(Pres. De Roberto – Rel. Cortese)
Fatto
Con sentenza del 03.10.2006 il
Tribunale di Arezzo dichiarava l. S. colpevole, fra
l'altro, del reato previsto dall'art. 322, comma 2,
c.p., per aver offerto denaro al Sovrintendente L. D.A.
e all'Assistente M. M., in servizio presso la Polizia
Stradale, i quali, nel corso di un controllo avevano
verificato la falsità dell'attestazione dell'avvenuta
revisione dell'autovettura condotta dal S., al fine di
indurli ad omettere gli atti conseguenti a detto
accertamento.
Su appello dell'imputato, la Corte
d'appello di Firenze con sentenza del 13.01.2010
confermava in parte qua la pronuncia di primo grado.
Propone ricorso il prevenuto a
mezzo del difensore, deducendo che l'offerta di denaro
era avvenuta in termini così vaghi (“vi dò quello che
volete, se mi lasciate andare”) da non poter integrare
la materialità del reato contestato.
Diritto
Il ricorso è infondato.
Non è, invero, qualificabile come
intrinsecamente e originariamente inidonea a integrare
il reato contestato, perché astratta, in quanto generica
e indeterminata nel contenuto, l'offerta in cui la
determinazione dell'oggetto sia rimessa allo stesso
pubblico ufficiale che si intende corrompere. Tale
offerta, infatti, è concretamente diretta a spingere il
destinatario a quantificare lui stesso la somma che
intende ricevere quale corrispettivo del mancato
compimento dell'atto del proprio ufficio, avviando così
la contrattazione illecita tipica della fattispecie
corruttiva (cfr. in fattispecie analoga Cass. n. 23018
del 23.01.2004, Caiola). Rientra, quindi, senza dubbio
nello schema descritto l'offerta avanzata dall'autore al
pubblico ufficiale nei termini di cui al caso in esame
(''vi dò quello che volete").
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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