Svolgimento del processo
A seguito di esposto in data
13.6.2007 presentato dall'avv. B. P., il Consiglio
dell'Ordine degli Avvocati di Bergamo, sentita l'avv.
C.L.N., deliberò l'apertura di procedimento disciplinare
a suo carico per fatti integranti violazione dell'art.
58, comma 1 del Codice Deontologico Forense, fatti
relativi alla partecipazione, ad un colloquio tra il
legale e la sua assistita ed in pendenza di una causa
civile, della persona che sarebbe stata indicata come
teste nella causa stessa, nonchè alla circostanza di
aver successivamente accreditato innanzi al giudice la
falsità della deposizione dal teste resa perchè difforme
dalla versione ascoltata in quel colloquio. A
conclusione del procedimento il predetto CO.A. -
ritenuta la incolpata responsabile - con decisione
24.3.2009 le comminò la sanzione dell'avvertimento.
L'avv. C.L. propose quindi ricorso
al Consiglio Nazionale Forense lamentando irregolarità
nella conduzione delle indagini, violazioni nella
escussione in tal fase di essa incolpata, difformità
della contestazione dai fatti oggetto di indagine e, nel
merito, la insussistenza di alcun profilo
deontologicamente rilevante nei fatti oggetto di
addebito. Il Consiglio Nazionale Forense con decisione
del 25.10.2010 ha rigettato il ricorso osservando:
- che non aveva rilievo la mancata
acquisizione nella fase delle indagini preliminari
presso il COA dell'intero verbale di udienza nè la
mancata completa audizione dell'interessato in tal fase,
posto che la fase istruttoria non è indispensabile e può
essere del tutto assorbita dalla immediata apertura del
procedimento e che quel che rileva è la specificità del
fatto contestato in tal sede e non la sua difformità da
atti pregressi;
- che il fatto ascritto era provato
e rilevante sul piano disciplinare dato che l'avv. C.L.
aveva mancato al suo dovere di riservatezza facendo
partecipare al colloquio con il proprio cliente un
estraneo al fine di predisporre una testimonianza sul
colloquio stesso, e che la stessa professionista aveva
deciso di rendere dichiarazioni su fatti ed elementi
difensivi coperti dal segreto in tal modo assumendo la
veste di testimone nel giudizio civile senza previa
rinuncia al mandato in violazione dell'art. 58 CDF. Per
la cassazione di tale decisione - notificata il 7.4.2011
- l'avv. C.L.N. ha proposto ricorso con quattro motivi
notificando l'atto al COA di Bergamo ed al P.G. presso
la Cassazione in data 8-13.5.2011. L'intimato COA non ha
svolto difese.
Motivi della decisione
Rilevato che il ricorso risulta
tempestivamente notificato e depositato ai sensi del
R.D. n. 1578 del 1933, art. 56, comma 3, e R.D. n. 34
del 1937, art. 66, u.c., e art. 67, comma 1, ritiene il
Collegio che le censure mosse alla decisione del CNF non
meritino condivisione.
Con il primo motivo si censura la
decisione del CNF per avere fatto capo a fatti privi di
alcuna base di prova e ad asserzioni affatto gratuite,
quali la procurata presenza di un teste a colloquio
riservato (nel mentre il teste era stato addotto dalla
cliente) e la incomprensibile accusa di aver premeditato
di proporre se stessa come testimone della falsità del
teste stesso senza previa rinuncia al mandato.
Con il secondo motivo si addebita
lo stravolgimento perpetrato dal CNF sulla statuizione
del COA, l'organo locale avendo addebitato di aver
proposto sè stesso al giudice come teste "atipico" (nel
mentre a leggere i verbali si rilevava che si era
trattato solo di una capitolazione su colloqui avvenuti
nel suo studio con indicazione come testi di altri due
soggetti) ed il CNF avendo riqualificato la vicenda come
vera e propria assunzione di veste di teste nel giudizio
stesso.
Con il terzo e quarto motivo si
lamentano violazioni avvenute innanzi al COA di Bergamo
nella fase delle indagini anteriori alla apertura del
procedimento.
Si osserva, quanto ai motivi (3 e
4) denunzianti violazioni avverate nella fase delle
indagini preliminari innanzi al COA, motivi che essendo
connessi ben possono congiuntamente esaminarsi, che
appare corretta la decisione del CNF posto che l'area
del rilevante sul piano dei diritti dell'incolpato
coincide con quanto esposto e contestato nella delibera
- notoriamente ricorribile (S.U. 29294 del 2008 e 22624
del 2010) - di apertura del procedimento; di contro
nessuna lesione può avverarsi nella fase antecedente, a
carattere informativo - istruttorio, fase affatto
eventuale e alla cui "gestione" il futuro incolpato non
ha diritti di accesso di sorta (S.U. 20843 del 2007,
3880 del 2010, 11564 del 2011). Venendo al merito, e
quindi alla disamina dei primi due motivi del ricorso,
occorre ricordare quanto affermato dalla decisione di
queste S.U., recante il n. 15852 del 2009, sul valore
integrativo od indicativo delle previsioni del Codice
Deontologico Forense approvato con delibera 15/2008 del
CNF, nel senso che dette previsioni integrative delle
norme ben possono ispirarsi a concetti diffusi e
recepiti nel sentire collettivo con riguardo ai doveri
dei professionisti di astensione da contegni lesivi del
decoro e della dignità professionale.
In tal quadro e su tali premesse
non appare pertanto frutto di alcuna indebita
"forzatura" la lettura che dell'art. 52, comma 1, e art.
58, comma 1, l'organo disciplinare e quindi il giudice
disciplinare forense hanno inteso dare, coniugando con
la esigenza del rispetto della lettera delle previsioni
una loro interpretazione che ricomprenda comportamenti
che attentino alla "sostanza" dei valori deontologici
che le previsioni mirano a garantire.
Il C.N.F. nella impugnata decisione
ha in realtà solo formalmente - a pag. 4 della
motivazione - distinto i due momenti della condotta
censurata, quello occorso nello studio professionale
dell'avv. C.L. e quello successivamente tenuto in
udienza nella causa civile nella quale il professionista
prestava la propria opera: la ricostruzione dei fatti
che è sottesa alla solo apparente scomposizione della
vicenda in comportamenti costituenti infrazione
disciplinare è infatti chiaramente unitaria. Non si
addebita affatto all'avv. C.L. di aver sol sentito in
studio il futuro teste condotto dalla cliente, addebito
che, ove realmente formulato, avrebbe rettamente
prestato il fianco alle censure di cui al ricorso (che
giustamente rammenta come la previa verifica di
rilevanza e conducenza della informazione sui fatti del
teste è compito del difensore anche in sede civile e che
solo le suggestioni e forzature defensionali sul teste
stesso sono stigmatizzate dall'art. 52, comma 1 del
CDF): gli si addebita, invece, di aver condotto
l'incontro in un contesto (l'assenza di riservatezza
cagionata dalle persone presenti) che ben si prestava a
farlo ritenere orientato ad acquisire prove testimoniali
su quel che in tal incontro veniva narrato.
Così, e sotto il secondo versante,
e per quanto la non limpida motivazione della decisione
faccia ritenere plausibili i rilievi mossi in ricorso,
il CNF a ben vedere non addebita affatto al
professionista di aver realmente "assunto la veste" di
testimone su quei fatti noti - il che avrebbe comportato
un censurabile stravolgimento dei fatti attestati dai
verbali della causa civile - ma stigmatizza, come impone
la consecuzione della seconda valutazione alla prima
(alla luce di quanto il ricorso stesso riferisce essere
stata la decisione del COA condivisa dal CNF), che il
professionista abbia portato a compimento la "strategia"
impostata con la escussione "pubblica" del teste nel
proprio studio, quella di addurre, per contrastare la
versione dei fatti dal teste poi riferita al giudice, la
diversa versione resa in quella riservata prima
escussione e di chiamare a deporre le persone presenti a
quella escussione, un collaboratore ed un collega di
studio, in tal guisa accreditando con la propria
personale autorevolezza la persuasività delle
circostanze che la articolazione probatoria esponeva.
E' del resto lo stesso ricorso a
precisare (punto A pagg. 12 e 13) che la richiesta di
prova, articolata contestualmente al deposito della
querela per falsa testimonianza proposta dalla cliente,
verteva sulle dichiarazioni e precisazioni che la teste
aveva formulato all'avv. C.L. nei di lei studio
professionale alla presenza del collega avv. F.B. e
della segretaria di studio D. J..
Su tali dati di fatto appare quindi
chiaro quale sia stato il precetto deontologico violato
a criterio del CNF: quello volto a contenere il ruolo
defensionale nella audizione del "futuro-teste"
nell'ambito della attività di acquisizione riservata,
oggettiva e serena dei dati afferenti la "utilità" per
il proprio assistito della eventuale sua indicazione
nella controversia (art. 52 comma 1 CDF). Di converso
essendo palese la esclusione, da tal lecito agire, di
ogni strumentalizzazione di tale ruolo che sia
perpetrata al fine di avvalersi di quei riservati
colloqui per contestare la non veridicità della
deposizione dal teste resa innanzi al Giudice.
E se tale è il precetto
ragionevolmente individuato dal giudice disciplinare è
poi immune da vizi logici l'aver ritenuto che la sua
violazione venne in fatto perpetrata dal professionista
incolpato:
nella decisione in disamina infatti
si salda alla valutazione di quella anomala,
"partecipata", indagine di rilevanza del futuro teste la
valutazione della richiesta di offrire colleghi e
segretarie di studio (e quindi la propria stessa parola
di professionista) quali fonti dell'accertamento della
falsità della testimonianza difforme.
Quel che la decisione del CNF ha
inteso formulare, pur con la faticosa ed emendabile
argomentazione in diritto che si è riferita, è la
corretta delimitazione del compito del difensore nella
"istruzione preliminare" delle proprie difese in sede
civile, nel quale è compresa la attenta e cauta
valutazione di utilità della indicazione del teste per
le ragioni del proprio assistito ma dal quale è
estraneo, oltre che l'intervento manipolatorio
espressamente censurato all'art. 52 del CDF, comma 1,
anche ogni tentativo di predisporre, al di fuori di ogni
esigenza di riservatezza, accorgimenti per assicurare un
risultato pratico (che infici o attenui la libertà del
soggetto di testimoniare sui fatti).
Nel riferito quadro la decisione
impugnata deve ritenersi immune da violazioni di legge e
fondata su congrue e logiche valutazioni.
L'assenza di contraddittori
dispensa dal regolare le spese del giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. |