Nel computo della pena edittale, ai fini della verifica
della facoltatività dell'arresto in flagranza, e più in
generale per la determinazione della pena agli effetti
dell'applicazione delle misure cautelari, non si deve
tener conto della recidiva reiterata
Cassazione, sez. Unite Penali, 5 maggio 2011; n. 17386
(Pres. Lupo – Rel. Romis)
Ritenuto in fatto
1. Il (omissis) C.N. veniva tratto in arresto, insieme
con M..A., in flagranza del reato di cui agli artt. 56,
110 c.p., 6, comma 1, lett. a), d.l. 6 novembre 2008 n.
172, conv. nella legge 30 dicembre 2008, n. 210.
In pari data il Pubblico ministero presentava gli
imputati al dibattimento innanzi al Tribunale in
composizione monocratica per la convalida dell'arresto e
per il giudizio direttissimo, avanzando contestualmente
richiesta di applicazione della misura cautelare
dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
Con ordinanza del 20 luglio 2009 il Tribunale di Paola,
sezione distaccata di Scalea, non convalidava l'arresto
della A., mentre convalidava l'arresto del N.,
applicando la misura dell'obbligo di presentazione alla
polizia giudiziaria e disponendo procedersi
immediatamente al giudizio direttissimo nei suoi
confronti in relazione al delitto per il quale l'arresto
era stato convalidato.
Rilevato che i fatti di cui all'imputazione risultavano
ampiamente provati - e richiamato il decreto in data 18
dicembre 2008 con il quale il Presidente del Consiglio
dei ministri ha dichiarato, ai sensi e per gli effetti
dell'art. 5, comma 2, legge 24 febbraio 1992, n. 225, lo
stato d'emergenza nel settore dei rifiuti urbani nel
territorio della Regione Campania - il giudicante
affrontava il tema relativo alla questione giuridica
concernente la legittimità dell'arresto.
Rilevava al riguardo che il delitto ipotizzato a carico
degli indagati - punito nella forma consumata con la
reclusione fino a tre anni e sei mesi, con possibilità
quindi dell'arresto facoltativo in flagranza - era stato
contestato nella forma tentata: di tal che, alla luce
del richiamo all'art. 278 c.p.p. operato dall'art. 379
c.p.p., e tenuto conto dell'autonomia del reato tentato
rispetto a quello consumato, nella determinazione della
pena doveva tenersi conto della riduzione di un terzo
prevista dall'art. 56 c.p..
Ciò posto, osservava che l'arresto non avrebbe potuto
essere eseguito nei confronti della A., in quanto, con
la riduzione ai sensi dell'art. 56 c.p., la pena
edittale risultava pari ad anni due e mesi quattro di
reclusione; mentre a diversa conclusione doveva
giungersi per il N., nei confronti del quale il p.m.
aveva contestato la recidiva reiterata, “recidiva
effettivamente esistente, come risulta[va] dalla lettura
del certificato del casellario giudiziale in atti”.
Il Tribunale dava conto del proprio convincimento così
argomentando: a) l'art. 278 c.p.p. stabilisce che ai
fini dell'applicazione delle misure cautelari (e, per
effetto del richiamo operato dall'art. 379 c.p.p., anche
di quelle precautelari), si ha riguardo al massimo della
pena prevista per ciascun reato consumato o tentato, non
si tiene conto della continuazione, della recidiva e
delle circostanze del reato, fatta eccezione della
circostanza aggravante di cui all'art. 61, comma primo,
n. 5, c.p., dell'attenuante di cui all'art. 62, comma
primo, n. 4 c.p. e delle circostanze ad effetto
speciale; b) come affermato dalla giurisprudenza di
legittimità, nell'ipotesi del tentativo il limite
sanzionatorio di cui sopra deve essere calcolato con
riferimento al “delitto circostanziato tentato” e non al
“delitto tentato circostanziato”, con la conseguenza che
la riduzione minima di un terzo prevista dall'art. 56
c.p. deve essere applicata solo dopo che siano stati
calcolati gli aumenti di pena derivanti dalla
sussistenza delle aggravanti comuni o speciali; c) al N.
era stata contestata la recidiva reiterata ex art. 99,
comma quarto, c.p.: per tale aggravante, a seguito
dell'entrata in vigore della legge n. 251 del 2005, è
previsto un aumento di pena della metà; d) la pena per
il delitto consumato per cui si procedeva, aumentata per
la recidiva, era quindi pari a mesi 63: pena da ridursi
di un terzo, trattandosi di tentativo (ex art. 56 c.p.);
e) la pena per il delitto circostanziato tentato era
quindi pari a mesi 42 (anni 3 e mesi 6); f) sussisteva
dunque il limite di pena per procedere all'arresto ex
art. 381 c.p.p., “ciò senza considerare che, a seguito
delle modifiche introdotte dalla legge 251 del 2005, la
recidiva reiterata comporta un aumento superiore ad un
terzo, e dunque della stessa deve tenersi conto ai fini
della determinazione della pena massima giusta il
combinato disposto degli artt. 278 e 379 c.p.”; g)
l'arresto del N. era pertanto consentito, oltre che
giustificato dalla personalità e pericolosità dello
stesso alla luce dei precedenti penali di cui risultava
gravato.
2 Avverso l'ordinanza di convalida dell'arresto il N. ha
proposto ricorso per cassazione ex artt. 391, comma 4, e
606, comma 1, lett. b) e c), c.p.p., deducendo
“inosservanza o erronea applicazione degli artt. 278,
381, comma 1, 379 c.p.p., 56, 63, 99, 70, c.p., 14 r.d.
16 marzo 1942, n. 262”.
Richiamando la sentenza Simioli delle Sezioni unite
penali, il ricorrente sottolinea che l'art. 278 c.p.p.
(operativo per le misure precautelari in forza dell'art.
379 c.p.p.) pone regole di portata generale e di
indiscriminata osservanza, indica le circostanze di
reato da prendere in considerazione, escludendo ogni
rilevanza alle circostanze di reato diverse da quelle
specificamente indicate, impone la stretta osservanza
delle regole e delle eccezioni da esso previste,
eccezioni che, come quella relative alle circostanze ad
effetto speciale, non sono estensibili ex art. 14
preleggi. Precisa il ricorrente che, secondo l'indirizzo
della giurisprudenza di legittimità, la recidiva, pur
potendo comportare in alcune ipotesi un aumento della
pena superiore a un terzo, è una circostanza inerente
alla persona del colpevole (art. 70 c.p.) e non già ad
effetto speciale; il fatto che essa, in qualche sua
figura (sia prima che dopo l'entrata in vigore della
legge n. 251 del 2005), comporti un aumento di pena
superiore a un terzo (ponendosi per tale aspetto come
una circostanza aggravante ad effetto speciale perché
gli effetti dell'aumento di pena possono essere gli
stessi), non significa coincidenza tra recidiva, nella
specie reiterata, e circostanza aggravante ad effetto
speciale: quest'ultima è indicata dall'art. 63, comma
terzo, seconda parte, c.p. come circostanza che importa
un aumento o una diminuzione della pena superiore a un
terzo, laddove la recidiva è qualificata dall'art. 70
c.p. come circostanza inerente alla persona del
colpevole. L'aggravante ad effetto speciale modifica il
disvalore del fatto criminoso, rendendolo maggiormente
offensivo, pertanto l'art. 278 c.p.p. impone di “tener
conto delle circostanze di cui all'art. 63, comma terzo,
c.p., ma espressamente esclude invece dal conto,
all'evidente scopo di evitare una lievitazione
sproporzionata della pena con conseguente estensione di
applicabilità delle misure [...], l'aumento di pena
collegato a fatti accessori quale è la contestazione
della recidiva o della continuazione”; applicando invece
l'aumento di pena previsto per la recidiva reiterata,
viene violata la regola generale di cui al secondo
periodo, prima parte, del comma 1 dell'art. 278 c.p.p.,
alterando la riserva di legge (art. 272 c.p.p.) che
presidia la limitazione delle libertà della persona.
3. La Terza Sezione penale - alla quale il procedimento
era stato assegnato ratione materiae - con ordinanza del
2 luglio 2010 ha disposto la rimessione del ricorso alle
Sezioni unite, ai sensi dell'art. 618 c.p.p.
L'ordinanza rileva che il ricorso prospetta la questione
se nel computo della pena edittale, ai fini della
verifica della facoltatività dell'arresto in flagranza,
ai sensi degli artt. 381 e 379 c.p.p., e più in generale
agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari,
ai sensi dell'art. 278 c.p.p., debba tenersi conto o
meno della recidiva reiterata: infatti la sanzione per
il delitto tentato ascritto al N. raggiunge la soglia
che legittima l'intervento precautelare soltanto se nel
calcolo si tiene conto della recidiva reiterata, che - a
norma dell'art. 99, comma quarto, c.p. (come novellato
dalla legge n. 251 del 2005) - comporta un aumento della
metà della pena edittale.
L'ordinanza stessa evidenzia quindi che detta questione
appare suscettibile di ricevere due diverse soluzioni
interpretative.
3.1. La soluzione adottata dal provvedimento impugnato è
nel senso che nella determinazione della pena massima,
ai fini della legittimità dell'arresto facoltativo in
flagranza, deve tenersi conto dell'aumento di pena
(della metà della pena edittale) previsto per la
recidiva reiterata dall'art. 99, comma quarto, c.p.. Ai
sensi del nuovo testo di tale disposizione, la recidiva
reiterata, comportando un aumento di pena della metà,
costituirebbe una circostanza ad effetto speciale ai
sensi dell'art. 63, comma terzo, c.p.; sicché,
rientrando tra le eccezioni indicate nella seconda parte
dell'art. 278 c.p.p., di essa si dovrebbe tener conto
per determinare la pena agli effetti dell'applicazione
delle misure cautelari e precautelari.
Secondo l'orientamento in questione, la modifica
introdotta dalla legge n. 251 del 2005, nel trasformare
la recidiva reiterata in circostanza ad effetto
speciale, avrebbe inciso anche sul significato e sulla
portata dell'art. 278 c.p.p., dovendo ora trovare
applicazione con riferimento ad essa la regola speciale
della seconda parte del secondo periodo dell'articolo
menzionato.
3.2. È tuttavia ben possibile e plausibile, osserva
l'ordinanza di rimessione, una diversa soluzione
interpretativa, nel senso che “per determinare, ai sensi
dell'art. 278 c.p.p., la pena agli effetti della
applicazione delle misure cautelari e precautelari, non
si deve mai tener conto della recidiva, nemmeno qualora
la stessa (come nel caso di recidiva reiterata) importi
un aumento di pena superiore ad un terzo e quindi sia
classificabile come circostanza ad effetto speciale”.
Tale interpretazione si basa, in primo luogo, sulla
lettera della disposizione. La norma applicabile alla
recidiva (di qualsiasi tipo essa sia) è la norma
generale contenuta nella prima parte dell'art. 278
c.p.p. e non la norma speciale contenuta nella seconda
parte, che riguarda solo alcune circostanze tra le quali
non rientra la recidiva: è ragionevole pensare che se il
legislatore avesse voluto che si tenesse conto della
recidiva allorché essa costituisca una circostanza ad
effetto speciale, non avrebbe fatto espresso riferimento
alla stessa nella prima parte della disposizione, perché
sarebbe stato sufficiente attribuirle il trattamento
previsto in generale per le circostanze (con
applicazione della norma speciale che include nel
computo quelle ad effetto speciale). Detta
interpretazione sembrerebbe inoltre confortata dalla
considerazione che, costituendo la seconda parte della
disposizione una regola speciale che fa eccezione alla
regola generale di cui alla prima parte, la stessa, ai
sensi dell'art. 14 delle preleggi, non può essere
applicata oltre i casi in essa considerati, il che
induce ad escludere, nel dubbio, anche
un'interpretazione estensiva; pertanto, il riferimento
alle circostanze ad effetto speciale contenuto nella
norma speciale andrebbe interpretato restrittivamente,
nel senso che esso riguarda le circostanze diverse dalla
recidiva, che è espressamente disciplinata solo dalla
norma generale. Per le stesse ragioni non potrebbe
ritenersi che il significato e la portata dell'art. 278
c.p.p. siano stati implicitamente modificati dalla nuova
disciplina sulla recidiva introdotta dalla legge n. 251
del 2005.
Osserva ancora l'ordinanza di rimessione che
l'interpretazione in esame potrebbe essere confermata
dalla ratio dell'art. 278 c.p.p., “che appare essere
quella che, ai fini dell'applicazione delle misure
cautelari e precautelari, si debba tener conto delle
circostanze (in senso lato) che aggravano il disvalore
del fatto criminoso in sé considerato e non anche di
quelle che non incidono sulla gravità del fatto in sé,
come appunto la continuazione o la recidiva, quale che
sia poi l'aumento di pena determinato da quest'ultima”.
Ai fini della questione controversa, sarebbe quindi
irrilevante, in questa prospettiva, il fatto che la
recidiva costituisca una circostanza ad effetto
speciale, oltre che una circostanza inerente alla
persona del colpevole, così come irrilevante sarebbe la
giurisprudenza relativa all'art. 157, comma secondo,
c.p., che fa riferimento alle circostanze ad effetto
speciale, ma che non pone una specifica norma per la
recidiva.
3.3. Sottolineata la plausibilità delle soluzioni
interpretative, l'ordinanza di rimessione evidenzia che
“sul punto appare essere in atto un contrasto di
giurisprudenza e comunque la questione di diritto può
dar luogo ad un contrasto di giurisprudenza”, tanto da
consigliare la rimessione del ricorso alle Sezioni
Unite, ai sensi dell'art. 618 c.p.p., per la soluzione
della questione così precisata: “se, ai fini della
determinazione della pena agli effetti delle misure
cautelari e precautelari, debba tenersi conto della
recidiva reiterata, in quanto circostanza ad effetto
speciale, ai sensi dell'ultima parte dell'art. 278
c.p.p., ovvero non debba tenersene conto, ai sensi della
norma generale dettata dalla prima parte dell'art. 278
c.p.p.”.
4. Con decreto del 21 ottobre 2010, il Primo presidente
ha assegnato il ricorso in esame alla Sezioni unite,
fissando per la trattazione la camera di consiglio del
16 dicembre 2010, poi rinviata all'odierna udienza.
5. Con requisitoria in data 24 novembre 2010, il
Procuratore generale ha rassegnato le conclusioni
scritte chiedendo l'annullamento senza rinvio
dell'impugnato provvedimento, dando conto del
convincimento così espresso con il richiamo al principio
generale del favor libertatis in materia di libertà
personale ed al tenore testuale dell'art. 278 c.p.p.,
fermo restando l'inquadramento della recidiva reiterata
fra le circostanze ad effetto speciale.
Considerato in diritto
1. La questione di diritto per la quale il ricorso è
stato rimesso alle Sezioni unite è la seguente: “se, nel
computo della pena edittale, ai fini della verifica
della facoltatività dell'arresto in flagranza, e più in
generale per la determinazione della pena agli effetti
dell'applicazione delle misure cautelari, debba tenersi
conto o meno della recidiva reiterata contestata”.
1.1. Il quadro giurisprudenziale che si è delineato
sulla questione giuridica controversa - ivi comprese
talune decisioni che hanno riguardato la questione
stessa solo in modo indiretto - può essere
sinteticamente illustrato come segue.
1.2. Nel senso favorevole al riconoscimento della
rilevanza della recidiva reiterata specifica
infraquinquennale si è espressa Sez. 2, n. 29142 del
10.7.2008, dep. 14/7/2008, Major, non massimata:
pronunciandosi sul motivo di ricorso relativo alla
dedotta violazione dell'art. 304, comma 1, c.p.p., la
sentenza non ha proposto l'argomentare dell'ordinanza
del Tribunale di Paola oggetto del presente giudizio, ma
si è limitata ad affermare la rilevanza della recidiva
nell'ipotesi di cui all'art. 99, comma quarto, c.p.,
qualora ricorrano congiuntamente le circostanze indicate
al comma 2, nn. 1 e 2, della medesima disposizione.
1.3. In altre occasioni, le decisioni della Suprema
Corte hanno richiamato l'art. 278 c.p.p., evidenziando
l'esclusione della recidiva nella determinazione della
pena agli effetti dell'applicazione delle misure
cautelari; in proposito va segnalata Sez. 6, n. 21546
del 15/04/2009, dep. 22/05/2009, Passaretti (non
massimata), secondo cui l'art. 278 c.p.p. “dispone che,
agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari
personali, non si deve tener conto della recidiva e
delle circostanze del reato, ad eccezione della
circostanza aggravante prevista all'art. 61, comma
primo, n. 5, c.p. e della circostanza attenuante
prevista dall'art. 62, comma primo, n. 4, c.p., nonché
delle circostanze per le quali la legge stabilisce una
pena diversa da quella ordinaria del reato e di quelle a
effetto speciale”.
Nella medesima prospettiva può ricordarsi il dictum
della Corte costituzionale - sent. n. 223 del 2006 -
secondo cui “l'art. 303 del codice di rito, oggetto di
censura nel presente giudizio, prevede [...] due metodi
di calcolo, riferiti a fasi e situazioni processuali
diverse, secondo precise scelte del legislatore. Il
primo fa riferimento, ai sensi dell'art. 278 c.p.p.,
alla pena edittale prevista per il reato in
contestazione, senza tener conto della continuazione,
della recidiva e delle circostanze, fatta eccezione
dell'aggravante di cui all'art. 61, comma primo, n. 5,
c.p. e dell'attenuante di cui all'art. 62, comma primo,
n. 4, dello stesso codice, nonché delle circostanze per
le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa
da quella ordinaria e di quelle ad effetto speciale. Il
secondo criterio è basato invece sulla pena
concretamente irrogata con la sentenza di primo grado o
di appello, e si applica ovviamente nelle fasi
processuali successive alle suddette pronunce”.
2. L'ordinanza impugnata richiama Sez. 5, n. 696 del
7.2.2000, dep. 20/03/2000, Conte, Rv. 215719, che ha
affermato il principio di diritto secondo cui in forza
del rinvio all'art. 278 c.p.p. contenuto nell'art. 379
c.p.p., ai fini dell'applicazione delle norme
sull'arresto in flagranza, si deve avere riguardo alla
pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o
tentato, sicché, in ragione dell'autonomia del reato
tentato, non è consentito l'arresto in flagranza per
delitti tentati per i quali, in applicazione dell'art.
56 c.p., non risulti comminata una pena superiore nel
massimo a tre anni di reclusione.
Sul computo della pena in presenza di fattispecie
circostanziata, il provvedimento impugnato richiama poi
Sez. 1, n. 4298 del 14.7.1998, Caputo, Rv. 211427; con
tale decisione è stato enunciato il principio di diritto
così massimato: “In tema di misure cautelari valgono,
anche ai fini dell'individuazione dei termini di durata
massima della custodia cautelare, i criteri dettati
dall'art. 278 c.p.p. per la determinazione della pena.
Nel caso di tentativo di reato con circostanze
aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di
specie diversa da quella ordinaria del reato o ad
effetto speciale, per il computo dei termini indicati
dall'art. 303 stesso codice deve dapprima individuarsi
la pena massima stabilita per il reato circostanziato
consumato, per poi operare su di essa la riduzione
minima indicata dall'art. 56 c.p.”.
Analogamente, Sez. 4, n. 1611 del 21/05/1996, dep.
12/10/1996, Raza, Rv. 205678, pure richiamata
dall'ordinanza impugnata, ha precisato che in materia di
individuazione dei limiti di pena, anche per quanto
riguarda l'individuazione dei termini massimi di durata
della custodia cautelare, in caso di ricorrenza di
circostanze aggravanti, la pena per il delitto tentato
deve essere calcolata facendo riferimento al delitto
circostanziato tentato e non al delitto tentato
circostanziato; deve cioè operarsi la diminuzione di
pena prevista per il tentativo dopo aver calcolato gli
aumenti per le circostanze aggravanti, siano esse
ordinarie che ad effetto speciale o punite con pena
autonoma.
2.1. Il ricorrente, come sopra accennato, richiama Sez.
U., n. 19, del 01/10/1991, dep. 16/11/1991, Simioli, Rv.
188582, che ha affermato il principio così massimato:
“Agli effetti dell'applicazione o della revoca delle
misure cautelari personali occorre fare esclusivo
riferimento, in ogni fase e grado del processo, ai
principi enunciati dall'art. 278 c.p.p. che negano ogni
rilevanza in materia alle attenuanti diverse da quelle
di cui all'art. 62, comma primo, n. 4, c.p. e, di
conseguenza, al giudizio di comparazione eventualmente
effettuato. Pertanto, dopo una sentenza di condanna, per
determinare la pena edittale agli effetti della verifica
della sussistenza delle condizioni alle quali l'art. 280
c.p.p. subordina l'applicazione delle misure coercitive
personali, non hanno alcun rilievo le statuizioni della
sentenza di condanna che attengono esclusivamente alla
pena senza incidere sulla qualificazione giuridica del
reato, come la possibile concessione di attenuanti
diverse da quelle previste dall'art. 62, comma primo, n.
4, c.p. e il giudizio di comparazione eventualmente
effettuato dal giudice di merito”.
Mette conto sottolineare che alla sentenza Simioli si è
poi ricollegata Sez. U., n. 1 del 26/02/1997, dep.
27/06/1997, Mammoliti, Rv. 207939, secondo cui “ai fini
sia dell'art. 303, comma 1, lett. e), c.p.p., sia
dell'art. 300, comma 4, stesso codice, nel caso di
condanna per più reati avvinti dalla continuazione, per
alcuni dei quali soltanto (nella specie per i reati
satelliti) mantenga efficacia la custodia cautelare, per
condanna e per pena inflitta devono, rispettivamente,
intendersi la condanna e la pena inflitte per questi
ultimi reati, e non la condanna e la pena inflitte per
l'intero reato continuato, in quanto l'unificazione
legislativa di più reati nel reato continuato va
affermata là dove vi sia una disposizione apposita in
tal senso o dove la soluzione unitaria garantisca un
risultato favorevole al reo, non potendo dimenticarsi
che il trattamento di maggior favore per il reo è alla
base della ratio del reato continuato”; in motivazione,
la sentenza Mammoliti ha osservato che la norma di cui
all'art. 278 c.p.p. “dopo aver previsto che, agli
effetti della applicazione delle misure, si ha riguardo
alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato
consumato o tentato, aggiunge, tra l'altro, che non si
tiene conto della continuazione, della recidiva e delle
circostanze del reato, fatta eccezione... ecc, norma che
queste Sezioni unite hanno interpretato, con la sentenza
1 ottobre 1991, Simioli, nel senso che la stessa pone
regole di generale portata e di indiscriminata
osservanza in materia di custodia cautelare”.
In un successivo arresto, le Sezioni Unite (n. 23381,
del 31/05/2007, dep. 14/06/2007, Keci) hanno
puntualizzato il quadro normativo nel quale si inseriva
la sentenza Simioli, affermando il seguente principio:
“In tema di durata della custodia cautelare, ai fini
della individuazione del termine di fase allorché vi sia
stata sentenza di condanna, in primo o in secondo grado,
occorre aver riguardo alla pena complessivamente
inflitta per tutti i reati per i quali è in corso la
misura della custodia cautelare, e quindi alla pena
unitariamente quantificata a seguito dell'applicazione
del cumulo materiale o giuridico per effetto del
riconoscimento del vincolo della continuazione”.
All'argomentare della sentenza Keci si è poi ricollegata
Sez. U, n. 25956 del 26/03/2009, dep. 22/06/2009,
Vitale, che, in motivazione, si è soffermata sull'art.
278 c.p.p., sottolineando che tale disposizione “si
riferisce ai criteri di determinazione della pena
astrattamente stabilita dal legislatore con riferimento
alle condizioni di applicabilità delle misure, di cui
all'art. 280 c.p.p.; nonché alla durata dei termini di
fase prima della sentenza di condanna, di cui all'art.
303, comma 1, lett. a), b), 6-bis), cod. proc. pen.
[...]; mentre a tale criterio di riferibilità edittale
succede quello della pena in concreto inflitta dopo la
pronuncia della sentenza di condanna in primo e secondo
grado (art. 303, comma 1, lett. c) e d), c.p.p.)”.
La sentenza della Sez. 6, n. 1485 del 22.11.1994, dep.
13/02/1995, Dell'Anna, richiamata anche dal ricorrente,
si è così espressa: “La recidiva, pur potendo comportare
in alcune ipotesi un aumento della pena superiore ad un
terzo (art. 99, secondo capoverso, c.p.), è una
circostanza inerente alla persona del colpevole (art. 70
c.p.), e non già ad effetto speciale. Conseguentemente,
ove essa concorra con una circostanza aggravante ad
effetto speciale, dovrà farsi luogo ad un duplice
aumento di pena, non potendo trovare applicazione l'art.
63, terzo capoverso, c.p., secondo il quale si applica
solo la pena stabilita per la circostanza più grave”. In
motivazione, la sentenza Dell'Anna ha osservato che “la
peculiarietà della recidiva come circostanza aggravante
viene [...] evidenziata dall'art. 70 c.p., il quale dopo
aver classificato e individuato le circostanze in
oggettive e soggettive definisce la recidiva come
circostanza inerente la persona del colpevole. La
recidiva, quindi, in quanto circostanza aggravante del
tutto peculiare non è assoggetta bile alla disciplina
prevista per le altre circostanze aggravanti ove il
legislatore non ne abbia fatto esplicita menzione”.
Alla sentenza Dell'Anna si è più di recente ricollegata
Sez. 2, n. 11105 del 4/3/2009, dep. 12/3/2009, Campana,
che ha escluso che alla recidiva, pur nelle ipotesi in
cui comporta l'aumento di pena superiore ad un terzo,
possa riconoscersi natura di aggravante ad effetto
speciale.
2.2. Nel senso della riconducibilità di alcune ipotesi
di recidiva nell'ambito delle circostanze ad effetto
speciale, si collocano, in particolare, tre pronunce,
ossia: Sez. 5, n. 22619 del 24/03/2009, dep. 29/05/2009.
Baron, Rv. 244204; Sez. 2, n. 19565 del 09/04/2008, dep.
15/05/2008, Rinallo, Rv. 240409; Sez. 2, 40978 del
21/10/2008, dep. 03/11/2008, Coviello, Rv. 242245.
La sentenza Coviello ha affermato il principio in forza
del quale “la recidiva reiterata, che è circostanza
aggravante a effetto speciale, rileva, se contestata e
ritenuta dal giudice, ai fini della determinazione del
tempo necessario alla prescrizione del reato”. In
motivazione, detta decisione prende consapevolmente le
distanze dall'impostazione seguita dalla sentenza
Dell'Anna.
Anche la sentenza Rinallo ha fatto riferimento alla
recidiva reiterata quale circostanza aggravante ad
effetto speciale.
Nella stessa prospettiva, la sentenza Baron ha affermato
il principio così massimato: “La recidiva reiterata ha
natura di circostanza aggravante a effetto speciale
rilevante ai fini del tempo necessario alla prescrizione
con conseguente allungamento dei termini prescrizionali;
ciò, peraltro, non determina la violazione dell'art. 3
Cost. - non sussistendo uguaglianza di situazioni tra il
soggetto incensurato e colui che, invece, abbia
riportato precedenti condanne e sia incolpato di un
nuovo delitto - e nemmeno quella dell'art. 111 Cost., in
quanto non è irragionevole che la durata del processo
abbia termini più lunghi per l'imputato recidivo
rispetto a quelli previsti per eventuali coimputati non
recidivi”. In motivazione, la sentenza Baron ricorda la
sentenza delle Sezioni unite Paolini, di cui appresso si
dirà, e così argomenta: “è agevole rilevare che anche
nel nuovo sistema la recidiva è presa in considerazione
per la determinazione della pena, e quindi per la sua
misura, da applicarsi in astratto o in concreto, sicché
resta fermo che la recidiva continua a costituire una
circostanza aggravante e, qualora sia così qualificata,
ai sensi dei commi secondo, terzo e quarto dell'art. 99
c.p., una circostanza aggravante ad effetto speciale, di
cui si deve tener conto ai fini della prescrizione”;
tale indirizzo, sottolinea la sentenza Baron, è stato
ripreso anche dalla Corte costituzionale con l'ord. n.
34 del 2009 che ha affermato che “secondo la
giurisprudenza della Corte di cassazione, l'aumento di
pena previsto in caso di recidiva reiterata
infraquinquennale, essendo questa una circostanza
aggravante ad effetto speciale, deve essere calcolato ai
fini della determinazione del termine ordinario di
prescrizione ai sensi dell'art. 157, secondo comma,
c.p.”.
La sentenza delle Sezioni unite n. 3152 del 31/01/1987,
dep. 16/03/1987, Paolini - evocata, come detto, nella
sentenza Baron - ha affermato il principio in forza del
quale “la recidiva non è compresa nelle circostanze
aggravanti che rendono il reato di truffa perseguibile
d'ufficio, in quanto essa, inerendo esclusivamente alla
persona del colpevole, non incide sul fatto-reato”. In
motivazione, la sentenza precisa che “dalla disciplina
legislativa della recidiva si può trarre la conclusione
che essa è una circostanza aggravante sui generis, che
ha rilevanza solo quando sia presa in considerazione la
misura della pena, mentre non produce alcun effetto
sulla quantità del fatto-reato, al quale resta
estranea”.
Un riferimento alla recidiva specifica ex art. 99, comma
secondo, c.p., quale circostanza ad effetto speciale,
caratterizza Sez. 1, n. 18513 del 17/03/2010, dep.
17/05/2010, Amantonico, Rv. 247202.
3. Così descritto il quadro giurisprudenziale, mette
conto sottolineare che il giudice della convalida
dell'arresto del N. ed il ricorrente si sono
particolarmente e diffusamente soffermati sulla natura
giuridica della recidiva reiterata - pervenendo ad
opposte conclusioni - muovendo evidentemente entrambi
dal presupposto che la soluzione della questione de qua
dipenderebbe dalla riconducibilità, o meno, della
recidiva, di cui all'art. 99, comma quarto, c.p., nella
categoria delle circostanze aggravanti ad effetto
speciale.
Orbene, va subito precisato che, ai fini della soluzione
della specifica questione in oggetto, e per quanto di
seguito si avrà modo di chiarire ulteriormente, la
natura giuridica della recidiva reiterata risulta
irrilevante.
Per completezza argomentativa va peraltro affermato che
la recidiva, nelle ipotesi in cui comporta un aumento
della pena superiore ad un terzo, determina certamente
gli effetti propri di una circostanza aggravante ad
effetto speciale (secondo il principio enunciato da
queste Sezioni unite - con specifico riferimento alla
recidiva di cui all'art. 99, comma quinto, c.p. - con la
sentenza con la quale, all'odierna udienza, è stato
deciso il ricorso relativo al procedimento a carico di
Indelicato Piero cui pertanto si rimanda per la compiuta
disamina del tema): il che non è assolutamente
incompatibile con la natura di “circostanza inerente
alla persona del colpevole” che il legislatore (art. 70
c.p.) ha espressamente attribuito alla recidiva (in
genere).
3.1. Il quesito qui in esame trova, invero, soluzione
innanzi tutto nella lettera delle norme di riferimento,
vale a dire gli artt. 278 e 379 c.p.p.: il primo indica
i criteri per la “determinazione della pena agli effetti
dell'applicazione delle misure cautelari”; il secondo
richiama espressamente lo stesso art. 278 c.p.p. ai fini
della determinazione della pena agli effetti delle
disposizioni del Titolo Sesto del codice di rito, in cui
sono contenute le disposizioni che disciplinano
l'arresto in flagranza ed il fermo.
Il dato testuale della formulazione dell'art. 278 c.p.p.
non lascia spazio a dubbi di sorta laddove è previsto
che “ai fini dell'applicazione delle misure [..,] non si
tiene conto della recidiva", mentre occorre tener conto
“delle circostanze per le quali la legge stabilisce una
pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e
di quelle ad effetto speciale”. Nella norma in esame
risultano dunque specificamente indicate sia la recidiva
che le circostanze ad effetto speciale, con valenza
opposta ai fini del calcolo della pena agli effetti
dell'applicazione delle misure: di tal che, qualsiasi
interpretazione finalizzata a far rientrare - agli
effetti specifici dell'art. 278 c.p.p. - la recidiva
reiterata nella categoria delle circostanze ad effetto
speciale, risulta irrimediabilmente inficiata
dall'inequivocabile dato letterale. Non solo. Il secondo
periodo dell'art. 278 c.p.p. consta a sua volta di due
parti: la prima, di carattere generale, è quella
applicabile alla recidiva; la seconda ~ speciale, che
inizia dalle parole “fatta eccezione” - riguarda solo
alcune circostanze tra le quali rientrano anche quelle
ad effetto speciale: orbene, è ragionevole ritenere che
se il legislatore, nel formulare l'art. 278 c.p.p.,
avesse voluto attribuire rilievo alla recidiva, allorché
essa comporta un aumento di pena superiore ad un terzo
(così considerandola quale aggravante ad effetto
speciale anche ai fini specifici dell'art. 278 c.p.p.),
non vi sarebbe stata alcuna necessità di un espresso
riferimento alla stessa nella prima parte (del secondo
periodo) della disposizione, posto che la norma speciale
(seconda parte del secondo periodo) include nel computo
della pena le aggravanti ad effetto speciale. A ciò
aggiungasi che, costituendo la seconda parte (del
secondo periodo) della disposizione una regola speciale
che fa eccezione alla regola generale di cui alla prima
parte, la stessa, ai sensi dell'art. 14 delle preleggi -
e come osservato anche nell'ordinanza di rimessione -
non può essere applicata oltre i casi in essa
considerati: ulteriore ragione per escludere
un'interpretazione estensiva.
Ne deriva che il riferimento alle circostanze ad effetto
speciale, contenuto nella seconda parte del secondo
periodo dell'art. 278 c.p.p., deve essere interpretato
restrittivamente, nel senso che esso riguarda le
circostanze diverse dalla recidiva, che è espressamente
disciplinata solo dalla parte generale.
Né può ritenersi che il significato e la portata
dell'art. 278 c.p.p. siano stati implicitamente
modificati dalla nuova disciplina sulla recidiva
introdotta dalla legge n. 251 del 2005. Ed invero,
appare del tutto condivisibile quanto in proposito
argomentato nell'ordinanza di rimessione, laddove è
stato evidenziato che le innovazioni introdotte con tale
novella non offrono alcun aggancio per ritenere che la
modifica dell'art. 99 c.p. abbia determinato anche una
significativa e sostanziale modifica dell'art. 278
c.p.p..
3.2. Al di là del dato letterale, l'interpretazione che
queste Sezioni unite ritengono di dover privilegiare
risulta poi confortata da ulteriori argomenti (che, come
accennato, prescindono comunque dalla riconducibilità
della recidiva reiterata nell'ambito delle circostanze
aggravanti ad effetto speciale).
È opportuno innanzi tutto por mente alla significativa
evoluzione della disciplina di cui all'art. 278 c.p.p.
Nell'originaria versione codicistica, la disciplina
relativa alla determinazione della pena agli effetti
dell'applicazione delle misure cautelari dava attuazione
alla direttiva di cui all'art. 2 n. 59 della
legge-delega, estendendone la portata anche alle misure
interdittive, oltre che a quelle coercitive per le quali
soltanto la direttiva risulta espressamente dettata;
l'impostazione del legislatore emerge con chiarezza
dalle indicazioni offerte dalla Relazione al codice:
“L'articolo 278 è costruito sulla falsariga dell'art.
255 c.p.p., tenendosi conto del carattere vincolato che,
almeno per una sua parte, la disciplina veniva ad
assumere, in relazione ai criteri rigidamente fissati
dalla direttiva 59 della legge-delega, del resto in
armonia con quanto appunto previsto dalla normativa
attuale. Tra le poche varianti - a parte quelle che si
risolvono in una mera differenziazione stilistica nella
costruzione della frase - si segnalano, da un lato
l'esplicita sottolineatura dell'ininfluenza della
continuazione nel computo della pena da calcolare,
dall'altro l'omissione del riferimento alla rilevanza
della circostanza della minore età (che, essendo
esclusiva dei processi contro minorenni, si è ritenuto
dovesse essere menzionata soltanto nelle disposizioni
specificamente concernenti, appunto, il processo penale
minorile”.
La tecnica normativa utilizzata dal legislatore delegato
nella redazione dell'art. 278 c.p.p. era stata
apprezzata da quella dottrina che aveva sottolineato lo
“stacco della recidiva, citata autonomamente ed
anticipatamente rispetto alle circostanze del reato,
anche al fine di evitare devianti deduzioni dogmatiche
sostanziali nascenti dal legame, in deroga, rispetto
alle circostanze ad effetto speciale”.
L'assetto delineato dalla direttiva n. 59 della
legge-delega (e codificato nell'art. 278 c.p.p.),
d'altra parte, era pienamente in linea con la direttiva
n. 32, che, in tema di arresto in flagranza,
espressamente escludeva la rilevanza della recidiva in
sede di determinazione della pena ai fini dell'adozione
della misura precautelare.
Una discontinuità rispetto all'assetto delineato dal
legislatore codicistico fu sancita dal primo intervento
novellatore sull'art. 278 c.p.p., ossia dal d.l. 1 marzo
1991, n. 60 (recante “Interpretazione autentica degli
articoli 297 e 304 del codice di procedura penale e
modifiche di norme in tema di durata della custodia
cautelare”), convertito, con modificazioni, nella legge
22 aprile 1991, n. 133: soppresso, nel corpo del secondo
periodo, il riferimento alla recidiva, veniva aggiunto
un ulteriore periodo, in forza del quale doveva tenersi
conto della recidiva nel caso previsto dall'art. 99,
comma quarto, c.p., nel caso ricorressero congiuntamente
le circostanze indicate nel comma secondo, nn. 1 e 2,
dello stesso articolo. In forza del rinvio sancito
dall'art. 379 c.p.p., la modifica introdotta dal
legislatore del 1991 investiva naturalmente anche la
disciplina della determinazione della pena ai fini
dell'adozione delle misure precautelari; proprio su
quest'ultimo terreno furono prospettati in dottrina
rilievi problematici connessi al concreto esercizio del
potere coercitivo: si osservò infatti che sembrava
“difficile che, quantomeno in materia di arresto, la
recidiva [potesse] svolgere il ruolo riconosciutole
dall'art. 278 c.p.p., implicando essa una conoscenza dei
precedenti penali del reo che di norma non si ha al
momento della flagranza del reato”.
Successivamente, l'art. 6 della legge 8 agosto 1995, n.
332 (recante “Modifiche al codice di procedura penale in
tema di semplificazione dei procedimenti, di misure
cautelari e di diritto di difesa”), ha reintrodotto nel
corpo del secondo periodo dell'art. 278 c.p.p., il
riferimento alla recidiva, sopprimendo, nella medesima
disposizione, la parola “aggravanti”; veniva altresì
abrogato l'ultimo periodo dell'articolo in esame,
introdotto dal legislatore del 1991. La modifica, come
sottolineato in dottrina, era di segno diametralmente
opposto al precedente intervento.
La complessa novella di cui alla legge 5 dicembre 2005,
n. 251, come innanzi si è già avuto modo di accennare,
non ha investito le disposizioni di cui agli artt. 278 e
379 c.p.p..
Anche la dottrina successiva alle modifiche introdotte
con la legge n. 251 del 2005, pur non affrontando
espressamente la questione qui in esame, ha escluso la
rilevanza della recidiva in sede di determinazione della
pena ex art. 278 c.p.p..
Ancora, assume certamente rilievo la "facoltatività"
della recidiva reiterata, affermata e più volte ribadita
nella giurisprudenza di legittimità secondo un
consolidato indirizzo interpretativo, ancorato anche
alle indicazioni fornite dalla Corte Cost. con la
sentenza n. 192 del 2007, ed avallato dalle Sezioni
unite con la sentenza n. 35738 del 27/05/2010, dep.
05/10/2010, Calibe, che, nel suo ampio e approfondito
iter motivazionale, offre una chiara ricostruzione del
regime di facoltatività/obbligatorietà delle diverse
ipotesi delineate dall'art. 99 c.p.. A tale ultimo
riguardo le Sezioni unite hanno rilevato, sotto
l'aspetto lessicale, come nel testo dei commi terzo e
quarto dell'art. 99 c.p. il verbo "essere" sia
utilizzato con evidente riferimento al quantum
dell'aumento della sanzione discendente dal
riconoscimento della recidiva ivi contemplata
(pluriaggravata e reiterata), ma non coinvolga Van
dell'aumento medesimo, che rimane affidato alla
valutazione del giudice secondo la costruzione
dell'ipotesi base di cui al primo comma. Le figure di
recidiva de quibus non costituiscono invero autonome
tipologie svincolate dagli elementi normativi e
costitutivi della recidiva semplice, bensì mere
specificazioni di essa dalla quale si diversificano,
espressamente richiamandola, esclusivamente per le
differenti conseguenze sanzionatorie che comportano;
conseguenze che sono state previste con la riforma,
diversamente dal precedente regime, in misura fissa
anziché variabile fra un minimo ed un massimo. Di qui la
necessità di una lettura omogenea dei primi quattro
commi dell'art. 99 c.p., che trova conferma nella
constatazione che, ove il legislatore ha inteso elidere
gli spazi di discrezionalità giudiziale a favore di un
vero e proprio ritorno all'inderogabilità della
recidiva, ha reso palese la sua intenzione prevedendo al
quinto comma un regime vincolato per una serie di
delitti, evidentemente valutati di particolare gravità,
in relazione ai quali l'aumento della pena per la
recidiva è espressamente definito "obbligatorio". Oltre
che maggiormente aderente al testo della legge, la
soluzione interpretativa appare quella più conforme ai
principi costituzionali in tema di ragionevolezza,
proporzione, personalizzazione e funzione rieducativa
della risposta sanzionatoria.
Anche la natura facoltativa della recidiva reiterata
induce, dunque, ad escludere che della stessa debba
tenersi conto nel computo della pena edittale ai fini
dell'arresto in flagranza e, più in generale, per la
determinazione della pena agli effetti dell'applicazione
delle misure cautelari, essendo consentito al giudice di
negare la rilevanza aggravatrice della recidiva
reiterata ed escludere la circostanza, non irrogando il
relativo aumento della sanzione; e, con specifico
riferimento all'arresto facoltativo in flagranza - che
qui direttamente rileva in relazione al proposto ricorso
- mette conto evidenziare che riconoscere valenza alla
recidiva reiterata, ai fini del computo della pena
edittale, comporterebbe, contro ogni logica giuridica
per tutto quanto sopra argomentato (oltre che contro il
buon senso), l'attribuzione alla polizia giudiziaria del
potere di reputare sussistente un'aggravante che -
tenuto conto della natura facoltativa della stessa, nei
termini dianzi precisati - il giudice potrebbe poi
addirittura escludere (aggravante che peraltro implica
una conoscenza dei precedenti penali del reo che di
norma non si ha al momento della flagranza del reato).
3.3. Né la soluzione che queste Sezioni unite ritengono
di dover adottare, per la questione in esame, può
trovare ostacolo in quel filone giurisprudenziale
secondo cui ai fini della prescrizione si dovrebbe tener
conto della recidiva reiterata in quanto circostanza
aggravante ad effetto speciale (così, tra le altre, le
sentenze Baron, Rinallo e Coviello sopra illustrate).
Ed invero è sufficiente sottolineare che, a differenza
dell'art. 278 c.p.p., l'art. 157 c.p. non menziona
nominativamente la recidiva nell'ambito delle
circostanze di cui si debba o meno tener conto (ai fini
della individuazione della pena stabilita dalla legge
per determinare il tempo necessario a prescrivere),
limitandosi ad attribuire invece rilievo alle
raggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di
specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad
effetto speciale”; di tal che, ai fini della
prescrizione, alla recidiva - nei casi in cui la stessa
comporta un aumento di pena superiore ad un terzo - sono
stati dalla giurisprudenza riconosciuti gli effetti
propri di ogni circostanza ad effetto speciale (come del
resto si ricava implicitamente dall'art. 161, comma
secondo, c.p.). Peraltro, il criterio della valutabilità
in concreto della recidiva "non obbligatoria", con
specifico riferimento alla prescrizione, è stato
espressamente valorizzato da Sez. 6, n. 43771 del
07/10/2010, dep. 11/12/2010, Karmaoui, Rv. 248714,): “in
tema di prescrizione del reato, quando il giudice abbia
escluso la circostanza aggravante facoltativa della
recidiva qualificata (art. 99, comma quarto, c.p.), non
ritenendola in concreto espressione di una maggiore
colpevolezza o pericolosità sociale dell'imputato, la
predetta circostanza deve ritenersi inlnfluente anche ai
fini del computo del tempo necessario a prescrivere il
reato”; nella circostanza è stato condivisibilmente
osservato che non vi sarebbe alcuna ragione per non
applicare le conclusioni della sentenza Calibe “anche al
calcolo del tempo necessario alla maturazione della
prescrizione (art. 157, comma secondo, e art. 161, comma
secondo, c.p.) che, a ben vedere, costituisce anch'esso
un effetto commisurativo della pena”.
4. Conclusivamente, va affermato il seguente principio
di diritto: “Nel computo della pena edittale, ai fini
della verifica della facoltatività dell'arresto in
flagranza, e più in generale per la determinazione della
pena agli effetti dell'applicazione delle misure
cautelari, non si deve tener conto della recidiva
reiterata”.
5. Così risolto il quesito portato al vaglio delle
Sezioni unite, il ricorso proposto dal N. risulta
meritevole di accoglimento, essendo stato il suo arresto
illegittimamente convalidato posto che: a) il giudice ha
erroneamente determinato la pena, agli effetti della
convalida dell'arresto facoltativo in flagranza, avendo
a tal fine tenuto conto della recidiva reiterata; b) la
sanzione per il delitto tentato ascritto al N. raggiunge
la soglia che legittima l'intervento precautelare
soltanto se nel calcolo si tiene conto della contestata
recidiva reiterata.
6. L'impugnato provvedimento deve essere quindi
annullato senza rinvio, con trasmissione degli atti al
Tribunale di Paola.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e dispone
trasmettersi gli atti al Tribunale di Paola.
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