La molestia possessoria può
realizzarsi, anche senza tradursi in attività materiali,
attraverso manifestazioni di volontà che devono - però -
esprimere la ferma intenzione del dichiarante di
tradurre in atto il suo proposito, mettendo in pericolo
l'altrui possesso. Invece, se le manifestazioni di
volontà - siano esse verbali o scritte - siano rivolte
all'affermazione di un diritto proprio o alla negazione
di un diritto altrui senza far temere imminenti azioni
materiali contrastanti con la situazione di possesso,
non si è in presenza di molestia possessoria, bensì solo
di espressioni intese ad evitare - se possibile - una
controversia giudiziaria
[Secondo la SC l'essersi recato sul
terreno oggetto di causa per prenderne possesso, senza
autorizzazione del proprietario, integra i requisiti
minimi della lesione possessoria, sotto la specie (non
dello spoglio, bensì) della molestia, non altrettanto
può ritenersi quanto alle lettere inviate dal medesimo,
tramite il proprio legale, lettere che manifestavano
unicamente la pretesa del ricorrente sulla casa e sul,
giardino, e che pur preannunciando un intervento per
regolare il confine e apporre i termini, non per questo
eccedevano la dichiarazione di un mero, e neppure
necessariamente invasivo, intento.(Luca D’Apollo)]
Cassazione, sez. II, 10 ottobre
2011, n. 20800
(Pres. Oddo – Rel. Manna)
Svolgimento del processo
C..C. agiva in reintegrazione e
manutenzione del possesso di una casa, di un giardino e
di un terreno posti in (omissis) , identificati,
rispettivamente, dai mappali 26, 30 e 31, lamentando che
il confinante A..B. , assumendosi acquirente dei 3/4
della proprietà di detti fondi, in virtù di scrittura
privata registrata il 26.5.1998, aveva invaso il terreno
e manifestato la propria volontà di acquisire il
possesso della casa e del giardino.
11 convenuto nel resistere alla
domanda deduceva di aver acquistato il 73,75% delle
quote di proprietà di detti beni dai legittimi
proprietari e negava che la C. avesse posseduto il
terreno, che egli stesso nel periodo compreso tra il
1973 e il 1980, ed altri agricoltori negli anni
successivi avevano coltivato senza che ciò provocasse
alcuna reazione da parte dell'attrice.
Il Tribunale di Bologna rigettava
la domanda, ritenendo non sufficiente la prova del
possesso.
Tale decisione era ribaltata dalla
Corte d'appello di Bologna, con sentenza depositata il
23.8.2005. La Corte felsinea, sulla base di una
rinnovata valutazione dei medesimi elementi istruttori
emersi in primo grado, riteneva che il possesso da parte
della C. fosse adeguatamente dimostrato sia da
documentazione anagrafica e fiscale e da fatture
attestanti l'esecuzione di lavori agricoli effettuati in
favore di lei da parte di terzi, anche se non indicanti
esattamente a quali fondi posti in (OMISSIS) si
riferissero; sia dalle testimonianze raccolte, da cui
era risultato che la C. ed il marito.
quest'ultimo finché in vita,
avevano coltivato il terreno da almeno vent'anni,
avvalendosi per i lavori più impegnativi di imprese
esterne e per quelli di minor peso della collaborazione
del genero, A..F. , e della figlia, Au..Ba. . Per
contro, osservava il giudice d'appello, non era stato
provato l'assunto del B. secondo cui egli stesso,
tramite terzi, avrebbe coltivato il terreno nei primi
anni '90, né era fondata l'eccezione per cui attivamente
legittimata alla domanda sarebbe stata non la C. , ma la
figlia di lei, Au. . Osservava, infine, che lo stesso B.
nella propria corrispondenza stragiudiziale aveva
mostrato di ritenere la famiglia Ba. - C. quale unica
interlocutrice possibile quanto al problema del possesso
dei beni, nessun altro, quanto meno dal 1995, essendo
stato indicato come avente il possesso o la detenzione
dei beni in oggetto.
Quanto all'attività di spoglio, la
Corte felsinea osservava che lo stesso B. aveva ammesso
di essersi recato il 18.7.1998 sul terreno (mappale 31)
per prenderne possesso, senza autorizzazione della C. ,
e che, quanto alla casa e al giardino (mappali 26 e 30)
non era dubbio che con le lettere inviate dal proprio
legale il 12.5.1998 e il 5.6.1998 l'appellato non si era
limitato a rendere edotta la sua controparte
dell'avvenuto acquisto delle quote di comproprietà sui
beni, ma aveva preannunciato il proprio intervento per
regolare il confine, apporre i termini e, quindi,
escludere la C. dal possesso, il che integrava gli
estremi della molestia possessoria.
Per la cassazione di tale sentenza
ricorre B.A., formulando due motivi di gravame.
Resiste con controricorso la parte
intimata.
Motivi della decisione
1. - Con il primo motivo il
ricorrente deduce l'omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un punto decisivo
della controversia, in quanto il percorso motivazionale
della Corte bolognese nell'affermare come provato il
possesso dei beni da parte dell'attrice sarebbe illogico
e incongruente. Il giudice d'appello, afferma parte
ricorrente, dapprima ha sostenuto che la documentazione
di natura fiscale e anagrafica non predicasse nulla di
specifico in punto di riferimenti geografico -
catastali; poi, con un percorso incomprensibile, ha
attribuito valenza probatoria fondamentale a
testimonianze altrettanto generiche e contraddittorie.
Al riguardo la Corte ha accoppiato, a tutto concedere,
indizi documentali e vaghe deposizioni.
Per contro, i giudici d'appello non
hanno considerato né la deposizione del teste W..A. , da
cui è emerso che il B. dal 1970 aveva coltivato il
mappale 31 su concessione di un terzo, che ne aveva il
possesso, né la documentazione di parte convenuta, che
conferma come il terreno sia stato pulito, arato e
seminato dallo stesso B. e, nei primi anni '90, da altri
agricoltori, senza che la C. lamentasse di essere stata
spogliata del o turbata nel possesso di tali beni; né la
lettera del 20.7.1998 con la quale il legale di Au..Ba.
, figlia della C. , lamentava l'introduzione del B.
all'interno della proprietà della Ba. stessa; né hanno
attribuito rilievo all'intestazione formale degli
immobili (di proprietà Ba. ); né, ancora, al fatto che
la C. non abbia chiesto alcun indennizzo per essere
stato il terreno attraversato dal metanodotto.
1.1. - Il motivo è infondato.
Premesso che il vizio di
contraddittorietà della motivazione ricorre solo in
presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non
permettere di comprendere la ratio decidendi che
sorregge il decisum adottato, per cui non sussiste
motivazione contraddittoria allorché, dalla lettura
della sentenza, non sussistano incertezze di sorta su
quella che è stata la volontà del giudice (v. Cass. S.U.
n. 25984/10; conforme, Cass. n.8106/06), è agevole
rilevare, nella specie, che tra la negazione
dell'efficienza probatoria di taluni dati di natura
geo-catastale e la valorizzazione di elementi istruttori
di carattere storico omogenei ad una ricostruzione dei
fatti nella dovuta chiave possessoria non intercorre
alcuna intrinseca contraddittorietà. Ancor meno
condivisibile è che sia incongruente integrare il
deposto testimoniale con riscontri documentali idonei a
rafforzarne senso, portata e attendibilità. Assente
nell'ordinamento un principio di gerarchia delle fonti
di prova, e ormai superata, se non a fini puramente
descrittivi, la distinzione tra prova diretta o
rappresentativa e prova indiretta o critica, non è di
per sé censurabile il convincimento espresso dal giudice
avvalendosi, in funzione di reciproca conferma, di prove
documentali e di prove storiche.
Quanto, poi, alla mancata
considerazione degli elementi istruttori richiamati dal
ricorrente, deve ricordarsi il costante orientamento di
questa Corte, secondo cui nel giudizio di cassazione, la
deduzione di un vizio di motivazione della sentenza
impugnata conferisce al giudice di legittimità non il
potere di riesaminare il merito della intera vicenda
processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola
facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza
giuridica e della coerenza logico-formale, delle
argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale
spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le
fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare
le prove, di controllarne l'attendibilità e la
concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze
del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a
dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi,
dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro
dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi
tassativamente previsti dalla legge). Conseguentemente,
per potersi configurare il vizio di motivazione su un
asserito punto decisivo della controversia, è necessario
un rapporto di causalità fra la circostanza che si
assume trascurata e la soluzione giuridica data alla
controversia, tale da far ritenere che quella
circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato
ad una diversa soluzione della vertenza. Pertanto, il
mancato esame di elementi probatori, contrastanti con
quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce
vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le
risultanze processuali non esaminate siano tali da
invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera
probabilità, l'efficacia probatoria delle altre
risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde
la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (v.
Cass. n.9368/06 e le successive conformi).
Nello specifico, nulla autorizza a
ritenere che gli elementi istruttori enunciati dal
ricorrente sarebbero valsi sicuramente, se considerati,
a provocare un'opposta decisione della controversia, ove
si consideri che in materia possessoria sono irrilevanti
le intestazioni catastali dei beni, essendo tutelato il
possesso anche in favore di chi non risulti titolare del
corrispondente diritto reale; e che pregresse e
risalenti relazioni di fatto con il bene conteso, in
assenza di reazioni in allora della controparte, possono
costituire, al massimo, elementi considerabili nel
contesto della complessiva valutazione dei fatti, che è
appannaggio esclusivo del giudice di merito.
2. - Con il secondo motivo si
deduce la violazione o falsa applicazione degli artt.
1168 e 1170 c.c., sostenendo che, al contrario di quanto
ritenuto nella sentenza impugnata, spoglio e molestia si
configurano solo attraverso condotte aventi un
apprezzabile contenuto di disturbo all'altrui possesso,
rendendolo più gravoso e difficoltoso, e che la sola
negazione dell'altrui possesso o le semplici diffide non
integrano gli estremi della turbativa. Conseguentemente,
non costituisce spoglio il solo recarsi sul fondo
posseduto da altri, e non può essere considerata
molestia il semplice invio di lettere volte a
regolamentare i confini e dirette, comunque e solo, a
far valere il proprio diritto preannunciandone
legittimamente l'esercizio.
2.1. - La censura è fondata nei
limiti che seguono.
Secondo la giurisprudenza di questa
Corte, la molestia possessoria può realizzarsi, anche
senza tradursi in attività materiali, attraverso
manifestazioni di volontà che devono - però - esprimere
la ferma intenzione del dichiarante di tradurre in atto
il suo proposito, mettendo in pericolo l'altrui
possesso. Invece, se le manifestazioni di volontà -
siano esse verbali o scritte - siano rivolte
all'affermazione di un diritto proprio o alla negazione
di un diritto altrui senza far temere imminenti azioni
materiali contrastanti con la situazione di possesso,
non si è in presenza di molestia possessoria, bensì solo
di espressioni intese ad evitare - se possibile - una
controversia giudiziaria. La ricorrenza di una o
dell'altra ipotesi rientra nella valutazione del giudice
di merito, il cui accertamento - se adeguatamente
motivato - sfugge al controllo di legittimità (Cass. n.
1409/99; conforme, Cass. n.7200/95 citata nella stessa
sentenza impugnata).
Nel caso in esame, mentre l'essersi
recato il B. sul terreno (mappale 31) per prenderne
possesso, senza autorizzazione della C. , integra i
requisiti minimi della lesione possessoria, sotto la
specie (non dello spoglio, bensì) della molestia, non
altrettanto può ritenersi quanto alle lettere inviate
dal medesimo, tramite il proprio legale, il 12.5.1998 e
il 5.6.1998, lettere che manifestavano unicamente la
pretesa dell'odierno ricorrente sulla casa e sul,
giardino (mappali 26 e 30), e che pur preannunciando un
intervento per regolare il confine e apporre i termini,
non per questo eccedevano la dichiarazione di un mero, e
neppure necessariamente invasivo, intento.
Solo sotto questo profilo,
pertanto, non è condivisibile la decisione impugnata,
che pur individuando rettamente i principi di diritto in
materia, non ne ha operato una coerente applicazione.
3. - Per quanto fin qui
considerato, deve essere respinto il primo motivo,
accolto il secondo, e in relazione a quest'ultimo
cassata la sentenza impugnata, con rinvio ad altra
sezione della Corte d'appello di Bologna, che deciderà
la controversia attenendosi al principio di diritto
sopra richiamato e provvederà anche sulle spese del
procedimento di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo
motivo, respinto il primo, cassa la sentenza impugnata
in relazione al motivo accolto con rinvio ad altra
sezione della Corte d'appello di Bologna, che provvederà
anche sulle spese del giudiz |