“il Giudice del domicilio
dell’imputato”, Cassazione penale numero 964 del 2011
Con sentenza depositata il 26
aprile, la Cassazione penale, ha ritenuto che rispetto
all’offesa della reputazione altrui realizzata via
internet, ai fini dell’individuazione della competenza,
sarebbero “inutilizzabili criteri oggettivi unici,
quali, ad esempio, quelli di prima pubblicazione, di
immissione della notizia nella rete, di accesso del
primo visitatore”.
Non sarebbe “neppure utilizzabile
quello del luogo in cui è situato il server (che può
trovarsi n qualsiasi parte del mondo), in cui il
provider alloca la notizia”.
In definitiva, in assenza dei
predetti criteri “è necessario fare ricorso ai criteri
suppletivi … ossia al luogo di domicilio dell’imputato”.
Di seguito, la motivazione della
sentenza (qui i primi rilievi critici):
“Il reato di diffamazione è un
reato di evento, inteso quest’ultimo come avvenimento
esterno all’agente e causalmente collegato al
comportamento di costui.
Si tratta di evento non fisico, ma,
per così dire, psicologico, consistente nella percezione
da parte del terzo (rectius dei terzi) della espressione
offensiva, che si consuma non al momento della
diffusione del messaggio offensivo, ma al momento della
percezione dello stesso da parte di soggetti che siano
“terzi” rispetto all’agente ed alla persona offesa.
Come questa Corte ha già avuto modo
di affermare (Sez. V, 17 novembre 2000 n. 4741),
l’immissione di scritti lesivi dell’altrui reputazione
nel sistema internet integra il reato di diffamazione
aggravata (art. 595, comma 3, cod. proc. Pen.). Esso si
consuma anche se la comunicazione con più persone e/o la
percezione da parte di costoro del messaggio non siano
contemporanee (alla trasmissione) e contestuali (tra di
loro), ben potendo i destinatari trovarsi persino a
grande distanza gli uni dagli altri ovvero dall’agente.
Ma, mentre, nel caso di diffamazione commesso, ad
esempio, a mezzo posta, telegramma o e-mail, è
necessario che l’agente compili e spedisca una serie di
messaggi a più destinatari, nel caso in cui egli crei o
utilizzi uno spazio web, la comunicazione deve
intendersi effettuata potenzialmente erga omnes, sia
pure nel ristretto – ma non troppo – ambito di tutti
coloro che abbiano gli strumenti, la capacità tecnica e,
nel caso di siti a pagamento, la legittimazione, a
connettersi (Sez. V, 21 giugno 2006 n. 25875; Sez. V, 17
novembre 2000 n. 4741).
Occorre, in proposito, precisare
che il provider mette a disposizione dell’utilizzatore
(nel caso in esame la testata editoriale o
giornalistica) uno spazio web allocato presso un server
(che può trovarsi ovunque); peraltro, l’inserimento dei
dati in questo spazio non comporta alcuna ulteriore
attività da parte del fornitore di servizi internet né
di altro soggetto.
Una volta inserite le informazioni,
non si verifica alcuna “diffusione” delle stesse;
infatti i dati inseriti non partono dal server verso
alcuna destinazione, ma rimangono immagazzinati a
disposizione dei singoli utenti che vi possono accedere,
attingendo dal server e leggendoli al proprio terminale.
Ne consegue che, quand’anche esista
un preciso luogo di partenza (il server) delle
informazioni, lo stesso non coincide con quello di
percezione delle espressioni offensive e, quindi, di
verificazione dell’evento lesivo, da individuare nel
luogo in cui il collegamento viene attivato.
Il sito web sul quale viene
effettuata l’immissione è, per sua natura, destinato ad
essere normalmente visitato da un numero indeterminato
di soggetti, pertanto nell’ipotesi (come nella
fattispecie sottoposta all’esame della Corte) in cui un
giornale sia redatto in forma telematica, deve
necessariamente presumersi che all’immissione faccia
seguito, in tempi assai ravvicinati, il collegamento da
parte di lettori, non diversamente da quanto deve
presumersi nel caso di un tradizionale giornale a
stampa.
Pertanto, quando una notizia
risulti immessa sul sito web – da ricomprendere nella
nozione di mezzo di comunicazione di massa al pari degli
strumenti cartacei, radiofonici, televisivi, ecc. – la
diffusione della stessa, secondo un criterio che la
nozione stessa di pubblicazione impone, deve presumersi,
fino a prova del contrario. Il principio non può
soffrire eccezione per quanto riguarda i siti web,
atteso che l’accesso ad essi è solitamente libero e, in
genere, frequente (sia esso di elezione o meramente
casuale), sicché l’immissione di notizie o immagini in
rete integra la ipotesi di offerta delle stesse in
incertam personam e, dunque, implica la fruibilità da
parte di un numero solitamente elevato (ma difficilmente
accertabile) di utenti (cfr. in tal senso Sez. V, 4
aprile 2008, n. 16262).
Sulla base di tali premesse può,
quindi, riaffermarsi che il locus commissi delicti della
diffamazione telematica è da individuare in quello in
cui le offese e le denigrazioni sono percepite da più
fruitori della rete e, dunque, nel luogo in cui il
collegamento viene attivato e ciò anche nel caso in cui
il sito web sia stato registrato all’estero, purché
l’offesa sia stata percepita da più fruitori che si
trovano in Italia.
Sulla base di quanto sinora
esposto, è possibile affermare, in armonia con i
principi già espressi da questa Corte (Sez. Un. Civ. 13
ottobre 2009, n. 21661), che rispetto all’offesa della
reputazione altrui realizzata via internet, ai fini
dell’individuazione della competenza, sono
inutilizzabili, in quanto di difficilissima, se non
impossibile individuazione, criteri oggettivi unici,
quali, ad esempio, quelli di prima pubblicazione, di
immissione della notizia nella rete, di accesso del
primo visitatore.
Per entrambe le ragioni esposte non
è neppure utilizzabile quello del luogo in cui è situato
il server (che può trovarsi n qualsiasi parte del
mondo), in cui il provider alloca la notizia.
Ne consegue che non possono trovare
applicazione né la regola stabilita dell’art’8 cod.
proc. pen. né quella fissata dall’art 9, comma 1, cod.
proc. pen. (…) con la conseguenza che è necessario fare
ricorso ai criteri suppletivi fissati dal secondo comma
del predetto art. 9 cod. proc. pen., ossia al luogo di
domicilio dell’imputato che, nel caso di specie, è a
Sassari” (presidente Maria Cristina Siotto, relatore
Paola Piraccini |