(Pres. Proto- Rel. Piccininni)
Svolgimento del processo
Con sentenza del 13.10.2005 la
Corte di Appello di Firenze determinava rispettivamente
in Euro 431.386,78 e in Euro 17.687,56 le indennità di
espropriazione e di occupazione relative a terreni di
proprietà della M. G. C. & C. s.n.c., condannando poi
per l'effetto il Comune di Cecina al relativo pagamento.
Avverso la decisione quest'ultimo
proponeva quindi ricorso per cassazione affidato a due
motivi, con i quali lamentava l'errata valutazione dei
terreni.
Resisteva a sua volta la M. G. C. &
C s.n.c. con controricorso, contenente anche ricorso
incidentale articolato in due motivi.
In particolare con i due motivi di
impugnazione il Comune aveva ili denunciato violazione
dell'art. 5 bis L. 8.8.1992 n. 359 e vizio di
motivazione sotto un duplice profilo, e cioè
rispettivamente:
1) in relazione all'affermata
natura edificabile, legale e di fatto, dei terreni
oggetto di causa che, rientrando nella zona classificata
F1, sarebbero stati destinati alla realizzazione di
opere di interesse generale, e con ciò sottratti alla
edificazione privata;
2) con riferimento ai criteri di
stima dei terreni; questa sarebbe stata infatti
effettuata secondo il metodo analitico, con
l'individuazione del punto di partenza nel valore di
mercato dell'edilizia residenziale, mentre la successiva
elaborazione dei dati sarebbe avvenuta sulla scorta
degli indici volumetrici attribuiti dal P.R.G. alle
circostanti zone edificate o edificabili. La detta
elaborazione tuttavia sarebbe errata, perché compiuta in
relazione a zone urbanisticamente diverse.
Con i due motivi del ricorso
incidentale la società M. ha a sua volta denunciato:
1) violazione dell'art. 5 bis L.
92/359 e dell'art. 1 del Protocollo Addizionale n. 1
alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, nonché
vizio di motivazione, in ragione del mancato
accoglimento della domanda "volta ad ottenere
un'indennità pari o vicina al valore di mercato del
terreno";
2) violazione dell'art. 1224,
secondo comma, c.c., per il negato riconoscimento della
rivalutazione sul saldo della somma dovuta a titolo di
indennità di espropriazione, che viceversa sarebbe stata
conseguente alla qualità di imprenditore di essa
attrice. Successivamente il Comune depositava atto di
rinuncia al ricorso, notificato alla controparte, con il
quale sollecitava questa Corte ad emettere declaratoria
di estinzione del giudizio anche con riferimento al
ricorso incidentale, in quanto tardivo. In particolare
il Comune al riguardo rilevava che la sentenza impugnata
era stata notificata dalla società M. al Comune di
Cecina il 25.11.2005, mentre il controricorso era stato
notificato in data 3.3.2006, vale a dire tempestivamente
rispetto al termine di quaranta giorni di cui all'art.
371 c.p.c., ma tardivamente rispetto a quello più ampio
di sessanta giorni decorrente dalla notifica della
sentenza, prescritto dall'art. 325 c.p.c..
Da ciò sarebbe dunque derivata,
secondo il Comune, l'inefficacia del ricorso incidentale
tardivo, per effetto dell'intervenuta estinzione di
quello principale, assunto contrastato dal
controricorrente con memoria, e quindi ulteriormente
illustrato dal ricorrente con il medesimo mezzo.
Questa Corte, assunta la causa in
decisione all'udienza del 16.3.2010, emetteva ordinanza
interlocutoria, con la quale ravvisava l'opportunità di
rimettere gli atti al Primo Presidente per una eventuale
assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, tenuto
conto della non univocità delle decisioni adottate
relativamente agli effetti sul ricorso incidentale
tardivo conseguenti alla improcedibilità del ricorso
principale, o ad una rinunzia a quest'ultimo da parte di
chi lo aveva proposto.
La controversia veniva quindi
decisa all'esito dell'udienza pubblica del 8.3.2011,
previa acquisizione delle ulteriori memorie depositate
dalle parti ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1. - La questione che va
preliminarmente risolta è quella che ha determinato la
rimessione della causa a queste Sezioni Unite,
consistente, come detto, negli effetti spiegati sul
ricorso incidentale tardivo dall'intervenuta rinunzia al
ricorso principale.
Al riguardo si deve innanzitutto
osservare che, come già precedentemente rilevato, la
giurisprudenza di questa Corte non si è attestata in
modo univoco in proposito. Ed infatti, premesso che la
sanzione della inefficacia della impugnazione
incidentale tardiva è stata espressamente prevista dal
legislatore esclusivamente nel caso di declaratoria di
inammissibilità dell'impugnazione principale (art. 334,
comma 2, c.p.c.), occorre considerare che, accanto alle
sentenze C. 10/1093, C. 09/2855, C. 08/21254, C.
08/9741, C. 06/9452 (di cui C. 08/9741 e C. 08/21254
particolarmente significative, la prima poiché
pronunciata a sezioni unite e la seconda in quanto
attinente ad una controversia analoga a quella in
esame), che hanno affermato l'applicabilità del citato
art. 334 anche in casi di caducazione del ricorso
principale diversi da quello dell'inammissibilità (più
precisamente nel caso di improcedibilità del ricorso
principale o di intervenuta rinunzia ad esso da parte
dell'originario ricorrente), ve ne sono altre
(segnatamente C. 09/2990, C. 08/22385) che, sia pur
senza affrontare specificamente la questione, hanno
affermato principi di segno opposto.
In particolare si rileva che con la
sentenza n. 21254 del 6.8.2008 questa Corte ha affermato
che nel caso di rinunzia della parte al ricorso
principale il ricorso incidentale tardivo perde
efficacia, e ciò per il fatto che non vi sarebbe ragione
per continuare a ritenere sussistente l'interesse al
ricorso, una volta venuto meno il presupposto in
funzione del quale ne è stata riconosciuta la sua
proponibilità.
Analogamente con la citata sentenza
n. 9741, pronunciata a sezioni unite, si è ritenuto che
anche nel caso di improcedibilità dell'impugnazione
principale deve trovare attuazione il disposto dell'art.
334, comma 2, c.c. (che disciplina la diversa ipotesi
dell'inammissibilità dell'impugnazione principale), e
ciò per effetto di una interpretazione logico -
sistematica dell'ordinamento, che renderebbe irrazionale
la perdurante efficacia di un'impugnazione nel caso di
sopravvenuta mancanza del presupposto che ne aveva
consentito la proposizione.
2. - Il limitato riferimento del
dettato normativo all'inefficacia dell'impugnazione
principale tardiva nel solo caso dell'inammissibilità
dell'impugnazione principale e la non coincidenza delle
varie fattispecie sopra richiamate (inammissibilità,
improcedibilità, rinunzia), che comunque determinano il
medesimo risultato di una anticipata definizione del
processo per ragioni diverse da quelle di merito,
pongono dunque la questione se tale identico esito possa
consentire l'estensione dei medesimi effetti sul ricorso
incidentale tardivo, previsti nel caso di
inammissibilità del ricorso principale, anche alle
differenti ipotesi di improcedibilità dell'impugnazione
e di rinuncia al ricorso principale.
3. - Al riguardo è innanzitutto
utile premettere che l'impugnazione incidentale,
disciplinata dagli artt. 333 e 334 c.p.c., è indicata
dal legislatore come il mezzo attraverso il quale le
parti devono impugnare la sentenza, quando contro di
essa vi sia già stata impugnazione ad opera di altra
parte.
In particolare, mentre l'art. 333
prevede l'ipotesi dell'impugnazione proposta nei termini
normativamente previsti (artt. 325, 326, 327 c.p.c.)
dalla parte cui sia già stata notificata una precedente
impugnazione, l'art. 334 (primo comma) legittima la
proposizione dell'impugnazione incidentale anche quando
questa risulti effettuata oltre i termini a tal fine
concessi, e quindi tardivamente.
Il secondo comma dello stesso
articolo stabilisce poi, in tale ultimo caso, che se
l'impugnazione principale è dichiarata inammissibile
quella incidentale perde ogni efficacia.
Alla luce di quanto ora esposto non
sembra dubbio (così come del resto pacificamente
riconosciuto anche in dottrina) che l'istituto
dell'impugnazione incidentale tardiva (art. 334, primo
comma) assolve alla funzione di favorire l'accettazione
della sentenza, e quindi la formazione del giudicato.
Infatti, in mancanza della disposizione di cui all'art.
334, comma 1, c.c. la parte astrattamente disponibile ad
accettare la sentenza potenzialmente suscettibile di
gravame, per evitare di correre il rischio di non essere
in grado di apprestare idonea difesa nel caso di
impugnazione principale proposta dalla controparte
nell'imminenza della scadenza del termine a tal fine
previsto, sarebbe comunque indotta a proporre
impugnazione in via cautelativa.
Più delicata si presenta viceversa
la questione per quanto concerne il rapporto tra
impugnazione principale e impugnazione incidentale
tardiva.
Fra le due ipotesi estreme aventi
alternativamente ad oggetto una dipendenza assoluta di
quest'ultima dalla prima (tanto da precluderne la
delibazione nell'ipotesi di rigetto dell'impugnazione
principale), ovvero un'altrettanto assoluta autonomia
(tale cioè da imporne l'esame in ogni caso), il
legislatore ha operato una scelta intermedia
ricollegando, come detto, l'inefficacia
dell'impugnazione incidentale all'inammissibilità di
quella principale, e ciò verosimilmente sulla base
dell'accertata mancanza del presupposto in fatto (vale a
dire l'esistenza di una valida ed efficace impugnazione
principale) idoneo a legittimare sostanzialmente una
rimessione in termini, che risulterebbe pertanto (e cioè
stante la detta mancanza) del tutto inspiegabile ed
irragionevole.
D'altro canto a conferma delle
deduzioni ora svolte è utile ricordare, come circostanza
sintomatica al riguardo, il contenuto del corrispondente
art. 487 del previgente codice del 1865, che per
l'appunto collegava l'inefficacia dell'appello
incidentale esclusivamente alla tardività di quello
principale, affermando espressamente, inoltre,
l'irrilevanza del rigetto dell'impugnazione e della
rinuncia ad essa.
4. - La questione relativa alla
assimilazione (sotto il profilo degli effetti sul
ricorso incidentale) della declaratoria di
improcedibilità a quella di inammissibilità del ricorso
principale (sulla quale, come visto, è espressamente
intervenuto il legislatore) è stata già affrontata da
questa Corte nella richiamata sentenza n. 9741 del 2008,
pronunciata a sezioni unite, con la quale in particolare
è stato affermato: a) che, ai fini dell'applicazione del
secondo comma dell'art. 334 c.p.c., questa Corte aveva
già deciso nel senso dell'equivalenza fra
l'improponibilità e l'inammissibilità dell'impugnazione
principale (C. 86/4818), avendo in comune le due
fattispecie "il dato essenziale della ratio della
norma", consistente nell'esistenza originaria del vizio
dell'impugnazione principale; b) che la previsione
dell'inefficacia del ricorso incidentale, limitata dal
legislatore all'ipotesi di inammissibilità di quello
principale, non avrebbe consentito il ricorso
all'interpretazione analogica, che avrebbe viceversa
presupposto una (inesistente) lacuna dell'ordinamento;
c) che tuttavia l'inefficacia del ricorso incidentale
poteva correttamente desumersi anche nel caso di
improcedibilità del ricorso principale, e ciò per "la
ratio della previsione dell'impugnazione incidentale
tardiva", consistente nella rimessione nei termini di
una parte parzialmente soccombente, ma comunque
soddisfatta dell'esito del giudizio, non essendo
ravvisarle alcuna ragione di tutela una volta precluso
l'esame del ricorso principale; d) che la previsione di
inefficacia del ricorso incidentale tardivo nell'ipotesi
di inammissibilità di quello principale sarebbe
superflua, essendo detto effetto "desumibile dal
sistema", circostanza da cui discenderebbe anche
l'identità di esito nel caso di improcedibilità del
ricorso principale, in applicazione di una
interpretazione logico - sistematica.
Orbene, dal contenuto delle
argomentazioni salienti della decisione, sopra
sinteticamente rappresentate, si evince che il
presupposto idoneo a dare ragione di una identica
conseguenza di inefficacia del ricorso incidentale, nei
due distinti casi di inammissibilità ed improcedibilità
di quello principale, è stato identificato nel difetto
originario di quest'ultimo, preclusivo, in quanto tale,
di ogni ulteriore esame (in tal senso anche C. 04/12249
e, da ultimo, C. 10/14084).
Non ignora naturalmente il Collegio
la distinzione fra l'inammissibilità e l'improcedibilità
dell'impugnazione, la prima attinente al momento
genetico del processo e relativa al caso in cui
l'impugnazione non poteva essere (o comunque non lo era
stata) efficacemente proposta (si pensi, a titolo
esemplificativo, alle ipotesi indicate dagli artt. 331,
339, 340, 350, 365, 366, 398 c.p.c.); la seconda
derivante, viceversa, da circostanze imputabili al
comportamento della parte, verificatesi in un momento
successivo alla proposizione dell'impugnazione, tali da
non consentirne la prosecuzione (si pensi analogamente
alle ipotesi considerate dagli artt. 348, 369, 399
c.p.c.). Tuttavia occorre considerare in proposito che è
agevole individuare un connotato assolutamente comune
nei distinti istituti della inammissibilità e della
improcedibilità dell'impugnazione, sotto il triplice
aspetto del momento dell'insorgenza, dell'ambito di
incidenza, della non volontarietà degli effetti venutisi
a determinare.
In entrambi i casi, infatti: a) il
vizio attiene al procedimento di impugnazione; b) si
manifesta fin dal momento del suo insorgere e prima
della trattazione del merito; c) l'esito di
inammissibilità o di improcedibilità del ricorso
principale non è direttamente riferibile alla volontà
della parte, non essendo riconducibile all'espressione
di un diritto potestativo.
In altri termini è da ritenere che
al vizio dell'atto di impugnazione (che da luogo alla
declaratoria di inammissibilità) sia accostabile il
vizio del procedimento, laddove esso sia tale da non
consentirne la corretta instaurazione ed il regolare
avvio, non essendovi ragione per distinguere fra due
ipotesi che determinano il medesimo effetto processuale
(irrituale instaurazione del procedimento), sono
oggettivamente percepibili dalle diverse parti in causa
(sicché non danno luogo ad errati affidamenti da parte
di alcune di esse), si manifestano nella fase
introduttiva del procedimento, non sono infine
direttamente riconducibili alla volontà di alcuno dei
protagonisti del processo.
5. - Tale ultima connotazione
rappresenta il tratto distintivo fra le ipotesi di
inammissibilità e di improcedibilità dell'impugnazione
principale, da un lato, e di rinuncia dall'altro, atteso
il dato volontaristico che caratterizza quest'ultima.
In proposito va innanzitutto
premesso che, per quanto non espressamente disciplinata
dalla legge, la rinuncia all'impugnazione è ammissibile
nel giudizio di appello in forza del richiamo contenuto
nell'art. 359 c.p.c. e fa venir meno il potere-dovere
del giudice di pronunciare con efficacia immediata,
senza bisogno di accettazione (C. 04/18255, C. 99/8387,
C. 95/5556). Analogamente la rinuncia al ricorso per
cassazione, viceversa espressamente richiamata dall'art.
390 c.p.c., produce l'estinzione del processo anche in
assenza di accettazione della parte cui sia stata
notificata, determinando in tal modo il passaggio in
giudicato della sentenza impugnata (C. 10/3876, C.
09/21894, C. 08/23840, C. 06/27133). Da ciò dunque
discende che, non avendo la parte destinataria dell'atto
potere di opporsi all'iniziativa dell'avversario,
l'ipotetica assimilazione della rinuncia
all'inammissibilità e all'improcedibilità
dell'impugnazione finirebbe per rimettere l'esito
dell'impugnazione incidentale tardiva alla esclusiva
volontà dell'impugnante principale.
Ed è questo certamente un esito
che, oltre a non essere stato normativamente previsto,
si diversifica sul piano logico sistematico da quello
riconducibile alle ipotesi di
inammissibilità/improcedibilità dell'impugnazione
principale, atteso che in tali ultimi casi l'inefficacia
dell'impugnazione incidentale dipende da un vizio
dell'atto o del procedimento di impugnazione nel senso
precedentemente indicato, e non dalla scelta esclusiva
di una delle parti in causa.
Né d'altra parte la detta
conclusione contrasta con le diverse statuizioni di
questa Corte che, nel caso di rinuncia al ricorso per
cassazione, hanno definito il giudizio con declaratoria
di inammissibilità.
Al riguardo occorre infatti
precisare che tale ipotesi, in cui è ravvisabile un
comportamento di una parte dal quale è desumibile il
venir meno dell'interesse alla decisione sul merito
della domanda, per essere mutata l'originaria situazione
giuridica soggettiva dedotta in giudizio, è
riconducibile alla figura della cessazione della materia
del contendere, con riferimento alla quale la Corte di
Cassazione non ha adottato omogenee forme di definizione
(cassazione senza rinvio - C. 00/3096, C. 99/9654, C.
99/5476, C. 94/1614 -, improcedibilità per carenza di
interesse - C. 99/9654, C. 98/2197 -, inammissibilità -
C. 10/3245, C. 09/26811, C. 05/7440, C. 96/10048 -, non
luogo a provvedere - C. 82/1975, C, 80/1420, C. 77/1598
-) e che comunque, anche laddove il giudizio risulti
concluso con una declaratoria di inammissibilità, si
diversifica totalmente rispetto a quelle ugualmente
definite, per effetto di un vizio dell'atto o del
procedimento di impugnazione nel senso sopra delineato.
6. - Ritiene poi il Collegio, che
non deponga in senso contrario alle considerazioni
svolte sub 5) l'affermazione contenuta nella sentenza n.
9741 del 2008, secondo cui "il ricorrente incidentale
tardivo non avrebbe motivo di dolersi del mancato esame
della propria impugnazione, dipendente dal comportamento
del ricorrente in via principale, dal momento che
verrebbe comunque assicurato il passaggio in giudicato
della sentenza delle cui statuizioni non aveva
inizialmente avuto modo di dolersi" (p 17). Ed infatti
occorre al riguardo preliminarmente precisare che la
sentenza in questione aveva espressamente richiamato la
precedente decisione n. 4818, emessa da questa Corte a
sezioni unite in data 28.7.1986, con la quale era stata
motivata l'equivalenza fra improponibilità e
inammissibilità dell'impugnazione principale in ragione
della comune esistenza di un vizio genetico
dell'obbligazione principale, e che in ogni modo il
collegamento fra il comportamento del ricorrente
principale e la preclusione all'esame dell'impugnazione
incidentale era stato inteso con riferimento alla
considerata ipotesi dell'improcedibilità
dell'impugnazione principale.
Non è invero dubbio che la sanzione
dell'improcedibilità dell'impugnazione sia conseguenza
del comportamento omissivo della parte, ma la
prospettata esigenza, in tale ipotesi, di una disciplina
identica a quella espressamente prevista nel caso di
inammissibilità dell'impugnazione riposa sul duplice
rilievo della comune esistenza di un vizio originario
(dell'atto o del procedimento) e della sua oggettiva
percepibilità dalle altre parti. D'altro canto, seppur
suggestive, non sembra possano essere condivise le due
considerazioni secondo le quali il ricorrente
incidentale: a) avendo proposto impugnazione soltanto a
seguito di quella del ricorrente principale, avrebbe
così dimostrato di non aversi a dolere delle statuizioni
contenute nella sentenza impugnate sicché, una volta
venuta meno la causa della propria impugnazione (vale a
dire l'impugnazione principale), non vi sarebbe motivo
per conservare l'efficacia di una impugnazione non
direttamente voluta, ma originata da precedenti - e
superate - identiche iniziative di altre parti; b) il
ricorrente incidentale avrebbe dovuto tener conto della
differente disciplina dettata nelle due distinte ipotesi
di impugnazione tempestiva e tardiva e pertanto,
privilegiando la seconda, si sarebbe consapevolmente
addossato il rischio delle eventuali conseguenze da essa
derivanti.
Ed invero il profilo di
problematicità che si desume dal privilegiare una
soluzione che riconosca efficacia al ricorso incidentale
tardivo pur nella sopravvenuta inefficacia di quello
principale, va individuato in un aspetto antecedente a
quello relativo all'esistenza o meno di un interesse
dell'impugnante incidentale a coltivare la sua
impugnazione o di una sua esclusiva responsabilità per
le conseguenze (asseritamente prevedibili) derivanti
dalla caducazione dell'impugnazione principale.
Il punto critico al riguardo va
infatti individuato nella corretta configurazione del
rapporto fra le due impugnazioni (principale e
incidentale), e più precisamente nella determinazione
dei limiti di autonomia della seconda rispetto alla
prima.
In via astratta ed ipotetica le due
soluzioni alternativamente prospettabili a fronte di un
rapporto processuale immune da vizi (vale a dire per
essere il ricorso ammissibile e procedibile),
rispettivamente incentrate su un'assoluta dipendenza
ovvero da altrettanto assoluta autonomia
dell'impugnazione incidentale rispetto a quella
principale, sembrano avere pari credito e consistenza:
si potrebbe infatti fondatamente cristallizzare la
posizione del ricorrente incidentale al momento della
proposizione del ricorso principale, per poi sostenere
la permanenza dell'originaria condizione (cioè quella di
una impugnazione subordinata all'altra) anche dopo
l'avvenuta proposizione dell'impugnazione principale, e
pur se venuta meno quest'ultima. In altri termini,
stando all'indicata premessa, la scelta di non impugnare
sarebbe irreversibile e conserverebbe la sua efficacia
pur a fronte di un precedente comportamento di segno
opposto (consistente nell'avvenuta proposizione
dell'impugnazione incidentale), se rimossa
l'impugnazione che l'aveva determinata. Si potrebbe
tuttavia analogamente sostenere, con uguale fondatezza,
che, una volta proposta l'impugnazione principale
(ammissibile e procedibile) ed esercitato da parte
dell'impugnato il proprio autonomo diritto di
impugnazione conseguente alla rimessione dei termini
normativamente prevista, le due diverse impugnazioni
divengano del tutto autonome fra loro ed acquisiscano di
fatto una pari dignità.
Il diritto alla proposizione
dell'impugnazione incidentale, il cui esercizio rimane
sospeso fino a che l'altra parte non abbia dal canto suo
proposto impugnazione principale, si attualizzerebbe
cioè dopo il verificarsi di detto ultimo evento e, una
volta esercitato, attribuirebbe all'impugnazione
incidentale la stessa identica collocazione e disciplina
riconosciuta all'impugnazione principale.
7 - Sulla scorta dei rilievi sinora
svolti, sembra dunque potersi concludere che il secondo
comma dell'art. 334 c.p.c. non possa trovare
applicazione nel caso di rinuncia al ricorso principale.
Tali conclusioni, peraltro, sono confortate anche dalla
loro sintonia con "la ratio" della disposizione in
esame, oltre che da ulteriori considerazioni relative
alla corretta applicazione dei principi del giusto
processo, e ciò sotto un duplice aspetto.
Sul primo punto è invero agevole
rilevare che, come d'altro canto precedentemente già
rappresentato, la "ratio" della normativa in esame va
individuata nell'obiettivo di favorire il formarsi del
giudicato, obiettivo che risulterebbe contrastato dal
rischio per l'impugnante incidentale di veder vanificato
l'esame da parte del giudice del proprio atto di
impugnazione, sulla base di una insindacabile scelta in
tal senso della controparte.
L'esistenza del detto rischio
finirebbe dunque per favorire il ricorso
all'impugnazione incidentale tempestiva, dando così
luogo ad un evidente contrasto con gli obiettivi
perseguiti dalla norma.
Quanto alla corretta applicazione
dei principi del giusto processo, occorre innanzitutto
rilevare, per un primo aspetto, che la parte che
notifica la sentenza senza proporre impugnazione offre
alla controparte la propria accettazione della
decisione, offerta che viene fisiologicamente meno una
volta proposto da quest'ultima l'appello principale.
Il consentire dunque alla parte che
ha rifiutato la detta offerta di vanificare la strategia
posta in essere da quella che ha provveduto alla
notifica della sentenza - e ha quindi proposto
impugnazione incidentale solo dopo la constatazione
della inutilità della precedente iniziativa - senza
alcuna possibilità, per quest'ultima, di svolgere difese
o di interloquire sul punto, determina un non
ragionevole squilibrio fra le posizioni ed i poteri
delle parti.
Inoltre, quanto al secondo aspetto,
occorre considerare la funzione deterrente che
l'impugnazione incidentale incontestabilmente svolge nei
confronti della parte che intenda proporre
l'impugnazione principale, tenuto conto della
significativa incidenza che può avere, per chi ha in
animo di impugnare, la valutazione del rischio
riconducibile ad una ipotetica proposizione di
un'impugnazione incidentale.
L'eliminazione di detto rischio,
per effetto del permanere della disponibilità del
processo da parte dell'impugnante principale, e ciò in
virtù della possibilità che gli sarebbe così
riconosciuta di rendere inefficace il ricorso
incidentale con la semplice rinuncia a quello
principale, finirebbe dunque per determinare, anche per
tale verso, uno ingiustificato squilibrio fra la
posizione delle parti in causa.
8. - Sulla base di quanto sinora
esposto deve dunque concludersi che la declaratoria di
estinzione del giudizio relativo al ricorso principale,
conseguente all'atto di rinuncia del Comune di Cecina
debitamente notificato alla società M., non determina
l'inefficacia del ricorso incidentale, che pertanto deve
essere esaminato nel merito.
In particolare risulta fondato il
primo motivo, considerato che a seguito della sentenza
della Corte Costituzionale n. 348 del 2007, che ha
dichiarato l'illegittimità dell'art. 5 bis, commi 1 e 2
d.l. 11.7.92, n. 333 (conv. in L. 8.8.92, n. 359), il
criterio di determinazione dell'indennità di
espropriazione, applicabile ai giudizi in corso, va
ancorato al valore venale del bene (C. 10/14939, C.
08/28431, C. 08/22395, C. 08/7528), circostanza che
comporta la riforma sul punto della sentenza oggetto di
esame.
È viceversa infondato il secondo
motivo, atteso che la Corte di Appello ha escluso il
riconoscimento della rivalutazione monetaria, essendo
l'obbligazione di valuta e mancando la prova del maggior
danno, affermazione corretta per quanto concerne la
natura dell'obbligazione e la necessità per la parte
istante di dare dimostrazione del pregiudizio
asseritamente subito (C. 09/23744, C. 09/12828, C.
09/3042, C 07/16871), per di più censurata in modo del
tutto generico, non essendo state indicati, in
particolare, gli elementi dai quali poter desumere il
contrario (la M. si è infatti limitata a richiamare la
propria qualità di imprenditore commerciale).
L'accoglimento del primo motivo di
impugnazione del ricorso incidentale comporta la
cassazione della sentenza impugnata, con conseguente
decisione di merito ai sensi dell'art. 384 c.p.c., non
essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto. Ed
infatti dall'espletata consulenza tecnica, le cui
risultanze sono state fra l'altro riportate dalla
società M. con la memoria del 5.3.2010 sulla quale, per
il punto di interesse, non vi è stata contestazione da
parte del Comune di Cecina, è emerso che il valore
venale dei terreni espropriati all'originaria attrice è
di Euro 862.973,66, mentre per l'occupazione degli
stessi terreni dall'8.5.1998 al 4.5.1999 (arco di tempo
in cui la stessa si è protratta) la relativa indennità,
calcolata in ragione degli interessi legali
sull'indennità di espropriazione per il periodo di
occupazione, ammonta a L. 68.440.280,74, corrispondenti
a Euro 35.346,45, somma determinata applicando gli
interessi legali al 5%, per il periodo 8.5. - 31.12.
1998 (L. 54.248.650,62), e al 2,5% per il periodo 1.1. -
4.5.1999 (L. 14.191.630,12).
In tali misure vanno dunque
rispettivamente determinate le indennità di
espropriazione e di occupazione, somme sulle quali
devono essere inoltre corrisposti gli interessi legali
decorrenti, per la prima, dalla data di emanazione del
decreto di espropriazione e, per la seconda, dalla
scadenza di ciascuna annualità di occupazione.
Quanto alla ripartizione delle
spese processuali, deve essere confermata per il merito
la statuizione sul punto della Corte di Appello, atteso
l'esito totalmente favorevole per la società M. del
relativo giudizio, e devono essere poste a carico del
Comune nella misura del 50% per il giudizio di
legittimità (da compensare dunque per il residuo 50%)
tenuto conto, da una parte, della sua soccombenza anche
in tale sede e, dall'altra, dei non univoci orientamenti
di questa Corte sulla tematica in oggetto, che per
l'appunto hanno dato luogo alla rimessione della
questione alle Sezioni Unite.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi, dichiara
estinto il giudizio relativo al ricorso principale,
accoglie il primo motivo di quello incidentale, rigetta
il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata e,
decidendo nel merito, così provvede: a) determina le
indennità di espropriazione e di occupazione dei terreni
oggetto di controversia rispettivamente in Euro
862.973,66 e in Euro 35,346,45; b) dispone che dette
somme, detratto quanto eventualmente già versato e
maggiorate degli interessi con le decorrenze indicate in
motivazione, siano depositate a cura del Comune di
Cecina presso la competente Cassa Depositi e Prestiti;
c) condanna il Comune al pagamento delle spese del
giudizio di merito e al 50% di quelle di legittimità,
liquidate rispettivamente in Euro 14.077,38, di cui Euro
10.700 per onorari e Euro 1.263,62 per diritti, oltre
alle spese di CTU, e, per l'intero in Euro 16.200, di
cui Euro 200 per esborsi, oltre alle spese generali e
agli accessori di legge su entrambe le liquidazioni; d)
compensa il 50% delle spese del giudizio di legittimità.
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