DIRITTO PROCESSUALE AMMINISTRATIVO
- Sistema probatorio - Art. 46, c. 3 cod. proc. amm. -
Principio dispositivo con metodo acquisitivo - Art. 43,
c. 1 cod. proc. amm. - Art. 2697 c.c. - Uguaglianza di
posizioni tra la P.A. e il privato - Fattispecie:
risarcimento del danno. Nel processo amministrativo,
anche dopo l’entrata in vigore del nuovo codice
approvato con D.L.vo 2 luglio 2010 n. 104 (cfr. art. 64,
comma 3), il sistema probatorio è fondamentalmente retto
dal principio dispositivo con metodo acquisitivo degli
elementi di prova da parte del giudice, il quale
comporta l’onere per il ricorrente di presentare almeno
un indizio di prova perché il giudice possa esercitare i
propri poteri istruttori (cfr., ex multis, Cons. Stato,
sez. V, 7 ottobre 2009, n. 6118): e ciò, per l’appunto,
è contemplato dal “sistema” proprio in quanto il
ricorrente, di per sé, non ha la disponibilità delle
prove, essendo queste nell’esclusivo possesso
dell’amministrazione ed essendo quindi sufficiente che
egli fornisca un principio di prova. Viceversa, la
disciplina contenuta nell’art. 2697 cod. civ.
(corrispondente, ora, all’art. 64, comma 1, cod. proc.
amm.) secondo la quale spetta a chi agisce in giudizio
indicare e provare i fatti, deve trovare integrale
applicazione anche nel processo amministrativo
ogniqualvolta non ricorra tale disuguaglianza di
posizioni tra Pubblica Amministrazione e privato, come
nel caso di specie, laddove si verte esclusivamente
sulla spettanza, o meno, di un risarcimento del danno:
con la conseguenza che, a pena di un’inammissibile
inversione del regime dell’onere della prova, non è
consentito al giudice amministrativo di sostituirsi alla
parte onerata quando quest’ultima si trovi
nell’impossibilità di provare il fatto posto a base
della sua azione (cfr., al riguardo, ex plurimis, Cons.
Stato , Sez. V, 10 novembre 2010 n. 8006). Pres.
Giaccardi, Est. Rocco - F.G. (avv.ti Camerini e Rossi)
c. Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (n.c.)
- (Riforma T.A.R. per il Lazio, Roma, n. 8218/2004) -
CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV - 16 maggio 2011, n. 2955
APPALTI - Danno curriculare -
Nozione - Valutazione equitativa - Possibilità. Il fatto
stesso di eseguire un appalto pubblico, anche a
prescindere dal lucro che l’impresa ne ricava grazie al
corrispettivo pagato dalla stazione appaltante,
costituisce fonte per l’impresa di un vantaggio non
patrimoniale ma - comunque - economicamente valutabile,
poiché di per sé accresce la capacità di competere sul
mercato e quindi la chance di aggiudicarsi ulteriori e
futuri appalti. In tale ottica deve pertanto ritenersi
risarcibile il “danno curriculare”, il quale consiste
nel pregiudizio subito dall’impresa in dipendenza del
mancato arricchimento del proprio “curriculum”
professionale, ossia per la circostanza di non poter
indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto
sfumato a causa del comportamento illegittimo
dell’Amministrazione (così, ad es., Cons. Stato, Sez.
VI, 09 giugno 2008 n. 2751). Tale pregiudizio, a
prescindere dalla carenza di prove offerte dalla
ricorrente in ordine alle perdite economiche da essa
subite, fuoriesce - altresì - dagli ambiti meramente
probabilistici della valutazione delle chances e si pone
in termini obiettivi per il fatto stesso
dell’intervenuta esclusione della ricorrente dal mercato
“pubblico”, ed è pertanto intrinsecamente d
necessariamente valutabile dal giudice in termini
equitativi ai sensi dell’art. 1226 c.c. Pres. Giaccardi,
Est. Rocco - F.G. (avv.ti Camerini e Rossi) c. Ministero
delle Infrastrutture e dei Trasporti (n.c.) - (Riforma
T.A.R. per il Lazio, Roma, n. 8218/2004) - CONSIGLIO DI
STATO, Sez. IV - 16 maggio 2011, n. 2955
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.
02955/2011REG.PROV.COLL.
N. 09218/2005
REG.RIC.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione
Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro
generale 9218 del 2005, proposto da:
Frezza Giorgio, in proprio nonché
quale titolare dell’omonima impresa di costruzioni,
rappresentato e difeso dall’Avv. Francesco Camerini e
dall’Avv. Adriano Rossi, con domicilio eletto presso lo
studio di quest’ultimo in Roma, viale delle Milizie 1;
contro
Ministero delle Infrastrutture e
dei Trasporti;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il
Lazio, Roma, Sez. III n. 8218 dd. 1 settembre 2004, resa
tra le parti, e concernente risarcimento del danno in
dipendenza della mancata reiscrizione di impresa
all’Albo Nazionale dei Costruttori.
Visti il ricorso in appello e i
relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del
giorno 8 febbraio 2011 il Cons. Fulvio Rocco e uditi per
le parti gli avvocati Rossi;
Ritenuto e considerato in fatto e
diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La vicenda che ha condotto
all’instaurazione del presente giudizio scaturisce
dall’ormai ben risalente esito dell’istanza presentata
in data 9 maggio 1984, con la quale l’Impresa Frezza
aveva chiesto, dopo un periodo di cancellazione), la
reiscrizione all’Albo Nazionale dei Costruttori (ANC),
nel quale era stata iscritta dal 1966, per le categorie
1, 2, 6, 9/a, 10/a, 10/b, 10/c, 11 e 13/a, per un
importo complessivo pari a lire 20.250.000.000.
Con deliberazione del 14 marzo 1985
il Comitato Centrale dell’Albo Nazionale Costruttori ha
peraltro escluso l’Impresa Frezza dall’iscrizione per
sei delle predette categorie, consentendola soltanto per
le restanti tre categorie e per importi bassissimi.
L’Impresa Frezza ha contestato tale
provvedimento, proponendo ricorso al T.A.R. per il
Lazio.
In pendenza di tale giudizio, il
Comitato Nazionale Costruttori ANC, con deliberazione
assunta in data 22 aprile 1986 ha confermato il
contenuto della precedente deliberazione del 14 marzo
1985 e, di conseguenza, l’Impresa è stata quindi
costretta a proporre un secondo ricorso innanzi al
medesimo giudice.
I due ricorsi sono stati riuniti e
accolti con sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sez. III,
11 febbraio 1988 n. 196, con la quale sono state
annullate le due predette deliberazioni per carenza di
valutazione e di motivazione.
Peraltro, riferisce la medesima
parte ricorrente che l Comitato Centrale ANC non ha dato
seguito a tale statuizione, costringendo pertanto
l’Impresa a proporre ricorso per ottemperanza.
Anche tale ricorso è stato accolto
con sentenza del TAR Lazio, sez. III, 22 settembre 1988
n. 1093, con la quale il giudice ha dichiarato l’obbligo
del Comitato Centrale di esternare le motivazioni
concernenti la decisione della domanda di reiscrizione
all’ANC.
Nel corso del giudizio per
ottemperanza la ricorrente ha preso conoscenza della
deliberazione del Comitato Centrale ANC del 27 aprile
1988, sostanzialmente confermativa della precedente e,
quindi, l’Impresa Frezza proponeva un nuovo ricorso
ordinario ed un nuovo ricorso per ottemperanza.
Questi ultimi due ricorsi sono
stati decisi con sentenze del TAR Lazio, sez. III, 15
luglio 1989 n. 1306 e 1307; più esattamente, con la
prima di esse è stata annullata la deliberazione
impugnata per omesso adeguamento di tre categorie ai
nuovi maggiori importi di classifica stabiliti con L. 15
novembre 1986 n. 768, nel mentre con la seconda è stato
nominato un Commissario ad acta.
Frezza ha quindi proposto un nuovo
ricorso per l’ottemperanza relativa alle sei categorie
relativamente alle quali non conosceva ancora i motivi
per cui il Comitato Centrale ANC aveva disatteso le
proprie domande.
Il Comitato Centrale ANC ha emesso
la deliberazione in data 14 novembre 1989,
sostanzialmente confermativa di tutte le precedenti.
Nel frattempo, tuttavia, il
Ministero dei Lavori Pubblici ed il Comitato Centrale
ANC avevano proposto appello avverso la predetta
sentenza n. 1306 del 1989, nel mentre nel relativo
giudizio l’Impresa Frezza ha proposto appello
incidentale.
Anche tale giudizio si è concluso
favorevolmente per l’Impresa Frezza mediante decisione
n. 747 dd. 30 aprile 1999, resa da questa stessa
Sezione.
Avverso la deliberazione del 14
novembre 1989 l’Impresa Frezza ha proposto un ulteriore
ricorso, conclusosi con sentenza del TAR per il Lazio,
sez. III, 6 febbraio 2002 n. 832, con la quale
l’impugnativa è stata accolta e la deliberazione
predetta annullata.
Tale sentenza, non impugnata, è
passata in giudicato.
1.2. Ciò posto, con ulteriore
ricorso proposto innanzi al T.A.R. per il Lazio
l’Impresa Frezza ha proposto nei confronti del Ministero
delle Infrastrutture e dei Trasporti una domanda di
risarcimento danni, evidenziando che il giudice
amministrativo ha riconosciuto la fondatezza della
propria pretesa all’iscrizione all’ANC per le 9
categorie richieste originariamente e per l’importo
complessivo di 18 miliardi di lire, contro le tre
categorie riconosciute per sole lire 2,1.miliardi di
lire.
In sostanza, la ricorrente,
valutando il fatto di non aver potuto esercitare la
propria attività nel campo di lavori pubblici per un
lungo periodo di tempo,e ciò a causa dell’illegittimità
dell’attività provvedimentale dell’Amministrazione, ha
chiesto di essere risarcita per equivalente.
Ad avviso della ricorrente, le voci
di danno da considerare consisterebbero:
1) nella mancata partecipazione
dell’Impresa agli appalti pubblici per quasi venti anni
e, quindi, nel relativo mancato lucro;
2) nel danno all’immagine subito
dall’Impresa, con ricaduta anche sui rapporti con i
terzi.
1.2. Con sentenza n.8218 dd. 1
settembre 2004 la Sezione III del T.A.R. per il Lazio ha
respinto il ricorso.
2. Con l’appello in epigrafe
l’Impresa Frezza chiede pertanto la riforma di tale
ultima sentenza, insistendo per l’accoglimento delle
proprie domande risarcitorie.
3. Non si è costituito in giudizio
il pur intimato Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti.
4. Alla pubblica udienza dell’8
febbraio 2011 la causa è stata trattenuta per la
decisione.
5. Tutto ciò doverosamente
premesso, va evidenziato che il giudice di primo grado
ha respinto il ricorso innanzi a lui proposto in quanto
il ricorrente, sebbene abbia puntualmente ricostruito la
propria vicenda processuale e gli esiti favorevoli della
stessa, non ha comunque fornito alcun elemento di prova
al fine di dimostrare il danno patito o, comunque, non
ha prodotto spunti di valutazione neanche per
un’eventuale consulenza tecnica d’ufficio al fine della
valutazione del danno subito.
In buona sostanza, quindi, ad
avviso del T.A.R. il ricorrente non ha ottemperato
all’onere della prova contemplato dall’art. 2697 c.c.,
il cui principio vige anche nel processo amministrativo,
laddove i poteri istruttori del giudice amministrativo
possono essere infatti esercitati soltanto in ragione
dell'incompletezza dell'istruttoria, ma non anche in
totale mancanza di essa; le indagini istruttorie,
infatti, possono essere disposte d’ufficio dal giudice
solo ove la parte abbia offerto almeno un serio
principio di prova idoneo a suffragare la pretesa
azionata.
Anche questo giudice concorda in
linea di principio con la tesi espressa dal T.A.R.
Invero, nel processo
amministrativo, anche dopo l’entrata in vigore del nuovo
codice approvato con D.L.vo 2 luglio 2010 n. 104 (cfr.
art. 64, comma 3, cod. proc. amm.), il sistema
probatorio è fondamentalmente retto dal principio
dispositivo con metodo acquisitivo degli elementi di
prova da parte del giudice, il quale comporta l’onere
per il ricorrente di presentare almeno un indizio di
prova perché il giudice possa esercitare i propri poteri
istruttori (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 7
ottobre 2009, n. 6118): e ciò, per l’appunto, è
contemplato dal “sistema” proprio in quanto il
ricorrente, di per sé, non ha la disponibilità delle
prove, essendo queste nell’esclusivo possesso
dell’amministrazione ed essendo quindi sufficiente che
egli fornisca un principio di prova.
Viceversa, la disciplina contenuta
nell’art. 2697 cod. civ. (corrispondente, ora, all’art.
64, comma 1, cod. proc. amm.) secondo la quale spetta a
chi agisce in giudizio indicare e provare i fatti, deve
trovare integrale applicazione anche nel processo
amministrativo ogniqualvolta non ricorra tale
disuguaglianza di posizioni tra Pubblica Amministrazione
e privato, come - per l’appunto - nel caso di specie,
laddove si verte esclusivamente sulla spettanza, o meno,
di un risarcimento del danno: con la conseguenza che, a
pena di un’inammissibile inversione del regime
dell’onere della prova, non è consentito al giudice
amministrativo di sostituirsi alla parte onerata quando
quest’ultima si trovi nell’impossibilità di provare il
fatto posto a base della sua azione (cfr., al riguardo,
ex plurimis, Cons. Stato , Sez. V, 10 novembre 2010 n.
8006).
A ragione, quindi, il giudice di
primo grado ha rilevato che il ricorrente avrebbe potuto
- e dovuto - fornire elementi di valutazione circa il
danno patito, producendo, ad esempio, atti e documenti
relativi al fatturato dell’impresa e a ai suoi bilanci
(nel periodo in cui era iscritta all’ANC per tutte le
categorie indicata e nel periodo successivo all’adozione
dei provvedimenti annullati), alle gare bandite nel
periodo, ecc..
La parte ricorrente, invece, pur
essendosi riservata all’inizio del giudizio di provare e
quantificare la misura del danno (cfr. pag. 7 del
ricorso), ha prodotto gli atti relativi ai vari
procedimenti giudiziali da essa promossi, limitandosi a
sollecitare la nomina di un consulente tecnico d’ufficio
per quantificare i danni patiti (cfr. la memoria
prodotta in primo grado dd. 24 giugno 2004).
In buona sostanza, quindi, la
ricorrente non ha dimostrato di aver subito una perdita
economica in conseguenza dell’adozione degli atti
annullati nei ricorsi da essa precedentemente proposti;
né può essere accordata la richiesta consulenza tecnica
d’ufficio al fine di quantificare i danni da essa
asseritamente patiti, posto che tale incombente assolve
alla funzione di fornire all’attività valutativa del
giudice l’apporto di cognizioni tecniche da lui non
possedute, ma non è per certo deputata ad esonerare la
parte dalla prova dei fatti dalla stessa dedotti e posti
a base delle proprie richieste: fatti che, come detto
innanzi,m devono essere dimostrati dalla medesima parte
alla stregua dei criteri di ripartizione dell'onere
della prova posti dall'art. 2697 c.c.
In sede di appello la parte
ricorrente, all’evidenza ben conscia di tali carenze, ha
rimarcato - tra l’altro - che il danno risulterebbe
comprovato in re ipsa dalla stessa circostanza che essa,
proprio per effetto della sostanziale esclusione
dall’ANC da essa per lungo tempo subita, ha potuto
accedere al solo mercato privato degli appalti di
lavori, notoriamente meno remunerativo per le imprese
rispetto a quelli pubblici, e che il danno da essa
subito (da intendersi quindi come differenziale tra
quanto da essa effettivamente ricavato nel tempo
dall’attività nel settore privato con quanto solo
presuntivamente ricavabile nell’ipotesi in cui fosse
proseguito l’accesso alle commesse pubbliche) dovrebbe
essere valutato equitativamente da questo giudice a’
sensi dell’art. 1226 c.c., ovvero mediante una stima ex
post delle chances di aggiudicazione non concretatesi
per la propria impresa.
Tale valutazione equitativa,
tuttavia, può soccorrere soltanto, come precisa la
stessa disciplina codicistica, qualora “il danno non può
essere provato nel suo preciso ammontare”: e, per
l’appunto, il mancato deposito agli atti di causa dei
bilanci societari comunque impedisce ex se di fondare
qualsivoglia valutazione anche in ordine alle risorse
finanziarie e di personale che la ricorrente avrebbe
potuto adibire per la propria attività in ambito
pubblico; né risulta logicamente possibile accedere alla
prospettazione della medesima ricorrente, formulata
sempre in sede di appello, secondo la quale il danno
sarebbe ricavabile mediante l’applicazione in via del
tutto apodittica di percentuali sui valori delle
categorie per le quali essa non è stata ammessa
all’iscrizione all’ANC.
6. Peraltro, a parziale riforma
della sentenza impugnata, può comunque essere accolta la
domanda risarcitoria limitatamente al c.d. “danno
curriculare”.
Il fatto stesso di eseguire un
appalto pubblico, anche a prescindere dal lucro che
l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla
stazione appaltante, costituisce infatti fonte per
l’impresa di un vantaggio non patrimoniale ma - comunque
- economicamente valutabile, poiché di per sé accresce
la capacità di competere sul mercato e quindi la chance
di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti.
In tale ottica deve pertanto
ritenersi risarcibile il danno anzidetto, il quale
segnatamente consiste nel pregiudizio subito
dall’impresa in dipendenza del mancato arricchimento del
proprio “curriculum” professionale, ossia per la
circostanza di non poter indicare in esso l’avvenuta
esecuzione dell’appalto sfumato a causa del
comportamento illegittimo dell’Amministrazione (così, ad
es., Cons. Stato, Sez. VI, 09 giugno 2008 n. 2751).
Tale ben particolare pregiudizio, a
prescindere dalla carenza di prove offerte dalla
ricorrente in ordine alle perdite economiche da essa
subite, fuoriesce - altresì - dagli ambiti meramente
probabilistici della valutazione delle chances e si pone
in termini obiettivi per il fatto stesso
dell’intervenuta esclusione della ricorrente dal mercato
“pubblico”, ed è pertanto intrinsecamente d
necessariamente valutabile da questo giudice in termini
equitativi a’ sensi dell’art. 1226 c.c.
Il Collegio, in tal senso, reputa
pertanto congruo stimare la perdita di professionalità
dell’Impresa Frezza conseguente alla sua forzata
esclusione dal mercato pubblico in € 10.000,00.-
(diecimila/00), da riconoscersi a carico del Ministero
intimato
In considerazione della parziale
soccombenza della società ricorrente e della
particolarità dell’ultima questione trattata, le spese e
gli onorari del giudizio, complessivamente definiti
nella misura di € 5.000,00.- (cinquemila/00) oltre ad
I.V.A. e C.P.A., sono compensati nella misura del 50%, e
sono pertanto posti a carico del Ministero intimato e
liquidati a favore della ricorrente nella misura di €
2500,00.- (duemilacinquecento/00) oltre ad I.V.A. e
C.P.A.
A carico del Ministero intimato va
pure posto il contributo unificato di cui all’art. 9 e
ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive
modifiche.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando
sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei
limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, condanna
il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture a
corrispondere alla ricorrente la somma di € 10.000.-
(diecimila/00) a titolo di danno curriculare.
- Condanna - altresì - il medesimo
Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture al
pagamento delle spese e degli onorari del giudizio,
complessivamente definiti nella misura di € 5.000,00.-
(cinquemila/00) oltre ad I.V.A. e C.P.A. ma compensati
nella misura del 50%, e quindi liquidati a favore della
ricorrente nella misura di € 2500,00.-
(duemilacinquecento/00) oltre ad I.V.A. e C.P.A.
- Pone inoltre a carico del
Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture il
pagamento del contributo unificato di cui all’art. 9 e
ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive
modifiche.
- Ordina che la presente sentenza
sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di
consiglio del giorno 8 febbraio 2011 con l'intervento
dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Sandro Aureli, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Fulvio Rocco, Consigliere,
Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/05/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.) |