Cassano Giuseppe
L'errore di fatto revocatorio
consiste in una falsa percezione della realtà
processuale e cioè in una svista - obiettivamente ed
immediatamente rilevabile - che abbia portato ad
affermare (o soltanto supporre) l'esistenza di un fatto
decisivo incontestabilmente escluso dagli atti di causa
ovvero la inesistenza di un fatto decisivo che dagli
atti risulti invece positivamente accertato. Occorre, in
ogni caso, che tale fatto non abbia costituito un punto
controverso sul quale sia intervenuta la pronuncia del
giudice, perché in tal caso sussiste, semmai, un errore
di diritto.
Secondo l’espresso dettato
dell’art. 395, n. 4, c.p.c. l'errore di fatto che
consente di rimettere in discussione il decisum del
giudice con il rimedio straordinario della revocazione è
solo quello che non coinvolge l'attività valutativa
dell'organo decidente, ma tende invece ad eliminare
l'ostacolo materiale frapposto fra la realtà del
processo e la percezione che di questa il giudice abbia
avuto.
Ostacolo promanante da una pura e
semplice errata, od omessa, percezione del contenuto
meramente materiale degli atti del giudizio, sempre che
il fatto oggetto dell'asserito errore non abbia
costituito un punto controverso sul quale la sentenza
impugnata per revocazione abbia pronunciato, dovendosi
escludere che il giudizio revocatorio, in quanto rimedio
eccezionale, possa essere
trasformato in un ulteriore grado
di giudizio.
Invero, costituisce principio
pacifico quello per cui l'errore di fatto che legittima
il ricorso per revocazione deve consistere nel c.d.
abbaglio dei sensi, ossia in un travisamento dovuto a
mera svista, che induca a considerare inesistenti
circostanze indiscutibilmente esistenti, o viceversa.
In altre parole, l'errore di fatto
revocatorio consiste in una falsa percezione della
realtà processuale e cioè in una svista - obiettivamente
ed immediatamente rilevabile - che abbia portato ad
affermare (o soltanto supporre) l'esistenza di un fatto
decisivo incontestabilmente escluso dagli atti di causa
ovvero la inesistenza di un fatto decisivo che dagli
atti risulti invece positivamente accertato. Occorre, in
ogni caso, che tale fatto non abbia costituito un punto
controverso sul quale sia intervenuta la pronuncia del
giudice, perché in tal caso sussiste, semmai, un errore
di diritto (e con la revocazione si verrebbe in sostanza
a censurare la valutazione e l'interpretazione delle
risultanze processuali).
Di conseguenza deve ritenersi
inammissibile la domanda di revocazione che si fondi
sull'erroneo apprezzamento delle risultanze del fatto
stesso.
L'errore di fatto revocatorio(Cons.
di Stato N. 05857/2011)
Presidente: Luigi Maruotti
Consiglio di Stato Sezione
giurisdizionale n. 05857/2011, sez. Sesta del 4/11/2011
Ico_a+ Ico_a-
Pagina: 1 2 3 4 5 di 5 Dx
N. 05857/2011
REG.PROV.COLL.
N. 10509/2006
REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione
Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro
generale 10509 del 2006, proposto da***
contro***
nei confronti di***
per la riforma
della sentenza del Consiglio di
Stato, Sezione Sesta, n. 6370/2005, resa tra le parti;
Visti il ricorso per revocazione,
con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del
giorno 18 ottobre 2011 il consigliere di Stato Maurizio
Meschino e uditi per le parti gli avvocati Mocci e
Villani;
Ritenuto e considerato in fatto e
diritto quanto segue.
FATTO
1. La ricorrente, S.p.a. Cala dei
Genovesi, titolare della concessione demaniale marittima
n. 1680 del 1974 per la realizzazione e la gestione di
un approdo turistico in Lavagna, veniva dichiarata
fallita con sentenza del Tribunale di Milano 3 aprile
1998, n. 291.
In sede di concordato preventivo la
S.p.a. Porto di Lavagna, terzo assuntore, assumeva
l’onere di liquidare la massa fallimentare a fronte
dell’intero attivo fallimentare della originaria società
concessionaria per la costruzione e la gestione del
porto turistico di Lavagna.
Con la sentenza 6 aprile 2000, n.
4376, il Tribunale di Milano
omologava il concordato fallimentare, disponendo il
trasferimento all’assuntore di tutto l’attivo della
procedura.
In data 13 ottobre 2000 l’Autorità
marittima, con provvedimento DEM 2A/2399, autorizzava il
subingresso della S.p.a. Porto di Lavagna nella
concessione già assentita alla S.p.a. Cala dei Genovesi,
ai sensi dell’art. 46 del codice della navigazione.
Con la sentenza n. 511 del 14
febbraio 2002, la Corte Costituzionale, all’esito di
giudizio per conflitto di attribuzione, annullava la
suddetta autorizzazione dichiarando l’incompetenza del
Ministero dei trasporti e della navigazione.
2. La S.p.a. Porto di Lavagna
presentava quindi al Comune di Lavagna, divenuto nel
frattempo competente per subdelega regionale, nuova
istanza di autorizzazione al subingresso, ai sensi del
citato art. 46 del Codice della navigazione (d’ora in
poi “Codice”), riscontrata positivamente con la
determinazione dirigenziale (area tecnica) del Comune di
Lavagna n. 19060 del 7 agosto 2003.
3. Gli atti del procedimento di
autorizzazione al subingresso a favore della S.p.a.
Porto di Lavagna, concluso con la citata determinazione
n. 19060 del 2003, venivano quindi impugnati dalla
S.p.a. Cala dei Genovesi, con il ricorso n. 1063 del
2003 e motivi aggiunti, proposto al Tribunale
amministrativo regionale per la Liguria.
4. Il TAR, con la sentenza n. 1479
del 2004, dichiarava il ricorso inammissibile per
difetto di legittimazione attiva della ricorrente.
Nella sentenza, in sintesi, sono
respinti i motivi dedotti dalla ricorrente, secondo i
quali, in coerenza in particolare con la speciale
normativa di cui all’art. 46 del codice della
navigazione, in sede di concordato fallimentare
sarebbero stati trasferiti alla S.p.a. Porto di Lavagna
soltanto le opere e gli impianti realizzati dalla S.p.a.
Cala dei Genovesi in esecuzione della concessione
demaniale e non anche la concessione avente ad oggetto i
beni demaniali veri e propri, con conseguente
legittimazione della S.p.a. Cala dei Genovesi alla
impugnazione dei provvedimenti di autorizzazione al
subingresso, lesivi dell’aspettativa della ricorrente
alla salvaguardia della concessione.
5. La S.p.a. Cala dei Genovesi ha
quindi proposto appello, n. 2823 del 2005, avverso la
suddetta sentenza del Tar.
L’appello è stato respinto con la
sentenza di questa Sezione 15 novembre 2005, n. 6370,
nella quale si condividono le ragioni della
dichiarazione di inammissibilità del ricorso individuate
dal primo giudice.
Nella sentenza di secondo grado si
afferma, in sintesi, che “la Cala dei Genovesi s.p.a., a
seguito della cessione di tutto l’attivo fallimentare di
cui al concordato preventivo, non riveste una posizione
differenziata capace di sostanziare
l’interesse a ricorrere avverso
l’autorizzazione al sub ingresso resa in favore della
porto di Lavagna s.p.a. Infatti in disparte il tema
dell’inclusione della titolarità della concessione nel
compendio dei beni oggetto di traslazione in sede di
concordato…non è possibile scindere…l’interdipendenza
funzionale tra titolo amministrativo e compendio
economico delle opere oggetto della concessione”
risultando che “l’eccentricità di una concessione nuda
priva di contenuto sostanziale, rende allora ragione
della non ricorrenza di una posizione differenziata
rispetto all’autorizzazione al subingresso alla
concessione, ed alla concessione stessa, in capo al
soggetto che abbia alienato la proprietà delle opere
tutte necessarie per l’esercizio della concessione”.
Si argomenta quindi che “L’assunto
ora esposto trova conferma nel combinato disposto
dell’art. 46, comma 2, del codice della navigazione e
dell’articolo 30, del regolamento”, dovendosi ricondurre
la fattispecie del fallimento del concessionario a
quanto in tale normativa previsto sulla possibilità di
subentro da parte dell’acquirente o dell’aggiudicatario
della vendita forzata delle opere, a prescindere da ogni
iniziativa del precedente concessionario, non potendosi
inoltre condividere la diversa interpretazione per cui
tale normativa “concernerebbe non il subingresso nella
concessione demaniale bensì nei singoli titoli
concessori ad aedificandum in virtù dei quali sono stati
realizzati sul suolo demaniale i singoli beni immobili”,
poiché questa interpretazione è in contrasto con quanto
disposto dalla normativa e, comunque, non è “pertinente
ad una fattispecie nella quale non viene in rilievo il
trasferimento di singoli manufatti ma della totalità
delle opere interessate dalla concessione, con la
conseguente inscindibilità del titolo amministrativo e
del compendio nella cui gestione il primo si risolve”.
6. La ricorrente in epigrafe ha
chiesto la revocazione della detta sentenza della
Sezione, n. 6730 del 2005, ai sensi dell’art. 395, n. 4,
c.p.c.
Si sono costituiti il Comune di
Lavagna, resistente, e la S.p.a. Porto di Lavagna,
originaria controinteressata, chiedendo il rigetto del
ricorso.
7. All’udienza del 18 ottobre 2011
la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Nel ricorso si afferma che la
sentenza della Sezione n. 6370 del 2005 è da revocare
poiché viziata per errore di fatto, in quanto:
- non corrisponderebbero al vero le
asserzioni sulla sussistenza di una interdipendenza
funzionale tra tutte le opere realizzate dalla
ricorrente e la concessione demaniale e sull’avvenuto
trasferimento della totalità delle opere interessate
dalla concessione e non di singoli manufatti, non
essendo tali asserzioni coerenti, da un lato, con il
contenuto della convenzione accessiva alla concessione,
in cui è chiara
la scindibilità dei detti manufatti
(opere fuori terra) dalle opere acquisite al demanio
marittimo, essenziali alla qualificazione del bene porto
(in particolare moli, banchine, piazzali, pontili) e
quindi afferenti alla concessione e, dall’altro, con la
indeterminatezza del contenuto traslativo della sentenza
di omologazione (che aveva disposto il trasferimento di
“tutti i beni e crediti acquisiti alla massa attiva
fallimentare, nello stato di fatto e di diritto in cui
si ritrovano, come nella disponibilità del curatore”);
- sarebbe erronea la qualificazione
giuridica delle opere di cui si tratta, per non avere la
sentenza individuato le costruzioni installate sul porto
quale oggetto di una autonoma concessione di secondo
grado, generata da quella generale per la realizzazione
e gestione del porto turistico, e non aver considerato
che, di conseguenza, il trasferimento delle opere in
questione non comporta la perdita dell’intera
concessione; ciò che è confermato dagli articoli 49 e
46, comma 1, del Codice della navigazione, poiché, per
il primo, le opere di proprietà privata costruite su
area demaniale su autorizzazione dell’ente concedente
sono soggette a devoluzione al termine della
concessione, e, per il secondo, il subingresso
nell’intera concessione è possibile su iniziativa del
concessionario, ferma l’autorizzazione dell’autorità
concedente;
- così come sarebbe erronea
l’interpretazione dell’art. 46, comma 2, del Codice,
poiché inficiata dall’errore di fatto dovuto alla
mancata considerazione della scindibilità delle opere,
invece chiaramente individuabile non soltanto nella
convenzione accessiva alla concessione ma anche nei
verbali assembleari della Società Cala dei Genovesi, in
quanto non recanti il consenso al trasferimento
dell’intera concessione, nonché alla luce della sentenza
di omologazione, da interpretare come idonea a
consentire il trasferimento soltanto dei beni oggetto
del diritto di proprietà del fallito.
2. Il ricorso non può essere
accolto.
La giurisprudenza ha chiarito che,
secondo l’espresso dettato dell’art. 395, n. 4 c.p.c.,
“l'errore di fatto che consente di rimettere in
discussione il decisum del giudice con il rimedio
straordinario della revocazione è solo quello che non
coinvolge l'attività valutativa dell'organo decidente,
ma tende invece ad eliminare l'ostacolo materiale
frapposto fra la realtà del processo e la percezione che
di questa il giudice abbia avuto (Cons. Stato, Sez. VI,
29 settembre 1982, n. 447), ostacolo promanante da una
pura e semplice errata od omessa percezione del
contenuto meramente materiale degli atti del giudizio
(Cons. Stato, Sez. IV, 13 luglio 1982, n. 504), sempre
che il fatto oggetto dell'asserito errore non abbia
costituito un punto controverso sul quale
la sentenza impugnata per
revocazione abbia pronunciato, dovendosi escludere che
il giudizio revocatorio, in quanto rimedio eccezionale,
possa essere trasformato in un ulteriore grado di
giudizio (Cons. Stato, Sez. V, 28 dicembre 2007, n.
6774), costituendo “principio pacifico quello per cui
l'errore di fatto che legittima il ricorso per
revocazione debba consistere nel c.d. <<abbaglio dei
sensi>>, ossia in un travisamento dovuto a mera svista,
che induca a considerare inesistenti circostanze
indiscutibilmente esistenti o viceversa. Detto in altri
termini, l'errore di fatto revocatorio consiste in una
falsa percezione della realtà processuale e cioè in una
svista - obiettivamente ed immediatamente rilevabile -
che abbia portato ad affermare o soltanto supporre…
l'esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente
escluso dagli atti di causa ovvero la inesistenza di un
fatto decisivo che dagli atti risulti invece
positivamente accertato. Occorre in ogni caso, però,
come si è detto, che tale fatto non abbia costituito un
punto controverso sul quale sia intervenuta la pronuncia
del giudice, perché in tal caso sussiste semmai un
errore di diritto (C.G.A., 3 marzo 1999, n. 83) e con la
revocazione si verrebbe in sostanza a censurare la
valutazione e l'interpretazione delle risultanze
processuali (Cons. Stato, Sez. VI, 22 febbaio 1980, n.
208). Deve, pertanto, ritenersi inammissibile la domanda
di revocazione che si fondi sull'erroneo apprezzamento
delle risultanze del fatto stesso.” (Cons. Stato, Ad.
Plen. 17 maggio 2010, n. 2; cfr anche, ex multis, Cons.
Stato: sez. VI, 23 febbraio 2011, n. 1145; sez. IV, 24
gennaio 2011, n. 503; sez. VI, 29 ottobre 2008, n. 5416;
Cassazione civile, sez. I, 19 giugno 2007, n. 14267 ).
In applicazione di questo
consolidato indirizzo giurisprudenziale si deve
osservare che nel presente ricorso per revocazione è
indicato come errore di fatto revocatorio, che
vizierebbe la sentenza impugnata n. 6370 del 2005, non
la errata percezione del contenuto meramente materiale
di atti di causa, che abbia indotto il giudice a
decidere sulla base di un falso presupposto di fatto non
costituente punto controverso del decisum, ma, al
contrario, la valutazione del fatto, e perciò il
giudizio su un punto controverso della causa, svolto
attraverso la qualificazione del fatto in riferimento
alla normativa ritenuta applicabile, secondo il
procedimento logico-giuridico proprio della decisione
giurisdizionale.
Infatti:
a) la questione indicata nel
ricorso in esame come costitutiva dell’errore di fatto
revocatorio da cui sarebbe affetta la sentenza di
appello n. 6370 del 2005, vale a dire la
scindibilità fra opere fuori terra
e opere afferenti alla concessione demaniale, è assunta
nella detta sentenza quale unico e decisivo punto
controverso del giudizio ed è in essa oggetto di
valutazione espressa ed esaustiva;
b) tale valutazione non è
determinata dalla considerazione di un presupposto di
fatto ma dalla qualificazione giuridica data dal giudice
di appello al caso all’esame, svolta attraverso il
giudizio di necessaria interdipendenza funzionale tra
titolo amministrativo e compendio economico, “in
disparte il tema dell’inclusione della titolarità della
concessione nel compendio dei beni oggetto di
traslazione in sede di concordato” e di applicabilità al
caso degli articoli 46, comma 2, del codice della
navigazione e 30 del regolamento di attuazione;
c) non si configura, di
conseguenza, la fattispecie di cui all’art. 395, n. 4,
c.p.c. essendo stato dedotto nel giudizio per
revocazione non un errore di fatto, ma una specifica
interpretazione degli atti di causa e della normativa da
applicarvi e, perciò, un eventuale errore di diritto (la
cui censura, si annota incidentalmente, risulta respinta
da Cass. civ. sez. I, 26 maggio 2009, n. 12140).
3. Per quanto considerato il
ricorso per revocazione deve essere dichiarato
inammissibile.
Le spese seguono, come di regola,
la soccombenza e si liquidano nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione sesta) dichiara inammissibile
il ricorso per revocazione in epigrafe, n.10509 del
2006.
Condanna la S.p.a. Cala dei
Genovesi, ricorrente, al pagamento delle spese del
giudizio a favore del Comune di Lavagna e della S.p.a.
Porto di Lavagna, che liquida nel complesso in euro
20.000,00 (ventimila/00), oltre gli accessori di legge,
di cui euro 10.000,00 (diecimila/00) a favore del Comune
di Lavagna ed euro 10.000,00 (diecimila/00) a favore
della S.p.a. Porto di Lavagna.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera
di consiglio del giorno 18 ottobre 2011, con
l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere,
Estensore
Roberto Garofoli, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/11/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.) |