1. Risponde ad una precisa scelta
legislativa che i procedimenti incidentali di
cognizione, tra i quali debbono essere ad ogni buon
diritto annoverati i giudizi di divisione endoesecutivi,
siano sottratti alla nuova procedura in tema di
mediazione civile.
2. La ragione della scelta del
legislatore del 2010 deve essere rintracciata nel
necessario bilanciamento tra la funzione deflattiva del
nuovo strumento conciliativo e le contrapposte esigenze
di celerità e concentrazione tipiche di un processo
quale è quello esecutivo la cui principale funzione è la
pronta e celere liquidazione delle ragioni dei
creditori.
3. La mediazione in sede esecutiva,
ove ritenuta applicabile all'esecuzione forzata,
finirebbe con lo scontrarsi con un processo esecutivo,
come ridisegnato dalle riforme degli ultimi anni, che,
pur conoscendo «parentesi» di cognizione, le delinea e
configura come essenzialmente “strumentali”
all'esecuzione stessa, onde consentire, nel caso di
specie, l'individuazione definitiva dell'oggetto
dell'espropriazione forzata.
Tribunale di Prato, ordinanza 9
maggio 2011
(Giudice Maria Iannone)
a scioglimento della riserva
assunta all'udienza del 19 aprile 2011 nella procedura
esecutiva iscritta al n. R.G.E.I. 229/2009,
sull'eccezione preliminare di applicabilità della nuova
disciplina sulla mediazione civile introdotta con il
D.lgs. n. 28 del 4.03.2010 pubblicato in G.U. nr. 53 del
5.03.2010 alle procedure esecutive ed in particolare al
giudizio incidentale di divisione,
Osserva
L'art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28
del 2010 espressamente prevede, quale condizione di
procedibilità dell'azione intrapresa, l'esperimento del
procedimento di mediazione civile nelle seguenti
materie: «condominio, diritti reali, divisione,
successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione,
comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno
derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da
responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo
della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti
assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto
preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione
ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di
conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre
2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in
attuazione dell'articolo 128-bis del testo unico delle
leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto
legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive
modificazioni, per le materie ivi regolate», ivi
includendovi anche i giudizi di scioglimento della
comunione (rectius «divisione»).
La citata norma prevede, altresì,
che la relativa eccezione di improcedibilità debba
essere formulata dal «convenuto» a pena di decadenza, o
rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima
udienza.
Nel caso di specie, dagli atti di
causa emerge che l'eccezione è tempestiva e deve essere
esaminata, essendo stata ritualmente formulata nella
prima udienza utile.
Orbene, per offrire soluzione alla
questione dell'applicabilità del nuovo procedimento di
mediazione civile al c.d. giudizio di scioglimento della
comunione endoesecutivo, di cui agli artt. 599 e ss del
codice di rito, nel testo novellato dalla legge n. 80
del 2005, è necessario apprestare una compiuta
interpretazione dell'art. 5 cit., alla luce della ratio
che presidia la riforma del 2010, coniugandola con la
peculiarità del procedimento in questione.
L'architettura del sistema
delineato dal d.lgs. n. 28 del 2010 emerge dalla lettura
complessiva ed armonica dell'intero art. 5 che,
individuati, nei primi due commi gli ambiti di
applicazione del nuovo strumento conciliativo, nel
successivo comma 4, ne regolamenta le specifiche
eccezioni.
Per quanto di interesse occorre
soffermarsi sulla lettera d), a mente della quale «i
commi 1 e 2 non si applicano», tra l'altro, «ai
procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione
relativi all'esecuzione forzata».
Il chiaro dato normativo trova
giustificazione nella stessa relazione illustrativa al
d.lgs. n. 28 del 2010, nella quale è esplicata la
ragione di tale scelta: «i procedimenti di cognizione
che si inseriscono incidentalmente nell' esecuzione
forzata sono stati esclusi per la loro stretta inerenza
con l' esecuzione forzata . Consentire o, peggio,
imporre la dilazione nella fase processuale in cui la
soddisfazione del singolo diritto è più prossima
significherebbe aprire la strada a manovre dilatorie da
parte dei debitori esecutati».
Nei primi commenti della novella è
apparso evidente che debbano essere esclusi dall'ambito
di applicazione della mediazione non solo i procedimenti
di opposizione all' esecuzione (art. 615 c.p.c.) e
quelli di opposizione agli atti esecutivi (art. 617
c.p.c.) e l'opposizione di terzo (art. 619 c.p.c.); ma
pure il procedimento avente ad oggetto l'accertamento
dell'obbligo del terzo il quale non si sia presentato in
udienza a rendere la dichiarazione di debito, ovvero
intorno alla quale sia insorta contestazione, risolubile
con sentenza (artt. 548 e 549 c.p.c.), e quello avente
ad oggetto la distribuzione della somma ricavata dalla
vendita (art. 512 c.p.c.).
Quanto alla divisione disciplinata
in sede esecutiva, l'esclusione o inclusione risiede
nella possibilità di qualificare il relativo giudizio
come «incidente di cognizione» nell'ambito del processo
esecutivo.
Sul punto è sufficiente rilevare
che condivisa e diffusa, in dottrina e giurisprudenza, è
l'attribuzione al giudizio divisorio incidentale della
natura di procedimento di cognizione ordinario, pur
inserendosi come una parentesi all'interno del
procedimento esecutivo, nonostante la riforma del 2005
ne abbia accentuato il legame con l'esecuzione forzata
(cfr., Cass. 10.5.1982, n. 2889, Giust. civ. 1982, I,
2049; Cass. 8.1.1968, n. 44, Foro it. 1968, I, 1597;
Cass. 19.7.1967, n. 1844, CED 328751; Cass., 12.10.1961,
n. 2096, Giust. civ. 1962, I, 779; Cass. 24.3.1943, n.
676, Rep. Foro it. 1943-45, Esecuzione e pignorabilità
in genere, 70-72).
Ciò chiarito, deve quindi
concludersi che risponde ad una precisa scelta
legislativa che i procedimenti incidentali di
cognizione, tra i quali debbono essere ad ogni buon
diritto annoverati i giudizi di divisione endoesecutivi,
siano sottratti alla nuova procedura in tema di
mediazione civile.
La ragione della scelta del
legislatore del 2010 deve essere rintracciata nel
necessario bilanciamento tra la funzione deflattiva del
nuovo strumento conciliativo e le contrapposte esigenze
di celerità e concentrazione tipiche di un processo
quale è quello esecutivo la cui principale funzione è la
pronta e celere liquidazione delle ragioni dei
creditori.
La mediazione in sede esecutiva,
ove ritenuta applicabile all'esecuzione forzata,
finirebbe con lo scontrarsi con un processo esecutivo,
come ridisegnato dalle riforme degli ultimi anni, che,
pur conoscendo «parentesi» di cognizione, le delinea e
configura come essenzialmente “strumentali”
all'esecuzione stessa, onde consentire, nel caso di
specie, l'individuazione definitiva dell'oggetto
dell'espropriazione forzata.
Ratio ancor più avvertita e
sacralizzata nella riforma del 2005 che, concentrando in
un procedimento incidentale funzionalmente incardinato
dinnanzi al giudice dell'esecuzione il giudizio di
divisione, ha sostanzialmente escluso che lo
scioglimento della comunione potesse avvenire, una volta
imposto il vincolo del pignoramento e dopo l'avviso di
cui all'art. 599 c.p.c. al comproprietario, in una sede
diversa da quella esecutiva.
Per tutto quanto dianzi esposto
non può trovare accoglimento l'eccezione di
improcedibilità formulata.
P.T.M.
Il giudice rigetta l'eccezione di
improcedibilità.
Fissa l'udienza del 21 giugno 2011
ore 11,00 per la prosecuzione.
|