In sede liquidazione del danno per la perdita della
vita, spettante, iure hereditatis, agli eredi della
vittima quale personalizzazione della voce di danno
morale, qualora l'attore non abbia ritenuto di poter
accedere all'espletamento di una consulenza tecnica tesa
alla determinazione del c.d. valore di una vita
statistica, dovrà farsi riferimento ad una soluzione
minima che utilizzi il criterio tabellare utilizzato dal
Tribunale giudicante come rapportato ad un soggetto
recante un'invalidità del 100%.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI PADOVA
SECONDA SEZIONE CIVILE
Il Giudice Dott. Elisa Rubbis ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta a ruolo il
6.2.2008 al n. 1241/08 R.G., promossa con atto di
citazione notificato in data 12.2.2008 da Aiut. Uff.
Giud. del Tribunale di Padova
Da
Co.Ca.,
Co.Gi.,
Co.Ma.,
-
Attori -
rappresentati e difesi come da mandato a margine
dell'atto di citazione dall'avv. Or.Te. con studio in
Piombino Dese, via (...) c/o avv. N. De.
Contro
Cr.Ma.,
-
Convenuto -
rappresentato e difeso come da mandato in calce alla
copia notificata dell'atto di citazione dagli avv.ti
Li.Ri. e Gr.Ri. con studio in Padova, via (...)
Oggetto: Altre ipotesi di responsabilità
extracontrattuale.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con atto di citazione notificato il 12/2/2008 Co.Ca.,
Co.Gi. e Co.Ma., quali eredi della compianta Lorenza
Annunziata, rispettivamente loro moglie e madre,
convenivano in giudizio, avanti al Tribunale di Padova,
il dott. Cr.Ma. al fine di sentirlo condannare alla
refusione dei danni che si assumevano patiti in
relazione alla morte della loro congiunta a seguito di
un intervento chirurgico. La Sig. Lo.An. in data
21/2/2000 alle ore 18.10 si era sottoposta ad
artroprotesi totale dell'anca destra ad opera del Prof.
Cr. Dopo l'operazione terminata alle 21.10, si manifestò
una perdurante emorragia, sicché si rese necessario
rioperare la paziente per suturare il vaso venoso iliaco
destro, danneggiato dal primo intervento.
Lo shock emorragico si rivelò irreversibile, per cui,
alle ore 5,15 del 22 febbraio, cioè otto ore dopo la
conclusione dell'artroprotesi, la Sig. An. decedette. A
seguito dell'accertata responsabilità penale del dott.
Cr., gli attori instauravano il presente giudizio per
vedere riconosciuto il danno, biologico, morale e
patrimoniale agli stessi conseguito per complessive Euro
1.245.359,20, con gli interessi di legge e la
rivalutazione monetaria dal sorgere dell'obbligazione
all'effettivo soddisfo, oltre a vittoria di spese. Si
costituiva il Prof. Cr.Ma. non contestando l'an
debeatur, ma rilevando l'abnormità delle pretese
attoree.
Sulla base della documentazione agli atti e delle
deduzioni delle parti, risulta provata e comunque
pacifica la responsabilità professionale medica del
convenuto.
Infatti risulta acclarata una responsabilità per colpa,
in particolare per negligenza, del Prof. Cr., consistita
nel porre in essere una manovra tecnica incongrua, ossia
un eccessivo affondamento della punta del trapano una
volta superata la corticale interna dell'osso del bacino
da cui derivava la morte della Sig. Lo.An., come
conseguenza irreversibile allo shock emorragico causato
dalla lesione venosa.
La presente controversia riguarda, pertanto, la sola
liquidazione dei danni pretesi dagli attori.
In ordine al quantum si osserva che le pretese attoree
hanno riguardato:
il danno biologico permanente ed il danno morale
soggettivo cc. dd. terminali da intendersi patiti dalla
defunta e quindi richiesti iure hereditatis;
il danno biologico da morte iure proprio;
il danno patrimoniale.
A
titolo personale gli attori tutti, sia pure a diverso
grado per il correlativo livello di prossimità, hanno
reclamato il risarcimento del danno non patrimoniale di
carattere morale per la perdita della congiunta, oltre
che quello per la perdita del rapporto parentale. La
pretesa attorea trova il suo fondamento nella lesione
del dritto a conservare e coltivare la relazione
parentale e, quindi, a godere nel quotidiano di
quell'insieme di relazioni a presidio delle quali si
collocano gli artt. 2, 29 e 30 della Costituzione, fermo
restando che, secondo la tassonomia approntata dalla
Cassazione (sentenza 31/5/2003, n. 8827 e 8828), in
questa sede, oltre al profilo esterno della perdita
della relazione parentale, non si può prescindere dal
dare adeguata valutazione anche alla lesione di
carattere interno connessa alla sofferenza patita per la
perdita del congiunto. Come è noto ai più il sistema del
danno non patrimoniale è stato riplasmato in toto dalle
ridette sentenze nn. 8828/2003 e 8827/2003, cui poi ha
fatto seguito la sentenza 233/2003 della Corte
Costituzionale (cfr. da ultime Cass. 16/3/2005, n. 5677;
15/1/2003, n. 729; Cass. 136/2006, n. 13546; 12/2006, n.
15760; Sez. Un. 11/1/2008, n. 26972/26973/26974/26975),
finendo per riassorbire nell'alveo dell'art. 2059 c.c.
anche il danno alla salute.
In breve, dando seguito ideale alla sentenza 87/79 del
Giudice delle Leggi, sul presupposto della diretta
operatività delle norme costituzionali sul piano dei
rapporti orizzontali la Cassazione ha dato piena
cittadinanza a lesioni attinenti valori della persona
costituzionalmente garantiti nell'ambito di una
rilettura in chiave costituzionale dell'art. 2059 c.c.
In questo modo, fermo il principio di tipicità dei danni
non patrimoniali inteso con riferimento al bene leso, si
è operata, mediante un diverso ancoraggio
costituzionale, una netta distinzione tra danno
biologico tutelato dall'art. 32 Cost., danno morale
soggettivo connesso a tutte le forme di sentire interno
(sofferenza e patimenti) o di lesione all'integrità
morale legati all'art. 2 cost. e danno connesso alla
lesione di altri valori della persona di rango
costituzionale (perdita del rapporto parentale, lesione
della serenità familiare, art. 2, 29 e 30 cost.).
Ora al di là degli schemi classificatori è indubitabile
che all'interno del danno non patrimoniale oltre al
pretium doloris connesso al danno morale,
tradizionalmente legato ai fatti di reato, e al danno
biologico esiste un vasto territorio di pregiudizi non
bagatellari che attentano ai diritti alla persona di
indubbio rilievo costituzionale.
Per completezza espositiva occorre precisare che la
giurisprudenza ha escluso la sussistenza del danno in re
ipsa: il danno da lesione del rapporto parentale, si
afferma appartenere al genere "danni conseguenza".
Pertanto spetta al soggetto leso l'onere della prova del
danno subito.
La Suprema Corte ritiene che per il danno non
patrimoniale quest'onere sia meno gravoso e che "la
dimostrazione del disagio e del turbamento sarà data con
l'impiego di presunzioni e molto spesso soltanto di
allegazioni. Il pregiudizio non è mai in re ipsa, nel
senso che sarebbe coincidente con la lesione
dell'interesse".
La liquidazione del danno al rapporto parentale dovrà
avvenire con il criterio equitativo di cui all'art. 1226
c.c., tenendo conto del particolare legame affettivo
degli attori, marito e figli, con la vittima.
Il Tribunale ritiene di seguire le indicazioni espresse
sul punto dall'Osservatorio sulla Giustizia civile di
Milano, le quali si concretano nel disancorare la
liquidazione del danno al rapporto parentale da un
ipotetico danno biologico della vittima e commisurarlo
agli indici già richiamati, ivi compresa la particolare
intensità della relazione affettiva.
Nel caso di specie, il Tribunale, peraltro, deve
fronteggiarsi con allegazioni alquanto ridotte da parte
degli attori, risultando indicato (e non contestato dal
convenuto) unicamente che la defunta conviveva con i
figli, mentre non conviveva con il marito separato dal
1990.
Altri elementi circa i rapporti familiari, la
frequentazione, l'esistenza di legami esterni non sono
stati forniti, sicché l'unico elemento con cui il
Tribunale si deve misurare è quello del rapporto di
convivenza.
Ora tenuto conto dell'età della vittima (56 anni), è
presumibile che nel breve periodo la defunta avrebbe
continuato a convivere con i figli, mentre non avrebbe
più convissuto con il marito dal quale era separata fin
dal 1990.
Tale fatto induce a liquidare il danno non patrimoniale
richiesto in proprio dagli attori nella misura di Euro
150.000,00 in favore di Co.Gi. e nella misura di Euro
150.000,00 in favore di Co.Ma.
A
favore di Co.Ca. si rende inevitabile una stima assai
più prudenziale, nella misura di Euro 75.000,00, pari
cioè al 50% del valore standard riconosciuto al coniuge
convivente. Queste somme sono in valore attuale.
Peraltro se debbono essere evitate duplicazioni
risarcitone mediate l'attribuzione di somme separate e
diverse in relazione alle diverse voci (sofferenza
morale, danno alla salute, danno estetico ecc.) i danni
non patrimoniali debbono comunque essere integralmente
risarciti, nei casi in cui la legge ne ammette la
riparazione, nel senso che il giudice, nel liquidare la
somma spettante al danneggiato deve tenere conto dei
diversi aspetti in cui il danno di atteggia nel caso
concreto.
Quanto al danno c.d. tanatologico, si deve tener conto,
nel quantificare la somma dovuta in risarcimento dei
danni morali, anche della sofferenza psichica subita
dalla vittima di lesioni fisiche alle quali sia seguita
dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida
durante l'agonia, in consapevole attesa della fine", sì
da evitare "il vuoto di tutela determinato dalla
giurisprudenza di legittimità che nega .. il
risarcimento del danno biologico per la perdita della
vita".
Il Giudice deve cioè personalizzare la liquidazione
dell'unica somma dovuta in risarcimento dei danni
morali, tenendo conto anche del c.d. tanatologico, ove i
danneggiati ne facciano specifica e motivata richiesta e
le circostanze del caso concreto ne giustifichino la
rilevanza (cfr. Cass. civ., sez. III, 8/4/2010, n.
8360).
Nel caso di specie la sfortunata Sig. An.Lo. risulta
deceduta dopo circa 8 - 11 ore dalla lesione vascolare
venosa, subendo uno shock emorragico irreversibile.
Dalla relazione peritale prodotta dagli attori quale
loro doc. 2 emerge inequivocabilmente che "i sistemi
circolatori coronario, cerebrale e surrenalico sono gli
ultimi ad essere colpiti dallo shock. Questi vengono
compromessi quando la pressione arteriosa sistolica
scende sotto i 70 mm. Hg. Lo shock si divide in tre
stadi: uno stadio non progressivo, uno stadio
progressivo ed uno stadio irreversibile. Lo stadio non
progressivo è la fase compensatoria causata dai
meccanismi di controllo a feedback negativo della
circolazione. Questi meccanismi fanno sì che l'output
cardiaco e la pressione arteriosa rimangano a livelli
normali. Questo stadio è caratterizzato da tachicardia,
pallore e sudorazione. Nello stadio progressivo dello
shock si ha un peggioramento progressivo fino
all'exitus, se non si provvede mediante adeguata
terapia. Nello stadio irreversibile lo shock non può più
essere arrestato con le terapie attualmente disponibili
e l'exitus è certo".
Tali considerazioni medico - legali sono sufficienti a
far ritenere comprovata la circostanza che,
nell'apprezzabile lasso di tempo di permanenza in vita
rispetto al momento della verificatasi lesione fisica,
la vittima primaria abbia potuto percepire le
conseguenze dell'evento subito.
In casi come quello oggi all'esame del Tribunale, più
che di un danno biologico spettante iure hereditatis
agli eredi della vittima, quello che viene in primo
luogo in considerazione è proprio il danno per la
perdita della vita. Più in chiaro, se il danno alla
salute, inteso come attentato all'integrità psicofisica,
può essere apprezzato al termine del periodo di malattia
in termini di perdita permanente della possibilità di
fruire di quell'insieme di funzioni dell'essere umano,
indipendentemente dall'attitudine a produrre reddito, in
caso di lesione cui consegua la morte della vittima ciò
che si risarcisce è proprio la perdita del bene vita. Ne
discende che, in riferimento alle domande attoree come
sopra specificate, va riconosciuto agli attori, in via
di ulteriore personalizzazione degli importi loro
attribuiti come sopra considerati, sulla scorta dei
criteri di valutazione del danno alla persona in uso
presso il Tribunale di Milano, condivisi da questo
Tribunale, la ulteriore somma complessiva di Euro
798.997,00 ai valori attuali, da ripartirsi tra gli
eredi in ragione di Euro 266.332,33 ciascuno. Non
diversamente deve essere riconosciuto, sempre iure
hereditario, agli attori il pregiudizio morale
soggettivo, inteso come pretium doloris, sofferto dalla
sfortunata Lo.An., le cui lesioni hanno determinato il
protrarsi della sua agonia per 8 - 11 ore.
Anche in tale evenienza, stante la rilevanza penalistica
della condotta e della colpa in concreto del convenuto,
non può disconoscersi una siffatta voce di pregiudizio,
affatto diversa da quella sopra indicata. Ciò perché
questa voce di danno mira ad assicurare un ristoro -
sanzione rispetto al dato ben circostanziato della
sofferenza percepita a causa di un fatto di reato, non
senza considerare l'intensità connessa alla percezione
del pericolo imminente da parte della vittima primaria.
Intensità della sofferenza da intendersi massima,
proprio perché accompagna progressivamente l'individuo
verso il decesso.
Tale voce di danno , tenuto conto dei limiti del petitum
richiesto e comunque della non eccessiva durata della
sopravvivenza in agonia, può essere liquidata nella
misura di Euro 50.000,00, pari ad Euro 16.666,66 per
ciascun attore.
Gli importi indicati, pari a complessivi Euro
1.223.997,00, dovranno essere corrisposti agli eredi nei
limiti delle rispettive quote ereditarie, attribuendo:
in favore di Co.Ca. Euro 357.998,99 (Euro 75.000,00 +
16.666,66 + 266.332,33);
in favore di Co.Gi. Euro 432.998,99 (Euro 150.000,00 +
16.666,66 + 266.332,33);
in favore di Co.Ma. Euro 432.998,99 (Euro 150.000,00 +
16.666,66 + 266.332,33).
Invero, quanto al criterio di liquidazione del danno per
la perdita della vita, non avendo gli attori ritenuto di
poter accedere all'espletamento di una consulenza
tecnica volta alla determinazione del c.d. valore di una
vita statistica, l'unica via percorribile è quella da
intendersi come soluzione minima, che utilizzi il
criterio tabellare in uso riferito ad un soggetto con
un'invalidità al 100%. Una diversa soluzione finirebbe
per apprezzare in termini riduttivi la lesione della
vita rispetto ad una lesione, sì grave, ma tale da
offrire, sia pure in condizioni di menomazione, una
spettanza di vita.
Gli attori non hanno, per contro, fornito alcuna prova
in ordine alla sussistenza ed all'ammontare del danno
patrimoniale. La Sig. An. era invalida civile ed
usufruiva della relativa pensione, che certamente
utilizzava per le sue necessità di vita. Gli attori non
hanno provato, nonostante le specifiche contestazioni
avversarie, né l'ammontare della pensione, né se una
parte di essa, e quale, venisse devoluta ai figli adulti
o, in estrema ipotesi, al marito giudizialmente separato
da almeno quindici anni. Per tale voce di danno la
domanda attorea va, quindi, sicuramente rigettata.
Sulle somme così riconosciute, inoltre, spettano gli
interessi al tasso ex art. 1284 c.c. dalla presente
decisione al saldo. Osserva il giudicante come la
determinazione all'attualità del danno alla persona e la
rivalutazione del danno non patrimoniale siano in grado
di ripristinare, sia pure in forma di equivalente
pecuniario, il valore spettante al creditore. Infatti,
come da tempo rilevato dalla Cassazione nell'ambito dei
debiti di valore non è possibile provvedere al computo
degli interessi sul capitale interamente rivalutato,
posto che così facendo si finisce per attribuire il
corrispettivo per la tardiva erogazione del dovuto
(evitando che di tale ritardo possa avvantaggiarsi il
debitore lucrando interessi o evitando gli oneri
connessi al ricorso al mercato del credito), ossia gli
interessi comunemente denominati compensativi, su un
valore affatto diverso da quello da ripristinare,
dovendo per contro farsi riferimento alla somma via via
rivalutata di anno in anno (cfr. Cass. 28/11/1995, n.
12304; sez. un. 17/2/1995, n. 1712).
Sta di fatto che negli interventi più recenti la
Cassazione, nel rimarcare la distinzione sul piano
funzionale tra rivalutazione ed interessi, ha
evidenziato che, in assenza di allegazione e di prova,
sia pure mediante il ricorso ad elementi di carattere
presuntivo, in ordine al pregiudizio derivante dalla
tardiva disponibilità del dovuto rispetto al tasso di
svalutazione della moneta, non è possibile riconoscere
gli interessi, che costituiscono una modalità
liquidatoria del danno da lucro cessante.
Da tanto discende che in assenza di allegazione circa il
divario tra redditività media del denaro e tasso di
svalutazione nel periodo in considerazione non sarà
possibile riconoscere in via automatica gli interessi in
aggiunta alla già disposta rivalutazione del credito
(cfr. Cass. 13/2/2008, n. 3268).
Le spese di lite, liquidate come da dispositivo seguono
la soccombenza. Sentenza provvisoriamente esecutiva per
legge.
P.Q.M.
Il Tribunale di Padova, in composizione monocratica,
definitivamente pronunciando sulla domanda proposta con
atto di citazione del 12/2/2008 da Co.Ca., Co.Gi. e
Co.Ma. contro Cr.Ma., così provvede:
Accertata la responsabilità professionale medica del
convenuto Cr.Ma. in relazione al decesso di An.Lo.,
determinati ai valori attuali i danni non patrimoniali
come da motivazione, condanna Cr.Ma. al pagamento, a
titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali
riconosciuti, in favore di Co.Ca. Euro 357.998,99; in
favore di Co.Gi., Euro 432.998,99; in favore di Co.Ma.
Euro 432.998,99, oltre gli interessi al tasso di legge
ex art. 1224 c.c. dal momento della decisione al saldo;
Rigetta, per il resto, le ulteriori domande attoree.
Condanna il convenuto alla rifusione, in favore degli
attori, delle spese di lite, liquidate, in assenza di
nota, in Euro 200,00 per spese, Euro 2.700,00 per
diritti ed Euro 7.000,00 per onorari, oltre spese
generali e accessori di legge.
Così deciso in Padova il 3 novembre 2010.
Depositata in Cancelleria il 16 marzo 2011.
|