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Per la diffamazione continuata
è ininfluente il numero di persone che hanno
effettivamente sentito le affermazioni lesive, è
sufficiente che chi manifesta il proprio pensiero lo
faccia con l'intenzione e la consapevolezza di essere
ascoltato. La Corte di cassazione con la sentenza 39768,
annulla l'assoluzione di una dottoressa che, nel
corridoio dell'ospedale parlando a voce alta, aveva
detto a una sua paziente di fare attenzione a un
operatore che lavorava nella stessa struttura perché
"aveva già violentato due ragazze". Per la Corte
d'Appello di Potenza non si poteva però parlare di
diffamazione continuata perché la "notizia" era stata
data a un solo interlocutore, né erono stati indicati
nomi di altre persone presenti all'episodio. Una lettura
dell'accaduto che gli ermellini smentiscono. La Suprema
corte - sottolinea, infatti, che per il reato di
diffamazione continuata non serve la simultaneità della
comunicazione a più persone, né esiste la necessità di
capire chi abbia realmente ascoltato. Il reato scatta se
è evidente l'intenzione e la consapevolezza di chi parla
di essere ascoltato.
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