Sono sufficienti euro 30000 a
titolo di riparazione per l'ingiusta detenzione subita
da un imprenditore di 141 giorni di cui 8 in regime
carcerario? Dipende. Secondo la Cassazione è infatti
necessaria una accurata valutazione ad opera dei giudici
di merito, che invece nel caso di specie non è stata
effettuata, tanto da costringere la Cassazione per la
seconda volta a rinviare la questione al giudice di
merito affinché "riesamini la documentazione contabile
prodotta dall'istante al fine di stabilire se la società
abbia subito danni durante il periodo della detenzione
del titolare della società, dipendenti dalla detenzione
stessa nonché quella sanitaria al fine di stabilire se
il periodo di detenzione abbia causato una vera e
propria sindrome depressiva ansiosa di natura
permanente, collegabile alla detenzione, superiore a
quella che normalmente si verifica in caso di privazione
della libertà personale".
In linea generale la Corte ha
ricordato che la prima sentenza di annullamento "non ha
imposto al giudice del merito di attribuire
all'interessato una congrua somma di denaro per ogni
componente del danno da lui dedotta, trattandosi pur
sempre di un indennizzo di natura equitativa e non
d'integrale risarcimento del danno secondo le regole
civilistiche, ma ha solo precisato che dalla motivazione
non risultava se il giudice del merito avesse o no
tenuto conto delle componenti del danno lamentate
dall'istante e se le avesse liquidate considerando le
comprese nella somma attribuita all'istante (al predetto
si è riconosciuta una somma di poco superiore a quella
derivante dal mero calcolo aritmetico). Quindi il
provvedimento è stato annullato per difetto di
motivazione. Inoltre questa corte ha richiamato
l'attenzione del giudice del merito sulla circostanza
che il danno indennizzabile è quello derivante dalla
custodia cautelare e non dalla processo".
Tuttavia, secondo la Cassazione "la
motivazione della Corte distrettuale è lacunosa per
quanto concerne la valutazione della documentazione
prodotta dall'istante a sostegno del danno patrimoniale
e in parte per quanto riguarda quella indicata a
sostegno del danno psichico. Sul primo aspetto la Corte
si è limitata ad affermare che non poteva ritenersi
provato che la privazione della libertà personale avesse
potuto seriamente determinare una diminuzione dei
profitti ed un aumento delle perdite, senza indicare le
ragioni per le quali tale prova non poteva considerarsi
raggiunta. Si tratta di un'affermazione meramente
assertiva che va approfondita valutando l'eventuale
insorgenza di obbligazioni risarcitorie a carico del
detenuto, la mancata conclusione di contratti ecc.,
durante il periodo delle detenzione. Con riferimento
alle ripercussioni psichiche si osserva che queste sono
già comprese nella determinazione dell'indennizzo in
base al calcolo aritmetico allorché sono contenute in
limiti normali, posto che la privazione della libertà
causa sempre disagi psichici o stati ansiosi. Vanno
invece indennizzate allorché danno luogo ad un danno
alla salute ossia ad una lesione psichica permanente".
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