Il bene giuridico costituito
dall’ambiente rimane oggettivamente danneggiato anche se
il titolare di quello ritenga impossibile o non
conveniente il ripristino, sicché il controvalore di
tale diminuzione spetta comunque al danneggiato, in base
a principi affatto generali della responsabilità civile.
Né sussisterebbe alcuna locupletazione e tanto meno
ingiusta: spetta incoercibilmente al danneggiato, che
abbia conseguito un risarcimento per equivalente, ogni
determinazione sulla sua concreta destinazione al
ripristino effettivo della situazione preesistente,
ovvero sul trattenimento ed il reimpiego di quella
riparazione - attesa appunto l’assoluta fungibilità del
denaro in cui essa consiste - mediante sua destinazione
al soddisfacimento di fini ritenuti egualmente
satisfattivi. Svolgimento del processo
1. Per quanto qui ancora rileva,
sulla base della sentenza della Corte di Appello di
Napoli del 24.4.08 n. 1495/08, qui impugnata, lo
svolgimento del processo può così ricostruirsi:
1.1. il Ministero dell’Ambiente e
la Presidenza del Consiglio citarono, con atto
notificato il 15.9.99, la F. B. spa per sentirla
condannare al ripristino dello stato dei luoghi ed in
subordine al risarcimento dei danni patrimoniali che
questa aveva cagionato immutando un’ampia zona del
litorale domizio in Comune di Castelvolturno su terreno
demaniale, realizzando e gestendo fin dal 1981 una serie
di complessi immobiliari fabbricati abusivamente e
destinati a civili abitazioni, attività commerciali,
alberghiere, scolastiche e di culto, con violazione -
tra l’altro - della legge urbanistica e dei vincoli
paesaggistici od ambientali ed in definitiva causando
l’irrimediabile compromissione dell’ambiente marino e
terrestre, danneggiando le specie naturali ivi
esistenti, modificando l’habitat preesistente,
artificializzando il paesaggio naturale, aumentando la
criticità degli ecosistemi, sconvolgendo l’idrografia
superficiale e determinando la produzione di r.s.u.; e
chiese di tener conto, per la quantificazione del danno,
dei costi di ripristino (indicati in L. 14,7 miliardi),
del profitto della convenuta (esposto in L. 30,5
miliardi) e del turbamento dell’ambiente
(forfetizzandone il risarcimento in L. 14,7 miliardi),
pure invocando il risarcimento dei danni non
patrimoniali, di cui invocò l’equitativa valutazione in
ulteriori L. 60 miliardi, oltre interessi, rivalutazione
monetaria e spese del giudizio;
1.2. costituitasi in giudizio, la
F. B. spa, comunque deducendo di essersi costituita solo
nel 1981 e negando le illegittimità prospettate, chiese
ed ottenne di chiamare in causa il Comune di
Castelvolturno, il Comune di Pozzuoli, il Sindaco di
Pozzuoli nella sua veste di Commissario Straordinario
del ministero per la Protezione Civile per l’emergenza
del bradisismo, il Ministero per la Protezione Civile,
il Ministero dell’Interno ed il Ministero della Marina
mercantile, affinché, accertato il loro contributo
causale alla determinazione del danno ambientale,
fossero condannati, in via solidale o secondo le
rispettive singole responsabilità, a rivalerla di quanto
fosse stata costretta a pagare alle attrici in ragione
almeno del 50%; ed intervenne in causa il WWF Italia;
1.3. il Tribunale di Napoli,
intervenuta in separato giudizio una transazione sui
soli aspetti dominicali delle contestazioni tra le
parti, pronunciò sentenza n. 11235/04, pubbl. il
3.11.04, con la quale accolse la domanda del Ministero
dell’Ambiente, limitata in corso di causa a quella sola
risarcitoria; e condannò la sola convenuta al pagamento
in favore di quello della somma di L. 30 miliardi,
respingendo sia la domanda della Presidenza del
Consiglio dei Ministri che quelle di garanzia nei
confronti dei chiamati in causa; ed in particolare:
1.3.1. ritenne una consentita
emendatio la concentrazione della domanda su quella,
originariamente subordinata, di risarcimento del danno;
1.3.2. escluse la rilevanza della
transazione, siccome da essa andavano esclusi i profili
ambientali e paesaggistici del contenzioso in atto;
1.3.3. fondò la responsabilità
della F. B. spa anche per le opere anteriori alla sua
stessa costituzione, avendo fruito di quelle per il
proprio profitto, conseguito con perpetuazione del
danno;
1.3.4. ritenne la corresponsabilità
solidale della convenuta per l’intero danno ambientale,
in uno alle altre società del gruppo Coppola, che pure
avevano edificato in precedenza alla sua costituzione;
1.3.5. riscontrò il danno
ambientale nell’installazione di un contesto urbano
totalmente antropizzato in un luogo con vegetazione fino
al lido del mare e sconvolgimento dell’habitat soggetto
a tutela;
1.3.6. ritenne violati l’art. 822
c.c., R.D. n. 1265 del 1934, art. 221, L. n. 283 del
1962, art. 2, la L. n. 10 del 1970, L. n. 47 del 1985,
L. n. 1497 del 1939, il D.M. 19 maggio 1965 e D.M. 13
luglio 1977;
1.3.7. qualificò come meramente
ricognitiva della tutela risarcitoria dell’ambiente alla
L. n. 349 del 1986, art. 18, trattandosi di bene
giuridico già protetto dall’ordinamento;
1.3.8. escluse la prescrizione in
base al carattere permanente dell’illecito, il quale si
protraeva fino a quando non fosse operata la riduzione
in pristino dell’ambiente danneggiato;
1.3.9. ancorò la liquidazione ai
parametri esposti dalle attrici, escludendo però la
rilevanza della L. n. 1497 del 1939, art. 15, in tema di
entità delle indennità sanzionatorie, per la diversità
della loro funzione;
1.3.10. escluse di poter decurtare
il totale di Euro 30 milioni del valore dei beni ceduti
allo Stato in virtù del protocollo d’intesa del 18.6.02,
attesa l’estraneità da questo del danno ambientale;
1.3.11. stabilì la necessità di una
valutazione equitativa del solo danno patrimoniale e
non, solo escludendo quello morale, ritenuto non
configurabile per una persona giuridica quale lo Stato;
1.3.12. rigettò le domande contro i
chiamati, che pure avevano o compiuto interventi
legittimi o tentato di reagire avverso le attività
illecite di edificazione e sconvolgimento dell’ambiente;
1.4. la F. B. spa propose appello,
con almeno undici motivi, ampiamente contestando le
determinazioni del primo giudice; e ad esso resistettero
le amministrazioni attrici, dispiegando appello
incidentale per la determinazione del danno in
conformità a quanto da loro richiesto, oltre gli
accessori non dalla data della domanda, ma da quella
degli illeciti, nonché per il riconoscimento del danno
non patrimoniale, attesa la natura di quello ambientale;
anche gli altri ministeri chiesero il rigetto
dell’appello, mentre i chiamati in causa Comune di
Castelvolturno e di Pozzuoli proposero appello
incidentale condizionato per l’ipotesi di accoglimento
del motivo di appello con cui la F. B. chiedeva
riconoscersi la loro corresponsabilità;
1.5. con ampia ed articolata
pronuncia, la Corte di Appello di Napoli accolse solo
parzialmente il gravame ed in particolare:
1.5.1. escluse il carattere
solidale dell’obbligazione di risarcimento del danno
ambientale, sia in quanto non prospettato neppure dalle
attrici, sia per la peculiarità contiene della
disciplina della L. n. 349 del 1986, art. 18, che
contiene, nei casi di concorso nello stesso evento di
danno, la responsabilità di ciascuno dei danneggianti
nei limiti della responsabilità individuale di ciascuno;
riformando la sentenza nel senso di considerare
esclusivamente l’attività illecita direttamente compiuta
dall’appellante e di liquidare solo i danni provocati da
tale attività (e quindi se non altro solo quelli a
partire dalla data di costituzione, avutasi nel 1981),
senza considerare quelli prodotti dalla precedente
attività di edificazione da parte di altre società;
1.5.2. in ordine all’eccepita
prescrizione, pur condividendo la qualificazione di
illecito permanente data dal Tribunale a quello in esame
(il quale illecito si protrae sino all’eliminazione
dell’opera o alla cessazione della situazione di abuso),
ritenne che lo Stato acquisisse giorno per giorno il
diritto al risarcimento per equivalente della perdita
consistente nel fatto che la collettività continui ad
essere privata della possibilità di godere dell’ambiente
nella situazione in cui si trovava prima del suo
deterioramento) ed ammesso che la protrazione dello
sfruttamento anzi ne costituiva ulteriore
estrinsecazione, ritenne di escludere dalla liquidazione
i danni prodottisi prima del quinquennio anteriore alla
proposizione della domanda (e cioè prima del 15.9.94);
1.5.3. escluse pure la spettanza
della "voce rappresentata dal costo del ripristino",
attesa la libera determinazione dello Stato di non
procedervi, contenuta nella transazione intercorsa ad
altri - e meramente dominicali - fini tra le parti, con
conseguente illogicità ed iniquità della duplicazione
della sanzione - o della locupletazione dello Stato -
che deriverebbe dal riconoscimento di costi per opere
che non sarebbero mai poste in essere;
1.5.4. definì quindi la
controversia nei rapporti tra chiamante e chiamati in
garanzia, ma ritenne di pronunciare sentenza non
definitiva solo sull’an debeatur della pretesa
risarcitoria, per consentire l’ulteriore istruttoria a
mezzo di c.t.u. che individuasse le vendite stipulate
dopo il 15.9.94 e di stimarne il profitto tratto dalla
F. B. spa da tali vendite e dalla gestione dell’attività
alberghiera per il periodo dal 15.9.94 al 15.9.99 (data
alla quale si ritenne limitata la domanda, in difetto di
richieste delle amministrazioni attrici per il periodo
ulteriore);
1.5.5. ritenne assorbite le
ulteriori doglianze dell’appellante sulla
quantificazione del danno, reputando peraltro possibile
fondare le successive indagini del c.t.u. sui dati di
fatto allegati dalle amministrazioni appellate, siccome
qualificati non contestati specificamente e persistendo
l’onere, per chi contestava l’an debeatur, di contestare
specificamente anche il quantum; escluse la
computabilità del valore degli immobili ceduti allo
Stato in forza dell’intervenuta transazione, siccome
relativa ad aspetti diversi da quello
paesaggistico-ambientale;
1.5.6. escluse la fondatezza delle
domande di regresso dispiegate dalla F. B. spa per il
carattere parziario dell’obbligazione risarcitoria del
danno ambientale, come pure dell’eccezione fondata
sull’art. 1227 c.c.: ritenendo nuove e pertanto
inammissibili in secondo grado le doglianze basate sul
secondo comma di tale disposizione - che configurava
un’eccezione in senso proprio - e comunque infondate
quelle articolate sul comma 1;
1.5.7. concluse nel senso del
ridimensionamento del risarcimento dovuto dalla F. B.
spa con sua limitazione ai soli profitti da questa
tratti dalla gestione del compendio immobiliare e dalla
attività alberghiera dal 15.9.94 a 15.9.99, oltre alla
voce di danno da determinare in considerazione della
gravita della sua condotta individuale nel suddetto
periodo;
1.5.8. rilevato il giudicato sul
rigetto della domanda proposta dalla Presidenza del
Consiglio dei Ministri, compensò le spese nei suoi
riguardi e condannò la F. B. spa alle spese di lite nei
confronti dei chiamati in causa, riservando di regolare
le spese nei rapporti tra le altre parti all’esito della
pronuncia definitiva.
2. Avverso tale sentenza,
pubblicata il 24.4.08 con il n. 1495/08, propone ricorso
per cassazione il Ministero dell’Ambiente e della Tutela
del Territorio e del Mare, notificandolo, oltre che alla
F. B. spa, anche ai Comuni di Castelvolturno e di
Pozzuoli, al W.W.F., alla Presidenza del Consiglio dei
Ministri ed ai Ministeri dell’Interno e delle
Infrastrutture e Trasporti ed al Dipartimento della
Protezione Civile; resiste con controricorso,
dispiegando ricorso incidentale, la F. B. spa; resistono
con controricorso i Comuni di Castelvolturno e di
Pozzuoli, il primo dispiegando altresì ricorso
incidentale condizionato; e, per la pubblica udienza del
9.2.11, depositate memorie ai sensi dell’art. 378
c.p.c., da parte dei controricorrenti, il Ministero
ricorrente e la F. B. spa compaiono e discutono
oralmente la causa.
Motivi della decisione
3. Il ricorrente principale
sviluppa tre motivi:
3.1. un primo, di violazione o
falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., della L. 8
luglio 1986, n. 349, art. 18 e del D.Lgs. 3 aprile 2006,
n. 152, art. 311, in relazione all’art. 2947 c.c.,
concludendolo con il seguente quesito di diritto: dica
la S. Corte se i criteri di liquidazione del danno
ambientale specificato nella L. n. 349 del 1996, art. 18
(oggi sostituito dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 113)
tendono a quantificare con riferimento all’attualità
l’importo dovuto a titolo risarcitorio per il
pregiudizio arrecato ai beni immateriali oggetto di
tutela, così da concorrere integralmente alla
valutazione in termini economici del predetto
pregiudizio, e se pertanto sia errata la sentenza
impugnata, che ha ritenuto che il danno risarcibile
debba essere diminuito dei profitti realizzati oltre
cinque anni prima della proposizione della domanda, nel
presupposto che tali profitti esprimano l’ammontare dei
pregiudizi arrecati giorno per giorno all’interesse
pubblico e costituiscano una voce di danno autonoma,
soggetta a prescrizione estintiva;
3.2. un secondo, di violazione e
falsa applicazione delle medesime norme, ma sotto altro
profilo, concludendolo con il seguente quesito di
diritto: dica la S. Corte se sia errata l’impugnata
sentenza, che - in pretesa applicazione dei principi
della prescrizione estintiva - ha ritenuto che nella
liquidazione del danno ambientale si debba escludere la
rilevanza dei comportamenti tenuti dal danneggiante in
periodi anteriori di oltre cinque anni rispetto alla
data di proposizione della domanda risarcitoria;
3.3. un terzo, di violazione e
falsa applicazione delle medesime norme, ma sotto
ulteriore profilo, nonché dell’art. 2058 c.c.,
concludendolo con il seguente quesito di diritto: dica
la S. Corte se il risarcimento del danno ambientale
debba comprendere un importo equivalente ai costi
occorrenti per il ripristino dello stato originario dei
luoghi, anche se tale ripristino si riveli di fatto
impossibile o eccessivamente oneroso o se la Pubblica
Amministrazione, nell’ambito delle sue sfere di
discrezionalità, abbia manifestato la volontà di non
procedere concretamente a simili lavori di ripristino.
4. La controricorrente F. B. spa
propone controricorso con cui dispiega ricorso
incidentale:
4.1. contestando analiticamente i
motivi del ricorso principale, con adesione alle
argomentazioni della gravata sentenza;
4.2. dispiegando un motivo di
autonoma ed incidentale impugnazione, di nullità della
sentenza per violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c.,
per avere dichiarato inammissibile, perché non sollevata
dalla parte, un’eccezione ad essa non riservata (ex art.
1227 c.c., comma 2); e concludendolo con il seguente
quesito di diritto: dica la Corte che anche l’eccezione
fondata sull’art. 1227 c.c., comma 2 - non riservata
alle parti dalla legge, né costituendo espressione di un
potere esercitabile in via d’azione - rientra fra quelle
rilevabili di ufficio, cosi che l’eccezione sollevata
dalla spa F. B. volta all’esclusione dei danni che
l’Amministrazione statale avrebbe potuto evitare usando
l’ordinaria diligenza deve essere dichiarata ammissibile
a norma dell’art. 345 c.p.c..
5. Delle altre parti:
5.1. il Comune di Castelvolturno,
oltre a ribadire il proprio difetto di legittimazione
passiva, dispiega numerose doglianze, riversandole in
nove motivi di ricorso incidentale, i primi tre dei
quali formulati in via autonoma anche con riferimento a
pretesi vizi di quello principale e gli altri a seguito
di una generica intestazione di proposizione di ricorso
incidentale condizionato.
5.2. il Comune di Pozzuoli deposita
separati controricorsi in replica al ricorso principale
ed a quello incidentale della F. B., comunque ribadendo
l’infondatezza della domanda di regresso dispiegata da
quest’ultima, per la carenza di legittimazione passiva
di esso Ente territoriale in luogo del suo Sindaco quale
articolazione del Dipartimento della Protezione Civile;
5.3. il Ministero dell’Ambiente e
della Tutela del Territorio e del Mare deposita
controricorso a confutazione degli argomenti del ricorso
incidentale di F. B. spa.
6. In primo luogo, il ricorso
incidentale dispiegato dal Comune di Castelvolturno,
proposto - si badi - avverso il ricorso dispiegato dal
Ministero dell’Ambiente, va dichiarato inammissibile per
radicale carenza di interesse, non avendo alcuna delle
controparti impugnato la gravata sentenza sotto il
profilo del rigetto delle domande dispiegate contro il
detto Comune; e tanto a prescindere dalle carenze
formali del primo motivo e dei quesiti dei motivi dal
quarto all’ultimo, formulati in maniera generica e senza
che da essi possa trarsi la regula iuris valida per una
serie potenzialmente indefinita di rapporti o
fattispecie similari, in violazione della giurisprudenza
di legittimità ormai consolidatasi sul punto. Anche le
argomentazioni svolte dal Comune di Pozzuoli nel
controricorso seguono la stessa sorte, attesa la mancata
impugnazione del capo della sentenza di secondo grado
che sancisce l’infondatezza di qualunque pretesa nei
confronti anche di detto Comune.
7. Ciò posto, l’ambito
dell’impugnazione, come in concreto dispiegata dal
ricorrente principale e dalla ricorrente incidentale,
riguarda in sostanza l’identificazione dei corretti
criteri di liquidazione del danno ambientale e la
rilevabilità del comportamento del danneggiato che non
si sia adoperato per contenere il danno stesso ai sensi
dell’art. 1227 c.c., comma 2: tutti gli altri aspetti
sono coperti dal giudicato interno ormai formatosi a
seguito delle statuizioni della Corte di Appello e della
loro mancata impugnazione.
8. Quanto ai motivi del ricorso
principale, essi si appuntano sulla ricostruzione stessa
della struttura del danno ambientale, come operata dalla
Corte di Appello nella qui gravata sentenza con una
concezione per così dire atomistica dei parametri di
riferimento: è evidente infatti che la Corte
territoriale ha inteso applicare la disposizione della
L. 8 luglio 1986, n. 349, art. 18, comma 6, secondo la
quale "il giudice, ove non sia possibile una precisa
quantificazione del danno, ne determina l’ammontare in
via equitativa, tenendo comunque conto della gravità
della colpa individuale, del costo necessario per il
ripristino e del profitto conseguito dal trasgressore in
conseguenza del suo comportamento lesivo dei beni
ambientali".
E le censure del ricorrente
chiedono a questa Corte di precisare, nella sostanza, se
tali parametri costituiscano o meno altrettante autonome
voci di danno e se poi quelle in modo espresso escluse
(costo necessario per il ripristino) o limitate
(profitto conseguito dal trasgressore solo per gli
ultimi cinque anni) meritassero l’interpretazione
riduttiva applicata dalla Corte territoriale.
8.1. Da un punto di vista generale,
effettivamente una concezione atomistica del danno
ambientale potrebbe dirsi esclusa, alla luce se non
altro dei principi generali sull’unitarietà del danno
non patrimoniale elaborati dalla recente giurisprudenza
di questa Corte di legittimità (per tutte, Cass. sez.
un. 11.11.08 n. 26972) e comunque del tenore testuale
della norma suddetta, per il quale i parametri
richiamati non paiono affatto integrare ciascuno
un’autonoma voce di danno, ma piuttosto soltanto i
criteri da tenere presente per la valutazione
equitativa, che rimane complessiva e riferita alla
lesione nel suo complesso.
8.2. Da tale corollario
discenderebbe senz’altro l’erroneità dell’esclusione, da
tali criteri, dei costi di ripristino allorché questo
sia escluso, o per obiettiva impossibilità o per libera
determinazione del danneggiato: il bene giuridico
costituito dall’ambiente rimane oggettivamente
danneggiato anche se il titolare di quello ritenga
impossibile o non conveniente il ripristino, sicché il
controvalore di tale diminuzione spetta comunque al
danneggiato, in base a principi affatto generali della
responsabilità civile. Né sussisterebbe alcuna
locupletazione e tanto meno ingiusta: spetta
incoercibilmente al danneggiato, che abbia conseguito un
risarcimento per equivalente, ogni determinazione sulla
sua concreta destinazione al ripristino effettivo della
situazione preesistente, ovvero sul trattenimento ed il
reimpiego di quella riparazione - attesa appunto
l’assoluta fungibilità del denaro in cui essa consiste -
mediante sua destinazione al soddisfacimento di fini
ritenuti egualmente satisfattivi.
8.3. Ed ancora sarebbe evidente
che, non integrando il profitto conseguito
dall’inquinatele una autonoma voce di danno, ma -
appunto - un semplice parametro per la liquidazione
eminentemente equitativa che viene richiesta, non può
applicarsi meccanicisticamente il concetto di
prescrizione elaborato per danni che maturano giorno per
giorno dalla protrazione della permanenza della
situazione illegittima determinata dall’immutazione dei
luoghi. Infatti, per la connotazione latamente punitiva
di tale parametro, la riscontrata permanenza
dell’illegittimità della situazione comporta che il
danno ambientale consistito nel permanente
sconvolgimento dei luoghi con praticamente irreversibile
illegittima antropizzazione di un vasto sito costiero
non si limiti ai soli profitti che giorno per giorno
abbia conseguito il danneggiante nel solo periodo dei
cinque anni anteriori alla domanda, ma anche alla
redditività delle somme percepite dal danneggiante in
precedenza per la pregressa condotta illegittima fin dal
suo insorgere e, quindi, in sostanza a tutti i profitti
già conseguiti.
8.4. A tutto concedere, sarà ancora
una volta il carattere equitativo della liquidazione,
che del resto non impone affatto una meccanica
corrispondenza tra profitti conseguiti ed entità del
risarcimento, a consentire di tenere in considerazione
del fattore temporale, ma appunto al fine di valutare se
l’intervallo trascorso prima dell’attivazione del
Ministero possa avere influito o meno sull’entità del
danno in rapporto ai profitti complessivamente
conseguiti dalla condotta di irreversibile alterazione e
danneggiamento dell’ambiente.
9. Eppure, va rilevato che
l’impugnazione, effettuata in questa sede, dei criteri
di liquidazione applicati in concreto dalla Corte di
Appello consente di qualificare ancora sub iudice la
relativa questione nel suo complesso, la quale è ora da
valutare globalmente alla luce della normativa
sopravvenuta.
9.1. Infatti è, nelle more del
giudizio di Cassazione, entrato in vigore il D.L. 25
settembre 2009, n. 135, art. 5 bis, conv. con mod. in L.
20 novembre 2009 n. 166 (in G.U. n. 274 del 24 novembre
2009 - suppl. ord.), il quale ha modificato il D.Lgs. 3
aprile 2006, n. 152, artt. 303 e 311 e precisamente:
9.1.1. tentando di adeguare
l’ordinamento nazionale alla lettera della direttiva
2004/35/Ce ed all’esito della procedura di infrazione n.
2007/4679 (ai sensi dell’art. 226 del Trattato Ce),
relativa all’esclusione, dalla disciplina della
responsabilità ambientale, delle situazioni di
inquinamento rispetto alle quali fossero già avviate le
procedure di bonifica, alla limitazione dell’obbligo di
riparazione ai soli danni causati da comportamenti
dolosi o colposi ed all’ammissibilità del risarcimento
del danno ambientale in forma pecuniaria, mentre la
direttiva prevede principalmente misure di ripristino
dello stato dei luoghi;
9.1.2. prevedendo, allora e tra
l’altro, mediante la disposizione contenuta nell’art. b
bis, comma 1, lett. b), l’aggiunta al comma 3, dell’art.
311 del richiamato D.Lgs. n. 152 del 2006, del seguente
periodo: "Con decreto del Ministro dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare, da emanare entro
sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della
presente disposizione, ai sensi della L. 23 agosto 1988,
n. 400, art. 17, comma 3, sono definiti, in conformità a
quanto previsto dal punto 1.2.3 dell’Allegato 2^ alla
direttiva 2004/35/CE, i criteri di determinazione del
risarcimento per equivalente e dell’eccessiva onerosità,
avendo riguardo anche al valore monetario stimato delle
risorse naturali e dei servizi perduti e ai parametri
utilizzati in casi simili o materie analoghe per la
liquidazione del risarcimento per i equivalente del
danno ambientale in sentenze passate in giudicato
pronunciate in ambito nazionale e comunitario";
9.1.3. prevedendo, ancora e tra
l’altro, mediante la disposizione contenuta nell’art. 5
bis, comma 1, lett. f), l’aggiunta al primo comma della
lett. f) dell’art. 303 del richiamato D.Lgs. n. 152 del
2006, del seguente periodo: "i criteri di determinazione
dell’obbligazione risarcitoria stabiliti dall’art. 311,
commi 2 e 3, si applicano anche alle domande di
risarcimento proposte o da proporre ai sensi della L. 18
luglio 1986, n. 349, art. 18, in luogo delle previsioni
dei commi 6, 7 e 8 del citato art. 18, o ai sensi del
titolo 9 del libro 4 del codice civile o ai sensi di
altre disposizioni non aventi natura speciale, con
esclusione delle pronunce passate in giudicato; ai
predetti giudizi trova, inoltre, applicazione la
previsione dell’art. 315 del presente decreto;".
9.2. L’intera normativa sulla
liquidazione del danno ambientale risulta quindi
totalmente riscritta, con un rinvio espresso alle
previsioni della direttiva comunitaria, la quale
prevede, sul punto espressamente richiamato,
testualmente quanto appresso:
- se non è possibile usare, come
prima scelta, i metodi di equivalenza risorsa-risorsa o
servizio-servizio, si devono utilizzare tecniche di
valutazione alternative. L’autorità competente può
prescrivere il metodo, ad esempio la valutazione
monetaria, per determinare la portata delle necessarie
misure di riparazione complementare e compensativa. Se
la valutazione delle risorse e/o dei servizi perduti è
praticabile, ma la valutazione delle risorse naturali
e/o dei servizi di sostituzione non può essere eseguita
in tempi o a costi ragionevoli, l’autorità competente
può scegliere misure di riparazione il cui costo sia
equivalente al valore monetario stimato delle risorse
naturali e/o dei servizi perduti;
- le misure di riparazione
complementare e compensativa dovrebbero essere concepite
in modo che le risorse naturali e/o i servizi
supplementari rispecchino le preferenze e il profilo
temporali delle misure di riparazione. Per esempio, a
parità delle altre condizioni, più lungo è il periodo
prima del raggiungimento delle condizioni originarie,
maggiore è il numero delle misure di riparazione
compensativa che saranno avviate.
9.3. In particolare, il nuovo testo
dei commi 2 e 3 del ricordato art. 311 D.Lgs. cit., va
così letto:
"... 2. Chiunque realizzando un
fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti
doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di
provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia,
imprudenza o violazione di norme tecniche, arrechi danno
all’ambiente, alterandolo, deteriorandolo o
distruggendolo in tutto o in parte, è obbligato al
ripristino della precedente situazione e, in mancanza,
al risarcimento per equivalente patrimoniale nei
confronti dello Stato.
3. Alla quantificazione del danno
il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio
provvede in applicazione dei criteri enunciati negli
Allegati 3 e 4 della parte sesta del presente decreto.
All’accertamento delle responsabilità risarcitorie ed
alla riscossione delle somme dovute per equivalente
patrimoniale il Ministro dell’ambiente e della tutela
del territorio provvede con le procedure di cui al
titolo 3 della parte sesta del presente decreto. Con
decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare, da emanare entro sessanta giorni
dalla data di entrata in vigore della presente
disposizione, ai sensi della L. 23 agosto 1988, n. 400,
art. 17, comma 3, sono definiti, in conformità a quanto
previsto dal punto 1.2.3 dell’Allegato 2 alla direttiva
2004/35/CE, i criteri di determinazione del risarcimento
per equivalente e dell’eccessiva onerosità, avendo
riguardo anche al valore monetario stimato delle risorse
naturali e dei servizi perduti e ai parametri utilizzati
in casi simili o materie analoghe per la liquidazione
del risarcimento per equivalente del danno ambientale in
sentenze passate in giudicato pronunciate in l ambito
nazionale e comunitario".
9.4. La peculiarità della
disciplina sopravvenuta sta in ciò, che essa si applica
appunto anche alle domande già proposte, con il solo
evidente limite, ricavabile dai principi generali, dei
giudizi già definiti con sentenza passata in giudicato.
Tanto consente di ritenere che con la citata normativa
del D.L. n. 135 del 2009 e della L. n. 163 del 2009
siano stati completamente neutralizzati, soprattutto ed
anche per i giudizi ancora in corso e cioè non ancora
conclusi con sentenza passata in giudicato (qual è
appunto il presente), i criteri di determinazione del
danno già stabiliti dalla L. n. 349 del 1986, art. 18: e
tanto probabilmente, secondo l’opinione dei
commentatori, proprio per le difficoltà applicative
indotte dalla loro intrinseca contraddittorietà e per il
carattere latamente punitivo che pareva discendere dalla
previsione legislativa originaria.
9.5. Peraltro, se così è, deve
rilevarsi l’imprescindibile necessità di rivedere
espressamente ogni determinazione sulla liquidazione,
essendo stati appunto travolti i criteri fissati
originariamente dalla L. n. 349 del 1986 e comunque
rivisti, con efficacia appunto estesa ai giudizi ancora
pendenti, tutti i criteri già applicabili.
È ben vero che non consta ancora
essere stato emanato il decreto attuativo del Ministero,
previsto espressamente dalla richiamata nuova norma di
cui al D.L. n. 135 del 2009; ma il richiamo, come
operato da quest’ultima, ai criteri di una specifica
previsione di fonte comunitaria ne ha consacrato, ai
fini della concreta applicazione nelle singole
liquidazioni, la forza precettiva, quand’anche essa non
si potesse già di per sè ricavare dal contenuto
intrinseco delle disposizioni. In tal modo, in luogo dei
criteri di liquidazione equitativa già finora presi in
considerazione dai giudici del merito, del resto in
applicazione delle norme al momento vigenti, vanno
applicati gli altri, previsti dalla norma sopravvenuta,
ovvero anche soltanto va verificato l’impatto, sui
primi, di questi ultimi.
9.6. Si impone quindi una globale
rivalutazione funditus della sola questione della
liquidazione del danno in applicazione dei nuovi
criteri, essendo passata in giudicato la gravata
pronuncia su ogni altro aspetto (ed anche in ordine al
profilo agitato nel ricorso incidentale della F. B. spa,
per quanto si dirà di qui a tra un momento): ed a tanto
non può farsi luogo se non mediante la cassazione della
pronuncia stessa limitatamente a tale aspetto, per la
rinnovazione delle operazioni di liquidazione.
10. Il motivo di ricorso
incidentale è invero manifestamente infondato: la
fattispecie prevista dal capoverso dell’art. 1227 c.c.,
(a mente del quale il risarcimento non è dovuto per i
danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando
l’ordinaria diligenza) integra, per costante
giurisprudenza di questa Corte, un’eccezione in senso
proprio (tra le ultime, v. Cass. 10 novembre 2009 n.
23734, Cass. 19 dicembre 2006 n. 27123, Cass. 26
febbraio 2003 n. 2868, Cass. 2 aprile 2001 n. 4799,
Cass. 23 maggio 2001 n. 7025), visto che il dedotto
comportamento del creditore costituisce un autonomo
dovere giuridico, posto a suo carico dalla legge quale
espressione dell’obbligo di comportarsi secondo buona
fede. E tale indirizzo è stato confermato anche a
seguito della puntualizzazione in tema di contenuto
delle eccezioni in senso stretto operata con la
pronuncia richiamata dalla ricorrente incidentale (Cass.
12 gennaio 2006 n. 421), con evidente consolidamento
dell’originaria impostazione: e senza che, nonostante
tale consolidamento, la controricorrente idoneamente
sviluppi, nel solo rilevante ricorso incidentale,
argomenti nuovi che si facciano carico di tale conferma.
Al riguardo, la conformità della presente affermazione
ad un consolidato indirizzo impone di rigettare il
ricorso incidentale che su quella si fonda.
11. In conclusione:
11.1. la disamina delle questioni
agitate con il ricorso principale comporta il rilievo
dello ius superveniens e di ufficio - senza quindi
potersi esaminare il merito dei motivi di ricorso
principale, atteso il travolgimento dei criteri ritenuti
applicabili dai giudici dei gradi di merito - la
cassazione della gravata sentenza limitatamente alla
quantificazione od alla liquidazione del danno, mentre
essa trova conferma integrale nel resto, con sostanziale
definitiva estromissione dal prosieguo del processo di
tutte le parti diverse dal ricorrente Ministero e dalla
F. B. spa;
11.2. alla cassazione per quanto di
ragione consegue poi il rinvio della causa alla stessa
Corte di Appello di Napoli, ma in diversa composizione,
cui va rimessa ogni determinazione sulle spese di lite
nei rapporti tra odierno ricorrente principale e la
controricorrente F. B. spa, per la liquidazione del
danno secondo quanto sopra indicato ed enunciandosi il
seguente principio di diritto: il giudice della domanda
di risarcimento del danno ambientale ancora pendente
alla data di entrata in vigore della L. 20 novembre
2009, n. 166, deve provvedere alla liquidazione del
danno applicando, in luogo di qualunque criterio
previsto da norme previgenti, i criteri specifici come
risultanti dal nuovo testo del D.Lgs. 3 aprile 2006, n.
152, art. 311, commi 2 e 3, come modificato dal D.L. 25
settembre 2009, n. 135, art. 5 bis, comma 1, lett. b),
conv. con mod. in L. 20 novembre 2009, n. 166:
individuandosi detti criteri direttamente quanto meno
nelle previsioni del punto 1.2.3. dell’Allegato 2 alla
direttiva 2004/35/CE e solo eventualmente, ove sia nelle
more intervenuto, come ulteriormente specificati dal
decreto ministeriale previsto dall’ultimo periodo
dell’art. 311, comma 3 cit.;
11.3. infine, quanto alle spese del
giudizio di cassazione tra le altre parti che abbiano in
questa sede svolto attività difensiva, esse possono
compensarsi, attesa l’ultroneità o l’inammissibilità del
ricorso incidentale condizionato del Comune di
Castelvolturno e del controricorso del Comune di
Pozzuoli.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il
ricorso incidentale del Comune di Castelvolturno;
rigetta il ricorso incidentale della F. B. spa; e,
pronunciando sul ricorso principale, cassa la gravata
sentenza in ordine alla liquidazione del danno e rinvia
alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione,
anche per le spese del giudizio di legittimità; compensa
le spese di questo giudizio nei rapporti tra le parti
diverse dal ricorrente principale e dalla F. B. spa.
Così deciso in Roma, nella Camera
di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte
Suprema di Cassazione, il 9 febbraio 2011.
Depositato in Cancelleria il 22
marzo 2011
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