindi
essere ripartita tra i sette condomini, con la
conseguenza che i convenuti dovevano essere condannati
al pagamento ciascuno di euro 19,92, oltre agli
interessi legali.
Per la cassazione di questa
sentenza Gu. Ma. Fr. ha proposto ricorso sulla base di
quattro motivi; hanno resistito, con distinti
controricorsi, Ci. Gr. , da un lato, e Gu. An. , Gu. Fi.
e G. F. , dall'altro; gli altri intimati non hanno
svolto attivita' difensiva.
La ricorrente ha depositato
memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente
denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli
1134, 1136 e 1139 cod. civ..
La ricorrente, dopo aver ricordato
il contenuto delle censure rivolte alla sentenza di
primo grado, tutte miranti a dimostrare la erronea
applicazione, nel caso di specie, dell'articolo 1134
cod. civ. in luogo dell'articolo 1110 cod. civ., che
consente la ripetizione delle spese sostenute dal
comproprietario diligente per la esecuzione delle opere
di manutenzione del bene comune, si duole del fatto che
il Tribunale avrebbe motivato il proprio convincimento
esclusivamente argomentando dal rinvio, contenuto
nell'articolo 1139 cod. civ., alle norme sulla
comunione, che e' invece norma da interpretare
restrittivamente e che mal si adatta all'estensione
anche ai diritti reali condominiali, riguardando invece
solo quelli personali dei partecipanti, e alla loro
organizzazione finalizzata al godimento del bene comune.
Con il secondo motivo, la
ricorrente denuncia il vizio di omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione in ordine alla urgenza
dell'intervento conservativo eseguito, non avendo il
Tribunale tenuto conto della prova testimoniale, dalla
quale emergeva invece anche la sussistenza del requisito
dell'urgenza. Il Tribunale sarebbe quindi incorso
nell'omesso esame delle risultanze istruttorie,
essendosi limitato ad esprimere concetti insufficienti e
inappropriati in ordine alla indifferibilita' della
spesa senza danno o pericolo, argomentando sui tempi tra
denuncia di inizio attivita' ed esecuzione dei lavori e
trascurando di pronunciarsi sulla provata esistenza del
pericolo e della connessa urgenza di ovviarvi, ed
omettendo altresi' di dare conto del fatto che dalla
istruttoria emergeva anche la prova dell'avvenuta
comunicazione ai comproprietari della necessita'
dell'intervento. Il Tribunale, infine, non avrebbe dato
conto della richiesta di ammissione di una c.t.u. dalla
quale avrebbe potuto attingere elementi caratterizzanti
il presupposto della spesa urgente.
Con il terzo motivo, la ricorrente
denuncia ancora vizio di motivazione e violazione di
legge, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., nn. 4 e 5,
dolendosi della mancata ammissione della richiesta
consulenza tecnica d'ufficio.
Con il quarto motivo, la ricorrente
lamenta violazione e falsa applicazione degli articoli
1101, 1118 e 1123 cod. civ. e "omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione sull'obbligo dei
comproprietari di contribuire alle spese sostenute per
la conservazione della cosa comune; errore di calcolo
delle spettanze contributive, non considerate nella loro
richiesta quantita', e delle quote a carico dei
partecipanti".
La ricorrente si duole del fatto
che il Tribunale abbia limitato la condanna per
l'anticipazione delle spese relative ai canoni
dell'acqua all'importo versato per il periodo luglio
settembre 2000, dimenticando che i convenuti avevano
anche ammesso nel verbale di udienza del 10 dicembre
2001 di essere debitori, per il medesimo titolo, anche
di altri importi. Inoltre, il Tribunale avrebbe errato
nel suddividere l'importo dovuto in sette parti, laddove
comproprietari dell'immobile erano, oltre a lei, altri
due gruppi di convenuti; circostanza, questa, che aveva
consentito al Tribunale di ritenere esistente un
condominio di sette persone, laddove i comproprietari
erano tre e il condominio non era stato costituito, ne'
avrebbe dovuto esserlo. Da ultimo, la ricorrente lamenta
che il Tribunale non abbia fatto decorrere dal momento
di esecuzione dei lavori gli oneri reali cadenti sulla
cosa comune.
Il primo motivo di ricorso e'
infondato.
Il Tribunale ha correttamente e
motivatamente ricondotto la fattispecie oggetto di
giudizio all'ambito di applicabilita' dell'articolo 1134
cod. civ.. Tale soluzione e' in linea con l'approdo
giurisprudenziale costituito dalla sentenza delle
Sezioni Unite di questa Corte, la quale ha affermato il
principio secondo cui "la diversa disciplina dettata
dagli articoli 1110 e 1134 cod. civ. in materia di
rimborso delle spese sostenute dal partecipante per la
conservazione della cosa comune, rispettivamente, nella
comunione e nel condominio di edifici, che condiziona il
relativo diritto, in un caso, a mera trascuranza degli
altri partecipanti e, nell'altro caso, al diverso e piu'
stringente presupposto dell'urgenza, trova fondamento
nella considerazione" che, nella comunione, i beni
comuni costituiscono l'utilita' finale del diritto dei
partecipanti, i quali, se non vogliono chiedere lo
scioglimento, possono decidere di provvedere
personalmente alla loro conservazione, mentre nel
condominio i beni predetti rappresentano utilita'
strumentali al godimento dei beni individuali, sicche'
la legge regolamenta con maggior rigore la possibilita'
che il singolo possa interferire nella loro
amministrazione. Ne discende che, istaurandosi il
condominio sul fondamento della relazione di
accessorieta' tra i beni comuni e le proprieta'
individuali, poiche' tale situazione si riscontra anche
nel caso di condominio minimo, cioe' di condominio
composto da due soli partecipanti, la spesa
autonomamente sostenuta da uno di essi e' rimborsabile
solo nel caso in cui abbia i requisiti dell'urgenza, ai
sensi dell'articolo 1134 cod. civ." (Cass., S.U., n.
2046 del 2006).
Si deve solo aggiungere che
correttamente il Tribunale ha ritenuto applicabile la
disposizione di cui all'articolo 1134 cod. civ., pur se,
nella specie, il condominio non risultava formalmente
costituito, con nomina dell'amministratore, atteso che
la disciplina del condominio negli edifici opera per il
semplice fatto che coesistano in un fabbricato, come
nella specie, parti di proprieta' comune e parti di
proprieta' esclusiva.
La ricorrente, con il primo motivo
di ricorso, del resto, si limita a ripetere le
argomentazioni svolte a sostegno della impugnazione
della sentenza di primo grado e non censura
specificamente le ragioni addotte dal Tribunale in
ordine alla ritenuta applicabilita' dell'articolo 1134
cod. civ..
Infondato e' altresi' il secondo
motivo, con il quale la ricorrente denuncia vizio di
motivazione in ordine alla valutazione circa la
affermata insussistenza dell'urgenza, all'accertamento
della quale soltanto, ai sensi dell'articolo 1134 cod.
civ., e' subordinato il diritto del condomino ad
ottenere la restituzione di quanto anticipato per i
lavori eseguiti sulle parti comuni. Il Tribunale,
infatti, ha dato conto delle ragioni in base alle quali
ha ritenuto insussistente la urgenza dei lavori, e
segnatamente ha rilevato come, in relazione ai lavori in
questione, la denuncia di inizio dei lavori fosse stata
presentata al Comune il 26 gennaio 2000, mentre i lavori
avevano avuto inizio solo nel mese di ottobre, e ha
trovato conferma della insussistenza dell'urgenza nelle
deposizioni assunte nel corso del giudizio di primo
grado.
A fronte di tale specifico e
congruo accertamento compiuto dal giudice di appello,
le, peraltro generiche, censure svolte dalla ricorrente
si risolvono, in sostanza, nella richiesta di un diverso
apprezzamento in punto esistenza o no dell'urgenza dei
lavori, il che non e' consentito in sede di
legittimita'. E' noto, infatti, che "il vizio di omessa
o insufficiente motivazione, deducibile in sede di
legittimita' ex articolo 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo
se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta
dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o
deficiente esame di punti decisivi della controversia e
non puo' invece consistere in un apprezzamento dei fatti
e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla
parte, perche' la citata norma non conferisce alla Corte
di legittimita' il potere di riesaminare e valutare il
merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto
il profilo logico-formale e della correttezza giuridica,
l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al
quale soltanto spetta di individuare le fonti del
proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le
prove, controllarne l'attendibilita' e la concludenza, e
scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute
idonee a dimostrare i fatti in discussione" (v., da
ultimo, Cass. 18 marzo 2011, n. 6288).
Per le considerazioni svolte in
ordine al secondo motivo, deve ritenersi infondato anche
il terzo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente
si duole del fatto che il giudice di appello non abbia
dato corso alla richiesta di consulenza tecnica
d'ufficio. In presenza, infatti, di elementi che
positivamente inducevano ad escludere la esistenza
dell'urgenza dei lavori, la mancata ammissione di una
consulenza tecnica d'ufficio, dal carattere
evidentemente esplorativo, appare implicitamente, ma non
per questo insufficientemente, motivata.
Il quarto motivo di ricorso e'
inammissibile sotto tutti i profili nei quali esso si
articola. Con riferimento al fatto che il Tribunale
abbia limitato il diritto della ricorrente unicamente
alla restituzione, pro quota, delle spese sostenute per
il pagamento della fattura dell'acqua per il trimestre
luglio - settembre 2000, e non lo abbia invece esteso ai
trimestri successivi, il ricorrente avrebbe dovuto
dimostrare che una domanda siffatta, era stata
ritualmente e tempestivamente introdotta in giudizio e
poi dolersi della mancata pronuncia sul punto da parte;
dei giudici di merito. Al contrario, la ricorrente si e'
limitata a riferire di avere chiesto la condanna al
pagamento "di ogni somma dovuta", senza dedurre di avere
formulato a titolo di restituzione delle spese sostenute
per l'acqua nei trimestri successivi una specifica
domanda, e ha poi denunciato un vizio di omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione; denuncia,
questa, che non consente al Collegio di accedere
all'esame degli atti processuali e di verificare se una
simile specifica domanda fosse stata proposta o no.
Con riferimento alla doglianza
concernente il fatto che il Tribunale ha ripartito
l'importo della fattura in sette parti, addebitando il
pagamento delle singole quote a ciascuna delle parti
convenute, si deve rilevare, da un lato, che la
ricorrente si e' limitata ad allegare che l'esistenza di
tre gruppi di condomini, ma non ha in alcun modo
documentato tale asserzione; da un altro lato, che la
medesima ricorrente difetta di interesse sostanziale
alla proposta censura atteso che la detta ripartizione -
non oggetto di impugnazione incidentale - opera a suo
favore, atteso che ella potra' beneficiare della
restituzione di somme superiori a quella che, con il
diverso criterio, le sarebbero spettate; da un altro
lato ancora, che la censura relativa alla omessa
pronuncia "sul momento di insorgenza dell'obbligo di
pagamento degli oneri reali cadenti sulla cosa comune al
partecipante che ha acquistato l'appartamento, da
fissarsi nel momento in cui vendono eseguiti i lavori",
risulta priva di oggetto, atteso che e' mancante la
statuizione rispetto alla quale potrebbe porsi un
problema di individuazione del momento di decorrenza del
pagamento.
In conclusione, il ricorso deve
essere rigettato, con conseguente condanna della
ricorrente, in applicazione del principio della
soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio di
legittimita', liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimita', che si liquidano, in favore di
ciascun gruppo di controricorrenti, in complessivi euro
700,00, di cui euro 500,00 per onorari, oltre alle spese
generali e agli accessori di legge.
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