Avv. Paolo Nesta


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TRA LA GIUSTA CAUSA E IL GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVO DI LICENZIAMENTO NON ESISTONO DIFFERENZE QUALITATIVE - Ma solo quantitative (Cassazione Sezione Lavoro n. 8456 del 13 aprile 2011, Pres. Miani Canevari, Rel. Filabozzi).-Legge e giustizia.it

 

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In ordine ai criteri che il giudice deve applicare per valutare la sussistenza o meno del giustificato motivo soggettivo di licenziamento, la giurisprudenza è pervenuta a risultanti sostanzialmente univoci affermando ripetutamente (cfr. ex plurimis Cass. 19742/2005, Cass. 1475/2004) che tra la giusta causa e il giustificato motivo soggettivo non esistono differenze qualitative ma solo quantitative, differenziandosi tali figure soltanto per la differente gravità delle mancanze poste in essere dal prestatore di lavoro e dovendo comunque il giudice valutare se il comportamento del lavoratore, che ha dato origine al provvedimento di recesso, sia idoneo a far venir meno l'elemento della fiducia che deve necessariamente sussistere tra le parti. Anche nell'ipotesi in cui la disciplina collettiva preveda un determinato comportamento quale giustificato motivo (soggettivo) di licenziamento, il giudice investito della legittimità di tale recesso deve comunque valutare alla stregua dei parametri di cui all'art. 3 della n. 604 del 1966, la proporzionalità, rispetto alla gravità del fatto addebitato al lavoratore e dallo stesso commesso, della sanzione del licenziamento alla luce di tutte le circostanze del caso concreto. E' stato altresì precisato che il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell'illecito commesso - istituzionalmente rimesso al giudice di merito - si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la circostanza che tale inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della "non scarsa importanza" di cui all'art. 1455 c.c., sicché l'irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (art. 3 L. n. 604/66) ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (art. 2119 c.c.). Anche la previsione da parte della contrattazione collettiva del licenziamento (disciplinare) del lavoratore che abbia riportato un determinato numero di sanzioni non espulsive non esclude il potere del giudice di valutare la gravità in concreto dei singoli fatti addebitati, ancorché connotati della recidiva, ai fini dell'accertamento della proporzionalità della sanzione espulsiva. Tale giudizio è rimesso al giudice di merito la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da adeguata motivazione, dovendo ritenersi al riguardo che spetta al giudice di merito procedere alla valutazione della proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto alla condotta addebitata al lavoratore con riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, secondo un apprezzamento di fatto che non è rinnovabile in sede di legittimità, bensì censurabile per vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione.

 

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