"non
consentono di ritenere il diritto al tempo libero come
diritto fondamentale dell’uomo e, nella sola prospettiva
costituzionale, come diritto costituzionalmente protetto
e ciò per la semplice ragione che il suo esercizio è
rimesso alla esclusiva autodeterminazione della persona,
che è libera di scegliere tra l’impegno instancabile nel
lavoro e il dedicarsi, invece, a realizzare il suo tempo
libero da lavoro e da ogni occupazione."
Presidente Filadoro – Relatore Uccella
Svolgimento del processo
Con
sentenza del 3 marzo 2005 il Tribunale di Milano in
parziale accoglimento della domanda proposta da Tizio
volta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti a
seguiti della illegittima sospensione di linee
telefoniche urbane dal 19 settembre al 21 settembre 2001
nonché per le errate informazioni fornite dal tecnico
(operatore) sull’operatività della nuova linea ADSL ...,
con conseguenti interventi sostitutivi, condannava la
(operatore) al risarcimento degli stessi, escludendo il
preteso danno per perdita del tempo libero, trattandosi,
argomentava il Tribunale,di un bene la cui lesione non
era suscettibile di valutazione economica e che non
rientrava nel novero dei danni risarcibili perché non si
verteva in ipotesi di valori della persona dalla valenza
costituzionale.
Su
gravame dello S. la Corte di appello di Milano il 29
febbraio 2008 confermava la sentenza.
Avverso
siffatta decisione propone ricorso per cassazione lo S.,
affidandosi ad un unico motivo.
Resiste
con controricorso la (operatore).
Motivi
della decisione
Con
l’unico motivo insufficiente ed incongrua motivazione
(art. 360 n. 5 c.p.c.) il ricorrente si duole che
erroneamente il giudice dell’appello non avrebbe
riconosciuto in capo a lui il diritto al tempo libero
come vero e proprio diritto soggettivo, non
riconducibile ai diritti della personalità tutelai dagli
artt. 2 e 3 Cost. e non dotati di autonoma
caratterizzazione, anche perché, esaminando la domanda
dell’attore, in parte qua, il giudice avrebbe
rinvenuto,, erroneamente, a suo avviso, una
contraddizione, in quanto il criterio risarcitorio a tal
fine si sarebbe basato sul valore dell’ora di lavoro
maggiorato del 40%.
Questa,
in estrema sintesi, la doglianza, con la quale si
censura la sentenza anche per non avere determinato il
danno secondo il disposto dell’art. 1226 c.c..
In
punto di fatto, la richiesta di risarcimento per perdita
del tempo libero riguarda la perdita di quattro ore di
tempo libero da calcolare come ore di straordinario.
Osserva
il Collegio che il motivo non merita accoglimento.
Al
riguardo, va posto in rilievo che i diritti inviolabili
dalla valenza costituzionale sono quelli non solo
positivizzati, ma anche che emergono dai documenti
sovranazionali, quali interpretati dai giudici nella
loro attività ermeneutica.
Si
tratta di diritti o interessi che l’ordinamento non solo
riconosce, ma garantisce e tutela con efficacia erga
omnes, proprio perché fondanti la persona umana, che
presenta una sua dignità, la quale fa da presupposto
ineludibile per il loro esercizio e la loro attuazione.
Ciò
posto, la normativa costituzionale da un iato, le norme
della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo, così
come interpretati dalla Corte di Strasburgo, lo stesso
Trattato di Lisbona con l’allegata – e giuridicamente
vincolante – Carta di Nizza, la Carta sociale Europea
aggiornata nel 1999, dall’altro, non consentono di
ritenere il diritto al tempo libero come diritto
fondamentale dell’uomo e, nella sola prospettiva
costituzionale, come diritto costituzionalmente protetto
e ciò per la semplice ragione che il suo esercizio è
rimesso alla esclusiva autodeterminazione della persona,
che è libera di scegliere tra l’impegno instancabile nel
lavoro e il dedicarsi, invece, a realizzare il suo tempo
libero da lavoro e da ogni occupazione.
Questa
sua caratterizzazione di autonoma opzionalità lo
distingue dai diritti inviolabili, che sono, di per sé,
eccetto i limiti posti dalle leggi, che, comunque con
essi si devono confrontare, pena la loro
disapplicazione, diritti irretrattabili della persona,,
perché ne fondano la giuridica esistenza sia dal punto
di vista della identità individuale che della sua
relazionalità sociale.
Lo
stesso inserimento nella Carta di Nizza dei diritti
ricavati dalle Carte sociali adottate nell’ambito
dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa – da tenere
presenti anche dall’interprete interno, per l’apertura
internazionalistica del nostro sistema- non prevede tra
i diritti tutelati il “diritto al tempo libero”, mentre
rafforza il tempo impiegato nel lavoro, peraltro già
oggetto di specifica tutela costituzionale.
Ciò
posto in linea di pura teoria del diritto, va affermato
che il richiamo all’autorevole sentenza delle Sezioni
Unite di questa Corte (S.U. n.26972/08) non appare
conferente per il caso di specie, anzi la decisione
sembra rafforzativa della sentenza impugnata.
Infatti, sulla base delle argomentazioni svolte negli
ultimi tempi dalla dottrina e dalla giurisprudenza, le
Sezioni Unite riconoscono la tutela risarcitoria, oltre
che nei casi determinati dalla legge, solo nel caso di
lesione di specifici diritti inviolabili della persona,
e cioè in presenza di una ingiustizia costituzionalmente
ed, aggiunge questo Collegio, internazionalmente
riconosciuta e qualificata.
Invero,
nella motivazione, le Sezioni Unite escludono ogni
risarcibilità proprio per quello che il ricorrente
definisce un problema che si manifesta con preoccupante
frequenza nella vita quotidiana, per cui gli utenti sono
costretti a trascorrere ore a stare in coda, tanto che
sta assurgendo a causa primaria della oggettiva
insufficienza di ogni giornata ad adempiere alle proprie
incombenze lavorative (p.7 ricorso).
Infatti, il ricorrente invoca i fastidi della vita
quotidiana che, per le Sezioni Unite integrano solo un
attentato a diritti immaginari, come il diritto alla
qualità della vita, allo stato di benessere, alla
serenità:in definitiva, il diritto ad essere e vivere
felici.
In
questi casi, se non prevista dalla legge, la lesione di
un tale “immaginario” diritto non è fonte di
responsabilità risarcitoria non patrimoniale.
Quanto
sopra osservato rende irrilevante l’assunto del
ricorrente circa l’obbligo del giudice del merito di
applicare l’art. 1226 c.c.: assunto, peraltro,
infondato, perché, come rileva la resistente, il
ricorrente non ha neppure allegato e provato il danno
eventualmente subito nelle quattro ore in cui non ha
potuto godere, a suo dire, del c.d. diritto al tempo
libero (v. S.U. n.26972 cit.) ed anche nel ricorso non
allega alcuna circostanza dell’effettivo danno.
Del
resto, osserva il Collegio che la domanda del ricorrente
si presenta contraddittoria.
Infatti, egli ha chiesto di determinare il danno sulla
base del criterio dell’ora lavorativa maggiorata del
40%.
E su
questo, corretta è la risposta dei giudice dell’appello,
il quale qualifica la domanda come eventuale richiesta
di perdita di chances, peraltro, mai oggetto di
contraddittorio tra le parti.
Su
questo capo della sentenza è suggestiva, dal punto di
vista dialettico, la censura del ricorrente, con la
quale egli evidenzia che tale richiesta fu fatta solo
per valorizzare le ore del tempo libero, applicando la
stessa maggiorazione prevista per le ore straordinarie.
Infatti, è evidente che l’eventuale risarcibilità del
tempo libero non può nemmeno analogicamente essere
riferita al valore delle ore di lavoro straordinario,
per la contraddizione tra il suo elemento
caratterizzante la libertà da ogni occupazione
retribuita – e l’incremento patrimoniale voluto dal
soggetto con il sottoporsi alle ore di lavoro
straordinarie (v.p. 8 sentenza impugnata).
Conclusivamente, il ricorso va respinto e le spese, che
seguono la soccombenza, vanno liquidate come da
dispositivo.
P.Q.M.
La
Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di
cassazione, che liquida in Euro 600 di cui Euro 200 per
spese, oltre spese generali ed accessori come per legge. |