In ordine ai criteri che il giudice
deve applicare per valutare la sussistenza o meno del
giustificato motivo soggettivo di licenziamento, la
giurisprudenza è pervenuta a risultanti sostanzialmente
univoci affermando ripetutamente (cfr. ex plurimis Cass.
19742/2005, Cass. 1475/2004) che tra la giusta causa e
il giustificato motivo soggettivo non esistono
differenze qualitative ma solo quantitative,
differenziandosi tali figure soltanto per la differente
gravità delle mancanze poste in essere dal prestatore di
lavoro e dovendo comunque il giudice valutare se il
comportamento del lavoratore, che ha dato origine al
provvedimento di recesso, sia idoneo a far venir meno
l'elemento della fiducia che deve necessariamente
sussistere tra le parti. Anche nell'ipotesi in cui la
disciplina collettiva preveda un determinato
comportamento quale giustificato motivo (soggettivo) di
licenziamento, il giudice investito della legittimità di
tale recesso deve comunque valutare alla stregua dei
parametri di cui all'art. 3 della n. 604 del 1966, la
proporzionalità, rispetto alla gravità del fatto
addebitato al lavoratore e dallo stesso commesso, della
sanzione del licenziamento alla luce di tutte le
circostanze del caso concreto. E' stato altresì
precisato che il giudizio di proporzionalità o
adeguatezza della sanzione dell'illecito commesso -
istituzionalmente rimesso al giudice di merito - si
sostanzia nella valutazione della gravità
dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione
al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso,
dovendo tenersi al riguardo in considerazione la
circostanza che tale inadempimento deve essere valutato
in senso accentuativo rispetto alla regola generale
della "non scarsa importanza" di cui all'art. 1455 c.c.,
sicché l'irrogazione della massima sanzione disciplinare
risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole
inadempimento degli obblighi contrattuali (art. 3 L. n.
604/66) ovvero addirittura tale da non consentire la
prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (art. 2119
c.c.). Anche la previsione da parte della contrattazione
collettiva del licenziamento (disciplinare) del
lavoratore che abbia riportato un determinato numero di
sanzioni non espulsive non esclude il potere del giudice
di valutare la gravità in concreto dei singoli fatti
addebitati, ancorché connotati della recidiva, ai fini
dell'accertamento della proporzionalità della sanzione
espulsiva. Tale giudizio è rimesso al giudice di merito
la cui valutazione è insindacabile in sede di
legittimità se sorretta da adeguata motivazione, dovendo
ritenersi al riguardo che spetta al giudice di merito
procedere alla valutazione della proporzionalità della
sanzione espulsiva rispetto alla condotta addebitata al
lavoratore con riferimento a tutte le circostanze del
caso concreto, secondo un apprezzamento di fatto che non
è rinnovabile in sede di legittimità, bensì censurabile
per vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione. |