Sommario: 1. I termini di
costituzione delle parti del processo d’ingiunzione in
senso lato nella prospettiva tradizionale. – 2. Prima
premessa della nostra ricostruzione: la continuità
procedimentale tra la fase monitoria ed il giudizio di
opposizione. – 3. Conseguenze applicative della divisata
unitarietà del processo d’ingiunzione in senso lato. –
4. Segue: l’assegnazione all’opponente della qualità di
convenuto in senso (non solo sostanziale, ma pure)
formale. – 5. Conclusioni desumibili dalla prima
premessa: il deposito del ricorso ex art. 638 c.p.c.
quale atto determinante ipso iure la costituzione in
giudizio del ricorrente-opposto-attore e riferibilità
all’intimato-opponente-convenuto dei termini di
costituzione previsti in generale per il convenuto
dall’art. 166 c.p.c. – 6. Seconda premessa della nostra
ricostruzione: l’opposizione a decreto ingiuntivo quale
strumento finalizzato a “sintonizzare” la posizione
delle parti del processo d’ingiunzione in senso lato
alla posizione delle parti dell’ordinario processo di
cognizione. – 7. Conclusione desumibile (pure) dalla
seconda premessa: riferibilità all’opponente dei termini
di costituzione previsti in generale per il convenuto
dall’art. 166 c.p.c. – 8. Terza premessa della nostra
ricostruzione: la ratio del dimezzamento dei termini ex
art. 645, 2° comma, c.p.c. – 9. Conclusioni desumibili
dalla terza premessa: diversità di ratio tra il
dimezzamento dei termini ex art. 645, 2° comma, c.p.c. e
l’abbreviazione dei termini ex art. 163 bis, 2° comma,
c.p.c.; non riducibilità del termine di costituzione
dell’opponente per effetto del dimezzamento dei termini
di comparizione ex art. 645, 2° comma, c.p.c. – 10.
Riepilogo finale.
1. I termini di costituzione delle
parti del processo d’ingiunzione in senso lato nella
prospettiva tradizionale.
L’art. 645, 2° comma, c.p.c.,
stabilisce che “in seguito all’opposizione il giudizio
si svolge secondo le norme del procedimento ordinario
davanti al giudice adito; ma i termini di comparizione
sono ridotti alla metà”.
Senza séguito (1) è rimasta per
lungo tempo la tesi (assolutamente coerente con la
lettera della legge) di un autorevole Studioso, secondo
cui, attesa la riduzione dei termini di comparizione
disposta dall’art. 645, 2° comma, ultima parte, c.p.c.
ed atteso il richiamo delle norme del procedimento
ordinario fatto dall’art. 645, 2° comma, prima parte,
c.p.c., trova “applicazione il principio enunciato dagli
art. 165 e 166, con riferimento all’ipotesi contemplata
dall’art. 163 bis, 2° comma: e cioè, che alla riduzione
fino alla metà del termine di comparizione deve
accompagnarsi” sempre la riduzione dei termini di
costituzione; di guisa che “il termine per la
costituzione dell’opponente è di soli cinque giorni” ex
art. 165, 1° comma, c.p.c. (2).
Dominante per decenni (in dottrina
ed in giurisprudenza) è stata, invece, la tesi secondo
cui la norma predetta, “in quanto sprovvista di
sanzione, si limiterebbe a conferire all’opponente una
semplice facoltà, di cui egli sarebbe libero di
avvalersi o meno” (3); di tal che “nel procedimento di
opposizione a decreto ingiuntivo, i termini di
costituzione sono quelli ordinari, secondo quanto
stabiliscono gli art. 165 e 166 c.p.c. rispettivamente
per l'attore e per il convenuto, quando l'opponente
assegni alla controparte il termine ordinario di
comparizione o un termine maggiore; qualora, invece, si
avvalga della facoltà, in base all'ultimo comma,
dell’art. 645 c. p. c., di dimezzare il termine di
comparizione, assegnando al convenuto in opposizione un
termine a comparire inferiore a quello ordinario, è
ridotto alla metà il termine a lui stesso assegnato per
la costituzione dall'art. 165 c. p. c.” (4).
Con la sentenza 9 settembre 2010 n.
19246, tuttavia, le Sezioni Unite della Corte di
Cassazione hanno bruscamente cambiato rotta, recependo
l’impostazione di quell’isolata dottrina testé ricordata
e scrivendo: “Ritengono le sezioni unite che esigenze di
coerenza sistematica, oltre che pratiche, inducono ad
affermare che non solo i termini di costituzione
dell’opponente e dell’opposto sono automaticamente
ridotti alla metà in caso di effettiva assegnazione
all’opposto di un termine a comparire inferiore a quello
legale, ma che tale effetto automatico è conseguenza del
solo fatto che l’opposizione sia stata proposta, in
quanto l’art. 645 c.p.c. prevede che in ogni caso i
termini a comparire siano ridotti a metà”.
Questa pronuncia ha suscitato
immediatamente un vivace ed articolato dibattito, che ha
riguardato soprattutto le ricadute del nuovo principio
di diritto sui giudizi di opposizione già pendenti (5).
In questa sede non intendiamo
partecipare a questo dibattito e dimostrare, in
particolare, l’assoluta inconsistenza giuridica di tutti
(o quasi) i segmenti argomentativi della ricordata
pronuncia delle Sezioni Unite.
A nostro avviso, invero, è
assolutamente erronea la premessa ispirante tanto il
vecchio quanto il nuovo orientamento giurisprudenziale,
la quale (premessa) consiste nell’assegnare
all’opponente la qualità (di convenuto sostanziale, ma)
di attore in senso formale ed all’opposto quella di
(attore sostanziale, ma) di convenuto in senso formale
(6): di guisa che, conseguentemente, il termine per la
costituzione del primo (l’opponente-attore in senso
formale) sarebbe quello previsto dall’art. 165 c.p.c.
(costituzione dell’attore) ed il termine per la
costituzione del secondo (l’opposto-convenuto in senso
formale) sarebbe quello fissato dall’art. 166 c.p.c.
(costituzione del convenuto).
Per noi, invece, il problema
dell’individuazione dei termini di costituzione delle
parti in subiecta materia va impostato su premesse del
tutto diverse, le quali a loro volta portano a soluzioni
assolutamente distoniche rispetto a quelle usualmente
prospettate.
Tali premesse, più esattamente,
devono essere individuate attraverso una rigorosa
ricostruzione:
1.
dei rapporti strutturali
intercorrenti tra il procedimento monitorio stricto
sensu ed il giudizio di opposizione;
2.
della funzione dell’opposizione a
decreto ingiuntivo;
3.
della ratio dell’art. 645, 2°
comma, ultima parte, c.p.c., che prevede il dimezzamento
degli ordinari termini di comparizione previsti
dall’art. 163 bis c.p.c.
2. Prima premessa della nostra
ricostruzione: la continuità procedimentale tra la fase
monitoria ed il giudizio di opposizione.
Com’è noto, il processo
disciplinato dagli artt. 633-656 c.p.c.
[convenzionalmente qualificabile d’ingiunzione in senso
lato (7)] si estrinseca:
1.
nel procedimento monitorio (o
d’ingiunzione in senso stretto), costituito dal
“complesso degli atti processuali compresi fra il
ricorso per ingiunzione (art. 638) e la notificazione
del ricorso stesso e del decreto d’ingiunzione (art.
643), ovvero fra il ricorso ed il decreto di rigetto
della domanda di ingiunzione (art. 640)” (8);
2.
nel giudizio di opposizione,
iniziato dall’atto ex art. 645 c.p.c. [o 650:
opposizione tardiva (9)] e concluso dalla sentenza che
decide l’opposizione con il suo rigetto oppure con il
suo accoglimento (totale o parziale: art. 653).
Può ormai considerarsi “diritto
vivente” quell’orientamento giurisprudenziale che,
nell’escludere l’autonomia del giudizio di opposizione
rispetto al precedente procedimento svoltosi inaudita
altera parte, riconosce apertis verbis l’unitarietà tra
la fase monitoria e quella di opposizione, nel senso che
le stesse fanno parte di un unico processo, nel quale
“la domanda è proposta col ricorso per ingiunzione e
l’opposizione sostituisce la comparsa di risposta
assumendone il contenuto e la funzione” (10).
In altra sede abbiamo cercato di
dimostrare come codesta ricostruzione abbia una ben
precisa validità teorico-concettuale (11), che la rende
preferibile alle altre ricostruzioni proposte dalla
dottrina e dalla giurisprudenza a proposito dei rapporti
strutturali intercorrenti tra le due fasi in discorso e,
in particolare, a quelle divisanti l’autonomia delle
medesime (12).
E’ ben vero che ancor recentemente
(13) si riconosce talvolta al giudizio oppositivo la
natura di procedimento di impugnazione del decreto
ingiuntivo, ma oggi tale riconoscimento viene operato in
giurisprudenza solamente (ed apoditticamente) per
affermare il carattere funzionale ed inderogabile della
competenza del giudice dell’opposizione (14) oppure per
postulare l’inammissibilità di un’opposizione proposta
soltanto per denunciare vizi della fase monitoria, senza
contestazioni sulla pretesa creditoria fatta valere col
ricorso (15).
A proposito di simili concezioni
impugnatorie osserviamo quanto segue.
Nel nostro ordinamento giuridico
“il termine di impugnazione è la qualificazione generica
dei molteplici rimedi che sono dati contro gli atti
giuridici” (16).
Alla stregua di questa lata nozione
si può sicuramente (e genericamente) affermare che
l’opposizione a decreto ingiuntivo si risolve in uno
strumento impugnatorio rispetto alla precedente
ingiunzione: così come, del resto e per esempio,
l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.
rappresenta un’impugnazione del titolo esecutivo (17),
il reclamo al collegio ex art. 178, 2° comma, c.p.c.
costituisce un’impugnazione dell’ordinanza dichiarativa
dell’estinzione del processo (18) e le azioni di nullità
o di annullamento ex artt. 1421 e 1441 c.c. integrano
rimedi impugnatori contro le invalidità del contratto
(19).
Se, invece, in subiecta materia si
vuole (come si deve!) parlare di impugnazione per
postulare l’assimilabilità dell’opposizione de qua ai
mezzi di impugnazione in senso tecnico ex artt. 323 ss.
c.p.c., l’equazione opposizione-impugnazione non risulta
più corretta (20).
Rinviando alle osservazioni
critiche da noi formulate in altra occasione nei
confronti delle diverse tesi postulanti la natura
impugnatoria dell’opposizione (21), qui ci limitiamo ad
aggiungere un’ulteriore obiezione (22).
L’assegnazione all’opposizione
della natura e della funzione di impugnazione del
decreto ingiuntivo dovrebbe coerentemente e logicamente
implicare la formazione di un giudicato interno o di un
giudicato implicito in ordine a quei capi autonomi
dell’ingiunzione (23), che non siano stati
specificamente “impugnati” con l’opposizione stessa
(24).
Il che, invece, nessuno ha mai
ipotizzato (25).
Per esempio:
1.
chi ha mai pensato che il giudice
dell’opposizione non può rilevare d’ufficio il difetto
di giurisdizione per essersi formato sulla questione un
giudicato implicito, qualora il giudice della fase
monitoria, accogliendo la domanda d’ingiunzione e
pronunciandosi così sul merito della domanda stessa,
abbia implicitamente riconosciuto la propria
giurisdizione e tale statuizione non sia stata
contestata dall’opponente? (26)
2.
e chi ha mai sostenuto che il
giudice dell’opposizione non può rilevare d’ufficio la
propria incompetenza per materia, per valore o per
territorio nei casi previsti dall’art. 28 c.p.c. (non
oltre, ovviamente, la prima udienza di trattazione ex
art. 38, 1° comma, c.p.c.), qualora il giudice
dell’ingiunzione, accogliendo la domanda monitoria,
abbia espressamente e preliminarmente “ritenuto la
propria competenza” (come spesso si legge nei decreti
ingiuntivi) (27) e tale pronuncia non sia stata
espressamente censurata con l’opposizione? (28)
3.
e chi, infine, ha mai ipotizzato
che il giudice dell’opposizione non può modificare la
statuizione sulle spese processuali contenuta
nell’opposto decreto, pur in difetto di uno specifico
motivo di opposizione? (29)
3. Conseguenze applicative della
divisata unitarietà del processo d’ingiunzione in senso
lato.
Alla stregua delle precedenti
considerazioni a noi pare di poter conclusivamente
affermare che il procedimento monitorio ed il giudizio
di opposizione costituiscono due sub-procedimenti di un
unico processo (ingiuntivo in senso lato), alla cui base
v’è un’unica azione (quella ordinaria di condanna) e
nell’ambito del quale i provvedimenti conclusivi dei due
sub-procedimenti (decreto ingiuntivo e sentenza
sull’opposizione) sono legati da un nesso ricollegabile
a quello intercorrente tra provvedimento anticipatorio e
decisione anticipata (30). Più esattamente, trattasi di
un processo di condanna speciale (rispetto al processo
ordinario di cognizione di primo grado) perché diverse
dall’ordinario sono in particolare:
•
le modalità di proposizione della
domanda dell’attore (che avviene con il ricorso ex art.
638 c.p.c. e non con l’atto di citazione ex art. 163
c.p.c.);
•
le modalità di proposizione della
“risposta” del convenuto (che avviene con l’atto di
opposizione ex art. 645 c.p.c. e non con la comparsa ex
art. 167 c.p.c.);
•
le modalità di definizione del
processo [che avviene con la sentenza avente il
contenuto e gli effetti enucleabili dall’art. 653 c.p.c.
(rigetto dell’opposizione con produzione
dell’esecutività del decreto; accoglimento totale
dell’opposizione con revoca del decreto stesso;
accoglimento parziale dell’opposizione con revoca
dell’ingiunzione e contestuale condanna nei limiti della
somma o quantità risultata dovuta) e non con la sentenza
avente sic et simpliciter il contenuto della condanna o
del rigetto della domanda] (31).
Da questa ricostruzione discendono
(per quanto paradossali possano sembrarne alcune) le
seguenti conseguenze:
1.
depositato il ricorso per
ingiunzione e/o, comunque, perfezionatasi la
notificazione del ricorso stesso e del decreto
ingiuntivo ex art. 643, 2° comma, c.p.c. (32), il
creditore-ricorrente ed il debitore-intimato sono,
rispettivamente, l’attore ed il convenuto non solo dal
punto di vista sostanziale [come si è soliti dire (33)],
ma anche da quello formale (34);
2.
la notificazione del ricorso
produce bensì la litispendenza ex art. 643, ultimo
comma, c.p.c., ma gli effetti della litispendenza stessa
decorrono ex tunc dal momento del deposito del ricorso
(35);
3.
“costituitosi l’opponente, non si
iscrive una nuova causa nel registro generale, né si
forma un nuovo fascicolo, ma si inseriscono, in quello
già esistente, gli atti dell’opposizione” (36);
4.
non è mai configurabile una
contumacia del creditore-opposto (37), la cui
costituzione è già avvenuta con il deposito del ricorso
ex art. 638 c.p.c. (38);
5.
l’onere della prova incombe sul
creditore-ricorrente-opposto (39) in quanto parte che
“vuol far valere un diritto in giudizio” (art. 2697, 1°
comma, c.c.);
6.
i requisiti di ammissibilità ex
art. 633 c.p.c. condizionano soltanto la pronuncia
dell’ingiunzione, emessa la quale essi hanno esaurito la
loro funzione;
7.
pertanto (e non essendo
l’opposizione un’impugnazione dell’atto-decreto
ingiuntivo), la loro mancanza è irrilevante nel giudizio
oppositivo, all’esito del quale il giudice è tenuto a
confermare comunque l’ingiunzione, nel caso che la
“sottostante” pretesa creditoria risulti fondata (40);
8.
in questo stesso caso, la mancanza
delle condizioni ex art. 633 c.p.c. può avere
un’efficienza limitata alla statuizione sulle spese
processuali, potendo il giudice avvalersi del potere ex
art. 92, 1° comma, c.p.c. ed escludere dalla ripetizione
(perché sostanzialmente superflue) le spese sostenute
dal creditore nella fase monitoria (41);
9.
qualora l’opponente si limitasse ad
eccepire l’insussistenza di una di codeste condizioni,
la sua opposizione dovrebbe essere senz’altro [non
dichiarata inammissibile, come fa certa giurisprudenza
postulante la natura impugnatoria dell’opposizione (42),
ma] rigettata nel merito, dovendosi al suo comportamento
processuale assegnare il significato di ammissione o di
non contestazione (43) dei fatti costitutivi allegati
dal creditore;
1.
dichiarata l’incompetenza del
giudice dell’ingiunzione (e conseguentemente
dell’opposizione: art. 645, 1° comma, c.p.c.), il
decreto ingiuntivo non deve essere revocato (44)
(potendosi tutt’al più sospendere o – meglio – revocare
la sua eventuale provvisoria esecutorietà) perché la
riassunzione della causa ex art. 50 c.p.c.
determinerebbe la prosecuzione dello stesso processo
ingiuntivo (in senso lato) svoltosi innanzi al giudice
incompetente, con la conservazione di tutti gli atti
compiuti nel processo originariamente instaurato (45);
2.
esclusa la qualificazione
dell’opposizione come impugnazione del decreto
ingiuntivo (e, quindi, la natura funzionale della
competenza stabilita dall’art. 645, 1° comma, c.p.c.),
non vi è alcun ostacolo per ammettere la possibilità che
il giudizio di opposizione trasmigri ad altro giudice in
applicazione degli artt. 34 ss. c.p.c. (46).
4. Segue: l’assegnazione
all’opponente della qualità di convenuto in senso (non
solo sostanziale, ma pure) formale.
Ai fini del nostro discorso occorre
indugiare nella dimostrazione della correttezza della
prima conseguenza suindicata.
Quando si attribuisce all’opponente
la qualità di attore in senso formale, solitamente si
scrive: “Nel giudizio di opposizione a decreto
ingiuntivo, la domanda introduttiva, formulata con il
ricorso per decreto, conferisce al creditore la veste di
attore in senso sostanziale (con la conseguente
distribuzione dell'onere della prova) anche nel
successivo giudizio di opposizione. Tuttavia, parte
attrice, in senso formale, è pur sempre l'opponente, che
propone le sue domande nella forma dell'atto di
citazione (art. 645 c.p.c.)” (47).
Queste e simili affermazioni (vero
capolavoro di … contraddizione) non possono essere
condivise da noi, che in anni ormai lontani avevamo
appreso da ottimi Maestri quanto segue:
•
“la domanda giudiziale, come atto
costitutivo del processo, determina anche le parti:
quella che chiede al giudice di provvedere su un
determinato oggetto e quella contro cui il provvedimento
è chiesto” (48);
•
“dal principio della domanda deriva
poi la conseguenza che vi è sempre una parte attiva,
quella appunto che propone la domanda e prende con ciò
la iniziativa del processo; la controparte può essere
designata come parte passiva, perché acquista la qualità
di parte in virtù di un atto altrui … nel processo di
cognizione la parte attiva si chiama attore e la parte
passiva convenuto” (49).
Alla stregua di ciò nessuno
dovrebbe più dubitare che il
creditore-ricorrente-opposto (quale soggetto proponente
la domanda introduttiva del processo d’ingiunzione in
senso lato: di quell’unico processo, cioè, comprensivo
della fase monitoria e della fase oppositiva, che
consegue alla prima in via bensì eventuale, ma in ogni
caso come sua “prosecuzione orizzontale”) è l’attore in
senso pure formale; e che viceversa il
debitore-intimato-opponente (quale “controparte passiva”
rispetto alla superiore domanda) è il convenuto in senso
pure formale.
A chi, infine, dovesse ostinarsi a
dubitare ancora, non ci resta che riproporre la lezione
impartita da Giuseppe Chiovenda: “Una domanda nel
processo suppone due parti: chi la fa, e colui a cui si
fa. Si ha così la posizione dell’attore e del convenuto.
Caratteristica dell’attore non è solo di fare una
domanda, perché anche il convenuto può domandare il
rigetto: ma di fare la prima domanda relativa ad un dato
oggetto (rem in iudicium deducens) … Vi sono
procedimenti in cui il convenuto è costretto ad assumere
una parte attiva, senza per questo perdere la veste e la
condizione di convenuto. Questa parte attiva assume il
nome di opposizione” (50).
Satis superque est!
5. Conclusioni desumibili dalla
prima premessa: il deposito del ricorso ex art. 638
c.p.c. quale atto determinante ipso iure la costituzione
in giudizio del ricorrente-opposto-attore e riferibilità
all’intimato-opponente-convenuto dei termini di
costituzione previsti in generale per il convenuto
dall’art. 166 c.p.c.
A ben considerare, quindi, la
communis opinio assegnante all’opponente la qualità di
attore in senso formale costituisce il mero portato di
quelle ormai superate concezioni divisanti l’autonomia
del giudizio di opposizione rispetto alla precedente
fase (c.d. monitoria) svoltasi inaudita altera parte.
Essa (communis opinio), invece, si
rivela totalmente erronea, una volta affermata (come
ormai solitamente si fa) la continuità procedimentale
tra la fase monitoria e quella oppositiva e,
conseguentemente, una volta affermato che le stesse
“fanno parte di un unico processo” (51), nel quale “la
domanda è proposta col ricorso per ingiunzione (52) e
l’opposizione sostituisce la comparsa di risposta
assumendone il contenuto e la funzione” (53).
Infatti, poiché formalmente “nel
processo di cognizione attore è la parte che propone la
domanda introduttiva del giudizio di primo grado e
convenuto è la parte nei confronti della quale detta
domanda è proposta” (54), nell’ambito del processo
d’ingiunzione in senso lato il ricorrente ex art. 638
c.p.c. e l’opponente ex art. 645 c.p.c. sono,
rispettivamente, l’attore ed il convenuto non solo dal
punto di vista sostanziale [come, invece, si dice
solitamente (55)], ma anche da quello formale (56).
Orbene!
In base alla prima premessa del
nostro discorso come sopra ricostruita (continuità
procedimentale tra fase monitoria e fase oppositiva, con
conseguente assegnazione all’opponente della qualità di
convenuto in senso formale e sostanziale), possiamo
agevolmente enucleare la seguente conclusione: il
termine per la costituzione dell’opponente è (non quello
previsto dall’art. 165 per l’attore, ma) quello
stabilito per il convenuto dall’art. 166 c.p.c.: e cioè,
di almeno venti giorni prima dell’udienza di
comparizione fissata nell’atto di citazione in
opposizione o prima dell’udienza differita dal giudice
istruttore ai sensi dell’art. 168 bis, 5° comma c.p.c.
(57) o (quando l’opponente abbia a fini dilatori
assegnato all’opposto un termine di comparizione
superiore al minimo stabilito ex comb. disp. artt. 163
bis, 1° comma, e 645, 2° comma, ultima parte, c.p.c.)
prima dell’udienza anticipata con decreto del giudice
istruttore ovvero (se questi non è stato ancora
designato) del presidente del tribunale eventualmente
pronunciato su istanza dell’opposto e debitamente
notificato all’opponente (58).
Va da sé, naturalmente, che
nell’ambito della superiore ricostruzione non si pone il
problema del termine di costituzione del
creditore-ricorrente-opposto.
Infatti:
1.
“nei procedimenti contenziosi che
iniziano con ricorso … si verifica un'inversione logica
e cronologica, rispetto a quelli in cui la domanda si
propone con citazione, nella successione del rapporto
delle parti tra loro e del rapporto parti-giudice, nel
senso che si determina per primo il rapporto
cittadino-giudice, per il solo fatto della presentazione
del ricorso, ed in un momento successivo, con la
notificazione del ricorso e del decreto, si instaura il
contraddittorio tra le parti; ne consegue che in tali
procedimenti si configura del tutto inutile una
costituzione dell'attore ai sensi dell'art. 165 c. p.
c., per cui l'attore, depositando il ricorso, non ha
l'onere di presentare la nota di iscrizione a ruolo …,
mentre il cancelliere deve formare il fascicolo
d'ufficio ed iscrivere l'affare nel ruolo generale ai
sensi dell'art. 36 disp. att. c. p. c.” (59);
2.
pertanto, attesa l’unitarietà
procedimentale tra la fase monitoria ed il giudizio di
opposizione, già al momento del deposito del ricorso ex
art. 638 c.p.c. il ricorrente-opposto deve considerarsi
costituito in giudizio (60) [recte: in quell’unico
giudizio, nel quale “la domanda è proposta col ricorso
per ingiunzione e l’opposizione sostituisce la comparsa
di risposta assumendone il contenuto e la funzione”
(61)];
3.
conseguentemente, non è mai
configurabile una contumacia del creditore-opposto (62).
Da queste puntualizzazioni deriva
un’altra conseguenza rilevante ai fini del presente
lavoro.
Poiché l’opposto-attore deve già
considerarsi tempestivamente costituito con il deposito
del ricorso ex art. 638 c.p.c. e poiché l’art. 645, 2°
comma, c.p.c. stabilisce che “in seguito all’opposizione
il giudizio si svolge secondo le norme ordinarie davanti
al giudice adito” (63), deve trovare applicazione pure
nel processo de quo la disciplina contenuta nell’art.
171 c.p.c. (ritardata costituzione delle parti), il cui
2° comma dà al convenuto-opponente la possibilità di
“costituirsi fino alla prima udienza, ma restano ferme
per il convenuto le decadenze di cui all’art. 167”.
Riteniamo, pertanto, giuridicamente
infondata e meramente vessatoria per l’opponente
quell’opinione [dominante in dottrina (64) ed in
giurisprudenza (65)], che agli effetti ex art. 647
c.p.c. assimila la tardività alla mancanza della
costituzione dell’opponente stesso.
Invero:
1.
l’art. 647 c.p.c. (esecutorità per
mancata opposizione o per mancata attività
dell’opponente) prevede soltanto la mancata costituzione
dell’opponente (“Se non è stata fatta opposizione o
l’opponente non si è costituito …)”;
2.
trattandosi di norma speciale e/o
derogatoria rispetto alla disciplina dell’ordinario
processo di cognizione (che all’art. 171 prevede
espressamente la “ritardata costituzione delle parti”:
tanto dell’attore, quanto del convenuto), la stessa deve
essere interpretata restrittivamente ex art. 14 preleggi
(66);
3.
del resto, se la “mancata
costituzione” (id est: quella che materialmente non è
mai avvenuta, né nei termini prestabiliti ad hoc né
oltre quei termini) fosse concettualmente assimilabile
alla “costituzione tardiva” (id est: a quella effettuata
oltre il termine previsto ad hoc dalla legge) (67),
sarebbe totalmente illogica la formulazione dell’art.
348, 1° comma, c.p.c., secondo cui “l’appello è
dichiarato improcedibile, anche d'ufficio, se
l’appellante non si costituisce in termini”;
4.
infatti, se la “mancata
costituzione” corrispondesse logicamente alla
“costituzione tardiva”, l’art. 348, 1° comma, c.p.c. ai
fini dell’improcedibilità dell’appello avrebbe dovuto
limitarsi a dire che “l’appello è dichiarato
improcedibile, anche d’ufficio, se l’appellante non si
costituisce”;
5.
proprio la lettura comparata
dell’art. 647, 1° comma (“se … l’opponente non si è
costituito …”) e dell’art. 348, 1° comma, c.p.c. (“… se
l’appellante non si costituisce in termini”), dunque,
conferma la correttezza dell’interpretazione restrittiva
dell’art. 647 qui sostenuta: con la sua conseguente
riferibilità alla sola mancata costituzione
dell’opponente e non anche alla costituzione tardiva del
medesimo ex art. 171, 2° comma.
6. Seconda premessa della nostra
ricostruzione: l’opposizione a decreto ingiuntivo quale
strumento finalizzato a “sintonizzare” la posizione
delle parti del processo d’ingiunzione in senso lato
alla posizione delle parti dell’ordinario processo di
cognizione.
Per comprendere la funzione
dell’opposizione all’ingiunzione è necessario tener
presente la ratio del procedimento monitorio, per la cui
individuazione è sempre valido l’insegnamento di
Giuseppe Chiovenda, il quale sul punto così scriveva:
“Le varie forme di processo monitorio hanno questi due
punti fondamentali comuni, che l’ordine di prestazione è
emanato inaudita parte, e senza cognizione: esso tende a
preparare l’esecuzione. L’ordinamento giuridico,
considerando quanto inutile ritardo subisce l’esecuzione
nel processo ordinario con cognizione completa, nei casi
in cui il convenuto o aderisca alla domanda, o rimanga
contumace, o insomma nulla eccepisca, permette questa
forma di processo, configurata secondo l’ipotesi che il
convenuto nulla abbia da eccepire; la possibilità delle
eccezioni e conseguentemente della cognizione completa
non è esclusa, ma spostata; essa è posteriore anziché
anteriore al provvedimento del giudice …Venuta meno nel
caso concreto l’ipotesi secondo cui il processo speciale
è configurato, cioè che il preteso debitore nulla abbia
da eccepire, cade il processo speciale e si entra nel
processo ordinario: in questo l’opponente è convenuto
non attore” (68).
Queste parole suggeriscono
chiaramente la “chiave di lettura” dell’art. 645, 2°
comma, prima parte, c.p.c. (“in seguito all’opposizione
il giudizio si svolge secondo le norme ordinarie davanti
al giudice adito”).
A nostro avviso, trattasi di
disposizione avente la funzione:
1.
di “ripristinare” in via generale
l’applicazione delle norme del processo ordinario di
cognizione, fatte salve le “deviazioni” rispetto al rito
ordinario espressamente previste dalla legge (69) (70),
le quali tuttavia vanno come tali interpretate
restrittivamente (al pari di tutte le norme “che fanno
eccezione a regole generali”: v. art. 14 preleggi);
2.
in particolare, di “ricalibrare” la
posizione delle parti del processo d’ingiunzione in
senso lato, adeguandola a quella delle parti
dell’ordinario processo di cognizione di primo grado e,
conseguentemente, rimettendo le prime nella stessa
posizione in cui si sarebbero trovate, se la domanda
introduttiva del processo fosse stata proposta nelle
forme ordinarie;
3.
di consentire ad entrambe le parti
del processo d’ingiunzione in senso lato di avvalersi
(su un piano di simmetrica parità) di tutti quei poteri
processuali non potuti esercitare nella fase monitoria
(71);
4.
in particolare, di “riequilibrare”
la posizione del debitore-ingiunto, al quale dopo la
fase monitoria (svoltasi senza la sua partecipazione)
“deve essere garantito che il procedimento iniziatosi
con il ricorso per ingiunzione venga a svolgersi con le
forme previste per il procedimento ordinario di primo
grado, ossia offrendogli le stesse possibilità che gli
sarebbero state assicurate se il creditore avesse agito
in via ordinaria” (72).
7. Conclusione desumibile (pure)
dalla seconda premessa: riferibilità all’opponente dei
termini di costituzione previsti in generale per il
convenuto dall’art. 166 c.p.c.
Orbene!
Se l’opposizione a decreto
ingiuntivo ha la funzione di “rimettere” le parti nella
stessa posizione in cui si sarebbero trovate, qualora
l’attore-opposto avesse agito nelle forme ordinarie ex
artt. 163 ss. c.p.c., riceve ulteriore conferma la
nostra tesi circa la riferibilità all’opponente dei
termini di costituzione previsti per il convenuto
dall’art. 166 c.p.c.
Infatti, “tale è ... il termine di
cui l’opposto deve poter godere per ritrovarsi in una
posizione non deteriore rispetto a quella in cui si
troverebbe chi, avendo proposto una domanda secondo le
forme ordinarie, debba poter replicare alle difese del
convenuto tempestivamente costituito” (73).
8. Terza premessa della nostra
ricostruzione: la ratio del dimezzamento dei termini ex
art. 645, 2° comma, c.p.c.
Dottrina (74) e giurisprudenza (75)
sono solite assegnare all’art. 645, 2° comma, ultima
parte c.p.c. (che prevede il dimezzamento degli ordinari
termini di comparizione previsti dall’art. 163 bis
c.p.c.), la funzione di accelerare lo svolgimento del
giudizio di opposizione.
Secondo noi, nulla v’è di più
sbagliato!
Assegnare alla norma de qua una
funzione acceleratoria dell’iter procedimentale, per
vero, contraddice appieno la natura dilatoria che hanno
pur sempre i termini per comparire (76), i quali
(indipendentemente dalla loro estensione: “intera” ex
art. 163 bis, 1° comma, c.p.c. o “dimezzata” ex art.
645, 2° comma, c.p.c.) rappresentano pur sempre “il
numero minimo di giorni liberi che devono intercorrere
tra la notificazione della citazione e il giorno
dell’udienza di comparizione, … per dar modo al
convenuto di prepararsi alla difesa” (77).
Esattamente, pertanto, un vecchio
Maestro osservava al riguardo che la norma in discorso
“è priva di valore sostanziale perché il termine di
comparizione è stabilito dall’opponente, che può
assegnare il termine che vuole, anche superiore al
minimo” (78).
Ebbene!
Data la natura pur sempre dilatoria
dei termini di comparizione, non può ragionevolmente
sostenersi:
1.
né che il dimezzamento previsto
dall’art. 645, 2° comma, c.p.c. “soddisfa l’interesse
dell’intimato ad accelerare l’eventuale riforma di un
provvedimento giurisdizionale pronunciato senza il suo
contraddittorio” (79): in tal caso, infatti, codesto
dimezzamento avrebbe dovuto essere [non automatico ed
obbligatorio (80), ma] rimesso alla mera volontà
dell’interessato (id est: dell’opponente), il quale anzi
in presenza di un’ingiunzione non provvisoriamente
esecutiva ex art. 642 c.p.c. normalmente non ha alcun
interesse a “velocizzare” l’iter processuale ed a
dimezzare il termine de quo (81);
2.
né che il dimezzamento dei termini
di comparizione assicura indirettamente “il più rapido
svolgimento del giudizio di opposizione … anche
nell’interesse del creditore beneficiario del decreto
d’ingiunzione … a stroncare con la massima celerità ogni
opposizione di natura dilatoria” in virtù del (supposto)
conseguente dimezzamento (pure) dei termini di
costituzione dell’opponente (82): può pur sempre
succedere, infatti, che l’opponente abbia rispettato il
termine “dimezzato” di comparizione ex art. 645, 2°
comma, c.p.c. (che – lo ricordiamo – è comunque un
temine minimo!) e che l’opponente stesso si sia
costituito puntualmente nel termine ex art. 165 c.p.c.
(intero o dimezzato che esso sia) e che cionondimeno …
l’udienza di prima comparizione indicata nell’atto di
citazione in opposizione ex art. 163, 2° comma, n. 7,
c.p.c. si svolga … dopo molti mesi o addirittura dopo
anni di distanza dal giorno della notificazione
dell’opposizione e dal giorno della costituzione
dell’opponente (83).
Stando così le cose, deve
concludersi che la ratio della previsione ex art. 645,
2° comma, c.p.c. non consiste affatto in esigenze
acceleratorie del processo.
Dimezzando i termini di
comparizione prescritti per l’ordinario giudizio di
cognizione dall’art. 163 bis c.p.c., invero, l’art. 645,
2° comma, c.p.c. ha voluto soltanto rendere i termini de
quibus coerenti con l’effettiva posizione processuale
dell’opposto.
Quest’ultimo infatti:
•
in quanto attore in senso (per noi
pure formale, ma sicuramente) sostanziale, ha avuto modo
di preparare tutte le sue difese già prima del deposito
del ricorso per ingiunzione;
•
come ogni attore “operante” in un
ordinario processo di cognizione di primo, potrà
“controreplicare” all’opponente pure dopo: vale a dire,
all’udienza di trattazione (v. art. 183, 5° comma,
c.p.c.) e/o nei termini concessigli a quell’udienza dal
giudice istruttore (v. art. 183, 6° comma, c.p.c.).
Pertanto, beneficiando
l’attore-opposto di codeste opportunità preparatorie
eo/difensive, sarebbe del tutto incongrua e/o
ingiustificata la previsione in suo favore degli
ordinari termini di comparizione divisati dall’art. 163
bis c.p.c. in funzione delle esigenze difensive del
convenuto in senso proprio (o sostanziale che dir si
voglia).
9. Conclusioni desumibili dalla
terza premessa: diversità di ratio tra il dimezzamento
dei termini ex art. 645, 2° comma, c.p.c. e
l’abbreviazione dei termini ex art. 163 bis, 2° comma,
c.p.c.; non riducibilità del termine di costituzione
dell’opponente per effetto del dimezzamento dei termini
di comparizione ex art. 645, 2° comma, c.p.c.
La precedente puntualizzazione
sulla funzione del dimezzamento dei termini divisata
dall’art. 645, 2° comma, c.p.c. determina ben precise
conseguenze ai fini qui considerati, in ordine alle
quali possiamo limitarci a ripetere le condivisibili
argomentazioni da altri rassegnate: “L’abbreviazione del
termine di comparizione, prevista nell’art. 163 bis, 2°
comma, c.p.c. (cui, letteralmente, si ricollega
l’abbreviazione del termine di costituzione, ex art. 165
c.p.c.), … ha una funzione del tutto diversa rispetto a
quella prevista dall’art. 645 c.p.c. Nel processo civile
ordinario, infatti, l’abbreviazione del termine di
comparizione riduce, in concreto, il tempo che il
convenuto ha a disposizione per predisporre le difese;
per questo motivo, incidendo sui diritti di difesa del
convenuto, deve fondarsi su specifiche ragioni di
urgenza dell’attore o emergenti dalla peculiarità della
fattispecie e deve risultare espressamente consentita
dal Giudice. La ratio della consequenzialità tra
provvedimento giudiziale di abbreviazione del termine a
comparire e la riduzione ex lege del termine di
costituzione risiede, quindi, nella esigenza di
assicurare al convenuto la piena possibilità della
propria difesa in tempi rapidi, consentendogli di
esaminare la documentazione che l’attore deve depositare
al momento della costituzione. Questa esigenza, invece,
non esiste nel giudizio di opposizione a decreto di
ingiunzione, ove l’opponente è attore soltanto in senso
formale, ma sostanzialmente è convenuto e si limita a
rispondere alla domanda giudiziale del creditore
intimante il decreto ingiuntivo. Ne deriva che gli atti
difensivi che il creditore opposto deve compiere in
pendenza del termine di comparizione sono limitati ad
una mera replica rispetto alle eccezioni del
convenuto-opponente. In pratica, con la notifica
dell’atto di opposizione al creditore si completa quella
fase introduttiva che nel processo ordinario è riservata
al convenuto per predisporre le difese preparatorie
della prima udienza. È evidente, dunque, la differente
ratio sottesa alle due previsioni normative. Se così è,
nel silenzio della legge, non appare possibile
applicare, per analogia, all’opposizione a decreto di
ingiunzione una disposizione eccezionale, quale quella
della riduzione dei termini di costituzione ex art. 163
bis, 2° comma, c.p.c., giustificata da esigenze
dell’attore che, certamente, non ricorrono nel giudizio
di opposizione, nel quale l’opponente è il debitore,
convenuto in senso sostanziale…. In conclusione … appare
molto più ragionevole, realistico e rispondente al
dettato normativo, ritenere che nell’opposizione a
decreto di ingiunzione si applichi il regolare termine
di costituzione previsto per il giudizio ordinario,
anche se i termini di comparizione sono stati ridotti
secondo la previsione dell’art. 645 c.p.c.”(84).
10. Riepilogo finale.
Prima di chiudere definitivamente
il nostro discorso, riteniamo utile sintetizzarne e
riepilogarne le premesse e le conclusioni.
A nostro avviso:
•
affermata la continuità
procedimentale tra la fase monitoria ed il giudizio di
opposizione;
•
dimostrata la natura meramente
anticipatoria del decreto ingiuntivo rispetto alla
sentenza di merito costituente il petitum immediato
dell’azione speciale di condanna esercitata con il
ricorso per ingiunzione (ed esclusa così la natura
impugnatoria dell’opposizione) ;
•
assegnata all’opposizione la
funzione di “sintonizzare” la posizione delle parti del
processo d’ingiunzione in senso lato a quella delle
parti dell’ordinario processo di cognizione;
•
e, infine, negata al dimezzamento
dei termini ex art. 645, 2° comma, c.p.c. quella ratio
acceleratoria ispirante l’abbreviazione dei termini ex
art. 163 bis, 2° comma, c.p.c.;
diventano inevitabili le seguenti
conclusioni:
1.
la costituzione del
ricorrente-opposto-attore deve considerarsi perfezionata
al momento del deposito della domanda d’ingiunzione ex
art. 638 c.p.c.;
2.
conseguentemente, non è mai
configurabile una sua contumacia nel processo
d’ingiunzione in senso lato;
3.
il termine per la costituzione
dell’intimato-opponente-convenuto è (non quello
stabilito dall’art. 165 c.p.c. per l’attore, ma) quello
previsto per il convenuto dall’art. 166 c.p.c.;
4.
l’intimato-opponente-convenuto,
pertanto, deve costituirsi almeno venti giorni prima
dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di
citazione in opposizione o dell’udienza differita dal
giudice istruttore ai sensi dell’art. 168 bis, 5° comma
c.p.c. o (quando l’opponente abbia a fini dilatori
assegnato all’opposto un termine di comparizione
superiore al minimo ex comb. disp. artt. 163 bis, 1°
comma, e 645, 2° comma, ultima parte, c.p.c.)
dell’udienza anticipata con decreto del giudice
istruttore ovvero (se questi non è stato ancora
designato) del presidente del tribunale eventualmente
pronunciato su istanza dell’opposto e debitamente
notificato all’opponente;
5.
tale termine di termine di
costituzione diventa di almeno dieci giorni prima
dell’udienza di comparizione, qualora l’opponente sia
stato autorizzato dal presidente del tribunale ad
abbreviare i termini ex art. 163 bis, 2° comma, c.p.c.
(85);
6.
il superiore termine per la
costituzione dell’intimato-opponente-convenuto non si
espone, invece, al dimezzamento automatico ex comb.
disp. artt. 163 bis, 2° comma, 165, 1° comma, e 166
c.p.c.;
7.
è ammissibile la costituzione
tardiva dell’intimato-opponente-convenuto ex art. 171,
2° comma, c.p.c.
1 L’unico precedente conforme in
giurisprudenza è rappresentato da Cass. civ. 10 gennaio
1955, n. 8.
2 Così GARBAGNATI, Il procedimento
d’ingiunzione, Milano, 1991, 169 ss. (ma v. pure 151
ss.)
Analogamente PAJARDI, Il
procedimento monitorio, Milano, 1991, 87.
3 VALITUTTI-DE STEFANO, Il decreto
ingiuntivo e la fase di opposizione, Padova, 2008, 377,
cui si rinvia per altre informazioni bibliografiche.
4 Così Cass. civ. 7 aprile 1987, n.
3355; nello stesso senso Cass. civ. 27 novembre 1998, n.
12044; Cass. civ. 15 marzo 2001, n. 3752; Cass. civ. 20
novembre 2002, n. 16332.
Tale orientamento giurisprudenziale
è stato espressamente considerato “diritto vivente” da
Corte cost. 22 luglio 2009, n. 230, con la quale è stata
per l’ennesima volta disattesa la questione di
legittimità costituzionale (della superiore
interpretazione) dell’art. 645, 2° comma, c.p.c.
Su tale quaestio legimitatis v.
VIGNERA, Il giusto processo d’ingiunzione, in
BODRITO-FIORENTIN-MARCHESELLI-VIGNERA, Giusto processo e
riti speciali, Milano, 2009, 67 ss., 110 ss.
Sulla stessa questione v.
ultimamente Corte cost. 6 maggio 2010, n. 163.
5 Per un quadro panoramico delle
innumerevoli voci di questo dibattito v. BUFFONE,
Opposizione a decreto ingiuntivo - Sentenza Cassazione,
Sez. un. 19246/2010 - La risposta dei giudici di merito,
in www, ilcaso.it, Sez. II, Doc. 223/2010, il quale
ricorda pure alcuni dei primi contributi dottrinari sul
tema.
Qui basterà ricordare che i più
sembrano propendere per l’applicazione del seguente
principio di diritto, enunciato da Cass. civ. 2 luglio
2010, n. 15812: “Alla luce del principio costituzionale
del giusto processo, va escluso che abbia rilevanza
preclusiva l'errore della parte la quale abbia fatto
ricorso per cassazione facendo affidamento su una
consolidata, al tempo della proposizione
dell'impugnazione, giurisprudenza di legittimità sulle
norme regolatrici del processo, successivamente travolta
da un mutamento di orientamento interpretativo, e che la
sua iniziativa possa essere dichiarata inammissibile o
improcedibile in base a forme e termini il cui rispetto,
non richiesto al momento del deposito dell'atto di
impugnazione, discenda dall'overruling; il mezzo tecnico
per ovviare all'errore oggettivamente scusabile è dato
dal rimedio della rimessione in termini, previsto
dall'art. 184 bis cod. proc. civ. (ratione temporis
applicabile), alla cui applicazione non osta la mancanza
dell'istanza di parte, dato che, nella specie, la causa
non imputabile è conosciuta dalla corte di cassazione,
che con la sua stessa giurisprudenza ha dato indicazioni
sul rito da seguire, ex post rivelatesi non più
attendibili”.
6 A solo titolo esemplificativo
possono ricordarsi in dottrina CONTE, Ruolo sostanziale
delle parti nell'opposizione a decreto ingiuntivo ed
oneri processuali (chiamata in causa del terzo, domanda
riconvenzionale e termine per la formulazione di
eccezioni), GI, 2003, 1820 ss.; COMOGLIO-FERRI-TARUFFO,
Lezioni sul processo civile, Bologna, 1995; 483;
D’ONOFRIO, Commento al nuovo codice di procedura civile,
II, Milano, 1941, 163; EBNER-FILADORO, Manuale del
procedimento d’ingiunzione, Milano, 1985, 108;
GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, cit.,
149-150; PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale
civile, Napoli, 1994, 613; ROCCO, Trattato di diritto
processuale civile, VI, 1, Torino, 1962, cit., 171;
TEDOLDI-MERLO, L’opposizione a decreto ingiuntivo, in Il
procedimento d’ingiunzione, opera diretta da Bruno
Capponi, prima edizione, Bologna, 2005, 357 ss.,
398-399; VALITUTTI-DE STEFANO, Il decreto ingiuntivo e
la fase di opposizione, cit., 291 ss., cui si rinvia per
ulteriori informazioni bibliografiche.
Per la più recente giurisprudenza
v. Cass. civ. 9 maggio 1987, n. 4298; Cass. civ. 30
luglio 1988, n. 4795; Cass. civ. 28 novembre 1989, n.
5185; Cass. civ. 22 giugno 1991, n. 7060; Cass. civ. 3
dicembre 1991, n. 12922; Cass. civ. 8 febbraio 1992, n.
1410; Cass. civ. 14 dicembre 1992, n. 13181; Cass. civ.
3 marzo 1994, n. 2124; Cass. civ. 29 luglio 1994, n.
7095; Cass. civ. 28 gennaio 1995, n. 1052; Cass. civ. 22
marzo 1995, n. 3254; Cass. civ. 17 maggio 1997, n. 4422;
Cass. civ. 8 novembre 1997, n. 11625; Cass. civ. 17
novembre 1997, n. 11417; Cass. civ. 24 marzo 1998, n.
3115; Cass. civ. 30 marzo 1999, n. 3051; Cass. civ. 22
aprile 2003, n. 6421; Cass. civ. 21 maggio 2004, n.
9685; Cass. civ. 24 novembre 2005, n. 24815.
7 SCIACCHITANO, Ingiunzione (dir.
proc. civ.), Enc. dir., XXI, Milano, 1971, 505 ss., 506,
521.
8 GARBAGNATI, Il procedimento
d’ingiunzione, cit., 31.
9 Sulle caratteristiche
dell’opposizione tardiva v. specialmente BALBI,
Inattività dell’intimato ed esecutorietà del decreto di
ingiunzione, RDPr, 1979, 40 ss., 49 ss.
10 Così Cass. civ. 11 febbraio
1995, n. 1552.
Sul tema v. esemplificativamente
Cass. civ. 1° febbraio 2007, n. 2217: “Il procedimento
che si apre con la presentazione del ricorso e si chiude
con la notifica del decreto di ingiunzione non
costituisce un processo autonomo rispetto a quello
aperto dall'opposizione, ma dà luogo a una fase di un
unico giudizio, in rapporto al quale funge da atto
introduttivo, in cui è contenuta la proposizione della
domanda, il ricorso presentato per chiedere il decreto
di ingiunzione. Perciò, il giudice che con la sentenza
chiude il giudizio davanti a sé, deve pronunciare sul
diritto al rimborso delle spese sopportate lungo tutto
l'arco del procedimento e tenendo in considerazione
l'esito finale della lite. Nel liquidare tali spese, il
giudice può bensì escludere dal rimborso quelle
affrontate dalla parte vittoriosa per chiedere il
decreto di ingiunzione, qualora mancassero le condizioni
di ammissibilità di tale domanda, ma non viola affatto
il disposto degli artt. 91 e 92 c.p.c. qualora ritenga
di non farlo, lasciandole a carico della parte opponente
che, all'esito del giudizio, è rimasta soccombente sulla
pretesa dedotta in lite. A maggior ragione il giudice
può lasciare le spese della fase monitoria a carico
della parte ingiunta, allorquando la revoca del decreto
ingiuntivo sia dipesa dal pagamento della somma recata
dal decreto monitorio nel corso del giudizio di
opposizione”.
In termini analoghi v. tra le più
recenti Cass. civ. 26 ottobre 2000, n. 14126; Cass. civ.
18 ottobre 2002, n. 14818; Cass. civ. 18 novembre 2003,
n. 17440; Cass. civ. 23 settembre 2004, n. 19126; nonché
Cass. civ., Sez. un., 1° ottobre 2007, n. 20596, secondo
cui “oggetto dell’opposizione è la stessa lite, i cui
termini soggettivi ed oggettivi sono definiti nella
domanda d’ingiunzione”.
Si inseriscono nello stesso filone
anche quelle pronunce che a proposito dell’opposizione
parlano di “prosecuzione” (Cass. civ. 11 giugno 1993, n.
6531; Cass. civ. 11 febbraio 1995, n. 1552) o di
“continuazione orizzontale” (Cass. civ. 30 marzo 1998,
n. 3316) o di “ulteriore sviluppo” (Cass. civ. 7 aprile
1987, n. 3355; Cass. civ. 26 marzo 1991, n. 3258) del
giudizio già pendente ed iniziato con il ricorso del
creditore.
11 VIGNERA, La relazione
strutturale tra procedimento monitorio e giudizio di
opposizione, RDPr, 2000, 720 ss., 739 ss., spec.:
1.
747-748 [“Poiché – in primo luogo –
la sentenza di rigetto e quella di accoglimento parziale
dell’opposizione hanno natura condannatoria (come
riteniamo di aver dimostrato), poiché – in secondo luogo
– il principio enucleabile dagli artt. 99 c.p.c., 112
c.p.c. e 2907, comma 1, c.c. impone la necessità di
relazionare codeste sentenze di condanna ad una
corrispondente azione di condanna e poiché – infine –
tali sentenze condannatorie possono essere pronunciate
anche quando il creditore non abbia svolto alcuna
attività nel giudizio di opposizione (non esistendo
alcuna norma contemplante un suo onere di “resistere”
all’opponente ), diventa assolutamente logico concludere
che le suindicate decisioni di condanna rappresentano la
risposta giudiziale data ad una azione di condanna …
esercitata dal creditore nella fase monitoria e che,
quindi, il giudizio di opposizione costituisce la
prosecuzione del medesimo procedimento giurisdizionale
introdotto dalla predetta azione (di condanna esercitata
in sede monitoria)”];
2.
748 ss. [“Una volta dimostrato –
come reputiamo di aver fatto – che il giudizio di
opposizione continua a reggersi sulla stessa azione di
condanna esercitata nella fase monitoria, sorge
spontaneo chiedersi: trattasi della medesima azione
proposta con il ricorso per ingiunzione oppure di una
diversa azione proposta dal creditore contemporaneamente
o successivamente (ma sempre nella fase monitoria) alla
prima? E’ evidente, infatti, che la seconda risposta
potrebbe essere data nell’ambito della tesi divisante
nella domanda d’ingiunzione l’esercizio cumulativo di
un’azione speciale e dell’ordinaria azione di condanna”
(per questa tesi v. ANDRIOLI, Commento al codice di
procedura civile, IV, Napoli, 1964, 2 ss., 67 ss., 100;
SCALERA, Il procedimento di ingiunzione nella
giurisprudenza, Padova, 1976, 20; SEGNI, Giudizio di
verificazione di credito ed estensione del giudicato,
RDCo, 1941, II, 98) “oppure nell’ambito di quell’altra
tesi ravvisante nella notificazione del ricorso e del
decreto ex art. 643 c.p.c. l’implicito esercizio di
un’azione di accertamento positivo del diritto oggetto
dell’ingiunzione” (è la tesi di D’ONOFRIO, Commento al
nuovo codice di procedura civile, II, cit., 163).
“Ebbene! La combinazione dell’azione speciale e
dell’azione ordinaria nel ricorso per ingiunzione appare
inequivocabilmente contraddetta dallo stesso diritto
positivo e, più esattamente, dall’art. 638 c.p.c.:
leggendo il quale non può farsi a meno di rilevare che
quel ricorso ha un unico petitum immediato, costituito
esclusivamente ed incondizionatamente dall’ingiunzione.
La superiore concezione, perciò, non è accettabile
perché si risolve in una vera e propria fictio iuris: e
con l’ausilio di finzioni si potrebbe sostenere tutto ed
il contrario di tutto (per esempio, che con la
proposizione dell’opposizione la fase monitoria potrebbe
per finzione considerarsi tamquam non esset e che la
sopravvivente ingiunzione potrebbe per finzione
equivalere all’ordinanza ex art. 186 ter c.p.c.)!
Analoga censura (di dissimulazione di una mera finzione)
può essere mossa pure alla seconda delle opinioni sopra
sintetizzate: alla quale, del resto, è possibile
obiettare altresì che, poichè con la notificazione ex
art. 643, comma 1, c.p.c. la sola domanda portata a
conoscenza del destinatario dell’ingiunzione è quella
contenuta nel ricorso ex art. 638 c.p.c., anche alla sua
stregua la presunta azione esercitata con tale
notificazione risulterebbe in definitiva rappresentata
dalla stessa azione già esercitata col precedente
ricorso!”].
12 L’autonomia delle due fasi de
quibus è stata, a sua volta, predicata in modi assai
variegati perché:
1.
o si ricostruisce l’opposizione
come autonoma azione di accertamento negativo del
diritto riconosciuto dal decreto ingiuntivo con
riferimento alla situazione di fatto esistente al
momento della decisione;
2.
o si individua nell’opposizione
un’autonoma azione di accertamento della legittimità del
decreto ingiuntivo, atteso che la pronuncia di merito
sulla pretesa creditoria del ricorrente-opposto viene
ricollegata alla riproposizione (esplicita od implicita)
della pretesa stessa nel corso del giudizio di
opposizione;
3.
o si dice che il processo
oppositivo ha un duplice oggetto, e cioè tanto il merito
del diritto fatto valere con la domanda di ingiunzione,
quanto la legittimità del procedimento monitorio, con la
conseguenza che gli eventuali vizi di tale procedimento,
pur non impedendo una decisione di merito sulla
sussistenza del diritto, sono comunque rilevanti sia
perché comportano la contestuale revoca del decreto
ingiuntivo (ogniqualvolta risulti l’insussistenza delle
relative condizioni – compresa l’esigibilità del credito
– al momento della sua pronuncia, nonché ogniqualvolta
la notificazione del decreto stesso sia tardiva o
nulla)], sia perché influiscono sul regolamento delle
spese della fase monitoria;
4.
o, infine, si riconosce al giudizio
di opposizione la natura di procedimento di impugnazione
del decreto ingiuntivo.
Sul punto rinviamo a VIGNERA, La
relazione strutturale tra procedimento monitorio e
giudizio di opposizione, cit., 723 ss.
13 V. le note 20 e 22.
14 V. Cass. civ., Sez. un., 8
ottobre 1992, n. 10984: “La competenza del giudice
dell'opposizione a decreto ingiuntivo è inderogabile,
come sono funzionalmente inderogabili tutte le
competenze del giudice dell'impugnazione; di
conseguenza, qualora l'opponente proponga una domanda
riconvenzionale eccedente la competenza per valore del
giudice adito, quest'ultimo deve provvedere alla
separazione delle cause, trattenendo quella di
opposizione (di sua competenza esclusiva) e rimettendo
la domanda riconvenzionale al giudice competente per
valore, salvo sospendere il giudizio di opposizione -
ove ricorrano i presupposti dell'art. 295 c.p.c. - fino
alla definizione della causa pendente innanzi all'altro
giudice”.
Negli stessi termini la coeva Cass.
civ., Sez. un., 8 ottobre 1992, n. 10985.
Conf. tra le più recenti (dopo la
risoluzione del precedente contrasto giurisprudenziale
operato da Cass. civ., Sez. un., 8 ottobre 1992, n.
10984 e n. 10985) Cass. civ. 19 giugno 1993, n. 6838;
Cass. civ. 23 giugno 1995, n. 7129; Cass. civ. 6 aprile
1996, n. 3241; Cass. civ. 21 giugno 1996, n. 5737; Cass.
civ. 25 settembre 1997, n. 9418; Cass. civ. 9 settembre
1998, n. 8914; Cass. civ. 13 dicembre 1999, n. 13950;
Cass. civ. 13 novembre 2000, n. 14703; Cass. civ, Sez.
un., 18 luglio 2001, n. 9769; Cass. civ. 12 febbraio
2002, n. 2011; Cass. civ. 23 maggio 2003, n. 8165; Cass.
civ. 29 marzo 2004, n. 6267; Cass. civ. 16 novembre
2004, n. 21687; Cass. civ. 17 marzo 2006, n. 6054; Cass.
civ. 20 settembre 2006, n. 20324; Cass. civ. 16 novembre
2007, n. 23813.
Sul tema in discorso v. per tutti
CAPPONI, Connessione e processo simultaneo davanti al
giudice di pace, GI, 1992, IV, 168 ss.; VULLO, La
domanda riconvenzionale, Milano, 1995, 368 ss.
15 Cfr. Cass. civ. 10 aprile 1996,
n. 3319, nella cui motivazione si legge che, poiché “il
giudizio di opposizione si sovrappone a quello sulla
legittimità del decreto, … l’impugnazione non può essere
dedotta solo per fare accertare la sussistenza o meno
delle originarie condizioni di emissione del decreto, se
almeno non sia accompagnata da una censura in tema di
spese processuali”.
Nello stesso senso v. pure Cass.
civ., Sez. un., 30 dicembre 1991, n. 14017:
“L'opposizione tardiva al decreto ingiuntivo, prevista
dall'art. 650 c. p. c. in caso di irregolarità della sua
notificazione, non può esaurirsi in una denuncia di tale
irregolarità, perché siffatta denuncia, ove non sia
accompagnata da contestazioni sulla pretesa creditoria,
e non sia quindi indirizzata all'apertura del giudizio
di merito (nonostante il decorso del termine all'uopo
fissato), non è atta ad alcun risultato utile per
l'opponente, nemmeno con riguardo alle spese della fase
monitoria”.
Analogamente Cass. civ. 22 gennaio
1997, n. 668: “Il principio per cui la notificazione
effettuata ai sensi dell'art. 143 c.p.c. in assenza dei
presupposti necessari per l'applicazione di tale
disposizione è nulla ma non è giuridicamente inesistente
comporta che qualora la notificazione eseguita con
modalità di cui alla norma sopraindicata abbia ad
oggetto un decreto ingiuntivo l'opposizione
dell'intimato esplica effetto sanante della pregressa
nullità, sicchè ove l'opponente si limiti a dedurre
l'inefficacia del decreto a norma dell'art. 644 c.p.c.
senza contestare ulteriormente la pretesa fatta valere
in via monitoria, l'inammissibilità dell'opposizione,
per difetto di interesse, rende inammissibile, sotto lo
stesso profilo, l'appello proposto contro la sentenza
che abbia deciso sull'opposizione e il ricorso per
cassazione contro quest'ultima”.
E’ evidente come tali decisioni
siano espressione del principio secondo cui “il giudice
del gravame in tanto può decidere la causa nel merito,
in quanto le questioni di merito siano state debitamente
e ritualmente dedotte” (cfr. Cass. civ. 8 ottobre 1957,
n. 3643; Cass. civ. 26 giugno 1980, n. 4012; Cass. civ.
8 agosto 1987, n. 6799; Cass. civ. 22 aprile 1989, n.
1934; Cass. civ. 4 ottobre 1991, n. 10389; Cass. civ. 27
aprile 1994, n. 4018; Cass. civ. 9 marzo 1995, n. 2735),
sul quale v. BALENA, La remissione della causa al primo
giudice, Napoli, 1984, 316 ss.
16 Così SATTA, Diritto processuale
civile, Padova, 1973, 352, il quale precisa ancora:
“impugnare, infatti, non significa altro, latinamente,
che contrastare, attaccare, e quindi l’impugnazione non
ha in sé e per sé alcuna tipicità”.
17 Cfr. ANDRIOLI, Commento al
codice di procedura civile, III, Napoli, 1957, 337 ss.
18 Cfr. GIANNOZZI, Il reclamo nel
processo civile, Milano, 1968, 275 ss.
19 Cfr. CALIFANO-PERAGO, Le
impugnazioni civili, Torino, 1999, 2, dove si considera
“di comune evidenza che genericamente” la parola
impugnazione “sia riferibile anche ad atti di natura
sostanziale”.
20 La natura di impugnazione in
senso tecnico dell’opposizione è sostenuta specialmente
da GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, cit., 144,
195 ss. 221; e da LORENZETTO PESERICO, Opposizione a
decreto ingiuntivo e competenza, RDC, I, 1993, 759 ss.,
799 ss.
21 Per altre osservazioni critiche
rinviamo a VIGNERA, La relazione strutturale tra
procedimento monitorio e giudizio di opposizione, cit.,
751 ss. (obiezioni di carattere generale), 759-760
(obiezioni alla tesi ravvisante nell’opposizione a
decreto ingiuntivo un’impugnazione di tipo sostitutivo),
760 ss. (obiezioni alla tesi ravvisante nell’opposizione
a decreto ingiuntivo un’impugnazione di tipo
rescindente), 763-764 (obiezioni alla tesi ravvisante
nell’opposizione a decreto ingiuntivo un’impugnazione di
tipo eliminatorio), 764 ss. (obiezioni alla tesi
ravvisante nell’opposizione a decreto ingiuntivo
un’impugnazione c.d. processuale).
22 Questa obiezione ci serve, in
particolare, per contrastare la tesi sulla natura
impugnatoria dell’opposizione a decreto ingiuntivo
recentemente proposta da RONCO, Struttura e disciplina
del rito monitorio, Torino, 2000, 80 ss., 339 ss.,
secondo cui “quest’ultima, essendo attivabile ad
iniziativa dell’ingiunto ed essendo destinata ad
accertare in modo pieno, e per la prima volta, se la
condanna monitoria sia conforme al diritto (sostanziale
e processuale), è un giudizio di impugnazione che si
struttura con i caratteri, i contenuti e le cadenze
proprie del procedimento di primo grado: è, in sintesi,
un’impugnazione di primo grado” (così sinteticamente a
p. 82).
Aderiscono a questa ricostruzione
TEDOLDI-MERLO, L’opposizione a decreto ingiuntivo, cit.,
360-361.
Trattasi, nondimeno, di
un’impostazione originale solo … nella sua suggestiva
qualificazione perché nella sostanza si è in presenza di
una mera rielaborazione (verbale) di opinioni già da
tempo espresse (v. specialmente MANDRIOLI, Corso di
diritto processuale civile, III, Torino, 2009, 38: “Il
meccanismo introduttivo di questa fase è del tutto
identico al meccanismo introduttivo di un’impugnazione …
Sennonché, le caratteristiche proprie dell’impugnazione
subiscono, a questo punto, una profonda attenuazione o
anomalia, poiché una volta introdotto, il giudizio di
opposizione costituisce un giudizio di primo grado”).
Anche alla stregua dell’obiezione
che tra poco formuleremo, continuiamo a ritenere
preferibile l’opinione ravvisante nell’ingiunzione e
nell’opposizione una relazione di tipo (non impugnatorio
stricto sensu, ma) anticipatorio (v. nota 30).
23 Cfr. esemplificativamente Cass.
civ., 2 ottobre 1997, n. 9628: “Il giudicato interno può
formarsi solo su di un capo autonomo di sentenza che
risolva una questione avente una propria individualità
ed autonomia, così da integrare una decisione del tutto
indipendente”.
24 Dall’art. 324 c.p.c., infatti,
si desume inequivocabilmente che la preclusione delle
impugnative “ordinarie” [id est: delle impugnazioni
proponibili entro un termine perentorio decorrente dalla
notificazione (art. 326 c.p.c.) o dalla pubblicazione
(art. 327 c.p.c.) del provvedimento] produce la cosa
giudicata formale: vale a dire, la definitività del
provvedimento (salve, ovviamente, future ed eventuali
impugnative “straordinarie”).
Orbene!
Siccome l’opposizione va proposta
entro un termine perentorio decorrente dalla
notificazione del decreto ingiuntivo (art. v. artt. 641,
1° comma, e 647, 1° comma, c.p.c.), la stessa – se fosse
un “vero” mezzo di impugnazione – dovrebbe considerarsi
l’impugnazione “ordinaria” del decreto ingiuntivo.
25 Attesa la lapalissiana
interdipendenza esistente tra le nozioni di impugnazione
ordinaria-cosa giudicata formale ex art. 324 c.p.c.-cosa
giudicata sostanziale ex art. 2909 c.c., è evidente che
la negazione dell’equazione opposizione-impugnazione
ordinaria dell’ingiunzione mette in crisi pure la
concezione (dominante in giurisprudenza), secondo cui il
decreto ingiuntivo non opposto possiede (oltre alla
definitiva esecutorietà ex art. 647 c.p.c.) l’autorità
di cosa giudicata sostanziale (v. tra le più recenti
Cass. civ. 20 aprile 1996, n. 3757; Cass. civ. 11 giugno
1998, n. 5801; Cass. civ. 24 marzo 2006, n. 6628; Cass.
civ. 19 luglio 2006, n. 16540; Cass. Civ. 28 agosto 2009
n. 18791).
Per la dottrina che riconosce al
decreto ingiuntivo non opposto (ed a quello
definitivamente esecutivo in genere) l’autorità di cosa
giudicata sostanziale v. specialmente GARBAGNATI, Il
procedimento d’ingiunzione, cit., 5 ss., il quale fa
leva sul richiamo ex art. 656 c.p.c. dell’art. 395, n.
5, c.p.c., la cui funzione è quella di impedire un
conflitto tra due giudicati (ma per una diversa lettura
di codesta disposizione v. RONCO, Struttura e disciplina
del rito monitorio, cit., 571 ss., spec. 578, il quale
anzi da quella stessa disposizione trae argomenti
contrari alla tesi del Garbagnati).
In senso contrario v., invece,
REDENTI, Diritto processuale civile, III, Milano, 1957,
26-27, che parla di preclusione-presunzione pro iudicato
avente natura puramente processuale ed inidonea a
produrre “effetti o conseguenze che vadano oltre i
limiti della pura e semplice protezione di quanto
conseguito o conseguibile in via di esecuzione”; nello
stesso senso sostanzialmente ANDRIOLI, Commento al
codice di procedura civile, IV, cit., 113 ss.; BALBI,
Ingiunzione (procedimento di), in Enc. giur., XVII, Roma
1997, 15; CARNELUTTI, Istituzioni del processo civile
italiano, III, Roma, 1956, 135-136; MONTESANO, La tutela
giurisdizionale dei diritti, Torino, 1985, 218 ss.,
spec. 220, nota 30.
Per un esame panoramico delle varie
opinioni espresso sul tema de quo, infine, v. CAPPONI,
Decreto ingiuntivo e giudicato. Gli orientamenti
giurisprudenziali, in Il procedimento d’ingiunzione,
opera diretta da Bruno Capponi, seconda edizione,
Bologna, 2009, 691 ss.; CARIGLIA, Note sull’efficacia
del decreto ingiuntivo non opposto, FI, 1998, I, 1980
ss.
26 Cfr., invece, Cass. civ., Sez.
un.., 25 giugno 2009, n. 14889: “A norma dell'art. 161
cod. proc. civ., le nullità anche insanabili – fra le
quali rientra il difetto di giurisdizione – possono
essere fatte valere solo con i mezzi di impugnazione e
secondo le regole proprie di questi, secondo una
disciplina, applicabile pure al giudizio amministrativo,
che può avere come conseguenza anche quella di impedire
la rilevabilità di dette nullità; ne consegue che,
qualora il TAR, pronunciando sul merito della domanda,
abbia implicitamente riconosciuto la propria
giurisdizione e tale statuizione non sia stata
contestata nei motivi di appello, non rileva che il
Consiglio di Stato abbia affrontato la relativa
questione – benché preclusa – ed il ricorso per
cassazione avverso la sentenza di quest'ultimo è
inammissibile, essendosi formato il giudicato implicito
sulla giurisdizione”. V. pure sulla questione di
giurisdizione la “fondamentale” ed innovativa Cass.
civ., Sez. un., 9 ottobre 2008, n. 24883; e sulle
questioni rilevabili d’ufficio Cass. civ. 13 giugno
1991, n. 6657 (“La rilevabilità d'ufficio di determinate
questioni, tra le quali quella dell'integrità del
contraddittorio, deve essere contemperata con i principi
relativi alla formazione del giudicato, sicché, se sulla
questione, in ipotesi rilevabile d'ufficio, il giudice
si sia espressamente pronunciato e la statuizione non
sia stata oggetto d'impugnazione, il riesame di quella
questione resta precluso”).
27 La rilevabilità ex officio
dell’incompetenza per materia, per valore e per
territorio inderogabile ex art. 28 c.p.c. è stata da
sempre affermata dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
Sino al recente passato, invece, si
riteneva che “incombeva sull’ingiunto l’onere di
sollevare la relativa eccezione nell’atto di
opposizione, laddove si trattasse di competenza
territoriale derogabile” (VALITUTTI-DE STEFANO, Il
decreto ingiuntivo e la fase di opposizione, cit., 160).
Corte cost. 3 novembre 2005, n.
410, tuttavia, ha dichiarato “non fondata, in
riferimento agli artt. 24 e 111, 2° comma, Cost., la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 637
c.p.c. nella parte in cui non prevede la rilevabilità
d'ufficio dell'incompetenza territoriale derogabile
nella fase senza contraddittorio del procedimento per
ingiunzione, dovendosi ritenere che il giudice abbia
detta potestà di rilevazione”.
28 Cfr., invece, Cass. civ. 12
novembre 1998, n. 11454: “La rilevabilità d'ufficio
della incompetenza per materia del giudice adito, nel
vigore del testo originario dell'art. 38 cod. proc.
civ., trova limite nella formazione del giudicato
interno, cosicché l'incompetenza per materia non può
essere eccepita ne' rilevata d'ufficio nel giudizio di
cassazione quando sulla competenza sia intervenuta una
pronuncia del giudice di merito non impugnata sul
punto”.
29 V., infatti, Cass. civ. 1°
febbraio 2007, n. 2217 (“Il procedimento che si apre con
la presentazione del ricorso e si chiude con la notifica
del decreto di ingiunzione non costituisce un processo
autonomo rispetto a quello aperto dall'opposizione, ma
dà luogo a una fase di un unico giudizio, in rapporto al
quale funge da atto introduttivo, in cui è contenuta la
proposizione della domanda, il ricorso presentato per
chiedere il decreto di ingiunzione. Perciò, il giudice
che con la sentenza chiude il giudizio davanti a sé,
deve pronunciare sul diritto al rimborso delle spese
sopportate lungo tutto l'arco del procedimento e tenendo
in considerazione l'esito finale della lite. Nel
liquidare tali spese, il giudice può bensì escludere dal
rimborso quelle affrontate dalla parte vittoriosa per
chiedere il decreto di ingiunzione, qualora mancassero
le condizioni di ammissibilità di tale domanda, ma non
viola affatto il disposto degli artt. 91 e 92 c.p.c.
qualora ritenga di non farlo, lasciandole a carico della
parte opponente che, all'esito del giudizio, è rimasta
soccombente sulla pretesa dedotta in lite. A maggior
ragione il giudice può lasciare le spese della fase
monitoria a carico della parte ingiunta, allorquando la
revoca del decreto ingiuntivo sia dipesa dal pagamento
della somma recata dal decreto monitorio nel corso del
giudizio di opposizione”); e Cass. civ. 8 agosto 1997,
n. 7354 [“Il giudizio introdotto con la proposizione di
un'opposizione a decreto ingiuntivo, e concluso con il
rigetto della medesima e con il conseguente accoglimento
della domanda di condanna proposta con ricorso nella
fase monitoria, costituisce una struttura procedimentale
essenzialmente unitaria (pur essendo il procedimento per
ingiunzione caratterizzato da autonome fasi di apertura
– presentazione del ricorso – e di chiusura - notifica
del decreto ingiuntivo – ), con la conseguenza che
l'organo giurisdizionale, chiamato a definire, con
sentenza, il giudizio innanzi a sè, deve pronunciarsi
sul diritto al rimborso delle spese sopportate lungo
tutto l'arco del procedimento con esclusiva
considerazione dell'esito finale della lite, ma con
facoltà di escludere, dal rimborso stesso, quelle
sostenute dalla parte, pur vittoriosa, che abbia
proposto la domanda di ingiunzione in mancanza delle
necessarie condizioni di ammissibilità”].
Ben diversamente, invece,
succederebbe, se l’opposizione fosse un’impugnazione in
senso proprio dell’ingiunzione: cfr Cass. civ. 17
gennaio 2007, n. 974 (“In materia di liquidazione delle
spese giudiziali nel giudizio di appello, il giudice di
appello che rigetti il gravame nei suoi aspetti di
merito confermando la sentenza di primo grado non può in
mancanza di uno specifico motivo di impugnazione
relativo alla statuizione sulle spese processuali,
modificare tale statuizione, compensando tra le parti le
spese del giudizio di primo grado, mentre, in presenza
del motivo di impugnazione relativo alle spese, la
decisione sulle spese dell'intero giudizio spetta al
giudice dell'impugnazione, che nella liquidazione di
esse deve tener conto dell' esito complessivo del
giudizio”); e Cass. civ. 3 maggio 2010, n. 10622 (“In
materia di liquidazione delle spese giudiziali, il
giudice di appello che rigetti il gravame nei suoi
aspetti di merito, non può, in assenza di uno specifico
motivo in ordine alla decisione sulle spese processuali,
modificare il contenuto della statuizione di condanna al
pagamento di tali spese assunta dal giudice di primo
grado, compensandole, attesi i limiti dell'effetto
devolutivo dell'appello, alla cui applicabilità non è di
ostacolo il carattere accessorio del capo sulle spese,
che resta pur sempre autonomo”).
30 Riconducono il decreto
ingiuntivo alla categoria della tutela anticipatoria non
cautelare, per esempio, CARRATTA, Profili sistematici
della tutela anticipatoria, Torino, 1997, 180 ss.;
FRISINA, La tutela anticipatoria: profili funzionali e
strutturali, RDPr, 1986, 364 ss., 370-371; LEVONI,
Provvedimenti sommari non cautelari e regime sostanziale
dell’azione, RTPC, 1983, 103 ss., 105; MANDRIOLI, La
caducazione dei cosiddetti accertamenti anticipati per
effetto della pronuncia della sentenza di primo grado
ancorchè non esecutiva, RDC, 1961, II, 518 ss., cit.,
527; ID., Per una nozione strutturale dei provvedimenti
anticipatori o interinali, cit., RDPr, 1964, 551 ss.,
569 ss.
31 E’ stato giustamente
sottolineato che, “fatte salve le sole deroghe
espressamente stabilite dagli artt. 645 ss., in sede di
opposizione a decreto ingiuntivo la disciplina del
giudizio ordinario deve applicarsi integralmente”
(TURRONI, Opposizione a decreto ingiuntivo
inammissibile: effetti sulle domande congiunte, RTPC,
1999, 665 ss., 679; analogamente Cass. civ. 30 marzo
1998, n. 3316).
32 Ricollega l’inizio del
procedimento al deposito del ricorso GARGAGNATI, Il
procedimento d’ingiunzione, cit., 42, cui si rinvia per
l’esame delle diverse posizioni assunte sul tema dalla
dottrina.
Per CHIOVENDA, Istituzioni di
diritto processuale civile, II, Napoli, 1934, 248,
invece, il rapporto processuale nasce con la
presentazione della domanda e l’avversario non è parte
del medesimo sin quando essa non gli sia stata
notificata (nello stesso senso VERDE, Profili del
processo civile. Parte generale, Napoli, 1991, 218).
Ma “bisogna precisare che altro è
la presentazione della domanda, altro l’instaurazione
del contraddittorio: non bisogna confondere la tecnica
usata dal legislatore per consentire la partecipazione
delle parti al processo con quella della proposizione
della domanda e della conseguente instaurazione del
procedimento. Se è necessario considerare con la massima
attenzione la tutela del diritto di difesa delle parti,
ciò non significa che non si possa distinguere il
momento in cui si diviene parti del procedimento da
quello, talora successivo, in cui le parti sono poste
tecnicamente in grado di contraddire, come avviene in
alcuni procedimenti sommari ma anche nel processo di
cognizione a rito speciale per le controversie di
lavoro” (così esattamente TOMMASEO, Parti (diritto
processuale civile), in Enc. giur., XXII, Roma, 1990,
6).
33 V. gli autori e le sentenze
indicati nella nota 6.
34 V. in tal senso gli scrittori
ricordati nella nota 56.
35 Così Cass. civ., Sez. un., 1°
ottobre 2007, n. 20596.
In questo modo le Sezioni Unite
hanno avallato l’orientamento inaugurato da Cass. civ.
18 marzo 2003, n. 3978, cui ha fatto seguito Cass. civ.
20 aprile 2006, n. 9181.
In base al precedente e
“tradizionale” orientamento, invece, gli effetti della
litispendenza erano prodotti e decorrevano dalla
notificazione ex art. 643, 3° comma, c.p.c.: v. tra le
più recenti Cass. civ. 29 ottobre 1998, n. 10784; Cass.
civ. 15 febbraio 2001, n. 2214; Cass. civ., Sez. un., 23
luglio 2001, n. 10011; Cass. civ. 6 giugno 2003, n.
9132; Cass. civ. 2 febbraio 2006, n. 2319.
Anche la dottrina era pressoché
univoca in tal senso. Contra, però, e nel senso oggi
recepito dalle Sezioni Unite FRUS, Pendenza della lite,
tutela cautelare e procedimento monitorio, RTPC, 1995,
p. 557ss., 565 ss.; NICOLETTI, Note sul procedimento
ingiuntivo nel diritto positivo italiano, RTPC, 1975, p.
945 ss., 962 ss.; SATTA, Commentario al codice di
procedura civile, IV, 1, Milano, 1968, 71; VIGNERA, La
relazione strutturale tra procedimento monitorio e
giudizio di opposizione, cit., 770.
36 VISCO, Il procedimento per
ingiunzione, Roma, 1951, 158.
37 Contra tra le piu recenti Cass.
civ. 18 aprile 2006, n. 8955 (“La documentazione posta a
fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo è
destinata, per effetto dell'opposizione al decreto e
della trasformazione in giudizio di cognizione
ordinaria, ad entrare nel fascicolo del ricorrente,
restando a carico della parte l'onere di costituirsi in
giudizio depositando il fascicolo contenente i documenti
offerti in comunicazione. Ne consegue che in difetto di
tale produzione, essa non entra a fare parte del
fascicolo d'ufficio e il giudice non può tenerne conto.
L'omessa produzione in primo grado non preclude alla
parte opposta rimasta contumace in primo grado in un
giudizio regolato dall'art. 345 c.p.c. nel testo
previgente alla sostituzione operata dalla l. n. 353 del
1990, di produrre i documenti in appello, senza che sia
necessario proporre appello incidentale ove il giudizio
di primo grado sia stato definito con la conferma della
pretesa posta a base dell'ingiunzione”).
In dottrina v. in tal senso RONCO,
Struttura e disciplina del rito monitorio, cit.,
450-451, il quale dalle norme in tema di riassunzione ex
artt. 125 disp. att. c.p.c. e 303, ultimo comma, c.p.c.
ritiene “di poter ricavare il principio per cui l’onere
di costituirsi in giudizio sorge in relazione ad ogni
(grado o) fase processuale che si presenti come
eventuale rispetto all’atto che ha concluso (il grado o)
la fase precedente” [il che tuttavia sembra eccessivo,
posto che la stessa giurisprudenza in tema di
riassunzione è sul punto incoerente: cfr. Cass. civ. 1°
dicembre 1998, n. 12191 (“Alla luce del collegamento
della disposizione contenuta nell'art. 303 c.p.c. con
quella di portata generale di cui all'art. 125 disp.
att. c.p.c., la parte destinataria dell'atto di
riassunzione ha l'onere di rinnovare la costituzione
pena la declaratoria di contumacia, anche in caso di
precedente costituzione, con la conseguenza che va
esclusa la possibilità di riproposizione
dell'impugnazione incidentale in sede di riassunzione,
dovendo considerarsi sufficiente la manifestazione della
volontà di conservarne gli effetti”), i cui assunti
sembrano però smentiti da Cass. civ. 23 settembre 2003,
n. 14100 (“In tema di riassunzione del processo
interrotto, i soggetti già costituiti nella fase
precedente all'interruzione, i quali, a seguito della
riassunzione ad opera di altra parte, si presentino
all'udienza a mezzo del loro procuratore, non possono
essere considerati contumaci, ancorché non abbiano
depositato nuova comparsa di costituzione, atteso che la
riassunzione del processo interrotto non dà vita ad un
nuovo processo, diverso ed autonomo dal precedente, ma
mira unicamente a far riemergere quest'ultimo dallo
stato di quiescenza in cui versa”)].
38 Conf. BALBI, “Ingiunzione
(procedimento di)”, cit., 18; CARRATTA, Profili
sistematici della tutela anticipatoria, cit., 217 ss.;
VALITUTTI-DE STEFANO, Il decreto ingiuntivo e la fase di
opposizione, cit., 388.
Una conferma della nostra opinione
può – se si vuole – rinvenirsi nell’art. 647 c.p.c., il
quale, ricollegando alla mancata costituzione del solo
opponente effetti assolutamente coincidenti con quelli
divisati dall’art. 653, 1° comma, c.p.c. rispetto
all’ipotesi di estinzione del processo di opposizione
(id est: la definitiva esecutorietà del decreto), a ben
considerare postula l’inapplicabilità allo stesso
processo di opposizione dell’art. 307, 1° comma, prima
parte, c.p.c. (“Se dopo la notificazione della citazione
nessuna delle parti siasi costituita … ”) proprio perché
la costituzione del creditore-opposto è già avvenuta; e,
anzi, finisce con il rappresentare un’applicazione
dell’art. 307, 3° comma, c.p.c., che ricollega
l’estinzione (tra l’altro) alla mancata prosecuzione del
giudizio, ad opera della parte “onerata”, nel termine
perentorio stabilito dalla legge.
39 Tale affermazione è usuale in
dottrina [v. ad esempio BALBI, Ingiunzione (procedimento
di), cit., 13; D’ONOFRIO, Commento al nuovo codice di
procedura civile, II, cit., 163; GARBAGNATI, Il
procedimento d’ingiunzione, cit., 200; MANDRIOLI, Corso
di diritto processuale civile, cit., III, 39; MICHELI,
L’onere della prova, Padova, 1966, 483; PAJARDI, Il
procedimento monitorio, cit., 88; PROTO PISANI, Lezioni
di diritto processuale civile, cit., 613; REDENTI,
Diritto processuale civile, III, cit., 32;
TEDOLDI-MERLO, L’opposizione a decreto ingiuntivo, cit.,
445; VALITUTTI-DE STEFANO, Il decreto ingiuntivo e la
fase di opposizione, cit., 291; VISCO, Il procedimento
per ingiunzione, cit., 159] ed in giurisprudenza (v. ex
plurimis Cass. civ. 18 gennaio 1990, n. 234; Cass. civ.
26 febbraio 1990, n. 1442; Cass. civ. 14 dicembre 1992,
n. 13181; Cass. civ. 26 aprile 1993, n. 4857; Cass. civ.
3 marzo 1994, n. 2124; Cass. civ. 24 agosto 1994, n.
7504; Cass. civ. 29 agosto 1994, n. 7659; Cass. civ. 17
novembre 1997, n. 11417; Cass. civ. 8 settembre 1998, n.
8853; Cass. civ. 22 aprile 2003, n. 6421; Cass. civ. 30
luglio 2004, n. 14556; Cass. civ. 24 novembre 2005, n.
24815).
Dissentono, però, TOMEI,
Procedimento di ingiunzione, Digesto/civ., XIX, Torino,
1996, 559 ss., 580 (nel contesto di una singolarissima
ricostruzione, che abbiamo criticato in VIGNERA, La
relazione strutturale tra procedimento monitorio e
giudizio di opposizione, cit., 764 ss.) e SATTA,
Commentario al codice di procedura civile, IV, 1, cit.,
38, 79, 84 [limitatamente all’ipotesi di opposizione “di
fronte a un decreto legittimamente dato”; ma l’Autore
assume un postulato (costringere in tale ipotesi
“l’opposto a dare la prova ordinaria …, significherebbe
mettere automaticamente nel nulla il decreto e l’intero
procedimento ingiuntivo, anzi la tutela sommaria in
genere, riducendola a pura forma”: così a pag. 79), la
cui erroneità de iure condito emerge da quanto previsto
non solo dall’art. 648 c.p.c. (possibilità di concedere
la provvisoria esecutorietà all’opposto decreto), ma
soprattutto dall’art. 653, 1° comma, c.p.c. (definitiva
esecutività del decreto in caso di estinzione del
processo di opposizione)].
40 E’ questa la tendenza che
comincia a prevalere tanto in dottrina [v. per esempio,
BALBI, Ingiunzione (procedimento di), cit., 14], quanto
in giurisprudenza (v. in particolare Cass. civ., 12
gennaio 2006, n. 419: “L'opposizione a decreto
ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di
cognizione, in cui il giudice deve, non già stabilire se
l’ingiunzione fu emessa legittimamente in relazione alle
condizioni previste dalla legge per l'emanazione del
provvedimento monitorio, ma accertare il fondamento
della pretesa fatta valere con il ricorso per
ingiunzione e, se il credito risulti fondato, deve
accogliere la domanda indipendentemente dalla
circostanza della regolarità, sufficienza e validità
degli elementi probatori alla stregua dei quali
l’ingiunzione fu emessa, rimanendo irrilevanti, ai fini
di tale accertamento, eventuali vizi della procedura
monitoria che non importino l'insussistenza del diritto
fatto valere con tale procedura. Invece, l'insussistenza
delle condizioni che legittimano l'emanazione del
procedimento monitorio può spiegare rilevanza soltanto
sul regolamento delle spese della fase monitoria”; nello
stesso senso v. ex plurimis Cass. civ. 8 aprile 1989, n.
1690; Cass. civ. 11 gennaio 1989, n. 63; Cass. civ. 28
settembre 1994, n. 7892; Cass. civ. 10 aprile 1996, n.
3319; Cass. civ. 4 dicembre 1997, n. 12311; Cass. civ. 8
settembre 1998, n. 8853; Cass. civ. 25 marzo 2000, n.
3591; Cass. civ. 12 maggio 2003, n. 7188; Cass. civ. 18
novembre 2003, n. 17440; Cass. civ. 16 marzo 2004, n.
5311; Cass. civ. 24 maggio 2004, n. 9927; Cass. civ. 24
giugno 2004, n. 11762; Cass. civ. 15 luglio 2005, n.
15037; Cass. civ. 31 maggio 2006, n. 13001; Cass. civ.
19 gennaio 2007, n. 1184.
41 Conf. BALBI, Ingiunzione
(procedimento di), cit., 14; Cass. civ. 20 giugno 1983,
n. 4234; Cass. civ. 13 gennaio 1992, n. 287; Cass. civ.
30 marzo 1995, n. 3783; Cass. civ. 2 settembre 1998, n.
8717; Cass. civ. 25 marzo 2000, n. 3591; Cass. civ. 18
novembre 2003, n. 17440; Cass. civ. 16 marzo 2004, n.
5311; Cass. civ. 15 luglio 2005, n. 15037; Cass. civ. 12
gennaio 2006, n. 419; Cass. civ. 1° febbraio 2007, n.
2217.
42 V. nota 15.
43 V. art. 115, 1° comma, c.p.c.
nel testo sostituito dall’art. 45, 14° comma , della L.
18 giugno 2009, n. 69: “Salvi i casi previsti dalla
legge, il giudice deve porre a fondamento della
decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico
ministero, nonché i fatti non specificatamente
contestati dalla parte costituita”. Sul tema v. per
tutti IANNIRUBERTO, Il principio di non contestazione
dopo la riforma dell’art. 115 c.p.c., GC, 2010, 309 ss.
Sugli effetti della non
contestazione quale espressione di un principio generale
(prima della nuova formulazione dell’art. 115 c.p.c.) v.
CARRATTA, Il principio della non contestazione nel
processo civile, Milano, 1996, 261 ss.
44 Contra unanimemente la dottrina
[v. per tutti BALBI, Ingiunzione (procedimento di),
cit., 14; LORENZETTO PESERICO, Opposizione a decreto
ingiuntivo e competenza, cit., 793 ss.] e la
giurisprudenza, la quale talvolta, anziché di revoca
dell’opposto decreto, parla di declaratoria – esplicita
o addirittura implicita – di nullità del decreto stesso
(v. Cass. civ. 24 aprile 1981, n. 2455; Cass. civ. 6
novembre 1987, n. 8242; Cass. civ. 28 aprile 1989, n.
2000; Cass. civ. 12 dicembre 1989, n. 5554; Cass. civ. 9
giugno 1990, n. 5623; Cass. civ. 25 settembre 1991, n.
10007; Cass. civ. 27 aprile 1994, n. 335; Cass. civ. 19
agosto 1994, n. 7438; Cass. civ. 4 gennaio 1995, n. 139;
Cass. civ. 11 ottobre 1995, n. 10586; Cass. civ. 1°
dicembre 1995, n. 12423; Cass. civ. 28 febbraio 1996, n.
1584; Cass. civ. 19 luglio 1996, n. 6510; Cass. civ. 11
agosto 1997, n. 7475; Cass. civ. 12 febbraio 1998, n.
1485; Cass. civ. 17 marzo 1998 n. 2843; Cass. civ. 17
dicembre 1999, n. 14225; Cass. civ., Sez. un., 23 luglio
2001, n. 10011; Cass. civ., 26 luglio 2001, n. 10206;
Cass. civ. 11 giugno 2002, n. 8327; Cass. civ. 26 marzo
2003, n. 4478; Cass. civ. 20 maggio 2005, n. 10687;
Cass. civ. 12 luglio 2005, n. 14552; Cass. civ. 30
novembre 2005, n. 26076; Cass. civ. 11 luglio 2006, n.
15694; Cass. civ. 11 maggio 2007, n. 10875; Cass. civ.
21 maggio 2007, n. 11748; Cass. civ. 3 ottobre 2007, n.
20759.
La nostra “eterodossa” convinzione
si basa pure sulla seguente considerazione: se la
declaratoria d’incompetenza de qua comportasse la
caducazione del decreto ingiuntivo, quello riassunto ex
art. 50 c.p.c. sarebbe (contrariamente a quanto
postulato dal medesimo art. 50: “… il processo continua
davanti al nuovo giudice”) non più lo stesso processo
ingiuntivo in senso lato (provocato da un’azione di
condanna esercitata in forme speciali e caratterizzato
dalla “sopravvivenza” dell’ingiunzione nella fase a
cognizione piena), ma un diverso processo ordinario di
cognizione [presupponente un’azione di condanna
“rivestita” delle forme ordinarie, la quale però … non
sarebbe stata mai concretamente esercitata: v. nota 11,
sub b)].
45 V. Cass. civ. 29 ottobre 1986,
n. 6337; Cass. civ. 28 aprile 1989, n. 2037; Cass. civ.
9 settembre 1993, n. 9444; Cass. civ. 6 agosto 1994, n.
7309.
46 Contra la giurisprudenza
richiamata nella nota 14.
Per le contrapposte opinioni sul
punto v. LORENZETTO PESERICO, Opposizione a decreto
ingiuntivo e competenza, cit., 799 ss.; VULLO, La
domanda riconvenzionale, cit., 368 ss.
47 Così paradigmanticamente Cass.
civ. 21 maggio 2004, n. 9685, in motivazione.
48 LIEBMAN, Manuale di diritto
processuale civile, I, Milano, 1973, 69.
49 LIEBMAN, Manuale di diritto
processuale civile, I, cit., 79.
50 CHIOVENDA, Principii di diritto
processuale civile, Napoli, 1980 (Ristampa anastatica
della terza edizione del 1923), 581.
51 Così tra le più recenti Cass.
civ. 9 agosto 2007, n. 17469
52 E’ opportuno sottolineare che
per l’art. 638 c.p.c. quel ricorso ha lo stesso
contenuto dell’ordinaria domanda giudiziale (conf.
CHIOVENDA, Principii di diritto processuale civile,
cit., 1194; MANDRIOLI, Corso di diritto processuale
civile, III, cit., 24).
Esso, infatti, deve indicare:
•
l’ufficio giudiziario (v. il comb.
disp. degli artt. 638 e 125 c.p.c. in rapporto con
l’art. 163, 3° comma, n. 1, c.p.c.);
•
le parti (v. il comb. disp. degli
artt. 638 e 125 c.p.c. in rapporto con l’art. 163, 3°
comma, n. 2, c.p.c.);
•
l’oggetto (v. il comb. disp. degli
artt. 638 e 125 c.p.c. in rapporto con l’art. 163, 3°
comma, n. 3, c.p.c.);
•
le ragioni della domanda (v. il
comb. disp. degli artt. 638 e 125 c.p.c. in rapporto con
l’art. 163, 3° comma, n. 4, prima parte, c.p.c.);
•
le conclusioni (v. il comb. disp.
degli artt. 638 e 125 c.p.c. in rapporto con l’art. 163,
3° comma, n. 4, seconda parte, c.p.c.);
•
le prove che si producono (v.
l’art. 638 c.p.c. in rapporto con l’art. 163, 3° comma,
n. 5, c.p.c.);
•
l’indicazione del procuratore del
ricorrente (v. l’art. 638 c.p.c. in rapporto con l’art.
163, 3° comma, n. 6, c.p.c.).
Va da sé, naturalmente, che la
mancanza nel ricorso de quo della in ius vocatio si
giustifica appieno con la ratio stessa del procedimento
monitorio, consistente nell’opportunità di evitare il
“processo ordinario con cognizione completa, nei casi in
cui il convenuto o aderisca alla domanda, o rimanga
contumace, o insomma nulla eccepisca” (v. la parte
iniziale del successivo par. 6).
Atteso quanto sopra e quello che
abbiamo già detto a proposito della continuità
procedimentale tra la fase monitoria ed il giudizio di
opposizione, ci pare incontestabile che il ricorso ex
art. 638 c.p.c. costituisce la domanda introduttiva di
quell’unico giudizio, in cui si risolve il processo
d’ingiunzione in senso lato.
53 Cass. civ. 11 febbraio 1995, n.
1552.
54 ANDRIOLI, Diritto processuale
civile, I, Napoli, 1979, p. 371.
55 V. nota 6.
56 Conf. BALBI, Ingiunzione
(procedimento di), cit., 12; MICHELI, L’onere della
prova, cit., 482; TURRONI, La posizione assunta dalle
parti nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e
la domanda riconvenzionale dell'opposto, NGCC, 1999, I,
62 ss., 64 ss.; VIGNERA, La relazione strutturale tra
procedimento monitorio e giudizio di opposizione, cit.,
769; VISCO, Il procedimento per ingiunzione, cit., 157
ss.; nonché ANDRIOLI, Commento al codice di procedura
civile, IV, cit., 74 [nell’ambito della particolare
concezione del ricorso per ingiunzione quale “esercizio
di due azioni, l’una speciale e l’altra ordinaria”: v.
nota 11, sub b)].
57 Secondo l’orientamento dominante
in giurisprudenza ed in coerenza con la lettera
dell’art. 166 c.p.c. (che richiama espressamente
l’udienza “fissata a norma dell’art. 168 bis, quinto
comma”), ai fini della tempestività della costituzione
del convenuto è irrilevante la diversa data dell’udienza
di prima comparizione “rimandata” ope legis ai sensi
dell’art. 168 bis, 4° comma, c.p.c; mentre, viceversa, è
rilevante quella “differita” dal giudice istruttore ai
sensi dell’art. 168 bis, 5° comma, c.p.c. [cfr. Cass.
civ. 4 novembre 2003, n. 16562: “II termine di cinque
giorni dalla presentazione del fascicolo, entro il quale
il giudice designato può differire, con decreto
motivato, ai sensi dell'articolo 168 bis, comma 5, del
c.p.c., la data della prima udienza è ordinatorio, in
applicazione del generale principio di presunzione di
tale carattere dei termini, stabilito dall'articolo 152,
comma 2, del c.p.c. Deriva, da quanto precede, pertanto,
che a differenza del rinvio d'ufficio, ai sensi
dell'articolo 168 bis, comma 4, del c.p.c., all' udienza
immediatamente successiva, secondo il calendario
giudiziario, per l'ipotesi in cui nel giorno fissato con
l'atto di citazione per l’udienza di prima comparizione
il giudice non tenga udienza (nel qual caso i termini di
comparizione devono essere osservati in relazione all'
udienza fissata con l'atto di citazione e dunque anche
la costituzione del convenuto, ai fini della
tempestività della stessa. deve avvenire in relazione
all' udienza indicata nell'atto di citazione e non a
quella automaticamente rinviata) nel caso in cui il
differimento d' udienza derivi dal decreto del giudice
ai sensi del comma 5 dello stesso articolo l68 bis i
termini di comparizione e di costituzione, anche ai fini
della tempestività delle domande di cui all'articolo 167
del c.p.c. devono essere computati in relazione alla
data dell' udienza differita e non a quella indicata
nell'atto di citazione e ancorché il provvedimento di
differimento sia stato adottato oltre il termine di
cinque giorni dalla presentazione del fascicolo”; in
argomento v. pure Cass. civ. 4 novembre 2003, n. 16526;
Cass. civ. 29 aprile 2005, n. 8897; Cass. civ. 28 maggio
2007, n. 12490].
58 L’esistenza di questo potere del
giudice istruttore o del presidente del tribunale, pur
non essendo espressamente previsto dalla legge, può
affermarsi sia in applicazione analogica dell’art. 163
bis, ultimo comma, c.p.c., sia in quanto estrinsecazione
del più generale potere di direzione del procedimento ex
art. 175, 1° comma, c.p.c. (“Il giudice istruttore
esercita tutti i poteri intesi al più sollecito e leale
svolgimento del procedimento”). In quest’ultimo senso v.
esemplificativamente:
1. ◦
Cass. civ. 7 giugno 1991, n. 6520
[“Il provvedimento del giudice che, con riguardo alla
udienza di istruzione della singola causa, dopo la
chiusura del relativo verbale, che segna anche il
momento terminale dell' udienza, abbia, su istanza di
parte, disposto la riapertura del verbale stesso,
implica la revoca del provvedimento già pronunciato di
fissazione della udienza successiva con immediata
trattazione della causa; tale provvedimento, che può
ricondursi al potere di direzione del procedimento che
compete al giudice istruttore (art. 175 c. p. c.), non
può ledere il diritto di difesa delle parti e non può
pertanto prescindere dalla sua tempestiva comunicazione,
in mancanza della quale, a meno che non vi sia l'accordo
dei procuratori delle parti costituite o che questi non
siano presenti, l’udienza così anticipata (‘riaperta’)
deve ritenersi nulla”; conf. Cass. civ. 17 aprile 1997,
n. 3303];
◦
Cass. civ. 29 aprile 2005, n. 8897
(“La sentenza del giudice di appello, che, nel nuovo
rito del lavoro, decida la causa in un'udienza anteriore
a quella fissata a norma del primo comma, art. 434 c. p.
c. ed in assenza di una delle parti, non avvertita
dell'anticipazione dell'udienza di discussione, è
affetta da nullità insanabile, in quanto emessa in
violazione del principio del contraddittorio e del
diritto di difesa”).
L’esistenza di codesto potere è
implicitamente riconosciuta pure da Cass. civ. 22
febbraio 1996, n. 1402: “In base al meccanismo dell'art.
168 bis c.p.c., l’udienza non può essere anticipata
rispetto a quella stabilita nell'atto di citazione e i
convenuti possono costituirsi sino alla data
dell'udienza indicata nella citazione o a quella
posteriore dell’udienza determinata a norma del comma 4
art. cit.; con la conseguenza che, l'anticipazione
‘d'ufficio’ dell'udienza – alla quale non ha fatto
seguito nè la notificazione, nè la comunicazione – lede
irreparabilmente il diritto del convenuto di costituirsi
almeno fino a tali date, così determinando una nullità
insanabile, di ordine sistematico, che rende nulli tutti
gli atti del processo”.
59 Cass. civ. 8 settembre 1992, n.
10291.
Conf. Cass. civ. 19 aprile 1991, n.
4227; Cass. civ. 14 settembre 2004, n. 18448.
In argomento v. pure Cass. civ.,
Sez. un., 18 giugno 1996, n. 5571; Cass. civ. 14 luglio
2001, n. 9596; Cass. civ. 5 maggio 2003, n. 6822; nonché
con specifico riferimento al procedimento d’ingiunzione
Cass. civ., Sez. un., 1° ottobre 2007, n. 20596.
60 V. la nota 38.
61 Cass. civ. 11 febbraio 1995, n.
1552.
62 V. le note 37 e 38.
63 Sulla funzione di tale
disposizione indugeremo nel prossimo paragrafo.
64 V. ultimamente e per più
complete informazioni VALITUTTI-DE STEFANO, Il decreto
ingiuntivo e la fase di opposizione, cit., 386 ss.
65 V. Cass. civ., Sez. un., 9
settembre 2010 n. 19246: “È consolidato orientamento di
questa Corte che nel giudizio di opposizione a decreto
ingiuntivo, la tardiva costituzione dell’opponente va
equiparata alla sua mancata costituzione e comporta
l’improcedibilità dell’opposizione (Cass. n. 9684/1992,
2707/1990, 1375/1980; 652/1978, 3286/1971, 3030/1969,
3231/1963, 3417/1962, 2636/1962, 761/1960, 2862/1958,
2488/1957, 3128/1956). È innegabile infatti, da una
parte, che la specialità della norma di cui all’art. 647
c.p.c. impedisce l’applicazione della ordinaria
disciplina del processo di cognizione, e dall’altra, che
la costituzione tardiva altro non è che una mancata
costituzione nel termine indicato dalla legge”.
66 Sul punto torneremo al par. 6.
67 Così (erroneamente) è stato
scritto ultimamente da Cass. civ., Sez. un., 9 settembre
2010, n. 19246, in motivazione: “È innegabile infatti,
da una parte, che la specialità della norma di cui
all’art. 647 c.p.c. impedisce l’applicazione della
ordinaria disciplina del processo di cognizione, e
dall’altra, che la costituzione tardiva altro non è che
una mancata costituzione nel termine indicato dalla
legge”.
Contra però Cass. civ. 16 giugno
1993, n. 6709, nella cui motivazione sta esattamente
scritto: “Sul piano logico, una cosa è la mancata
costituzione nel giudizio di primo grado, che è un
fatto, altra cosa è una costituzione in giudizio in
concreto avvenuta e però giudicata tardiva, che è un
diverso fatto, equiparato in termini giuridici
all'altro, in rapporto alla rilevanza delle allegazioni
della parte al fine del decidere, ma che può presentare
in sè una diversa valenza, quando si tratti di stabilire
se un altro fatto – il rilascio della procura – sia
avvenuto anteriormente o posteriormente alla chiusura
del giudizio di primo grado ed alla costituzione della
parte nel giudizio di appello”.
68 CHIOVENDA, Principii di diritto
processuale civile, cit., 212, 216; conf. MANDRIOLI,
Corso di diritto processuale civile, III, cit, 15 ss.
69 V. ad esempio artt. gli 647,
648, 649, 653, 654, 2° comma, c.p.c.
Trattasi, più esattamente, di norme
giustificate dalla “sopravvivenza” dell’ingiunzione
all’opposizione (sulla cui compatibilità con i principi
costituzionale del giusto processo rinviamo a VIGNERA,
Il giusto processo d’ingiunzione, cit., 125 ss.).
Sulla distinzione tra procedimento
monitorio puro (caratterizzato dal fatto che l’ordine di
pagamento, in quanto emesso sulla semplice richiesta non
provata del creditore, è destinato a cadere a seguito
dell’opposizione del debitore) e procedimento monitorio
documentale (caratterizzato dal fatto che l’ordine di
pagamento, in quanto emesso sulla base di documenti
comprovanti i fatti costitutivi del credito, sopravvive
all’opposizione, in pendenza della quale può anche
essere dichiarato provvisoriamente esecutivo) v.
CALAMANDREI, Il procedimento monitorio nella
legislazione italiana, Milano, 1926; 7 ss. (SATTA,
Commentario al codice di procedura civile, IV, 1, cit,.
12, invece, considera “assai dubbia” la distinzione in
parola sia sul piano storico, sia su quello logico).
Sul carattere misto del
procedimento monitorio disciplinato dal vigente codice
di rito civile v. PROTO PISANI, Il procedimento
d’ingiunzione, RTPC, 1987, 290 ss., 293.
70 Conf. TURRONI, Opposizione a
decreto ingiuntivo inammissibile: effetti sulle domande
congiunte, cit., 679 (“fatte salve le sole deroghe
espressamente stabilite dagli artt. 645 ss., in sede di
opposizione a decreto ingiuntivo la disciplina del
giudizio ordinario deve applicarsi integralmente”).
71 In particolare il
creditore-opposto, non sussistendo più i limiti
probatori postigli dagli artt. 633, 1° comma, n. 1, 634,
635 e 636 c.p.c. (id est: la necessità di provare il
fatto costitutivo del suo credito mediante prova
scritta), può avvalersi di tutti i (e solo dei) mezzi
probatori consentiti dall’ordinamento processuale,
vedendo così riespandersi pienamente il proprio diritto
alla prova.
Il debitore-opponente, a sua volta,
oltre alla possibilità di esercitare nel giudizio di
opposizione tutte le facoltà riconosciute alle parti di
un ordinario processo di cognizione, recupera (recte:
dovrebbe recuperare) altresì le chances difensive
“sottrattegli” nel procedimento conclusosi con la
pronuncia del decreto ingiuntivo.
V. in argomento VIGNERA, Il giusto
processo d’ingiunzione, cit., 102 ss., 160 ss.
72 Così BALBI, Ingiunzione
(procedimento di), cit., 3.
Già prima LIEBMAN, Il principio del
contraddittorio e la Costituzione, RDPr, 1954, II, 128
ss. aveva scritto che la proposizione dell’opposizione
consente al debitore di “ristabilire il contraddittorio
momentaneamente sospeso e provvedere alla sua difesa in
condizioni che non si discostano da quelle normali di
ogni altro giudizio”.
73 Così RONCO, Struttura e
disciplina del rito monitorio, cit., 414.
Condividiamo pure l’altra opinione
di questo Autore, secondo cui il termine di costituzione
dell’opponente diventa di almeno dieci giorni prima
dell’udienza di comparizione, allorché l’opponente
stesso sia stato autorizzato dal presidente del
tribunale ad abbreviare i termini ex art. 163 bis, 2°
comma, c.p.c.
A nostro avviso, infatti, è proprio
questa (e non l’art. 645, 2° comma, c.p.c., come invece
ritiene Garbagnati: v. par. 8, in corrispondenza della
nota 79) la norma finalizzata a soddisfare “l’interesse
dell’intimato ad accelerare l’eventuale riforma di un
provvedimento giurisdizionale pronunciato senza il suo
contraddittorio”.
74 V. specialmente GARBAGNATI, Il
procedimento d’ingiunzione, 151-152, secondo cui la
riduzione dei termine divisata dall’art. 645, 2° comma,
c.p.c. “soddisfa l’interesse dell’intimato ad accelerare
l’eventuale riforma di un provvedimento giurisdizionale
pronunciato senza il suo contraddittorio” (mentre
“l’interesse del creditore, beneficiario del decreto, ad
accelerare il rigetto di un’eventuale opposizione
defatigatoria, è tutelato dall’applicazione, in
relazione al capoverso dell’art. 645, dell’ultimo comma
dell’art. 163 bis, che consente al Presidente del
Tribunale di anticipare l’udienza per la comparizione
delle parti, qualora il termine di comparizione
assegnato nella citazione in opposizione ecceda la metà
del termine minimo stabilito dal primo comma del
predetto articolo”: ma di questo problema ci siamo già
occupati alla fine del par. 5, in corrispondenza della
nota 58).
La tesi di Garbagnati è stata
recentemente riproposta da TEDOLDI-MERLO, L’opposizione
a decreto ingiuntivo, cit., 401.
75 V. Cass. civ., Sez. un., 9
settembre 2010, n. 19246: “Nè appare decisivo il
rilievo, indubbiamente corretto, della differenza
esistente tra la fattispecie di cui all'art. 163 bis
c.p.c., comma 2, nella quale l'abbreviazione dei termini
è conseguenza dell'accertamento da parte del giudice
della sussistenza delle ragioni di pronta trattazione
della causa prospettate dall'attore, e di quella di cui
all'art. 645 c.p.c., nella quale tale apprezzamento è
compiuto (non dalla parte, come sostiene l'ordinanza di
rimessione, ma direttamente) dal legislatore una volta
per tutte, essendo in entrambe le fattispecie identica
la funzione del dimezzamento dei termini di
comparizione, consistente, da un lato, nel soddisfare le
esigenze di accelerazione della trattazione e
dall'altro, nell'opportunità di bilanciare la
compressione dei termini a disposizione del convenuto
con la riduzione dei termini di costituzione
dell'attore. Essendo pacifica la sussistenza
dell'esigenza di sollecita trattazione dell'opposizione,
diretta a consentire la verifica della fondatezza del
provvedimento sommario ottenuto dal creditore inaudita
altera parte, deve osservarsi che sussiste anche
l'esigenza di bilanciamento delle posizioni delle
parti”.
76 Cfr. Cass. civ. 30 marzo 2006,
n. 7532: “In tema di integrazione del contraddittorio in
cause inscindibili, nel caso in cui il giudice abbia
omesso di fissare il termine per la notifica
dell'impugnazione al litisconsorte necessario, la
mancata evocazione in giudizio di quest'ultimo non
comporta la dichiarazione d'inammissibilità
dell'impugnazione, ai sensi dell'art. 331, secondo
comma, c.p.c., senza che assuma alcun rilievo la
sussistenza, rispetto all'udienza fissata, di un
intervallo di tempo sufficiente a consentire il rispetto
del termine di cui all'art. 163 bis c.p.c., attesa la
tassatività delle cause di decadenza dall'impugnazione e
la diversità delle funzioni assolte dai due termini, il
primo dei quali ha finalità sollecitatorie, volte a
stimolare le parti all'osservanza dell'ordine del
giudice, mentre il secondo, avente carattere dilatorio,
mira a garantire la difesa del convenuto”.
77 Così LIEBMAN, Manuale di diritto
processuale civile, II, Milano, 1974, 12.
Nello stesso senso v.
esemplificativamente MONTELEONE, Diritto processuale
civile, II, Padova, 1995, 28: “Nello stabilire la data
dell’udienza deve essere osservato un termine dilatorio,
che viene dalla legge fissato nell’interesse del
convenuto per consentirgli di organizzare la propria
difesa”.
E sarebbe assolutamente pedante e
stucchevole dilungarci su questo punto!
78 SATTA, Commentario al codice di
procedura civile, IV, 1, Milano, cit., 83.
Né servirebbe dire che “il più
rapido svolgimento del giudizio di opposizione”
deriverebbe dal (supposto: v. quanto diremo in contrario
al par. 9) conseguente dimezzamento (pure) dei termini
di costituzione dell’opponente, come scrive GARBAGNATI,
Il procedimento d’ingiunzione, cit., 171-172, secondo
cui, inoltre, non solo alla mancata costituzione
dell’opponente, ma pure alla sua costituzione tardiva
conseguirebbe l’esecutività del decreto prevista
dall’art. 647 c.p.c. [tesi recepita costantemente dalla
giurisprudenza, ma a nostro avviso inesatta (v. la parte
conclusiva del par. 5)].
Invero, l’esperienza insegna che,
in caso di opposizione meramente dilatoria, l’opponente
… non si costituisce affatto! Di guisa che il
dimezzamento dei termini di costituzione si risolve
soltanto in un ingiustificato aggravamento della
posizione processuale dell’opponente, che intende
effettivamente contrastare la pretesa del
creditore-ricorrente-opposto.
79 GARBAGNATI, Il procedimento
d’ingiunzione , cit., 151.
Nello stesso senso più recentemente
ANDREOZZI, Sulle conseguenze della riduzione dei termini
di comparizione dell’opposizione a decreto di
ingiunzione, in GI, 2008, 954 ss., par. 3, secondo cui
“la riduzione del termine di comparizione, nel giudizio
di opposizione all’ingiunzione (art. 645, 2° comma,
c.p.c.), trova fondamento nella opportunità del debitore
opponente di radicare rapidamente il contraddittorio ed
anticipare la trattazione dei motivi di opposizione per
poter giungere, nel più breve tempo possibile, alla
pronuncia della sentenza con la quale ottenere la revoca
del decreto”.
80 Così, invece, ritiene
GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, cit.,
151-152, 170-171; ed oggi pure Cass. civ., Sez. un., 9
settembre 2010, n. 19246.
81 V. nota 73.
82 Così sostiene, invece,
GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, cit.,
171-172, secondo cui, inoltre, l’esecutività del decreto
prevista dall’art. 647 c.p.c. conseguirebbe non solo
alla mancata costituzione dell’opponente, ma pure alla
sua costituzione tardiva (abbiamo spiegato nella parte
conclusiva del par. 5 il nostro dissenso rispetto a
questa tesi).
83 Mutatis mutandis, si possono qui
ripetere le parole di CERINO CANOVA, Dell’introduzione
della causa, in Commentario del codice di procedura
civile diretto da Enrico Allorio, II, 1, Torino, 1980,
303, per il quale l’abbreviazione dei termini in
generale appare del tutto contraddittoria, in quanto
comprime il diritto di difesa del convenuto, anticipando
la prima udienza di un processo che verrà definito a
distanza di anni.
Aggiungiamo in questa nota che
l’opinione di Garbagnati sarebbe esatta, se il termine
per comparire nel giudizio di opposizione a decreto
ingiuntivo avesse (contrariamente al solito) natura
acceleratoria (il che non è!) e/o se, in virtù del
dimezzamento stabilito dall’art. 645, 2° comma, c.p.c.,
la disposizione contenuta nell’art. 163 bis, 1° comma,
c.p.c. dovesse leggersi nel senso che “tra il giorno
della notificazione della citazione e quello
dell’udienza di comparizione debbono intercorrere
termini liberi non superiori a …” (il che sarebbe … a
dir poco disinvolto!).
Sulla distinzione-contrapposizione
tra termini dilatori e termini acceleratori v. per tutti
LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, I, cit.,
186.
84 Così esattamente ANDREOZZI,
Sulle conseguenze della riduzione dei termini di
comparizione dell’opposizione a decreto di ingiunzione,
cit., parr. 4-5, anche se quello che abbiamo testè detto
al par. 8, sub A), non ci fa condividere quanto scritto
dal predetto Autore a proposito della ratio dell’art.
645, 2° comma, c.p.c. [“A nostro sommesso avviso, la
riduzione del termine di comparizione, nel giudizio di
opposizione all’ingiunzione (art. 645, 2° comma,
c.p.c.), trova fondamento nella opportunità del debitore
opponente di radicare rapidamente il contraddittorio ed
anticipare la trattazione dei motivi di opposizione per
poter giungere, nel più breve tempo possibile, alla
pronuncia della sentenza con la quale ottenere la revoca
del decreto”]. |