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TRUFFA: NON RILEVA CHE SIA L’IMPUTATO AD AVVICINARE LA VITTIMA-CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - SENTENZA 14 ottobre 2011, n.37018-Neldiritto.it

 

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MASSIMA

Per l’integrazione della fattispecie del reato di truffa, non è necessario che sia l’imputato a prendere contatto con la parte lesa, essendo rilevante esclusivamente che la struttura organizzativa predisposta sia idonea a ingannare la vittima. (Nel caso di specie viene confermata la condanna per l'imputato che aveva falsamente prospettato ad un imprenditore la possibilità di ottenere vari finanziamenti per l'ampliamento della sua azienda agricola, per l'apertura di un'attività di agriturismo, nonché per l'acquisto di pannelli solari).

 

 

CASUS DECISUS

La Corte di Appello di Genova, dichiarava colpevole di truffa aggravata l’imputato, per aver convinto, con artifizi e raggiri, la vittima a consegnargli la somma di 75000,00 euro, allo scopo di ottenere dei finanziamenti per l’ampliamento della propria azienda. Avverso tale pronuncia, ricorre in Cassazione l’imputato, lamentando, oltre violazione di norme processuali, vizio di motivazione, in particolare nella parte della pronuncia in cui i giudici non avevano tenuto conto della circostanza che non avendo l’imputato mai incontrato la presunta vittima non potevano sussistere gli artifizi e i raggiri. Il ricorrente, infine si doleva del fatto che la pronuncia della Corte di Appello si fondasse esclusivamente sulle deposizioni rese dalla persona offesa del reato.

 

 

ANNOTAZIONE

di Antonio Affinito

 

Con la sentenza in epigrafe la Corte di legittimità ritorna sul reato di truffa di cui all’art 640 c.p. allo scopo di identificare esattamente la nozione da attribuire alla condotta connotata da artifizi e ai raggiri, punita dalla norma.

Secondo il ricorrente, non si configurerebbe la condotta tipica del reato di truffa, allorché non sia l’imputato a contattare o avvicinare la vittima.

La Corte, invece, seppur in modo stringato, evidenzia che nella fattispecie di cui all’art 640 c.p. , sotto il profilo oggettivo, è sufficiente che la condotta dell’agente sia idonea a trarre in errore la vittima, accompagnata, sotto il profilo soggettivo dal dolo generico.

Da tale fattispecie, quindi, è escluso qualsiasi riferimento a ogni e ulteriore condotta finalizzata a contattare o avvicinare la vittima.

Nel caso di specie, la Corte di Appello ha accertato che l’imputato aveva predisposto l'uso del logo, di un timbro e una partita IVA, il tutto rigorosamente falso, relativo ad una inesistente società, con l’effetto pratico di ingannare la vittima, che ha consegnato circa Euro 75.000 nell'arco di soli due mesi.

Con una valutazione ex post, quindi, non può non rilevarsi come la struttura organizzativa predisposta dall’agente(in questo caso il logo, il timbro e la partita IVA), sia stata idonea a trarre in errore la parte lesa.

La Cassazione, inoltre, rileva che il giudizio di legittimità non è finalizzato a stabilire se la decisione di merito adotti la ricostruzione dei fatti più corretta, ma deve limitarsi a verificare se questa ricostruzione sia compatibile con il senso comune. Eseguita tale valutazione, è precluso ogni altro apprezzamento sul fatto.

Irrilevante, poi, secondo la Corte di legittimità, è la circostanza che la Corte di Appello, per la ricostruzione dei fatti, abbia fondato il proprio convincimento sulle sole deposizioni della presunta parte offesa del reato, senza ricercare eventuali riscontri.

Secondo i supremi giudici, infatti, è principio unanime della stessa giurisprudenza di legittimità, che a base del libero convincimento del giudice possono essere poste le dichiarazioni della parte offesa, ove sia sottoposta a un attento controllo di affidabilità, ciò a prescindere da eventuali riscontri.

 

 

TESTO DELLA SENTENZA

 

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE - SENTENZA 14 ottobre 2011, n.37018 - Pres. Cosentino – est. Chindemi

 

IN FATTO

 

 

 

La Corte di appello di Genova, con sentenza in data 19/5/2011, confermava la sentenza del Tribunale di Savona, in data 2/7/2010, appellata da B.N., dichiarato colpevole di truffa aggravata per aver falsamente prospettato a R.M. la possibilità di ottenere vari finanziamenti per l'ampliamento della sua azienda agricola, l'apertura di un'attività di agriturismo, per l'acquisto di pannelli solari nonchè per altre attività e condannato, con la continuazione, alla pena di mesi nove di reclusione, oltre al risarcimento dei danni a favore della parte civile da liquidarsi in separata sede.

 

Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell'imputato deducendo i seguenti motivi:

 

a) violazione di norme processuali stabiliti a pena di nullità essendo stata effettuata la notifica del decreto di citazione presso il difensore e non presso il domicilio dichiarato dall'imputato via (OMISSIS);

 

b) vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità dell'imputato che, in relazione ai primi due episodi contestati, non aveva mai incontrato il signor R.M., escludendo la sussistenza di artifizi o raggiri;

 

c) vizio di motivazione essendo fondata la declaratoria di responsabilità esclusivamente sulle deposizioni rese dalla persona offesa. Il difensore della parte offesa trasmetteva via fax in data 5.10.2011 memoria con cui chiedeva il rigetto del ricorso del B..

 

 

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

 

 

Il ricorso è infondato.

 

1) Nel caso di domicilio dichiarato, la notificazione del decreto di citazione in giudizio con consegna di copia al difensore di fiducia, invece che presso il domicilio dichiarato dall'imputato, da luogo ad una nullità a regime intermedio dal momento che la notificazione presso il difensore, salvo che risultino elementi di fatto contrari, non è inidonea a determinare, in ragione del rapporto fiduciario, la conoscenza effettiva del procedimento da parte dell'imputato (Sez. 2, Sentenza n. 45990 del 07/11/2007 Ud. (dep. 07/12/2007) Rv. 238509).

 

Essendo stata, quindi, effettuata la notifica presso il difensore di fiducia, tale atto non appare in sè inidoneo a raggiungere lo scopo.

 

Nè risulta o viene dedotto che vi sia stata una interruzione del rapporto fiduciario col legale. Ne consegue che si è in presenza non certo di una omissione della notifica o situazione ad essa equiparata, con conseguente impossibilità di configurazione di nullità assoluta e insanabile. Si è in presenza piuttosto, di una nullità di ordine generale che è rimasta sanata per avere, il difensore di fiducia avv. Giorgio Cangiano, presente all'udienza,omesso di eccepire alcunchè dinanzi ai giudici di appello. Va infatti rilevato che, secondo quanto prevede l'art. 182 c.p.p., comma 2, 'quando la parte vi assiste, la nullità di un atto deve essere eccepita prima del suo compimento ovvero, se ciò non è possibile, immediatamente dopo'; sicchè, non essendo stata effettuata, nel giudizio di appello, dal difensore di fiducia del ricorrente, è rimasta indeducibile in questa fase del giudizio (Cass., sez. 1^, 6 aprile 2000, Nardi, m. 216198, Cass., sez. 5^, 12 maggio 2004, Pastore m. 229520). A tal proposito si osserva che mentre l'omissione della citazione determina una nullità assoluta ed insanabile, rilevabile e deducibile in ogni stato e grado del procedimento, la violazione (nel nostro caso presunta e non specificata dal ricorrente) delle norme di legge stabilite per le notificazioni configura, invece, una nullità a regime intermedio ai sensi dell'art. 180 stesso codice, non più deducibile o rilevabile per la prima volta dopo la conclusione del giudizio nella quale si è verificata tale nullità (Si veda Sez. 4, Sentenza n. 36724 del 01/04/2004 Ud. - dep. 17/09/2004 - Rv. 229678).

 

Peraltro, 'l'imputato che intenda eccepire la nullità assoluta della citazione o della sua notificazione, non risultante dagli atti, non può limitarsi a denunciare la inosservanza della relativa norma processuale, ma deve rappresentare al giudice di non avere avuto cognizione dell'atto e indicare gli specifici elementi che consentano l'esercizio dei poteri officiosi di accertamento da parte del giudice' (Cass. Sez. Un. Sent. citata rv 229541). Tale motivo è, quindi, manifestamente infondato.

 

2) Parimenti infondati sono gli ulteriori motivi di ricorso perchè propongono censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata.

 

Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con 'i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento', secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 4^ sent. n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5^ sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2^ sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

 

La Corte di Appello di Genova, invero, con motivazione esaustiva, logica e non contraddittoria, evidenzia la sussistenza dei reati di truffa aggravata ascritti all'imputato che aveva predisposto l'uso del logo e timbro fasullo della inesistente società Morgan Italia e di una partita Iva fittizia, avendo tratto in inganno l'imputato con tale falsa rappresentazione, ponendo in essere artifizi e raggiri idonei a trarre in inganno la parte offesa che ha consegnato all'imputato circa Euro 75.000 nell'arco di soli due mesi, e ciò indipendentemente dai rapporti sussistenti fra l'imputato e il commercialista Cortese Agostino che aveva indotto la parte lesa a rivolgersi al prevenuto per ottenere un finanziamento.

 

Infatti il reato di truffa sussiste indipendentemente dalla circostanza che sia stato l'imputato a mettersi in contatto con la parte lesa, qualora la struttura commerciale e predisposta sia idonea, come nella fattispecie, a ingannare il cliente che ha bisogno di finanziamenti.

 

3) E' indiscusso nella giurisprudenza di questa Corte che a base del libero convincimento del giudice possono essere poste le dichiarazioni della parte offesa (Cass., sez. 3, 5 marzo 1993, Russo, m. 193862; Cass., sez. 4, 26 giugno 1990, Falduto, m. 185349) che, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere anche da sola assunta come fonte di prova, ove venga sottoposta a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva (Cass., sez. 1, 28 febbraio 1992, Simbula, m. 189916;

 

Cass., sez. 6, 20 gennaio 1994, Mazzaglia, m. 198250; Cass., sez. 2, 26 aprile 1994, Gesualdo, m. 198323; Cass., sez. 6, 30 novembre 1994, Numelter, m. 201251; Cass., sez. 3, 20 settembre 1995, Azingoli, m.

 

203155), non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, quando non sussistano situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità (Cass., sez. 6, 13 gennaio 1994, Patan, m. 197386, Cass., sez. 4, 29 gennaio 1997, Benatti, m. 206985, Cass., sez. 6, 24 febbraio 1997, Orsini, m. 208912, Cass., sez. 6, 24 febbraio 1997, Orsini, m. 208913, Cass., sez. 2,13 maggio 1997, Di Candia, m.

 

208229, Cass., sez. 1, 11 luglio 1997, Bello, m. 208581, Cass., sez. 3, 26 novembre 1997, Caggiula, m. 209404). A tali dichiarazioni, invero, non si applicano le regole di cui all'art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, che riguardano le propalazioni dei coimputati del medesimo reato o di imputati in procedimenti connessi o di persone imputate di un reato collegato e che presuppongono l'esistenza di altri elementi di prova unitamente ai quali le dichiarazioni devono essere valutate per verificarne l'attendibilità.

 

Nel caso di specie i Giudici di merito, hanno sottoposto ad attento controllo le dichiarazioni della vittima, valutate nel contesto delle emergenze processuali, segnatamente evidenziando le caratteristiche peculiari di linearità delle dichiarazioni accusatorie L'utilizzazione della fonte di prova è stata, quindi, condotta dai Giudici del merito nella corretta osservanza delle regole di giudizio che disciplinano la valutazione della testimonianza delle persone offese dal reato e con adeguata motivazione, che si sottrae a censura in questa sede.

 

E' appena il caso di aggiungere che l'esattezza delle suddette valutazioni, non può formare oggetto di contestazione, essendo notoriamente preclusi alla Corte di legittimità l'esame degli elementi fattuali e l'apprezzamento fattone dal giudice del merito al fine di pervenire al proprio convincimento. In conclusione si tratta di reiterazione delle difese di merito ampiamente e compiutamente disattese dai giudici di secondo grado, oltre che censura in punto di fatto della sentenza impugnata, inerendo esclusivamente alla valutazione degli elementi di prova ed alla scelta delle ragioni ritenute idonee a giustificare la decisione, cioè ad attività che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto, come nel caso in esame, da adeguata e congrua motivazione esente da vizi logico - giuridici.

 

Gli argomenti proposti dal ricorrente costituiscono, in realtà, solo un diverso modo di valutazione dei fatti, ma il controllo demandato alla Corte di Cassazione, è solo di legittimità e non può certo estendersi ad una valutazione di merito. Conclusivamente il ricorso va rigettato Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

 

 

 

P.Q.M.

 

 

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

 

 

 

 

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