Nel computo della pena edittale, ai fini
della verifica della facoltatività dell’arresto in
flagranza, e più in generale per la determinazione della
pena agli effetti dell’applicazione delle misure
cautelari, non si deve tener conto della recidiva
reiterata.
RITENUTO IN FATTO
1. Il 17 luglio 2009 Carmelo N.
veniva tratto in arresto, insieme con Maria Agnone, in
flagranza del reato di cui agli artt. 56, 110 cod. pen.,
6, comma 1, lett. a), d.l. 6 novembre 2008 n. 172, conv.
nella legge 30 dicembre 2008, n. 210.
In pari data il Pubblico ministero
presentava gli imputati al dibattimento innanzi al
Tribunale in composizione monocratica per la convalida
dell’arresto e per il giudizio direttissimo, avanzando
contestualmente richiesta di applicazione della misura
cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia
giudiziaria.
Con ordinanza del 20 luglio 2009 il
Tribunale di Paola, sezione distaccata di Scalea, non
convalidava l’arresto della Agnone, mentre convalidava
l’arresto del N., applicando la misura dell’obbligo di
presentazione alla polizia giudiziaria e disponendo
procedersi immediatamente al giudizio direttissimo nei
suoi confronti in relazione al delitto per il quale
l’arresto era stato convalidato.
Rilevato che i fatti di cui
all’imputazione risultavano ampiamente provati - e
richiamato il decreto in data 18 dicembre 2008 con il
quale il Presidente del Consiglio dei ministri ha
dichiarato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 5,
comma 2, legge 24 febbraio 1992, n. 225, lo stato
d’emergenza nel settore dei rifiuti urbani nel
territorio della Regione Campania - il giudicante
affrontava il tema relativo alla questione giuridica
concernente la legittimità dell’arresto.
Rilevava al riguardo che il delitto
ipotizzato a carico degli indagati - punito nella forma
consumata con la reclusione fino a tre anni e sei mesi,
con possibilità quindi dell’arresto facoltativo in
flagranza - era stato contestato nella forma tentata: di
tal che, alla luce del richiamo all’art. 278 cod. proc.
pen. operato dall’art. 379 cod. proc. pen., e tenuto
conto dell’autonomia del reato tentato rispetto a quello
consumato, nella determinazione della pena doveva
tenersi conto della riduzione di un terzo prevista
dall’art. 56 cod. pen.
Ciò posto, osservava che l’arresto
non avrebbe potuto essere eseguito nei confronti della
Agnone, in quanto, con la riduzione ai sensi dell’art.
56 cod. pen., la pena edittale risultava pari ad anni
due e mesi quattro di reclusione; mentre a diversa
conclusione doveva giungersi per il N., nei confronti
del quale il p.m. aveva contestato la recidiva
reiterata, “recidiva effettivamente esistente, come
risultava dalla lettura del certificato del casellario
giudiziale in atti”.
Il Tribunale dava conto del proprio
convincimento così argomentando: a) l’art. 278 cod.
proc. pen. stabilisce che ai fini dell’applicazione
delle misure cautelari (e, per effetto del richiamo
operato dall’art. 379 cod. proc. pen., anche di quelle
precautelari), si ha riguardo al massimo della pena
prevista per ciascun reato consumato o tentato, non si
tiene conto della continuazione, della recidiva e delle
circostanze del reato, fatta eccezione della circostanza
aggravante di cui all’art. 61, comma primo, n. 5, cod.
pen., dell’attenuante di cui all’art. 62, comma primo,
n. 4 cod. pen. e delle circostanze ad effetto speciale;
b) come affermato dalla giurisprudenza di legittimità,
nell’ipotesi del tentativo il limite sanzionatorio di
cui sopra deve essere calcolato con riferimento al
“delitto circostanziato tentato” e non al “delitto
tentato circostanziato”, con la conseguenza che la
riduzione minima di un terzo prevista dall’art. 56 cod.
pen. deve essere applicata solo dopo che siano stati
calcolati gli aumenti di pena derivanti dalla
sussistenza delle aggravanti comuni o speciali; c) al N.
era stata contestata la recidiva reiterata ex art. 99,
comma quarto, cod. pen.: per tale aggravante, a seguito
dell’entrata in vigore della legge n. 251 del 2005, è
previsto un aumento di pena della metà; d) la pena per
il delitto consumato per cui si procedeva, aumentata per
la recidiva, era quindi pari a mesi 63: pena da ridursi
di un terzo, trattandosi di tentativo (ex art. 56 cod.
pen.); e) la pena per il delitto circostanziato tentato
era quindi pari a mesi 42 (anni 3 e mesi 6); f)
sussisteva dunque il limite di pena per procedere
all’arresto ex art. 381 cod. proc. pen., “ciò senza
considerare che, a seguito delle modifiche introdotte
dalla legge 251 del 2005, la recidiva reiterata comporta
un aumento superiore ad un terzo, e dunque della stessa
deve tenersi conto ai fini della determinazione della
pena massima giusta il combinato disposto degli artt.
278 e 379 cod. proc. pen.”; g) l’arresto del N. era
pertanto consentito, oltre che giustificato dalla
personalità e pericolosità dello stesso alla luce dei
precedenti penali di cui risultava gravato.
2 Avverso l’ordinanza di convalida
dell’arresto il N. ha proposto ricorso per cassazione ex
artt. 391, comma 4, e 606, comma 1, lett. b) e c), cod.
proc. pen., deducendo “inosservanza o erronea
applicazione degli artt. 278, 381, comma 1, 379 cod.
proc. pen., 56, 63, 99, 70, cod. pen., 14 r.d. 16 marzo
1942, n. 262».
Richiamando la sentenza Simioli
delle Sezioni unite penali, il ricorrente sottolinea che
l’art. 278 cod. proc. pen. (operativo per le misure
precautelari in forza dell’art. 379 cod. proc. pen.)
pone regole di portata generale e di indiscriminata
osservanza, indica le circostanze di reato da prendere
in considerazione, escludendo ogni rilevanza alle
circostanze di reato diverse da quelle specificamente
indicate, impone la stretta osservanza delle regole e
delle eccezioni da esso previste, eccezioni che, come
quella relative alle circostanze ad effetto speciale,
non sono estensibili ex art. 14 preleggi. Precisa il
ricorrente che, secondo l’indirizzo della giurisprudenza
di legittimità, la recidiva, pur potendo comportare in
alcune ipotesi un aumento della pena superiore a un
terzo, è una circostanza inerente alla persona del
colpevole (art. 70 cod. pen.) e non già ad effetto
speciale; il fatto che essa, in qualche sua figura (sia
prima che dopo l’entrata in vigore della legge n. 251
del 2005), comporti un aumento di pena superiore a un
terzo (ponendosi per tale aspetto come una circostanza
aggravante ad effetto speciale perché gli effetti dell’
aumento di pena possono essere gli stessi), non
significa coincidenza tra recidiva, nella specie
reiterata, e circostanza aggravante ad effetto speciale:
quest’ultima è indicata dall’art. 63, comma terzo,
seconda parte, cod. pen. come circostanza che importa un
aumento o una diminuzione della pena superiore a un
terzo, laddove la recidiva è qualificata dall’art. 70
cod. pen. come circostanza inerente alla persona del
colpevole. L’aggravante ad effetto speciale modifica il
disvalore del fatto criminoso, rendendolo maggiormente
offensivo, pertanto l’art. 278 cod. proc. pen. impone di
“tener conto delle circostanze di cui all’art. 63, comma
terzo, cod. pen., ma espressamente esclude invece dal
conto, all’evidente scopo di evitare una lievitazione
sproporzionata della pena con conseguente estensione di
applicabilità delle misure [...], l’aumento di pena
collegato a fatti accessori quale è la contestazione
della recidiva o della continuazione”; applicando invece
l’aumento di pena previsto per la recidiva reiterata,
viene violata la regola generale di cui al secondo
periodo, prima parte, del comma 1 dell’art. 278 cod.
proc. pen., alterando la riserva di legge (art. 272 cod.
proc. pen.) che presidia la limitazione delle libertà
della persona.
3. La Terza Sezione penale - alla
quale il procedimento era stato assegnato ratione
materiae - con ordinanza del 2 luglio 2010 ha disposto
la rimessione del ricorso alle Sezioni unite, ai sensi
dell’art. 618 cod. proc. pen.
L’ordinanza rileva che il ricorso
prospetta la questione se nel computo della pena
edittale, ai fini della verifica della facoltatività
dell’arresto in flagranza, ai sensi degli artt. 381 e
379 cod. proc. pen., e più in generale agli effetti
dell’applicazione delle misure cautelari, ai sensi
dell’art. 278 cod. proc. pen., debba tenersi conto o
meno della recidiva reiterata: infatti la sanzione per
il delitto tentato ascritto al N. raggiunge la soglia
che legittima l’intervento precautelare soltanto se nel
calcolo si tiene conto della recidiva reiterata, che - a
norma dell’art. 99, comma quarto, cod. pen. (come
novellato dalla legge n. 251 del 2005) - comporta un
aumento della metà della pena edittale.
L’ordinanza stessa evidenzia quindi
che detta questione appare suscettibile di ricevere due
diverse soluzioni interpretative.
3.1. La soluzione adottata dal
provvedimento impugnato è nel senso che nella
determinazione della pena massima, ai fini della
legittimità dell’arresto facoltativo in flagranza, deve
tenersi conto dell’aumento di pena (della metà della
pena edittale) previsto per la recidiva reiterata
dall’art. 99, comma quarto, cod. pen.. Ai sensi del
nuovo testo di tale disposizione, la recidiva reiterata,
comportando un aumento di pena della metà, costituirebbe
una circostanza ad effetto speciale ai sensi dell’art.
63, comma terzo, cod. pen.; sicché, rientrando tra le
eccezioni indicate nella seconda parte dell’art. 278
cod. proc. pen., di essa si dovrebbe tener conto per
determinare la pena agli effetti dell’applicazione delle
misure cautelari e precautelari.
Secondo l’orientamento in
questione, la modifica introdotta dalla legge n. 251 del
2005, nel trasformare la recidiva reiterata in
circostanza ad effetto speciale, avrebbe inciso anche
sul significato e sulla portata dell’art. 278 cod. proc.
pen., dovendo ora trovare applicazione con riferimento
ad essa la regola speciale della seconda parte del
secondo periodo dell’articolo menzionato.
3.2. È tuttavia ben possibile e
plausibile, osserva l’ordinanza di rimessione, una
diversa soluzione interpretativa, nel senso che “per
determinare, ai sensi dell’art. 278 cod. proc. pen., la
pena agli effetti della applicazione delle misure
cautelari e precautelari, non si deve mai tener conto
della recidiva, nemmeno qualora la stessa (come nel caso
di recidiva reiterata) importi un aumento di pena
superiore ad un terzo e quindi sia classificabile come
circostanza ad effetto speciale”. Tale interpretazione
si basa, in primo luogo, sulla lettera della
disposizione. La norma applicabile alla recidiva (di
qualsiasi tipo essa sia) è la norma generale contenuta
nella prima parte dell’art. 278 cod. proc. pen. e non la
norma speciale contenuta nella seconda parte, che
riguarda solo alcune circostanze tra le quali non
rientra la recidiva: è ragionevole pensare che se il
legislatore avesse voluto che si tenesse conto della
recidiva allorché essa costituisca una circostanza ad
effetto speciale, non avrebbe fatto espresso riferimento
alia stessa nella prima parte della disposizione, perché
sarebbe stato sufficiente attribuirle il trattamento
previsto in generale per le circostanze (con
applicazione della norma speciale che include nel
computo quelle ad effetto speciale). Detta
interpretazione sembrerebbe inoltre confortata dalla
considerazione che, costituendo la seconda parte della
disposizione una regola speciale che fa eccezione alla
regola generale di cui alla prima parte, la stessa, ai
sensi dell’art. 14 delle preleggi, non può essere
applicata oltre i casi in essa considerati, il che
induce ad escludere, nel dubbio, anche
un’interpretazione estensiva; pertanto, il riferimento
alle circostanze ad effetto speciale contenuto nella
norma speciale andrebbe interpretato restrittivamente,
nel senso che esso riguarda le circostanze diverse dalla
recidiva, che è espressamente disciplinata solo dalla
norma generale. Per le stesse ragioni non potrebbe
ritenersi che il significato e la portata dell’art. 278
cod. proc. pen. siano stati implicitamente modificati
dalla nuova disciplina sulla recidiva introdotta dalla
legge n. 251 del 2005.
Osserva ancora l’ordinanza di
rimessione che l’interpretazione in esame potrebbe
essere confermata dalla ratio dell’art. 278 cod. proc.
pen., “che appare essere quella che, ai fini
dell’applicazione delle misure cautelari e precautelari,
si debba tener conto delle circostanze (in senso lato)
che aggravano il disvalore del fatto criminoso in sé
considerato e non anche di quelle che non incidono sulla
gravità del fatto in sé, come appunto la continuazione o
la recidiva, quale che sia poi l’aumento di pena
determinato da quest’ultima». Ai fini della questione
controversa, sarebbe quindi irrilevante, in questa
prospettiva, il fatto che la recidiva costituisca una
circostanza ad effetto speciale, oltre che una
circostanza inerente alla persona del colpevole, così
come irrilevante sarebbe la giurisprudenza relativa
all’art. 157, comma secondo, cod. pen., che fa
riferimento alle circostanze ad effetto speciale, ma che
non pone una specifica norma per la recidiva.
3.3. Sottolineata la plausibilità
delle soluzioni interpretative, l’ordinanza di
rimessione evidenzia che “sul punto appare essere in
atto un contrasto di giurisprudenza e comunque la
questione di diritto può dar luogo ad un contrasto di
giurisprudenza», tanto da consigliare la rimessione del
ricorso alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 618 cod.
proc. pen., per la soluzione della questione così
precisata: “se, ai fini della determinazione della pena
agli effetti delle misure cautelari e precautelari,
debba tenersi conto della recidiva reiterata, in quanto
circostanza ad effetto speciale, ai sensi dell’ultima
parte dell’art. 278 cod. proc. pen., ovvero non debba
tenersene conto, ai sensi della norma generale dettata
dalla prima parte dell’art. 278 cod. proc. pen.”.
4. Con decreto del 21 ottobre 2010,
il Primo presidente ha assegnato il ricorso in esame
alla Sezioni unite, fissando per la trattazione la
camera dì consiglio del 16 dicembre 2010, poi rinviata
all’odierna udienza.
5. Con requisitoria in data 24
novembre 2010, il Procuratore generale ha rassegnato le
conclusioni scritte chiedendo l’annullamento senza
rinvio dell’impugnato provvedimento, dando conto del
convincimento così espresso con il richiamo al principio
generale del favor libertatis in materia di libertà
personale ed al tenore testuale dell’art. 278 cod. proc.
pen., fermo restando l’inquadramento della recidiva
reiterata fra le circostanze ad effetto speciale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La questione di diritto per la
quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni unite è la
seguente: «se, nel computo della pena edittale, ai finì
della verifica della facoltatività dell’arresto in
flagranza, e più in generale per la determinazione della
pena agli effetti dell’applicazione delle misure
cautelari, debba tenersi conto o meno della recidiva
reiterata contestata».
1.1. Il quadro giurisprudenziale
che si è delineato sulla questione giuridica controversa
- ivi comprese talune decisioni che hanno riguardato la
questione stessa solo in modo indiretto - può essere
sinteticamente illustrato come segue.
1.2. Nel senso favorevole al
riconoscimento della rilevanza della recidiva reiterata
specifica infraquinquennale si è espressa Sez. 2, n.
29142 del 10.7.2008, dep. 14/7/2008, Major, non
massimata: pronunciandosi sul motivo di ricorso relativo
alla dedotta violazione dell’art. 304, comma 1, cod.
proc. pen., la sentenza non ha proposto l’argomentare
dell’ordinanza del Tribunale di Paola oggetto del
presente giudizio, ma si è limitata ad affermare la
rilevanza della recidiva nell’ipotesi di cui all’art.
99, comma quarto, cod. pen., qualora ricorrano
congiuntamente le circostanze indicate al comma 2, nn. 1
e 2, della medesima disposizione.
1.3. In altre occasioni, le
decisioni della Suprema Corte hanno richiamato l’art.
278 cod. proc. pen., evidenziando l’esclusione della
recidiva nella determinazione della pena agli effetti
dell’applicazione delle misure cautelari: in proposito
va segnalata Sez. 6, n. 21546 del 15/04/2009, dep.
22/05/2009, Passaretti (non massimata), secondo cui
l’art. 278 cod. proc. pen. “dispone che, agli effetti
dell’applicazione delle misure cautelari personali, non
si deve tener conto della recidiva e delle circostanze
del reato, ad eccezione della circostanza aggravante
prevista all’art. 61, comma primo, n. 5, cod. pen. e
della circostanza attenuante prevista dall’art. 62,
comma primo, n. 4, cod. pen., nonché delle circostanze
per le quali la legge stabilisce una pena diversa da
quella ordinaria del reato e di quelle a effetto
speciale”.
Nella medesima prospettiva può
ricordarsi il dictum della Corte costituzionale - sent.
n. 223 del 2006 - secondo cui “l’art. 303 del codice di
rito, oggetto di censura nel presente giudizio, prevede
[...] due metodi di calcolo, riferiti a fasi e
situazioni processuali diverse, secondo precise scelte
del legislatore. Il primo fa riferimento, ai sensi
dell’art. 278 cod. proc. pen., alla pena edittale
prevista per il reato in contestazione, senza tener
conto della continuazione, della recidiva e delle
circostanze, fatta eccezione dell’aggravante di cui
all’art. 61, comma primo, n. 5, cod. pen. e
dell’attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 4,
dello stesso codice, nonché delle circostanze per le
quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da
quella ordinaria e di quelle ad effetto speciale. Il
secondo criterio è basato invece sulla pena
concretamente irrogata con la sentenza di primo grado o
di appello, e si applica ovviamente nelle fasi
processuali successive alle suddette pronunce”.
2. L’ordinanza impugnata richiama
Sez. 5, n. 696 del 7.2.2000, dep. 20/03/2000, Conte, Rv.
215719, che ha affermato il principio di diritto secondo
cui in forza del rinvio all’art. 278 cod. proc. pen.
contenuto nell’art. 379 cod. proc. pen., ai fini
dell’applicazione delle norme sull’arresto in flagranza,
si deve avere riguardo alla pena stabilita dalla legge
per ciascun reato consumato o tentato, sicché, in
ragione dell’autonomia del reato tentato, non è
consentito l’arresto in flagranza per delitti tentati
per i quali, in applicazione dell’art. 56 cod.
pen., non risulti comminata una
pena superiore nel massimo a tre anni di reclusione.
Sul computo della pena in presenza
di fattispecie circostanziata, il provvedimento
impugnato richiama poi Sez. 1, n. 4298 del 14.7.1998,
Caputo, Rv. 211427; con tale decisione è stato enunciato
il principio di diritto così massimato: “In tema di
misure cautelari valgono, anche ai fini
dell’individuazione dei termini di durata massima della
custodia cautelare, i criteri dettati dall’art. 278 cod.
proc. pen. per la determinazione della pena. Nel caso di
tentativo dì reato con circostanze aggravanti per le
quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da
quella ordinaria del reato o ad effetto speciale, per il
computo dei termini indicati dall’art. 303 stesso codice
deve dapprima individuarsi la pena massima stabilita per
il reato circostanziato consumato, per poi operare su di
essa la riduzione minima indicata dall’art. 56 cod.
pen.”.
Analogamente, Sez. 4, n. 1611 del
21/05/1996, dep. 12/10/1996, Raza, Rv. 205678, pure
richiamata dall’ordinanza impugnata, ha precisato che in
materia di individuazione dei limiti di pena, anche per
quanto riguarda l’individuazione dei termini massimi di
durata della custodia cautelare, in caso di ricorrenza
di circostanze aggravanti, la pena per il delitto
tentato deve essere calcolata facendo riferimento al
delitto circostanziato tentato e non al delitto tentato
circostanziato; deve cioè operarsi la diminuzione di
pena prevista per il tentativo dopo aver calcolato gli
aumenti per le circostanze aggravanti, siano esse
ordinarie che ad effetto spedalo punite con pena
autonoma.
2.1. Il ricorrente, come sopra
accennato, richiama Sez. U., n. 19, del 01/10/1991, dep.
16/11/1991, Simioli, Rv. 188582, che ha affermato il
principio così massimato: “Agli effetti
dell’applicazione o della revoca delle misure cautelari
personali occorre fare esclusivo riferimento, in ogni
fase e grado del processo, ai principi enunciati
dall’art. 278 cod. proc. pen. che negano ogni rilevanza
in materia alle attenuanti diverse da quelle di cui
all’art. 62, comma primo, n. 4, cod. pen. e, di
conseguenza, al giudizio di comparazione eventualmente
effettuato. Pertanto, dopo una sentenza di condanna, per
determinare la pena edittale agli effetti della verifica
della sussistenza delle condizioni alle quali l’art. 280
cod. proc. pen. subordina l’applicazione delle misure
coercitive personali, non hanno alcun rilievo le
statuizioni della sentenza di condanna che attengono
esclusivamente alla pena senza incidere sulla
qualificazione giuridica del reato, come la possibile
concessione di attenuanti diverse da quelle previste
dall’art. 62, comma primo, n. 4, cod. pen. e il giudizio
di comparazione eventualmente effettuato dal giudice di
merito”.
Mette conto sottolineare che alia
sentenza Simioli si è poi ricollegata Sez. U., n. 1 del
26/02/1997, dep. 27/06/1997, Mammoliti, Rv. 207939,
secondo cui “ai fini sia dell’art. 303, comma 1, lett.
c), cod. proc. pen., sia dell’art. 300, comma 4, stesso
codice, nel caso di condanna per più reati avvinti dalla
continuazione, per alcuni dei quali soltanto (nella
specie per i reati satelliti) mantenga efficacia la
custodia cautelare, per ‘condannà e per ‘pena inflittà
devono, rispettivamente, intendersi la condanna e la
pena inflitte per questi ultimi reati, e non la condanna
e la pena inflitte per l’intero reato continuato, in
quanto l’unificazione legislativa di più reati nel reato
continuato va affermata là dove vi sia una disposizione
apposita in tal senso o dove la soluzione unitaria
garantisca un risultato favorevole al reo, non potendo
dimenticarsi che il trattamento di maggior favore per il
reo è alla base della ‘ratiò del reato continuato”; in
motivazione, la sentenza Mammoliti ha osservato che la
norma di cui all’art. 278 cod. proc. pen. “dopo aver
previsto che, ‘agli effetti della applicazione delle
misure, si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge
per ciascun reato consumato o tentatò, aggiunge, tra
l’altro, che ‘non si tiene conto della continuazione,
della recidiva e delle circostanze del reato, fatta
eccezioNé ... ecc., norma che queste Sezioni unite hanno
interpretato, con la sentenza 1° ottobre 1991, Simioli,
nel senso che la stessa pone regole di generale portata
e di indiscriminata osservanza in materia di custodia
cautelare”.
In un successivo arresto, le
Sezioni Unite (n. 23381, del 31/05/2007, dep.
14/06/2007, Keci) hanno puntualizzato il quadro
normativo nel quale si inseriva la sentenza Simioli,
affermando il seguente principio: “In tema di durata
della custodia cautelare, ai fini della individuazione
del termine di fase allorché vi sia stata sentenza di
condanna, in primo o in secondo grado, occorre aver
riguardo alla pena complessivamente inflitta per tutti i
reati per i quali è in corso la misura della custodia
cautelare, e quindi alla pena unitariamente quantificata
a seguito dell’applicazione del cumulo materiale o
giuridico per effetto del riconoscimento del vincolo
della continuazione”.
All’argomentare della sentenza Keci
si è poi ricollegata Sez. U, n. 25956 del 26/03/2009,
dep. 22/06/2009, Vitale, che, in motivazione, si è
soffermata sull’art. 278 cod. proc. pen., sottolineando
che tale disposizione “si riferisce ai criteri di
determinazione della pena astrattamente stabilita dal
legislatore con riferimento alle condizioni di
applicabilità delle misure, di cui all’art. 280 cod.
proc. pen.; nonché alla durata dei termini di fase prima
della sentenza di condanna, di cui all’art. 303, comma
1, lett. a), b), b-bis), cod. proc. pen. [...]; mentre a
tale criterio di riferibilità edittale succede quello
della pena in concreto inflitta dopo la pronuncia della
sentenza di condanna in primo e secondo grado (art. 303,
comma 1, lett. c) e d), cod. proc. pen.)”.
La sentenza della Sez. 6, n. 1485
del 22.11.1994, dep. 13/02/1995, Dell’Anna, richiamata
anche dal ricorrente, si è così espressa: “La recidiva,
pur potendo comportare in alcune ipotesi un aumento
della pena superiore ad un
terzo (art. 99, secondo capoverso,
cod. pen.), è una circostanza inerente alla persona del
colpevole (art. 70 cod. pen.), e non già ad effetto
speciale. Conseguentemente, ove essa concorra con una
circostanza aggravante ad effetto speciale, dovrà farsi
luogo ad un duplice aumento di pena, non potendo trovare
applicazione l’art. 63, terzo capoverso, cod. pen.,
secondo il quale si applica solo la pena stabilita per
la circostanza più grave”. In motivazione, la sentenza
Dell’Anna ha osservato che “la peculiarietà della
recidiva come circostanza aggravante viene [...]
evidenziata dall’art. 70 cod. pen., il quale dopo aver
classificato e individuato le circostanze in oggettive e
soggettive definisce la recidiva come circostanza
inerente la persona del colpevole. La recidiva, quindi,
in quanto circostanza aggravante del tutto peculiare non
è assoggettabile alla disciplina prevista per le altre
circostanze aggravanti ove il legislatore non ne abbia
fatto esplicita menzione”.
Alla sentenza Dell’Anna si è più di
recente ricollegata Sez. 2, n. 11105 del 4/3/2009, dep.
12/3/2009, Campana, che ha escluso che alla recidiva,
pur nelle ipotesi in cui comporta l’aumento di pena
superiore ad un terzo, possa riconoscersi natura di
aggravante ad effetto speciale.
2.2. Nel senso della
riconducibilità di alcune ipotesi di recidiva
nell’ambito delle circostanze ad effetto speciale, si
collocano, in particolare, tre pronunce, ossia: Sez. 5,
n. 22619 del 24/03/2009, dep. 29/05/2009. Baron, Rv.
244204; Sez. 2, n. 19565 del 09/04/2008, dep.
15/05/2008, Rinallo, Rv. 240409; Sez. 2, 40978 del
21/10/2008, dep. 03/11/2008, Coviello, Rv. 242245.
La sentenza Coviello ha affermato
il principio in forza del quale “la recidiva reiterata,
che è circostanza aggravante a effetto speciale, rileva,
se contestata e ritenuta dal giudice, ai fini della
determinazione del tempo necessario alla prescrizione
del reato”. In motivazione, detta decisione prende
consapevolmente le distanze dall’impostazione seguita
dalla sentenza Dell’Anna.
Anche la sentenza Rinallo ha fatto
riferimento alla recidiva reiterata quale circostanza
aggravante ad effetto speciale.
Nella stessa prospettiva, la
sentenza Baron ha affermato il principio così massimato:
“La recidiva reiterata ha natura di circostanza
aggravante a effetto speciale rilevante ai fini del
tempo necessario alla prescrizione con conseguente
allungamento dei termini prescrizionali; ciò, peraltro,
non determina la violazione dell’art. 3 Cost. - non
sussistendo uguaglianza di situazioni tra il soggetto
incensurato e colui che, invece, abbia riportato
precedenti condanne e sia incolpato di un nuovo delitto
- e nemmeno quella dell’art. Ill Cost., in quanto non è
irragionevole che la durata del processo abbia termini
più lunghi per l’imputato recidivo rispetto a quelli
previsti per eventuali coimputati non recidivi». In
motivazione, la sentenza Baron ricorda la sentenza delle
Sezioni unite Paolini, di cui appresso si dirà, e così
argomenta: “è agevole rilevare che anche nel nuovo
sistema la recidiva è presa in considerazione per la
determinazione della pena, e quindi per la sua misura,
da applicarsi in astratto o in concreto, sicché resta
fermo che la recidiva continua a costituire una
circostanza aggravante e, qualora sia così qualificata,
ai sensi dei commi secondo, teerzo e quarto dell’art. 99
cod. pen., una circostanza aggravante ad effetto
speciale, di cui si deve tener conto ai fini della
prescrizione”; tale indirizzo, sottolinea la sentenza
Baron, è stato ripreso anche dalla Corte costituzionale
con l’ord. n. 34 del 2009 che ha affermato che “secondo
la giurisprudenza della Corte di cassazione, l’aumento
di pena previsto in caso di recidiva reiterata
infraquinquennale, essendo questa una circostanza
aggravante ad effetto speciale, deve essere calcolato ai
fini della determinazione del termine ordinario di
prescrizione ai sensi dell’art. 157, secondo comma, cod.
pen.”.
La sentenza delle Sezioni unite n.
3152 del 31/01/1987, dep. 16/03/1987, Paolini - evocata,
come detto, nella sentenza Baron - ha affermato il
principio in forza del quale “la recidiva non è compresa
nelle circostanze aggravanti che rendono il reato di
truffa perseguibile d’ufficio, in quanto essa, inerendo
esclusivamente alla persona del colpevole, non incide
sul fatto-reato”. In motivazione, la sentenza precisa
che “dalla disciplina legislativa della recidiva si può
trarre la conclusione che essa è una circostanza
aggravante sui generis, che ha rilevanza solo quando sia
presa in considerazione la misura della pena, mentre non
produce alcun effetto sulla quantità del fatto-reato, al
quale resta estranea”.
Un riferimento alla recidiva
specifica ex art. 99, comma secondo, cod. pen., quale
circostanza ad effetto speciale, caratterizza Sez. 1, n.
18513 del 17/03/2010, dep. 17/05/2010, Amantonico, Rv.
247202.
3. Così descritto il quadro
giurisprudenziale, mette conto sottolineare che il
giudice della convalida dell’arresto del N. ed il
ricorrente si sono particolarmente e diffusamente
soffermati sulla natura giuridica della recidiva
reiterata - pervenendo ad opposte conclusioni - muovendo
evidentemente entrambi dal presupposto che la soluzione
della questione de qua dipenderebbe dalla
riconducibilità, o meno, della recidiva, di cui all’art.
99, comma quarto, cod. pen., nella categoria delle
circostanze aggravanti ad effetto speciale.
Orbene, va subito precisato che, ai
fini della soluzione della specifica questione in
oggetto, e per quanto di seguito si avrà modo di
chiarire ulteriormente, la natura giuridica della
recidiva reiterata risulta irrilevante.
Per completezza argomentativa va
peraltro affermato che la recidiva, nelle ipotesi in cui
comporta un aumento della pena superiore ad un terzo,
determina certamente gli effetti propri di una
circostanza aggravante ad effetto speciale (secondo il
principio enunciato da queste Sezioni unite - con
specifico riferimento alla recidiva di cui all’art. 99,
comma quinto, cod. pen. - con la sentenza con la quale,
all’odierna udienza, è stato deciso il ricorso relativo
al procedimento a carico di Indelicato Piero cui
pertanto si rimanda per la compiuta disamina del tema):
il che non è assolutamente incompatibile con la natura
di “circostanza inerente alla persona del colpevole” che
il legislatore (art. 70 cod. pen.) ha espressamente
attribuito alla recidiva (in genere).
3.1. Il quesito qui in esame trova,
invero, soluzione innanzi tutto nella lettera delle
norme di riferimento, vale a dire gli artt. 278 e 379
cod. proc. pen.; il primo indica i criteri per la
“determinazione della pena agli effetti
dell’applicazione delle misure cautelari»; il secondo
richiama espressamente lo stesso art. 278 cod. proc.
pen. ai fini della determinazione della pena agli
effetti delle disposizioni del Titolo Sesto del codice
di rito, in cui sono contenute le disposizioni che
disciplinano l’arresto in flagranza ed il fermo.
Il dato testuale della formulazione
dell’art. 278 cod. proc. pen. non lascia spazio a dubbi
di sorta laddove è previsto che “ai fini
dell’applicazione delle misure […] non si tiene conto
della recidiva”, mentre occorre tener conto “delle
circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di
specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle
ad effetto speciale». Nella norma in esame risultano
dunque specificamente indicate sia la recidiva che le
circostanze ad effetto speciale, con valenza opposta ai
fini del calcolo della pena agli effetti
dell’applicazione delle misure: di tal che, qualsiasi
interpretazione finalizzata a far rientrare - agli
effetti specifici dell’art. 278 cod. proc. pen. - la
recidiva reiterata nella categoria delle circostanze ad
effetto speciale, risulta irrimediabilmente inficiata
dall’inequivocabile dato letterale. Non solo. Il secondo
periodo dell’art. 278 cod. proc. pen. consta a sua volta
di due parti: la prima, di carattere generale, è quella
applicabile alla recidiva; la seconda - speciale, che
inizia dalle parole “fatta eccezione» - riguarda solo
alcune circostanze tra le quali rientrano anche quelle
ad effetto speciale: orbene, è ragionevole ritenere che
se il legislatore, nel formulare l’art. 278 cod. proc.
pen., avesse voluto attribuire rilievo alla recidiva,
allorché essa comporta un aumento di pena superiore ad
un terzo (così considerandola quale aggravante ad
effetto speciale anche ai fini specifici dell’art. 278
cod. proc. pen.), non vi sarebbe stata alcuna necessità
di un espresso riferimento alla stessa nella prima parte
(del secondo periodo) della disposizione, posto che la
norma speciale (seconda parte del secondo periodo)
include nel computo della pena le aggravanti ad effetto
speciale. A ciò aggiungasi che, costituendo la seconda
parte (del secondo periodo) della disposizione una
regola speciale che fa eccezione alla regola generale di
cui alla prima parte, la stessa, ai sensi dell’art. 14
delle preleggi - e come osservato anche nell’ordinanza
di rimessione - non può essere applicata oltre i casi in
essa considerati: ulteriore ragione per escludere
un’interpretazione estensiva.
Ne deriva che il riferimento alle
circostanze ad effetto speciale, contenuto nella seconda
parte del secondo periodo dell’art. 278 cod. proc. pen.,
deve essere interpretato restrittivamente, nel senso che
esso riguarda le circostanze diverse dalla recidiva, che
è espressamente disciplinata solo dalla parte generale.
Né può ritenersi che il significato
e la portata dell’art. 278 cod. proc. pen. siano stati
implicitamente modificati dalla nuova disciplina sulla
recidiva introdotta dalla legge n. 251 del 2005. Ed
invero, appare del tutto condivisibile quanto in
proposito argomentato nell’ordinanza di rimessione,
laddove è stato evidenziato che le innovazioni
introdotte con tale novella non offrono alcun aggancio
per ritenere che la modifica dell’art. 99 cod. pen.
abbia determinato anche una significativa e sostanziale
modifica dell’art. 278 cod. proc. pen.
3.2. Al di là del dato letterale,
l’interpretazione che queste Sezioni unite ritengono di
dover privilegiare risulta poi confortata da ulteriori
argomenti (che, come accennato, prescindono comunque
dalla riconducibilità della recidiva reiterata
nell’ambito delle circostanze aggravanti ad effetto
speciale).
È opportuno innanzi tutto por mente
alla significativa evoluzione della disciplina di cui
all’art. 278 cod. proc. pen.
Nell’originaria versione
codicistica, la disciplina relativa alla determinazione
della pena agli effetti dell’applicazione delle misure
cautelari dava attuazione alla direttiva di cui all’art.
2 n. 59 della legge-delega, estendendone la portata
anche alle misure interdittive, oltre che a quelle
coercitive per le quali soltanto la direttiva risulta
espressamente dettata; l’impostazione del legislatore
emerge con chiarezza dalle indicazioni offerte dalla
Relazione a! codice-. “L’articolo 278 è costruito sulla
falsariga dell’art. 255 cod. proc. pen., tenendosi conto
del carattere vincolato che, almeno per una sua parte,
la disciplina veniva ad assumere, in relazione ai
criteri rigidamente fissati dalla direttiva 59 della
legge-delega, del resto in armonia con quanto appunto
previsto dalla normativa attuale. Tra le poche varianti
- a parte quelle che si risolvono in una mera
differenziazione stilistica nella costruzione della
frase - si segnalano, da un lato l’esplicita
sottolineatura dell’ininfluenza della continuazione nel
computo della pena da calcolare, dall’altro l’omissione
del riferimento alla rilevanza della circostanza della
minore età (che, essendo esclusiva dei processi contro
minorenni, si è ritenuto dovesse essere menzionata
soltanto nelle disposizioni specificamente concernenti,
appunto, il processo penale minorile”.
La tecnica normativa utilizzata dal
legislatore delegato nella redazione dell’art. 278 cod.
proc. pen. era stata apprezzata da quella dottrina che
aveva sottolineato lo “stacco della recidiva, citata
autonomamente ed anticipatamente rispetto alle
circostanze del reato, anche al fine di evitare devianti
deduzioni
dogmatiche sostanziali nascenti dal
legame, in deroga, rispetto alle circostanze ad effetto
speciale».
L’assetto delineato dalla direttiva
n. 59 della legge-delega (e codificato nell’art. 278
cod. proc. pen.), d’altra parte, era pienamente in linea
con la direttiva n. 32, che, in tema di arresto in
flagranza, espressamente escludeva la rilevanza della
recidiva in sede di determinazione della pena ai fini
dell’adozione della misura precautelare.
Una discontinuità rispetto
all’assetto delineato dal legislatore codicistico fu
sancita dal primo intervento novellatore sull’art. 278
cod. proc. pen., ossia dal d.l. 1° marzo 1991, n. 60
(recante «Interpretazione autentica degli articoli 297 e
304 del codice di procedura penale e modifiche di norme
in tema di durata della custodia cautelare»),
convertito, con modificazioni, nella legge 22 aprile
1991, n. 133: soppresso, nel corpo del secondo periodo,
il riferimento alla recidiva, veniva aggiunto un
ulteriore periodo, in forza del quale doveva tenersi
conto della recidiva nel caso previsto dall’art. 99,
comma quarto, cod. pen., nel caso ricorressero
congiuntamente le circostanze indicate nel comma
secondo, nn. 1 e 2, dello stesso articolo. In forza del
rinvio sancito dall’art. 379 cod. proc. pen., la
modifica introdotta dal legislatore del 1991 investiva
naturalmente anche la disciplina della determinazione
della pena ai fini dell’adozione delle misure
precautelari; proprio su quest’ultimo terreno furono
prospettati in dottrina rilievi problematici connessi al
concreto esercizio del potere coercitivo: si osservò
infatti che sembrava “difficile che, quantomeno in
materia di arresto, la recidiva [potesse] svolgere il
“ruolo” riconosciutole dall’art. 278 cod. proc. pen.,
implicando essa una conoscenza dei precedenti penali del
reo che di norma non si ha al momento della flagranza
del reato».
Successivamente, l’art. 6 della
legge 8 agosto 1995, n. 332 (recante «Modifiche al
codice di procedura penale in tema di semplificazione
dei procedimenti, di misure cautelari e di diritto di
difesa»), ha reintrodotto nel corpo del secondo periodo
dell’art. 278 cod. proc. pen., il riferimento alla
recidiva, sopprimendo, nella medesima disposizione, la
parola raggravanti»; veniva altresì abrogato l’ultimo
periodo dell’articolo in esame, introdotto dal
legislatore del 1991. La modifica, come sottolineato in
dottrina, era di segno diametralmente opposto al
precedente intervento.
La complessa novella di cui alla
legge 5 dicembre 2005, n. 251, come innanzi sì è già
avuto modo di accennare, non ha investito le
disposizioni di cui agli artt. 278 e 379 cod. proc. pen.
Anche la dottrina successiva alle
modifiche introdotte con la legge n. 251 del 2005, pur
non affrontando espressamente la questione qui in esame,
ha escluso la rilevanza della recidiva in sede di
determinazione della pena ex art. 278 cod. proc. pen.
Ancora, assume certamente rilievo
la “facoltativi” della recidiva reiterata, affermata e
più volte ribadita nella giurisprudenza di legittimità
secondo un consolidato indirizzo interpretativo,
ancorato anche alle indicazioni fornite dalla Corte
Cost, con la sentenza n. 192 del 2007, ed avallato dalle
Sezioni unite con la sentenza n. 35738 del 27/05/2010,
dep. 05/10/2010, Calibè, che, nel suo ampio e
approfondito iter motivazionale, offre una chiara
ricostruzione del regime di facoltatività/obbligatorietà
delle diverse ipotesi delineate dall’art. 99 cod. pen..
A tale ultimo riguardo le Sezioni unite hanno rilevato,
sotto l’aspetto lessicale, come nel testo dei commi
terzo e quarto dell’art. 99 cod. pen. il verbo “essere”
sia utilizzato con evidente riferimento al quantum
dell’aumento della sanzione discendente dal
riconoscimento della recidiva ivi contemplata
(pluriaggravata e reiterata), ma non coinvolga I ‘an
dell’aumento medesimo, che rimane affidato alla
valutazione del giudice secondo la costruzione
dell’ipotesi base di cui al primo comma. Le figure di
recidiva de quibus non costituiscono invero autonome
tipologie svincolate dagli elementi normativi e
costitutivi della recidiva semplice, bensì mere
specificazioni di essa dalla quale si diversificano,
espressamente richiamandola, esclusivamente per le
differenti conseguenze sanzionatone che comportano;
conseguenze che sono state previste con la riforma,
diversamente dal precedente regime, in misura fissa
anziché variabile fra un minimo ed un massimo. Di qui la
necessità di una lettura omogenea dei primi quattro
commi dell’art. 99 cod. pen., che trova conferma nella
constatazione che, ove il legislatore ha inteso elidere
gli spazi di discrezionalità giudiziale a favore di un
vero e proprio ritorno all’inderogabilità della
recidiva, ha reso palese la sua intenzione prevedendo al
quinto comma un regime vincolato per una serie di
delitti, evidentemente valutati di particolare gravità,
in relazione ai quali l’aumento della pena per la
recidiva è espressamente definito “obbligatorio”. Oltre
che maggiormente aderente al testo della legge, la
soluzione interpretativa appare quella più conforme ai
principi costituzionali in tema di ragionevolezza,
proporzione, personalizzazione e funzione rieducativa
della risposta sanzionatoria.
Anche la natura facoltativa della
recidiva reiterata induce, dunque, ad escludere che
della stessa debba tenersi conto nel computo della pena
edittale ai fini dell’arresto in flagranza e, più in
generale, per la determinazione della pena agli effetti
dell’applicazione delle misure cautelari, essendo
consentito al giudice di negare la rilevanza
aggravatrice della recidiva reiterata ed escludere la
circostanza, non irrogando il relativo aumento della
sanzione; e, con specifico riferimento all’arresto
facoltativo in flagranza - che qui direttamente rileva
in relazione al proposto ricorso - mette conto
evidenziare che riconoscere valenza alla recidiva
reiterata, ai fini del computo della pena edittale,
comporterebbe, contro ogni logica giuridica per tutto
quanto sopra argomentato (oltre che contro il buon
senso), l’attribuzione alla polizia giudiziaria del
potere di reputare sussistente un’aggravante che -
tenuto conto della natura facoltativa della stessa, nei
termini dianzi precisati - il giudice potrebbe poi
addirittura escludere (aggravante che peraltro implica
una conoscenza dei precedenti penali del reo che di
norma non si ha al momento della flagranza del reato).
3.3. Né la soluzione che queste
Sezioni unite ritengono di dover adottare, per la
questione in esame, può trovare ostacolo in quel filone
giurisprudenziale secondo cui ai fini della prescrizione
si dovrebbe tener conto della recidiva reiterata in
quanto circostanza aggravante ad effetto speciale (così,
tra le altre, le sentenze Baron, Rinallo e Coviello
sopra illustrate).
Ed invero è sufficiente
sottolineare che, a differenza dell’art. 278 cod. proc.
pen., l’art. 157 cod. pen. non menziona nominativamente
la recidiva nell’ambito delle circostanze di cui si
debba o meno tener conto (ai fini della individuazione
della pena stabilita dalla legge per determinare il
tempo necessario a prescrivere), limitandosi ad
attribuire invece rilievo alle «aggravanti per le quali
la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella
ordinaria e per quelle ad effetto speciale»; di tal che,
ai fini della prescrizione, alla recidiva - nei casi in
cui la stessa comporta un aumento di pena superiore ad
un terzo - sono stati dalla giurisprudenza riconosciuti
gli effetti propri di ogni circostanza ad effetto
speciale (come del resto si ricava implicitamente
dall’art. 161, comma secondo, cod. pen.). Peraltro, il
criterio della valutabilità in concreto della recidiva
“non obbligatoria”, con specifico riferimento alla
prescrizione, è stato espressamente valorizzato da Sez.
6, n. 43771 del 07/10/2010, dep. 11/12/2010, Karmaoui,
Rv. 248714,): “in tema di prescrizione del reato, quando
il giudice abbia escluso la circostanza aggravante
facoltativa della recidiva qualificata (art. 99, comma
quarto, cod. pen.), non ritenendola in concreto
espressione di una maggiore colpevolezza o pericolosità
sociale dell’imputato, la predetta circostanza deve
ritenersi ininfluente anche ai fini del computo del
tempo necessario a prescrivere il reato»; nella
circostanza è stato condivisibilmente osservato che non
vi sarebbe alcuna ragione per non applicare le
conclusioni della sentenza Calibe “anche al calcolo del
tempo necessario alla maturazione della prescrizione
(art. 157, comma secondo, e art. 161, comma secondo,
cod. pen.) che, a ben vedere, costituisce anch’esso un
effetto commisurativo della pena”.
4. Conclusivamente, va affermato il
seguente principio di diritto: “Nel computo della pena
edittale, ai fini della verifica della facoltatività
dell’arresto in flagranza, e più in generale per la
determinazione della pena agli effetti dell’applicazione
delle misure cautelari, non si deve tener conto della
recidiva reiterata».
5. Così risolto il quesito portato
al vaglio delle Sezioni unite, il ricorso proposto dal
N. risulta meritevole di accoglimento, essendo stato il
suo arresto illegittimamente convalidato posto che: a;
il giudice ha erroneamente determinato la pena, agli
effetti della convalida dell’arresto facoltativo in
flagranza, avendo a tal fine tenuto conto della recidiva
reiterata; b) la sanzione per il delitto tentato
ascritto al N. raggiunge la soglia che legittima
l’intervento precautelare soltanto se nel calcolo si
tiene conto della contestata recidiva reiterata.
6. L’impugnato provvedimento deve
essere quindi annullato senza rinvio, con trasmissione
degli atti al Tribunale di Paola.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza
impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale
di Paola.
Così deciso il 24 febbraio 2011 |