La
Corte Costituzionale, con ordinanza n. 139 dd.
15.04.2001, ha dichiarato inammissibile la questione di
legittimità costituzionale sollevata dal giudice del
Tribunale di Rimini nel giudizio promosso ex art. 44 del
T.U. immigrazione (azione giudiziaria
anti-discriminazione) da una cittadina colombiana
avverso il diniego opposto dall'Azienda Sanitaria di
Rimini alla sua partecipazione ad un concorso pubblico
per assistente amministrativo.
Il giudice aveva rimesso alla Corte
Costituzionale il giudizio sulla legittimità
costituzionale dell'art. 38 del d.lgs. n. 165/2001
(Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche).
La Corte Costituzionale non è entrata nel merito
sull'annosa questione dell'accesso degli stranieri
extracomunitari ai rapporti di pubblico impiego che non
implicano l'esercizio di pubblici poteri ovvero non
hanno attinenza con la tutela degli interessi nazionali
. Innanzitutto la Corte Costituzionale non ha voluto
esprimersi sulla questione dell'asserita incompatibilità
della norma di cui all'art. 38 d.lgs. n. 165/2001,
interpretata nella direzione di impedire l'estensione
anche ai cittadini extracomunitari dell'accesso ai posti
di lavoro nella P.A., con il principio di parità di
trattamento di cui alla Convenzione OIL n. 143/1975.
Secondo la ricorrente, infatti, la norma di diritto
interno risulterebbe incompatibile con una norma di
diritto internazionale avente per tale ragione carattere
sovraordinato e dunque di parametro per la verifica di
legittimità costituzionale della prima, secondo i
criteri di cui alle sentenze della Corte Cost.n. 348 e
349/2007. Il giudice costituzionale ha infatti sostenuto
che tale questione, sebbene sollevata dalle parti, non è
stata eccepita dal giudice a quo, e pertanto, non può
essere oggetto di decisione da parte della Corte.
Inoltre, la Corte ha deciso per l'inammissibilità perché
il giudice di Rimini non ha tentato una doverosa
interpretazione costituzionalmente orientata della norma
impugnata, e questo nonostante egli abbia chiaramente
espresso il suo orientamento volto a ritenere che il
testo della disposizione non precluda in sé l'accesso ai
posti pubblici nella P.A., facendo pure presente come in
altre occasioni il medesimo tribunale di Rimini abbia
già aderito ad un' interpretazione estensiva.
Ne consegue, dunque, che secondo la Corte
Costituzionale, il giudizio incidentale promosso dal
giudice appare improprio in quanto volto ad ottenere
dalla Corte un'interpretazione già ritenuta dal
rimettente come preferibile e costituzionalmente
adeguata.
A cura del Servizio di supporto giuridico contro le
discriminazioni etnico-razziali e religiose. Progetto
ASGI con il sostegno finanziario della Fondazione
italiana a finalità umanitarie Charlemagne ONLUS
ORDINANZA N. 139
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente:
Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio
FINOCCHIARO, Alfonso
QUARANTA, Franco GALLO, Luigi
MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe
TESAURO, Paolo
Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO,
Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale dell’art. 38, comma 1, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme
generali sull’ordinamento del
lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche),
promosso dal Tribunale ordinario
di Rimini nel procedimento vertente
tra Forero Puerta Danis Eunfaly e l’A.U.S.L. di Rimini
con ordinanza del 22 giugno
2010, iscritta al n. 338 del
registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 45, prima
serie speciale, dell’anno 2010.
Visti l’atto di costituzione di
Forero Puerta Danis Eunfaly, nonché l’atto di intervento
del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 22
marzo 2011 il Giudice relatore Paolo Grossi;
uditi gli avvocati Arturo Salerni
per Forero Puerta Danis Eunfaly e l’avvocato dello Stato
Maurizio Borgo per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che, nel corso di un
giudizio introdotto ex articolo 44 del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico
delle disposizioni concernenti la
disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione
dello straniero), da una cittadina
colombiana – che chiede di essere
ammessa al concorso pubblico per l’assunzione di un
assistente amministrativo cat.
C indetto dalla AUSL di Rimini,
previo accertamento del carattere discriminatorio del
comportamento tenuto dalla
Azienda Ospedaliera, consistente
nella avvenuta esclusione dal suddetto concorso per
difetto della cittadinanza italiana
o della cittadinanza di uno dei
Paesi UE – il Tribunale di Rimini, in funzione di
giudice del lavoro, con ordinanza emessa
il 22 giugno 2010, ha sollevato
(per contrasto con gli articoli 4 e 51 della
Costituzione) questione di legittimità
costituzionale dell’articolo 38,
comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165
(Norme generali sull’ordinamento
del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche), nella parte in cui,
contrariamente a quanto previsto per i
cittadini appartenenti agli Stati
membri dell’Unione Europea, «non consente di estendere
l’accesso ai posti di lavoro
presso le amministrazioni pubbliche
anche ai cittadini extracomunitari»;
che il rimettente premette di avere
ordinato inaudita altera parte alla AUSL di Rimini di
ammettere la ricorrente al
concorso pubblico di cui è causa,
con decisione – adottata «in applicazione del chiaro
disposto sul punto della norma
censurata» – «coerente con la
recente giurisprudenza del Tribunale di Rimini che […]
che in un caso analogo aveva
ritenuto come l’accesso alla
occupazione dovesse essere garantito allo stesso modo al
cittadino italiano ed allo straniero
anche nei posti di lavoro
all’interno della pubblica amministrazione salvo che
l’attività lavorativa non comporti esercizio
diretto od indiretto di pubblici
poteri ovvero attenga alla tutela di interessi
nazionali»;
che tuttavia – essendo stata
esclusa dalla difesa della AUSL resistente la
possibilità di una interpretazione estensiva
della norma censurata che consenta
di accedere ai posti di lavoro nella P.A., che non
implicano esercizio diretto o
indiretto di pubblici poteri,
ovvero non attengono alla tutela dell’interesse
nazionale, anche ai cittadini extracomunitari – il
rimettente osserva che, «secondo
tale tesi», l’articolo censurato, «in quanto destinato a
regolare una materia specifica
quale è l’accesso al lavoro alle
dipendenze della pubblica amministrazione, non sarebbe
superabile in base al canone
ermeneutico dell’incompatibilità
con la disciplina sui lavoratori immigrati dettata dal
d.lgs. n. 286 del 1998: il cui art. 3 in
ogni caso, sancendo in generale
parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti per
i lavoratori extracomunitari rispetto
ai lavoratori italiani, non
tutelerebbe anche i cittadini stranieri in attesa di
occupazione»; e quindi l’esclusione dal
concorso della ricorrente non
potrebbe configurare una ipotesi di comportamento
discriminatorio;
che, secondo il rimettente, «tale
interpretazione restrittiva» (condivisa anche da
Cassazione, sezione lavoro, 13
novembre 2006, n. 24170) fa sì che
la norma censurata si ponga in contrasto con l’art. 51
della Costituzione che
garantisce il diritto di tutti i
cittadini ad accedere agli uffici pubblici ed alle
cariche elettive in condizioni di eguaglianza,
secondo i requisiti stabiliti dalla
legge, nonché con l’art. 4 Cost., che, tutelando il
diritto al lavoro, inibisce che vengano
operate interpretazioni che abbiano
l’effetto di impedirne o comunque comprimerne
l’esercizio, creando ingiustificate
disparità di trattamento
esclusivamente in ragione della diversa nazionalità del
lavoratore (come affermato anche da
questa Corte, nella sentenza n. 454
del 1998, che ha riconosciuto ai lavoratori
extracomunitari che fruiscono di idoneo
permesso di soggiorno il godimento
di tutti i diritti riconosciuti ai lavoratori italiani,
affermando la piena parità di
trattamento e la piena uguaglianza
di diritti rispetto ai lavoratori italiani);
che si è costituita la ricorrente
nel giudizio principale, la quale – ricordato il
precedente di cui alla sentenza n. 454 del
1998 e rilevato che la citata
pronuncia della Cassazione è stata costantemente
disattesa dai giudici di merito –, pur
ritenendo che la limitazione di
accesso di cui alla norma censurata «sia superabile in
base ai canoni ermeneutici
dell’incompatibilità con fonti
normative successive e di rango superiore, aderisce alle
censure di legittimità costituzionale
prospettate dal giudice a quo»,
deducendo altresì la violazione degli artt. 2, 3 e 10
Cost., della Convenzione della
organizzazione internazionale del
lavoro 24 giugno 1975, n. 143 (Convenzione sulle
migrazioni in condizioni abusive e
sulla promozione della parità di
opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti,
ratificata dalla legge 10 aprile 1981,
n. 158, recante «Ratifica ed
esecuzione delle convenzioni numeri 92, 133 e 143
dell’Organizzazione»), nonché dell’art.
15 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea;
che è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato,
concludendo per la manifesta
infondatezza della questione, giacché è proprio l’art.
51 della Costituzione a garantire ai
cittadini l’accesso ai pubblici
uffici ed alle cariche elettive in condizioni di
eguaglianza e secondo i requisiti stabiliti dalla
legge, presupponendo come
connaturale nel solo cittadino – e non nello straniero –
il legame di solidarietà con lo Stato
per l’attuazione dell’interesse
pubblico;
che, inoltre, la difesa erariale
evidenzia che anche in ambito comunitario analoga
esclusione è prevista, per i cittadini
comunitari, dall’art. 48 del
Trattato 25 marzo 1957 (Trattato che istituisce la
Comunità europea), che, nell’affermare il
principio della libera circolazione
dei lavoratori all’interno della Comunità, dispone
espressamente sulla inapplicabilità di
tale principio agli impieghi nella
pubblica amministrazione; laddove, la Corte di giustizia
europea (decisione del 17
dicembre 1980, causa 149/79) ha
affermato che devono rientrare nell’esclusione tutti
quei posti che implicano in maniera
diretta o indiretta la
partecipazione all’esercizio dei pubblici poteri ed alle
mansioni che hanno ad oggetto la tutela degli
interessi generali dello Stato o
delle altre collettività pubbliche, in quanto
presuppongono l’esistenza di un rapporto
particolare di solidarietà nei
confronti dello Stato, nonché la reciprocità di diritti
e doveri che costituiscono il fondamento
del vincolo di cittadinanza.
Considerato che il Tribunale
ordinario di Rimini, in funzione di giudice del lavoro,
censura l’articolo 38, comma 1, del
decreto legislativo 30 marzo 2001,
n. 165 (recante «Norme generali sull’ordinamento del
lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche»), nella
parte in cui, contrariamente a quanto previsto per i
cittadini appartenenti agli Stati
membri dell’Unione europea, «non
consente di estendere l’accesso ai posti di lavoro
presso le amministrazioni pubbliche
anche ai cittadini
extracomunitari»;
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