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Appropriazione indebita-Il cliente rifiuta il conto salato? Il meccanico puo' trattenere l'auto- Cassazione penale Sentenza 04/05/2011, n. 17295)-Ipsoa.it

 

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di Paolo Pittaro

Il corretto esercizio del diritto di ritenzione esclude il delitto di appropriazione indebita, non comportando l'intenzione di convertire il possesso in proprieta'.

Un’officina meccanica, dopo aver effettuato alcune riparazioni su una autovettura che le era stata affidata, presenta il conto al proprietario della stessa, il quale si rifiuta di pagare, adducendo che il consuntivo risulta maggiore di quanto preventivato: inevitabile, pertanto, che il contenzioso venga posto dinanzi al giudice civile. Nel frattempo, tuttavia, i titolari dell’officina rifiutano di restituire il bene mobile, manifestando l’intenzione di trattenerlo fino al dovuto pagamento.

Ne deriva una querela nei loro confronti per appropriazione indebita, ai sensi dell’art. 646 c.p., a seguito della quale il GIP dispone il sequestro dell’autovettura con decreto poi confermato con l’ordinanza del Tribunale della Libertà competente. Ed è questo provvedimento che viene impugnato per cassazione dai proprietari dell’officina, adducendo che essi si erano limitati ad esercitare il diritto di ritenzione, previsto dall’art. 2756 del codice civile.

La pronuncia della Suprema Corte permette di evidenziare, anche alla luce di consolidata giurisprudenza, i rapporti fra le due citate disposizioni: quella penale e quella civile. L’art. 2756 c.c., rubricato Crediti per prestazioni e spese di conservazione e miglioramento, dopo aver disposto nei primi due commi che i crediti per le prestazioni e le spese relative alla conservazione o al miglioramento di beni mobili hanno privilegio sui beni stessi, purché questi si trovino ancora presso chi ha fatto le prestazioni o le spese e che il privilegio ha effetto anche in pregiudizio dei terzi che hanno diritti sulla cosa, qualora chi ha fatto le prestazioni o le spese sia stato in buona fede, prevede infine, al terzo comma, il c.d. diritto di ritenzione, stabilendo che “il creditore può ritenere la cosa soggetta al privilegio finché non è soddisfatto del suo credito e può anche venderla secondo le norme stabilite per la vendita del pegno”.

A sua volta l’art. 646 c.p. prevede il delitto di Appropriazione indebita, in forza del quale “chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 1.032 euro”. Sul punto la Cassazione conferma tre princìpi. Primo: il reato di appropriazione indebita avviene con l'interversione oggettiva del possesso (cfr., da ultimo ed ex plurimis, Cass. pen., sez. II, 9 aprile 2010, M., n. 26774), ossia allorché il soggetto agente, mero possessore, esercita la signoria sul bene "uti dominus" (Id., sez. II, 10 giugno 2009, N. M., n 37498).

In altri termini, il reato di appropriazione indebita si consuma nel momento in cui l'agente tiene consapevolmente un comportamento oggettivamente eccedente la sfera delle facoltà ricomprese nel titolo del suo possesso ed incompatibile con il diritto del titolare, in quanto significativo dell'immutazione del mero possesso in dominio, senza che sia necessario che la parte offesa formuli un'esplicita e formale richiesta di restituzione dello specifico bene oggetto della interversione del possesso (Id., sez. II, 10 giugno 2009, N., in Foro it., 2010, 1, II, 6; Id., sez. II, 2 dicembre 2008, C., n. 4440).

In definitiva, Il reato di cui all'art. 646 c.p. si consuma nel momento dell'interversione del titolo del possesso, che non coincide necessariamente con quello della scadenza del termine stabilito per la restituzione, né con quello dell'alienazione della cosa da parte del possessore.

Invero, il rifiuto ingiustificato della restituzione della cosa dopo la scadenza del termine che ne legittima il possesso rende manifesta l'esistenza sia dell'elemento oggettivo, per il venir meno della legittimità del possesso, sia di quello soggettivo, evidenziando la volontà del possessore di invertire il titolo del possesso per trarre dalla cosa stessa un ingiusto profitto, cosicché in tale momento il reato deve ritenersi integrato in tutti i suoi elementi (Id, sez. II, 15 giugno 1986, Pallone, in Cass. pen., 1988, 248).

Secondo: il corretto esercizio del diritto di ritenzione, di cui all’art. 2756 c.c., che consiste nell’omessa restituzione della cosa e nella sua ritenzione a titolo precario, a garanzia di un preteso diritto di credito, non integra il reato di appropriazione indebita ai sensi dell'art. 646 c.p., in quanto non modifica il rapporto tra il detentore ed il bene attraverso un comportamento oggettivo di disposizione uti dominus e l'intenzione soggettiva di interversione del possesso (Cass. pen., sez. II, 25 gennaio 2002, Vollero, in Cass. pen., 2003, 876; Id., sez. II, 27 maggio 1981, Giampaoli, in Cass. pen., 1982, 1735; Id., sez. II, 10 marzo 1980, Salzano, ivi, 1981, 1767).

Terzo: in tema di appropriazione indebita, il diritto di ritenzione esercitato sul bene altrui ha efficacia scriminante solo se il credito che si intende tutelare sia certo, liquido ed esigibile (Cass. pen., sez. II, 24 febbraio 2009, W. e altro, in Guida dir., 2009, 31, 88; Id, sez. II, 9 gennaio 2009, O., n. 6080; Id., sez. II, 7 novembre 2007, C., in Cass. pen., 2009, 575; Id., sez. II, 7 novembre 2007, C., in Cass. pen., 2009, 575), ossia determinato nel suo ammontare e non controverso nel titolo (Id., sez. II, 22 novembre 1985, Vasiola, in Cass. pen.,1987, 885).

Nella fattispecie concreta in oggetto gli ermellini hanno rilevato come i ricorrenti avessero agito in virtù della detenzione qualificata che li legava alla vettura, a loro affidata per le riparazioni in officina, sicché il loro comportamento non risulta affatto illecito né sul piano oggettivo, avendo trattenuto la cosa in attesa del pagamento, né su quello soggettivo, non avendo mai inteso invertire il possesso della vettura che, in effetti, è sempre restata a disposizione del proprietario, il cui diritto di proprietà non è mai stato posto in discussione.

Tenuto conto, pertanto, che l’omessa restituzione della cosa non realizza il reato di cui all’art. 646 c.p. se non quando si ricollega oggettivamente ad un atto di disposizione uti dominus e soggettivamente all’intenzione di convertire il possesso in proprietà, ne deriva che la semplice detenzione precaria, attuata a garanzia di un preteso diritto di credito conservando la cosa a disposizione del proprietario e condizionando la restituzione all’adempimento della prestazione cui lo si ritiene obbligato, non costituisce appropriazione indebita perché non modifica il rapporto giuridico fra il bene e la cosa.

Di conseguenza, mancando l’elemento soggettivo dell’appropriazione indebita, consistente nella volontà di fare propria la cosa, privandone definitivamente il proprietario, viene pure meno il fumus del reato contestato, con conseguente annullamento senza rinvio sia dell’ordinanza impugnata sia del correlato decreto di sequestro.

 

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