L’imputato può chiedere il computo
delle indagini preliminari nel processo penale
presupposto se prova di avere avuto conoscenza di esse
prima del decreto di citazione
Cassazione, sez. I, 4 novembre
2011, n. 22922
(Pres. Vitrone – Rel. Forte)
Fatto e diritto
IN FATTO - G..G., con ricorso del 6
luglio 2007, chiedeva alla Corte d'appello di Milano la
condanna del Ministero della giustizia all'equa
riparazione per la irragionevole durata di un processo
penale a suo carico, iniziato da denuncia-querela della
moglie separata del dicembre 1999, per il delitto ex
art. 570 c.p. e proseguito dal P.M. con decreto di
citazione in giudizio del 26 ottobre 2000 e fissazione
dell'udienza dibattimentale il 15 gennaio 2002, nella
quale era condannato in contumacia.
La sentenza di primo grado del 21
gennaio 2002 era notificata il 24 settembre 2004 e
contro di essa il G. proponeva appello il 19 ottobre
dello stesso anno alla Corte d'appello di Torino dinanzi
alla quale il processo ancora pendeva alla data della
domanda. La Corte d'appello adita, con il decreto di cui
in epigrafe, ha respinto la domanda per essere
ragionevole la durata del processo presupposto, dal
computo della quale era escluso il periodo precedente al
decreto di citazione, solo dalla cui data (26.10.2000)
si faceva decorrere il primo grado chiuso dalla sentenza
del tribunale (21.1.2002), non potendo attribuirsi alla
amministrazione dello Stato il tempo dalla data della
decisione nota all'imputato e da lui appellabile fino a
quella della notifica del gravame avverso tale decisione
in data 19.10.2004. Aggiunta alla prima fase rilevante
per la durata di anni uno, due mesi e 25 giorni da
ottobre 2000 e gennaio 2002, l'ultimo periodo del
processo in appello di anni tre e mesi due (19.10.2004
-6.7.2007), il decreto computa la durata complessiva dei
due gradi del giudizio presupposto in anni quattro, mesi
quattro e gg. 25, inferiore a quella di cinque anni
ritenuta giusta dalla Corte Europea dei diritti
dell'uomo, e la domanda di indennizzo era quindi
respinta per difetto di lesione del diritto alla
ragionevole durata del processo.
1. IL RICORSO - Per la cassazione
di tale decreto, il G. propone ricorso di tre motivi: 1)
violazione dell'art. 360 n. 3 c.p.c., in rapporto
all'art. 2 L. 14.3.2001 n. 89 e 6, & 1 della Convenzione
Europea dei diritti dell'uomo, per avere calcolato la
durata del processo presupposto, non calcolando il tempo
delle indagini preliminari; 2) violazione delle norme
che precedono e degli artt. 548, comma 3, e 585, comma
primo, lett. d, c.p.p., per non aver addebitato
all'organizzazione giudiziaria il tempo del processo dal
deposito della sentenza del tribunale alla notifica
dell'avviso di deposito e dell'estratto della sentenza,
in quanto il termine di decadenza dell'impugnazione di
cui al c.p.p. fa presumere l'ignoranza del provvedimento
da appellare, prima della notifica di cui all'art. 548
c.p.p. e nessun concorso vi è dell'imputato alla durata
del processo per tale fase; c) violazione delle norme
citate della legge n. 89 del 2001 e della Convenzione
dei diritti dell'uomo per non avere condannato il
Ministero a pagare l'equo indennizzo da Euro 1000,00 ad
Euro 1.500,00 annui secondo i parametri della Corte
sopranazionale; il Ministero della giustizia con il
controricorso chiede il rigetto del ricorso.
2. La decisione - 2.1. Il primo
motivo di ricorso è infondato, avendo questa Corte
precisato che l’imputato può chiedere il computo delle
indagini preliminari nel processo penale presupposto se
prova di avere avuto conoscenza di esse prima del
decreto di citazione (Cass. n. 2712/09, n. 17917/2010 e
n. 22682/2010), prova non data dal G. che non ha
allegato neppure la data in cui avrebbe appreso delle
indagini a suo carico.
2.2. Il secondo motivo di ricorso è
inammissibile, perché le norme del c.p.p. che si
affermano violate sono quelle che prevedono la decadenza
dal diritto di impugnare esistente dal momento della
conoscenza della sentenza fino al termine di cui al
codice di rito, del quale ha fruito il G. per proporre
l'appello, facendo durare di più tempo il processo a suo
carico, in cui aveva nominato un difensore e scelto di
assentarsi all'udienza in cui s'è letto il dispositivo
di condanna, data da cui doveva presumersi che la
motivazione sarebbe stata depositata nei quindici giorni
successivi ai sensi dell'art. 544 c.p.p. o subito dopo
la pronuncia. Il tempo usato dal G. per proporre
l’appello è stato quello massimo previsto per legge ad
evitare la decadenza dal diritto di impugnare, e quindi
esattamente si è a lui attribuito la continuazione del
processo per tutto il periodo in cui l'impugnazione non
era stata proposta dall'imputato, cui era attribuibile
il tempo conseguente a tale mancata attività di impulso.
2.3. Il terzo motivo di ricorso
sulla liquidazione dell'equo indennizzo resta assorbito
dalla conferma delle statuizioni che hanno negato
l'esistenza del diritto all'indennizzo, per mancata
lesione del diritto alla ragionevole durata del
processo.
Il ricorso deve quindi rigettarsi e
per la soccombenza il ricorrente deve rimborsare le
spese del giudizio di cassazione al controricorrente
nella misura di cui al dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e
condanna il ricorrente a rimborsare al Ministero della
giustizia le spese del processo di cassazione che
liquida in Euro 800,00 (ottocento/00), oltre alle spese
prenotate a debito. |