Pierpaolo P., dipendente della
Conforama Italia S.p.A., è stato sottoposto a
procedimento disciplinare e licenziato con l'addebito di
avere avuto con un collega di lavoro un diverbio
culminato con uno scontro fisico durante la pausa
pranzo. Sia il Tribunale che, in grado di appello, la
Corte di Ancona, hanno ritenuto legittimo il
licenziamento, in base all'art. 2119 cod. civ. La Corte
d'Appello ha motivato la sua decisione affermando quanto
segue: "La violenta e particolarmente vile aggressione -
perpetrata in modo che nessuno potesse assistervi ed in
una situazione che poneva l'aggredito in condizione di
non potersi sottrarre ai colpi, tanto da presentare
anche gli elementi materiali del sequestro di persona -
nei confronti di un superiore gerarchico per ragioni
lavorative è certamente circostanza idonea a comportare
ripercussioni nell'ambiente lavorativo ed a minare
radicalmente la fiducia del datore di lavoro nel proprio
dipendente, che ha dimostrato di essere persona violenta
e priva di autocontrollo, irrispettosa degli elementari
valori di convivenza civile. E' perciò pienamente
ricorrente la giusta causa di licenziamento, per essere
stati gravemente violati i doveri di fedeltà ed
obbedienza del lavoratore, che per ragioni di lavoro ha
aggredito e procurato lesioni ad un suo superiore ... Le
già evidenziate modalità del fatto, di particolare
gravità perché contrarie e regole minime di
comportamento civile ed integranti reato, comportano la
sicura antigiuridicità del comportamento e sono tali da
non consentire la prosecuzione neppure temporanea del
rapporto di lavoro; il provvedimento espulsivo è
pertanto pienamente proporzionato all'illecito
disciplinare (illecito anche penale) contestato."
Il lavoratore ha proposto ricorso
per cassazione censurando la sentenza della Corte di
Ancona per vizi di motivazione e violazione di legge.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n.
8351 del 12 aprile 2011, Pres. Foglia, Rel. Filabozzi)
ha rigettato il ricorso affermando che la sentenza
impugnata è sorretta da motivazione adeguata, coerente
sul piano logico e rispettosa dei principi enunciati in
materia della giurisprudenza di legittimità. Il giudizio
in ordine alla proporzionalità della sanzione - ha
ricordato la Corte - è rimesso al giudice di merito, la
cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità
se sorretta da adeguata motivazione, spettando, fra
l'altro, al giudice di merito procedere alla valutazione
della proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto
alla condotta addebitata al lavoratore con riferimento a
tutte le circostanze del caso concreto, secondo un
apprezzamento di fatto che non è rinnovabile in sede di
legittimità.
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