Grave ma non gravissimo alzare il
gomito durante la reperibilità. E illegittimo, perché
sproporzionato, il licenziamento di chi, impiegato nella
ditta di manutenzione di un ascensore, venga fermato
alla guida in stato di ebbrezza, durante il turno di
“reperibilità”, e subisca la confisca della patente.
Il licenziamento è scattato quando
il lavoratore ha chiamato il datore di lavoro per
avvertirlo che siccome la sera prima gli era stata
ritirata la patente non poteva recarsi a lavoro. E da lì
il puntuale racconto del dipendente che aveva confessato
di essersi recato a cena fuori con la moglie in un
ristorante di Torino ma poi all’uscita era incappato
nella spiacevole sorpresa. Fermato dai Carabinieri, e
sottoposto ai controlli di rito, era risultato fuori dai
parametri alcolemici consentiti per la guida con
conseguente ritiro immediato della patente.
Per i giudici di Piazza Cavour,
sentenza 23063/2011 - che se non altro premiano la
sincerità del lavoratore - il comportamento “pur grave”,
come sottolineato anche dalla Corte di appello, non lo
era però fino al punto da legittimare il licenziamento.
Infatti, come chiarito dalla Corte
territoriale, “l’essere inserito nel turno di
reperibilità non può essere equiparato all’essere in
servizio effettivo e nell’espletamento delle mansioni
lavorative”. Non solo, “nella notte in questione non vi
sono state chiamate che interessano il turno di
reperibilità”, e “lo stato di ebbrezza non può avere
immediatamente riflessi sul vincolo fiduciario” senza
guardare alle circostanze concrete e al contesto
dell’avvenimento, che nel caso sembrava essere una
tranquilla serata familiare.
Infine, l’assenza di precedenti
disciplinari deponeva ancora una volta a favore del
dipendente.
Del resto, anche a voler incarnare
la linea dura, sarebbe stato lo stesso contratto
collettivo a sbarrare la strada, prevedendo per una
comportamento peggiore, la manifesta ubriachezza, una
sanzione più lieve: l’ammonizione o al massimo la
sospensione
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