Persona e danno.it
Il Pubblico Ministero che, durante
l’interrogatorio di garanzia davanti al Giudice,
manifesta il proprio dissenso innanzi ai difensori
dell'imputato, deve essere sanzionato.
Qualora infatti il P.M. non sia
d'accordo con l'Autorità giudicante, l'unico in modo in
cui può essere esplicitato tale disaccordo è quello del
ricorso alle censure previste dal codice processuale.
Nel caso di specie, il G.I.P. aveva
revocato le tre ordinanze di custodia cautelare emesse
nei confronti di un avvocato, sospettato di aver
molestato delle studentesse. Il giorno seguente, durante
l’interrogatorio di garanzia, il P.M. aveva chiesto
spiegazioni al Giudice e, durante il confronto, aveva
colpito violentemente il tavolo, per poi allontanarsi.
La Corte di legittimità chiamata a
valutare il provvedimento del C.S.M., precisa che, ai
fini disciplinari, non rilevano in alcun modo le
modalità di manifestazione del disappunto, in quanto
l’Autorità inquirente, qualora non sia d’accordo con il
provvedimento del G.I.P., non può far altro censurarlo
con i mezzi previsti dal codice di rito. Svolgimento del
processoCon ricorso depositato il 19 aprile 2011 presso
la segreteria del Consiglio Superiore della
Magistratura, T.E. , in forza di due motivi, chiedeva di
cassare la sentenza n. 40/2011 (pronunciata il 18
febbraio 2011, depositata il 21 marzo 2011) con la quale
la sezione disciplinare di detto Consiglio, ritenutolo
colpevole dell’incolpazione ascrittagli, gli aveva
irrogato la sanzione della, “censura”.
Nessuno
degli intimati svolgeva attività difensiva.
Motivi della decisione
1. La sentenza gravata considera la
seguente incolpazione:
"illecito
disciplinare di cui all’art. 2, comma 1, lettere d) ed
e), del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109,
perché, quale pubblico ministero titolare del
procedimento penale n. 145/2009 RGNR aperto dalla
Procura della Repubblica di Avellino nei confronti
dell’avv. R..B. , in data 13 marzo 2009, in sede di
interrogatorio dell'indagato avanti al giudice per le
indagini preliminari ai sensi dell’art. 294 c.p.p.,
manifestava impropriamente, tra lo stupore dei presenti,
il suo risentimento all’indirizzo della GIP per la
revoca della misura cautelare da lei disposta nei
confronti dell’indagato, commentando con tono concitato
che ciò' rappresentava la fine della giustizia e della
speranza; nel corso della stessa udienza, poi, insisteva
in un atteggiamento non consono che lo induceva anche a
battere il pugno sul tavolo e infine, nell’allontanarsi
dall’aula, a sferrare un colpo contro una paratia che
rimbombava.
Tale
condotta, oltre ad integrare, per le espressioni usate,
per la sua platealità e per il contesto in cui è stata
posta in essere, un comportamento gravemente scorretto
nei confronti della Dott.ssa I. , si configura anche
come ingiustificata interferenza nell’attività del
giudice stesso, in quanto diretta, per le modalità della
reazione da parte dell’organo della pubblica accusa,
anche a condizionare il g.i.p. nella adozione di altri
provvedimenti (futuri ed eventuali) non conformi alle
richieste del pubblico ministero procedente. Notizia
circostanziata dei fatti acquisiti in data 27 luglio
2009".
Il
giudice disciplinare - esposto che: (1) “nel corso
dell’anno 2009 il pubblico ministero Dott. E..T. aveva
richiesto e ottenuto tre distinte ordinanze cautelari
applicative della misura degli arresti domiciliari nei
confronti dell’avv. B.R. , sottoposto a indagini per
molestie sessuali ai danni di alcune studentesse della
scuola in cui insegnava”; (2) “il 12 marzo 2009, in
esito a un incidente probatorio nel quale la pubblica
accusa era stata rappresentata da altro magistrato, il
giudice per le indagini preliminari, Dott. C..I. , aveva
disposto la revoca di una delle tre misure cautelari
disposte nei confronti dell’avv. B.R. ”; (3) “il giorno
successivo, in occasione dell’interrogatorio di garanzia
dell’indagato conseguente all’ultima ordinanza
cautelare, il Dott. E..T. chiese alla Dott. C..I.
spiegazioni in ordine alle ragioni della disposta revoca
della misura cautelare”;
(4)
“secondo la versione del giudice, corroborata dalle
testimonianze acquisite, la richiesta di spiegazioni
trasmodò negli atteggiamenti aggressivi e protestatari
descritti nell’atto di incolpazione”; (5) “secondo la
versione dell’incolpato la richiesta di chiarimenti era
stata del tutto serena, benché accompagnata da una
manifestazione di sconcerto per quanto deciso il giorno
precedente” (“in particolare il Dott. E..T. nega di
avere rimproverato la Dott. I.C. e di aver sferrato un
pugno o un calcio contro una parete di legno”); (6)
“all’odierna udienza la Dott. C..I. ha confermato le sue
precedenti dichiarazioni, fornendo le precisazioni
richieste dalle parti”; ritenuto che: (a) “la
ricostruzione dei fatti posta a base dell’incolpazione è
certamente attendibile” (“benché all’odierna udienza
dibattimentale la Dott. C..I. abbia in qualche misura
attenuato i toni”) in quanto “la sua originaria versione
trova... piena conferma nelle concordi deposizioni della
cancelliera Ma..Tu. , presente in udienza, del
magistrato Dott. P..C. , cui la Dott. C..I. visibilmente
turbata narrò nell’immediatezza la vicenda, e dell’avv.
V.E. , difensore dell’avv. R..B. e presente
all’interrogatorio” (“in particolare dalla deposizione
del Dott. P..C. risulta che, nel corso di un’udienza
destinata a un interrogatorio di garanzia, il Dott. E..T.
aveva vivacemente contestato un precedente provvedimento
del giudice I. ”); (b) “del resto lo stesso Dott. E..T.
ha sin dalle sue prime dichiarazioni ammesso di avere
manifestato sconcerto nei confronti del giudice per il
provvedimento adottato il giorno precedente” - ha
assolto l’incolpato dall’”illecito di cui alla lett. e),
dell’art. 2, comma 1, d.lgs. 23 febbraio 2006 n. 109” e,
giudicatolo colpevole dell’”illecito di cui alla lettera
d)” del medesimo articolo, gli ha inflitto la “sanzione
della censura” (“sanzione minima applicabile”)
affermando essere indubbio (“non v’è dubbio”) che “il
comportamento dell’incolpato fu gravemente scorretto nei
confronti della Dott. C..I. , perché, come il giudice
ricordò subito al pubblico ministero, i provvedimenti
giurisdizionali vanno censurati con gli appositi mezzi
di impugnazione; mentre del tutto inopportunamente il
Dott. E..T. si espresse con gratuite censure a una
precedente decisione del giudice, nel corso di
un’udienza destinata a un interrogatorio di garanzia e
in presenza dello stesso indagato e dei suoi difensori”.
Secondo
la sezione disciplinare, inoltre, “quand’anche si fosse
trattato solo di una manifestazione di sconcerto, come
ammette l’incolpato, non era certo quella la sede per
criticare la decisione del giudice, assumendo cosi un
atteggiamento inevitabilmente destinato a innescare la
polemica dei difensori, come in effetti avvenne”.
2.
Il T. censura la decisione per due motivi.
A.
Con il primo il ricorrente denunzia “erronea
applicazione dell’art. 2 comma 1, lett. d) del D. Lgs.
23 febbraio 200 6 n. 109” e “mancanza, contraddittorietà
e manifesta illogicità della motivazione sul punto della
protesta indebita espressa dalla parte pubblica”
esponendo:
-
“nel caso... il giudizio disciplinare... sembra
essere... ancorato alle forme delle abrogate
statuizioni, con la sostanziale esclusiva valorizzazione
dei risultati della fase istruttoria e il...
travisamento dei decisivi risultati probatori derivanti
dallo svolgimento dell’istruttoria dibattimentale, unica
tendenzialmente legittimata a fondare il convincimento
del giudicante”: “la sentenza”, infatti, “fonda... il
giudizio di responsabilità dell’incolpato sulle
dichiarazioni dell’asserito soggetto passivo del
comportamento pretesamente scorretto, la Dott.ssa I. ”
mentre quest’ultima, “nel corso delle sue dichiarazioni
rese... all’udienza dibattimentale”, non ha affatto
“attenuato il peso dell’incolpazione... ma ne ha escluso
totalmente la fondatezza” avendo “recisamente escluso un
comportamento aggressivo [di esso]... T. nei suoi
confronti” (“si riporta... la parte della deposizione
resa dalla Dott. I. nel corso dell’escussione
dibattimentale”).
B.
Nell’altro motivo il T. - ritenute “condivisibili” le
“preoccupazioni sollevate” da questa “Corte in relazione
alle norme che sanzionano i comportamenti scorretti
nell’esercizio dell’attività giurisdizionale”, per le
quali (1) “si è... contestato che il comportamento...
scorretto di cui alla lett. d) del primo comma dell’art.
2 D. Lgs. 109/2006 possa essere individuato solo
nell’ambito di un provvedimento giurisdizionale reso dal
magistrato”, (2) “si è... ribadito che, ai fini della
sussistenza della responsabilità disciplinare, deve
valutarsi la condotta complessivamente tenuta... nella
vicenda” (“impegno intellettuale e morale congiuntamente
alla sua dedizione alla funzione svolta”) e (3)
“configura l’illecito disciplinare per cui è
procedimento” una “mancanza di ponderazione degli
effetti del provvedimento... e che sia indice di un
comportamento arbitrario” - denunzia “violazione
dell’art. 606 lett. b) c.p.p.: erronea applicazione
dell’art. 2, co. 1, lett. d) del D. Lgs. 109/06 in punto
di applicazione della irrogata sanzione a comportamenti
non integranti illecito disciplinare se non alla stregua
di una non corretta interpretazione della effettiva
disciplina normativa” adducendo:
-
“nel caso..., la condotta” da lui “posta in essere...
non è apprezzabile nel profilare rischi di
compromissione del prestigio dell’Ordine giudiziario”
non avendo “alterato la funzione giurisdizionale” né
“minato l’operato del giudice”: “lo sconcerto...
costituiva manifestazione di disorientamento per
l’imprevedibile svolgimento... dell’intero svolgersi
dell’incidente probatorio al quale” egli “non aveva
partecipato”, “che aveva avuto un esito assolutamente
non prevedibile”; “ritenere... che detta ammissione di
sconcerto... costituisca critica indebita, e protesta
contro l’operato giurisdizionale..., sembra essere
valutazione fondata su dati di fatto non conformi ai
risultati dell’attività probatoria, e sconfessata dal
contenuto di specifici atti”.
Il
ricorrente - assunto avere “la stessa sezione
disciplinare” precisato (“sent. 16 marzo 2001 n. 28”)
che la “condotta” costituita da “espressioni
oggettivamente forti contenute nella motivazione di
provvedimenti giurisdizionali o in interventi orali di
magistrati... non integra illecito disciplinare” quando
tali “espressioni non appaiono caratterizzate dalla mera
gratuità, dalla estraneità all’oggetto della questione,
dalla pretestuosità, né... suggerite da intenti
meramente offensivi o denigratori” - sostiene, inoltre,
che il suo “contegno” non presenta “i caratteri” della:
-
“mera gratuità”, attesa “la necessità”, “da parte del PM
titolare del procedimento”, “di raccogliere elementi che
gli fornissero cognizione dell’esito di un atto
processuale (l’incidente probatorio del giorno prima, al
quale non aveva partecipato), che si era svolto in
maniera del tutto imprevedibile rispetto alle indagini”;
-
“estraneità all’oggetto della questione”, essendo stato
il contegno “assunto mentre si stava svolgendo un altro
atto nell’ambito del medesimo procedimento...” (“si
doveva svolgere un interrogatorio di garanzia che
avrebbe portato a rivalutare il complessivo quadro
indiziario e di esigenze cautelari de[l’]... indagato”);
-
“pretestuosità”, “non essendo stata colta un’occasione a
caso per manifestare un risentimento maturato
prescindendo dalle ragioni dell’atto procedimentale che
si stava svolgendo” (“essendo quella la prima occasione
utile nella quale il PM poteva,... nell’ambito del
medesimo procedimento penale, attingere, dalla fonte
diretta, le notizie su quanto accaduto nell’incidente
probatorio del giorno prima”).
Per
il ricorrente, quindi, la sua “condotta” non è stata
“suggerita da intenti meramente offensivi o denigratori
del giudice” perché “la frase contenuta nel capo d’incolpazione
e... quelle ritenute in sentenza” non sono “dirette a
formulare un giudizio sulla persona del giudice”.
Lo
stesso ricorrente, infine, invoca, ai fini della
“necessaria lesività della condotta oggetto dell’incolpazione”,
la norma dettata dall’art. 3 bis D. Lg.vo n. 109 del
2006 (la cui “rubrica” fa “riferimento alla irrilevanza
della condotta”) affermando che “qualora la condotta non
leda in concreto la credibilità e il prestigio del
singolo magistrato o dell’ordine giudiziario, non
sussiste l’illecito” per cui “una condotta come quella
posta in essere” da lui, “non caratterizzata dal
requisito della gravità”, “ove... sanzionata”, “rende
impossibile l’applicazione del criterio di ragionevole
irrilevanza cui il legislatore ha inteso ispirarsi”.
3.
Il ricorso deve essere respinto.
A.
La motivazione della sentenza impugnata effettivamente
rilevante ai fini della adottata decisione di
colpevolezza, invero, è racchiusa soltanto nelle
seguenti (testuali) osservazioni:
-
“il comportamento dell’incolpato fa gravemente scorretto
nei confronti della doli. C..I. , perché... i
provvedimenti giurisdizionali vanno censurati con gli
appositi mezzi di impugnazione”;
-
“del tutto inopportunamente il Dott. E..T. si espresse
con gratuite censure a una precedente decisione del
giudice, nel corso di un ' udienza destinata a un
interrogatorio di garanzia e in presenza dello stesso
indagato e dei suoi difensori2;
-
“quand’anche si fosse trattato solo di una
manifestazione di sconcerto, come ammette l'incolpato,
non era certo quella la sede per criticare la decisione
del giudice, assumendo così un atteggiamento
inevitabilmente destinato a innescare la polemica dei
difensori, come in effetti avvenne”.
B.
Da tale rilievo discende evidente l’infondatezza della
prima doglianza atteso che la stessa investe - sub
specie di pretesa “valorizzazione dei risultati della
fase istruttoria” e, specularmente, di asserito
“travisamento dei... risultati probatori” (assunti come
“decisivi”) “derivanti dallo svolgimento
dell’istruttoria dibattimentale” - un “comportamento
aggressivo” (che la dr.ssa I. avrebbe “recisamente
escluso”) il quale, però, non risulta essere stato,
neppure implicitamente, considerato dal giudice
disciplinare ai fini della sua decisione: dalle
riprodotte osservazioni, infatti, emerge univocamente
che tale giudice ha fondato l’affermazione di
responsabilità soltanto sul "comportamento"
dell’incolpato costituito dalla manifestazione di
"censure" in ordine "a una precedente decisione del
giudice", "comportamento" ritenuto "gravemente
scorretto" in sé (quindi senza neppure menzionare e, di
conseguenza, considerare, l’eventuale aggressività dello
stesso) perché (1) "i provvedimenti giurisdizionali
vanno censurati con gli appositi mezzi di impugnazione"
e (2) perché quelle "censure" sono state espresse "nel
corso di un'udienza destinata a un interrogatorio di
garanzia e in presenza dello stesso indagato e dei suoi
difensori", cioè in una "sede" che "non era certo
quella... per criticare la decisione del giudice",
ovverosia (in sintesi) sull’"atteggiamento" assunto
dall’incolpato (“per manifestare”, come lo stesso scrive
ancora nel suo ricorso a questa Corte, “un risentimento
maturato”) perché "inevitabilmente destinato a innescare
la polemica dei difensori, come in effetti avvenne".
C.
Dal precedente rilievo discende l’infondatezza anche
dell’altro motivo di ricorso.
La
complessiva doglianza svolta nello stesso (nel quale,
nella sostanza ed in sintesi, il ricorrente giustifica
la sua condotta con la “necessità”, peraltro non meglio
esplicitata, “di raccogliere elementi” di “cognizione
dell’esito di un atto processuale... del giorno prima”),
infatti, non intacca assolutamente il complessivo
giudizio di "grave scorrettezza" di quella condotta
espresso dal giudice disciplinare, giudizio fondato
(come visto) sul tempo e sul luogo processuali (non sul
contenuto delle "censure" né sui modi adoperati per
esprimerle) scelti, peraltro non per chiedere alla
dr.ssa I. le ragioni (giuridiche e/o di fatto) del
provvedimento dalla stessa adottato il “giorno prima”,
ma “per manifestare” solo il proprio “risentimento”
(“ammissione di sconcerto”), ovverosia unicamente un
sentimento personale di mera contrarietà al
provvedimento adottato, per la cui rivelazione,
peraltro, non risulta addotta nessuna giustificazione.
L’incolpato,
invero, richiama ripetutamente il concetto di
imprevedibilità (“imprevedibile svolgimento”; “esito
assolutamente non prevedibile”; “in maniera del tutto
imprevedibile rispetto alle indagini” e simili) ma non
spiega perché, dal punto di vista proprio della funzione
del pubblico ministero, la revoca (possibile in via
generale) di un provvedimento cautelare a carico di un
imputato da parte del giudice all’uopo (preposto ed)
investito del relativo esame, o (nella specie, ovverosia
anche solo "rispetto alle indagini") dello specifico
provvedimento cautelare oggetto della sua rimostranza -
(revoca) adottata a conclusione di “incidente
probatorio” esperito in una udienza alla quale
l’incolpato “non aveva partecipato” (donde anche la
gratuità, per dichiarata non conoscenza di quanto
processualmente rilevante acquisito dal giudice in tale
udienza) -, possa e/o debba considerarsi un “esito
assolutamente non prevedibile” e, soprattutto, possa far
sorgere nell’organo della pubblica accusa (tenuto anch'
esso, ex art. 1, primo comma, del D. Lg.vo n. 109 del
200 6, a svolgere le sue funzioni con "correttezza" ed
"equilibrio") (1) un sentimento di “risentimento” verso
qualunque dei "soggetti" del processo e, comunque, (2)
il diritto di manifestare quel “risentimento”
direttamente nei confronti del giudice o,
indirettamente, di qualsia-si altro di detti soggetti.
D.
In fine, va ribadito che (Cass., un., 24 giugno 2010 n.
15314) l’"esimente" prevista dall’art. 3 bis D. Lgs. n.
109/2006 [aggiunto dall’art. 1, comma 3, lett. e) legge
24 ottobre 2006 n. 269], "in forza della quale
l’illecito non è configurabile quando il fatto sia di
scarsa rilevanza":
(1)
"presuppone che la fattispecie tipica sia stata
realizzata ma che per particolari circostanze, anche non
riferibili all’incolpato, il fatto risulti di scarsa
rilevanza";
(2)
gli "eventi in base ai quali il fatto" può essere
"ritenuto di scarsa rilevanza non sono elementi
costitutivi dell’illecito".
Conseguentemente
il giudice disciplinare non è tenuto ad esporre le
ragioni per le quali non abbia ritenuto il fatto "di
scarsa rilevanza" e, quindi, non abbia considerato (per
escludere l’esistenza di qualsivoglia ipotesi) quell’"esimente";
per l’applicazione di questa, infatti, è necessario che
l’incolpato alleghi, o che nel giudizio sia introdotta,
la circostanza che il "fatto" del quale lo stesso è
(stato giudicato) responsabile sia effettivamente "di
scarsa rilevanza".
Nel
caso il ricorrente si è limitato a denunziare la
violazione della norma ma non ha esposto quali siano le
"specifiche circostanze" (diverse dagli "elementi
costitutivi dell’illecito") per le quali il giudice
disciplinare avrebbe dovuto applicare l’esimente
invocata, di tal che la pretesa carenza, nel suo
comportamento (integrante la contestata fattispecie
disciplinarmente rilevante), del “requisito della
gravità” si palesa opinione personale (comunque
interessata) dello stesso.
4.
Nessun provvedimento deve essere adottato in ordine alle
spese di questo giudizio di legittimità in quanto gli
intimati non hanno svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. |