Le controversie afferenti lo “status” di apolide - in
difetto di diversa esplicita previsione del legislatore
- devono essere proposte e decise, nel contraddittorio
con il Ministro degli Interni, nelle forme proprie del
giudizio ordinario di cognizione.
Né può condurre ad una soluzione di segno diverso il
fatto che sia previsto da numerose leggi speciali in
materia di immigrazione e di protezione internazionale
il più celere rito camerale. Se infatti il ricorso
avverso ad un provvedimento di espulsione o
l’ottenimento di una misura di protezione richiedono
tempi celeri nella definizione del procedimento non
altrettanto può dirsi per il riconoscimento dello stato
di cittadino apolide in quanto non si scorge né assoluta
urgenza soggettiva né interesse pubblico alla immediata
definizione.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
(Omissis), sull’assunto di
appartenere alla etnia
saharawi e di aver avuto
travagliata storia personale, ha chiesto al Tribunale di
Trento di riconoscere il proprio stato dì apolide. Il
Tribunale, con decreto 27.10.2009, ha dichiarato
inammissibile l’istanza perché proposta nelle forme del
rito camerale e non in quelle, generali ed obbligatorie,
del rito ordinario di cognizione. La Corte di Appello di
Trento, alla quale lo straniero aveva proposto reclamo e
contro il quale si era costituita l’Avvocatura dello
Stato, ha affermato che l’accertamento dello stato in
discorso - in difetto di espressa previsione sul rito
camerale (quale quella afferente lo status di rifugiato)
e non potendosi applicare il richiamo allo “stato delle
persone” di cui all’art. 742 bis c.p.c. (afferente le
ipotedi del tit. II del libro IV del codice) - doveva
essere proposto e trattato con il rito ordinario.
Pertanto, con decreto 22.3.2010 ha rigettato il reclamo.
Per la cassazione di tale decreto El Ouariti ha proposto
ricorso 18.6.2010 notificato al Ministero dell’Interno
ed al P.G. presso la Corte di Trento, che non hanno
svolto difese.
Nel ricorso si denunzia la
violazione degli artt. 737 e 742 bis c.p.c. perpetrata
con il diniego del rito camerale e si invoca ampia
giurisprudenza di merito a sostegno.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene il Collegio non fondate le
censure proposte avverso la esatta decisione della Corte
territoriale per la quale la controversia sottoposta
dovesse essere proposta nelle forme del rito ordinario
contenzioso civile. Ed infatti:
1) L’apolidia è status del
soggetto, riconosciuto dalla Conven-zione di New York
del 28.9.1954; la legge 5.2.1992 n. 91 menziona lo
status anzidetto equiparandolo a quello del cit-tadino
straniero ai fini dell’acquisizione della cittadinanza e
ad esso impone, ove residente, l’osservanza della legge
ita-liana e ad esso attribuisce i diritti civili (art.
16 c. 1). Il ri-conoscimento dello status promana dalla
sussistenza delle situazioni indicate nella Convenzione
e viene “attestato” da decreto del Ministro dell’Interno
(art. 17 del dPR 572 del 1993, regolamento di attuazione
della legge 91 del 1992). Ed è proprio il Ministro
dell’Interno il necessario ed esclusivo contraddittore
in ordine alle domanda di riconoscimento dello stato in
discorso (S.U. n. 28873 del 2008).
2) Le controversie sull’acquisto
della cittadinanza spettano, come noto, trattandosi di
stato della persona, al Tribunale
in sede di ordinaria cognizione
(art. 9 comma 2 c.p.c.) e la previsione di cui all’art.
742 bis c.p.c. non si può intendere come estensiva del
rito da quelle controversie sullo stato delle persone
nominate al titolo II del libro IV del c.p.c. a tutte
quelle appartenenti ad un indeterminato “genus” di
“famiglia e stato” L’art. 742 bis del c.p.c., infatti,
là dove dispone che “Le disposizioni del presente capo
si applicano a tutti i procedimenti in camera di
consiglio, ancorché non regolati dai capi precedenti o
che non riguardino materia di famiglia o di stato delle
persone” comporta che, quando un procedimento in camera
di consiglio sia regolato da una disciplina speciale, le
eventuali lacune, in mancanza di norme che lo escludano,
debbono essere colmate con il ricorso alla disciplina
generale dei procedimenti in camera di consiglio
contenuta negli articoli da 737 a 742 bis del c.p.c.
(Cass. n. 18143 del 2002): la previsione, quindi, non ha
alcuna idoneità ad estendere le ipotesi applicative di
procedura camerale - sempre “nominate” - ma è diretta
solo a completare le regole processuali di quelle
esterne al codice di rito con le regole generali di cui
agli artt. 737 e seguenti.
3) Il rito camerale contenzioso è
espressamente previsto da numerose leggi speciali e, per
quel che rileva, tanto dal T.U. sull’immigrazione
approvato dal d.lgs. 286 del 1998 (artt. 13 e 13 bis del
T.U. come modificati dagli artt. 3 e 4 del d.lgs. 113
del 1999 - art. 30 c. 6 del T.U.), quanto, in materia di
protezione internazionale, dall’art. 35 del d.lgs. n. 25
del 2008 come modificato dalla legge n. 94 del 2009,
nelle prime come nella seconda ipotesi in ragione delle
esigenze di assoluta celerità nella definizione del
procedimento (stante l’urgenza dei concorrenti interessi
della sollecita esecuzione della misura espulsiva, nel
primo caso, e della immediata risposta alla esigenza di
protezione, nel secondo caso): ed appare palese come
nell’acquisizione dello status di apolide non si scorge
né assoluta urgenza soggettiva né interesse pubblico
alla immediatezza di definizione. Né del resto appare
casuale che il legislatore, all’atto di optare per la
scelta camerale in ordine al procedimento afferente la
protezione internazionale, ciò abbia fatto
esplicitamente, ripetutamente (da ultimo con il citato
d.lgs. 25 del 2008) ed imponendo la adozione della forma
della sentenza per la definizione in ciascuno dei due
gradi della controversia (S.U. 27310 de! 2008) restando
silente invece quanto alla definizione camerale di
legittimità, pertanto conclusa con ordinanza ( Cass. n.
17576 del 2010).
4) Sulla questione del rito
camerale per la controversia che occupa non appare poi
corretto richiamare, in favore della tesi del
ricorrente, precedenti di questa Corte, dato che la
decisione delle S.U. n. 28873 del 2008 si è limitata a
ritenere ammissibile il ricorso in sede di legittimità
avverso il decreto emesso in sede camerale contenziosa
(non essendo stato prospettato alcun problema di
legittimità di tale procedimento) e che di contro
l’unica decisione assunta in un procedimento nel quale
la questione del rito venne posta dall’Amministrazione
(Cass. n. 5212 del 2008) ha ritenuto assorbente
l’accoglimento del diverso motivo che prospettava la
nullità della decisione per essere stata la notifica
dell’atto effettuata nei confronti del Ministero e non
ai sensi dell’art. 11 RD 1611 del 1933. Sulla base di
tali argomenti disattese pertanto le censure mosse alla
esatta decisione della Corte di merito, si rigetta il
ricorso affermandosi il principio di diritto per il
quale, in difetto di diversa esplicita previsione del
legislatore, le controversie affe¬renti lo stato di
apolide devono essere proposte e decise, nel
contraddittorio del Ministro dell’Interno, nelle forme
proprie dell’ordinario giudizio di cognizione. Nulla per
le spese
P.Q.M.
Rigetta il ricorso
deciso nella c.d.c. del 9 Marzo
2011.
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