Avv. Paolo Nesta


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DA DISAPPLICARE IL REATO DI CLANDESTINITA' " Corte Giustizia UE, 28 aprile 2011, n. 40 pres. Tizzano, rel. Ilesic - causa C-61/11PPU-Persona e danno.it

 

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Pubblichiamo il comunicato stampa e la sentenza con cui questa mattina la Corte di giustizia dell'Unione europea ha annunciato la propria decisione nel procedimento urgente El Dridi, relativo alla questione pregiudiziale posta dalla Corte d'Appello di Trento relativa alla (in)compatibilità del delitto di cui all'art. 14 co. 5 ter t.u. imm. con la disciplina della direttiva 2008/115/CE (c.d. direttiva rimpatri), il cui termine di attuazione era invano scaduto il 24 dicembre scorso. La sentenza 28 aprile 2011 della Prima sezione della Corte di giustizia dell'UE nel procedimento C61/11 PPU, avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, proposta dalla Corte d’appello di Trento, con ordinanza 2 febbraio 2011, pervenuta in cancelleria il 10 febbraio 2011, nel procedimento penale a carico di Hassen El Dridi, alias Soufi Karim, dichiara che la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008, 2008/115/CE, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, in particolare i suoi artt. 15 e 16, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella dell'art. 14, comma 5-ter del testo unico delle leggi sull'immigrazione, approvato con d. lgs. n. 286/1998, che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo.

 

La Corte afferma la diretta applicabilità delle disposizioni della direttiva nell'ordinamento italiano, non essendo essa stata recepita dall'Italia e riguardando i casi nei quali l'obbligo di rimpatrio dello straniero in condizione di soggiorno irregolare deriva non già dalla sentenza di un giudice per un reato commesso, bensì da un provvedimento amministrativo di espulsione disposto dal Prefetto. Perciò la Corte afferma che al giudice nazionale spetta disapplicare ogni disposizione del decreto legislativo n. 286/1998 contraria al risultato della direttiva 2008/115, segnatamente l’art. 14, comma 5ter, di tale decreto legislativo e dovrà tenere debito conto del principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite, il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri.

 

Nella sentenza della Corte si afferma altresì che mentre la direttiva prescrive la concessione di un termine per la partenza volontaria, compreso tra i sette e i trenta giorni, il decreto legislativo n. 286/1998 non prevede una tale misura.

 

La sentenza ricorda che la successione delle fasi della procedura di rimpatrio stabilita dalla direttiva 2008/115 corrisponde ad una gradazione delle misure da prendere per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, gradazione che va dalla misura meno restrittiva per la libertà dell’interessato – la concessione di un termine per la sua partenza volontaria – alla misura che maggiormente limita la sua libertà – il trattenimento in un apposito centro –, fermo restando in tutte le fasi di detta procedura l’obbligo di osservare il principio di proporzionalità e che perfino il ricorso a quest’ultima misura, la più restrittiva della libertà che la direttiva consente nell’ambito di una procedura di allontanamento coattivo, appare strettamente regolamentato, in applicazione degli artt. 15 e 16 di detta direttiva, segnatamente allo scopo di assicurare il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini interessati dei paesi terzi: il principio di proporzionalità esige che il trattenimento di una persona sottoposta a procedura di espulsione o di estradizione non si protragga oltre un termine ragionevole, vale a dire non superi il tempo necessario per raggiungere lo scopo perseguito. Secondo tale principio, il trattenimento ai fini dell’allontanamento deve essere quanto più breve possibile.

 

La Corte afferma che gli Stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo conformemente all’art. 8, n. 4, di detta direttiva, una pena detentiva, come quella prevista all’art. 14, comma 5ter, del decreto legislativo n. 286/1998, solo perché un cittadino di un paese terzo, dopo che gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio di uno Stato membro e che il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare nel territorio nazionale.

 

Essi devono, invece, continuare ad adoperarsi per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, che continua a produrre i suoi effetti. Tale pena, infatti, segnatamente in ragione delle sue condizioni e modalità di applicazione, rischia di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito da detta direttiva, ossia l’instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare.

 

Peraltro la Corte ammette che ciò non esclude la facoltà per gli Stati membri di adottare, nel rispetto dei principi della direttiva 2008/115 e del suo obiettivo, disposizioni che disciplinino le situazioni in cui le misure coercitive non hanno consentito di realizzare l’allontanamento di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sul loro territorio sia irregolare.

 

Fonte: Curia.eu.it

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

28 aprile 2011(*)

«Spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia – Direttiva 2008/115/CE –

Rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – Artt. 15 e 16

– Normativa nazionale che prevede la reclusione per i cittadini di paesi terzi in

soggiorno irregolare in caso di inottemperanza all’ordine di lasciare il territorio

di uno Stato membro – Compatibilità»

Nel procedimento C-61/11 PPU,

avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi

dell’art. 267 TFUE, proposta dalla Corte d’appello di Trento, con ordinanza 2

febbraio 2011, pervenuta in cancelleria il 10 febbraio 2011, nel procedimento

penale a carico di

Hassen El Dridi, alias Soufi Karim,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. A. Tizzano, presidente di sezione, dai sigg. J.-J. Kasel,

M. Ilešič (relatore), E. Levits e M. Safjan, giudici,

avvocato generale: sig. J. Mazák

cancelliere: sig.ra A. Impellizzeri, amministratore

vista la domanda del giudice del rinvio del 2 febbraio 2011, pervenuta alla

Corte il 10 febbraio 2011 e integrata l’11 febbraio 2011, di sottoporre il rinvio

pregiudiziale a procedimento d’urgenza, a norma dell’art. 104 ter del

regolamento di procedura della Corte,

vista la decisione della Prima Sezione del 17 febbraio 2011 di accogliere la

suddetta domanda,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 30 marzo

2011,

considerate le osservazioni presentate:

– per il sig. El Dridi, dagli avv.ti M. Pisani e L. Masera;

– per il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente,

assistita dal sig. L. D’Ascia, avvocato dello Stato;

– per la Commissione europea, dalla sig.ra M. Condou-Durande e dal

sig. L. Prete, in qualità di agenti,

sentito l’avvocato generale,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli

artt. 15 e 16 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16

dicembre 2008, 2008/115/CE, recante norme e procedure comuni applicabili

negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è

irregolare (GU L 348, pag. 98).

2 Detta domanda è stata proposta nell’ambito di un procedimento a carico

del sig. El Dridi, il quale è condannato alla pena di un anno di reclusione per il

reato di permanenza irregolare sul territorio italiano, senza giustificato motivo,

in violazione di un ordine di allontanamento emesso nei suoi confronti dal

questore di Udine.

Contesto normativo

La normativa dell’Unione

3 I ‘considerando’ secondo, sesto, tredicesimo, sedicesimo e

diciassettesimo della direttiva 2008/115 enunciano quanto segue:

«(2) Il Consiglio europeo di Bruxelles del 4 e 5 novembre 2004 ha

sollecitato l’istituzione di un’efficace politica in materia di allontanamento e

rimpatrio basata su norme comuni affinché le persone siano rimpatriate in

maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro

dignità.

(…)

(6) È opportuno che gli Stati membri provvedano a porre fine al soggiorno

irregolare dei cittadini di paesi terzi secondo una procedura equa e trasparente.

(…)

(…)

(13) L’uso di misure coercitive dovrebbe essere espressamente subordinato

al rispetto dei principi di proporzionalità e di efficacia per quanto riguarda i

mezzi impiegati e gli obiettivi perseguiti. (…)

(…)

(16) Il ricorso al trattenimento ai fini dell’allontanamento dovrebbe essere

limitato e subordinato al principio di proporzionalità con riguardo ai mezzi

impiegati e agli obiettivi perseguiti. Il trattenimento è giustificato soltanto per

preparare il rimpatrio o effettuare l’allontanamento e se l’uso di misure meno

coercitive è insufficiente.

(17) I cittadini di paesi terzi che sono trattenuti dovrebbero essere trattati

in modo umano e dignitoso, nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e in

conformità del diritto nazionale e internazionale. Fatto salvo l’arresto iniziale da

parte delle autorità incaricate dell’applicazione della legge, disciplinato dal

diritto nazionale, il trattenimento dovrebbe di norma avvenire presso gli

appositi centri di permanenza temporanea».

4 L’art. 1 della direttiva 2008/115, rubricato «Oggetto», recita:

«La presente direttiva stabilisce norme e procedure comuni da applicarsi negli

Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare,

nel rispetto dei diritti fondamentali in quanto principi generali del diritto

comunitario e del diritto internazionale, compresi gli obblighi in materia di

protezione dei rifugiati e di diritti dell’uomo».

5 L’art. 2, nn. 1 e 2, di detta direttiva così dispone:

«1. La presente direttiva si applica ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno

nel territorio di uno Stato membro è irregolare.

2. Gli Stati membri possono decidere di non applicare la presente direttiva

ai cittadini di paesi terzi:

(…)

b) sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una

sanzione penale, in conformità della legislazione nazionale, o sottoposti a

procedure di estradizione».

6 Ai sensi dell’art. 3, punto 4, della direttiva 2008/115 si intende per

«decisione di rimpatrio», ai fini della medesima direttiva, «[una] decisione o

[un] atto amministrativo o giudiziario che attesti o dichiari l’irregolarità del

soggiorno di un cittadino di paesi terzi e imponga o attesti l’obbligo di

rimpatrio».

7 L’art. 4, n. 3, di detta direttiva enuncia:

«La presente direttiva lascia impregiudicata la facoltà degli Stati membri di

introdurre o mantenere disposizioni più favorevoli alle persone cui si applica,

purché compatibili con le norme in essa stabilite».

8 A termini dell’art. 6, n. 1, della medesima direttiva, « [g]li Stati membri

adottano una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un

paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare, fatte salve le

deroghe di cui ai paragrafi da 2 a 5».

9 L’art. 7 della direttiva 2008/115, rubricato «Partenza volontaria»,

prevede quanto segue:

«1. La decisione di rimpatrio fissa per la partenza volontaria un periodo

congruo di durata compresa tra sette e trenta giorni, fatte salve le deroghe di

cui ai paragrafi 2 e 4. Gli Stati membri possono prevedere nella legislazione

nazionale che tale periodo sia concesso unicamente su richiesta del cittadino di

un paese terzo interessato. In tal caso, gli Stati membri informano i cittadini di

paesi terzi interessati della possibilità di inoltrare tale richiesta.

(…)

3. Per la durata del periodo per la partenza volontaria possono essere

imposti obblighi diretti a evitare il rischio di fuga, come l’obbligo di presentarsi

periodicamente alle autorità, la costituzione di una garanzia finanziaria

adeguata, la consegna di documenti o l’obbligo di dimorare in un determinato

luogo.

4. Se sussiste il rischio di fuga o se una domanda di soggiorno regolare è

stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta o se

l’interessato costituisce un pericolo per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza

o la sicurezza nazionale, gli Stati membri possono astenersi dal concedere un

periodo per la partenza volontaria o concederne uno inferiore a sette giorni».

10 L’art. 8, nn. 1 e 4, di detta direttiva così dispone:

«1. Gli Stati membri adottano tutte le misure necessarie per eseguire la

decisione di rimpatrio qualora non sia stato concesso un periodo per la

partenza volontaria a norma dell’articolo 7, paragrafo 4, o per mancato

adempimento dell’obbligo di rimpatrio entro il periodo per la partenza

volontaria concesso a norma dell’articolo 7.

(…)

4. Ove gli Stati membri ricorrano – in ultima istanza – a misure coercitive

per allontanare un cittadino di un paese terzo che oppone resistenza, tali

misure sono proporzionate e non ecced[o]no un uso ragionevole della forza. Le

misure coercitive sono attuate conformemente a quanto previsto dalla

legislazione nazionale in osservanza dei diritti fondamentali e nel debito

rispetto della dignità e dell’integrità fisica del cittadino di un paese terzo

interessato».

11 L’art. 15 della medesima direttiva, compreso nel capo IV, relativo al

trattenimento ai fini dell’allontanamento, è redatto nei seguenti termini:

«1. Salvo se nel caso concreto possono essere efficacemente applicate altre

misure sufficienti ma meno coercitive, gli Stati membri possono trattenere il

cittadino di un paese terzo sottoposto a procedure di rimpatrio soltanto per

preparare il rimpatrio e/o effettuare l’allontanamento, in particolare quando:

a) sussiste un rischio di fuga o

b) il cittadino del paese terzo evita od ostacola la preparazione del

rimpatrio o dell’allontanamento.

Il trattenimento ha durata quanto più breve possibile ed è mantenuto solo per

il tempo necessario all’espletamento diligente delle modalità di rimpatrio.

(…)

3. In ogni caso, il trattenimento è riesaminato ad intervalli ragionevoli su

richiesta del cittadino di un paese terzo interessato o d’ufficio. Nel caso di

periodi di trattenimento prolungati il riesame è sottoposto al controllo di

un’autorità giudiziaria.

4. Quando risulta che non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di

allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi o che non

sussistono più le condizioni di cui al paragrafo 1, il trattenimento non è più

giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata.

5. Il trattenimento è mantenuto finché perdurano le condizioni di cui al

paragrafo 1 e per il periodo necessario ad assicurare che l’allontanamento sia

eseguito. Ciascuno Stato membro stabilisce un periodo limitato di

trattenimento, che non può superare i sei mesi.

6. Gli Stati membri non possono prolungare il periodo di cui al paragrafo 5,

salvo per un periodo limitato non superiore ad altri dodici mesi conformemente

alla legislazione nazionale nei casi in cui, nonostante sia stato compiuto ogni

ragionevole sforzo, l’operazione di allontanamento rischia di durare più a lungo

a causa:

a) della mancata cooperazione da parte del cittadino di un paese terzo

interessato, o

b) dei ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai paesi

terzi».

12 L’art. 16 della direttiva 2008/115, rubricato «Condizioni di

trattenimento», prevede al n. 1 quanto segue:

«Il trattenimento avviene di norma in appositi centri di permanenza

temporanea. Qualora uno Stato membro non possa ospitare il cittadino di un

paese terzo interessato in un apposito centro di permanenza temporanea e

debba sistemarlo in un istituto penitenziario, i cittadini di paesi terzi trattenuti

sono tenuti separati dai detenuti ordinari».

13 Ai sensi dell’art. 18 della direttiva 2008/115, rubricato «Situazioni di

emergenza»:

«1. Nei casi in cui un numero eccezionalmente elevato di cittadini di paesi

terzi da rimpatriare comporta un notevole onere imprevisto per la capacità dei

centri di permanenza temporanea di uno Stato membro o per il suo personale

amministrativo o giudiziario, sino a quando persiste la situazione anomala

detto Stato membro può decidere di (...) adottare misure urgenti quanto alle

condizioni di trattenimento in deroga a quelle previste all’articolo 16, paragrafo

1 (...).

2. All’atto di ricorrere a tali misure eccezionali, lo Stato membro in

questione ne informa la Commissione. Quest’ultima è informata anche non

appena cessino di sussistere i motivi che hanno determinato l’applicazione

delle suddette misure eccezionali.

3. Nulla nel presente articolo può essere interpretato nel senso che gli Stati

membri siano autorizzati a derogare al loro obbligo generale di adottare tutte

le misure di carattere generale e particolare atte ad assicurare l’esecuzione

degli obblighi ad essi incombenti ai sensi della presente direttiva».

14 Ai sensi dell’art. 20, n. 1, primo comma, della direttiva 2008/115, gli

Stati membri dovevano mettere in vigore le disposizioni legislative,

regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi a quest’ultima

entro il 24 dicembre 2010, eccezion fatta per l’art. 13, n. 4.

15 Conformemente al suo art. 22, detta direttiva è entrata in vigore il 13

gennaio 2009.

La normativa nazionale

16 L’art. 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle

disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione

dello straniero (Supplemento ordinario alla GURI n. 191 del 18 agosto 1998),

come modificato dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, recante disposizioni in

materia di sicurezza pubblica (Supplemento ordinario alla GURI n. 170 del 24

luglio 2009; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 286/1998»), prevede ai

commi 2 e 4 quanto segue:

«2. L’espulsione è disposta dal prefetto quando lo straniero:

a) è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera e

non è stato respinto (…);

b) si è trattenuto nel territorio dello Stato (...) senza aver richiesto il

permesso di soggiorno nei termini prescritti, salvo che il ritardo sia dipeso da

forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o

annullato, ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non è stato chiesto il

rinnovo;

(...)

4. L’espulsione è sempre eseguita dal questore con accompagnamento alla

frontiera a mezzo della forza pubblica ad eccezione dei casi di cui al comma 5».

17 L’art. 14 del decreto legislativo n. 286/1998 è così redatto:

«1. Quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione

mediante accompagnamento alla frontiera ovvero il respingimento, perché

occorre procedere al soccorso dello straniero, [ad] accertamenti supplementari

in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all’acquisizione di documenti

per il viaggio, ovvero per l’indisponibilità di vettore o altro mezzo di trasporto

idoneo, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo

strettamente necessario presso il centro di identificazione e di espulsione più

vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell’interno, di

concerto con i Ministri per la solidarietà sociale e del tesoro, del bilancio e della

programmazione economica.

(…)

5-bis. Quando non sia stato possibile trattenere lo straniero presso un

centro di identificazione ed espulsione, ovvero la permanenza in tale struttura

non abbia consentito l’esecuzione con l’accompagnamento alla frontiera

dell’espulsione o del respingimento, il questore ordina allo straniero di lasciare

il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni. L’ordine è dato con

provvedimento scritto, recante l’indicazione delle conseguenze sanzionatorie

della permanenza illegale, anche reiterata, nel territorio dello Stato. L’ordine

del questore può essere accompagnato dalla consegna all’interessato della

documentazione necessaria per raggiungere gli uffici della rappresentanza

diplomatica del suo Paese in Italia, anche se onoraria, nonché per rientrare

nello Stato di appartenenza ovvero, quando ciò non sia possibile, nello Stato di

provenienza.

5-ter. Lo straniero che senza giustificato motivo permane illegalmente nel

territorio dello Stato, in violazione dell’ordine impartito dal questore ai sensi del

comma 5-bis, è punito con la reclusione da uno a quattro anni se l’espulsione o

il respingimento sono stati disposti per ingresso illegale nel territorio nazionale

(...), ovvero per non aver richiesto il permesso di soggiorno o non aver

dichiarato la propria presenza nel territorio dello Stato nel termine prescritto in

assenza di cause di forza maggiore, ovvero per essere stato il permesso

revocato o annullato. Si applica la pena della reclusione da sei mesi ad un anno

se l’espulsione è stata disposta perché il permesso di soggiorno è scaduto da

più di sessanta giorni e non ne è stato richiesto il rinnovo, ovvero se la

richiesta del titolo di soggiorno è stata rifiutata (...). In ogni caso, salvo che lo

straniero si trovi in stato di detenzione in carcere, si procede all’adozione di un

nuovo provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera a

mezzo della forza pubblica per violazione all’ordine di allontanamento adottato

dal questore ai sensi del comma 5-bis. Qualora non sia possibile procedere

all’accompagnamento alla frontiera, si applicano le disposizioni di cui ai commi

1 e 5-bis del presente articolo (...).

5-quater. Lo straniero destinatario del provvedimento di espulsione di cui al

comma 5-ter e di un nuovo ordine di allontanamento di cui al comma 5-bis,

che continua a permanere illegalmente nel territorio dello Stato, è punito con

la reclusione da uno a cinque anni. Si applicano, in ogni caso, le disposizioni di

cui al comma 5-ter, terzo e ultimo periodo.

5-quinquies. Per i reati previsti ai commi 5-ter, primo periodo, e 5-quater si

procede con rito direttissimo ed è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto».

Procedimento principale e questione pregiudiziale

18 Il sig. El Dridi è un cittadino di un paese terzo entrato illegalmente in

Italia e privo di permesso di soggiorno. Nei suoi confronti il prefetto di Torino

ha emanato un decreto di espulsione in data 8 maggio 2004.

19 Un ordine di allontanamento dal territorio nazionale, emesso il 21

maggio 2010 dal questore di Udine, in esecuzione di detto decreto di

espulsione, gli è stato notificato in pari data. Tale ordine di allontanamento era

motivato dall’indisponibilità di un vettore o di altro mezzo di trasporto, dalla

mancanza di documenti di identificazione del sig. El Dridi nonché

dall’impossibilità di ospitarlo in un centro di permanenza temporanea per

mancanza di posti nelle apposite strutture.

20 Durante un controllo effettuato il 29 settembre 2010 è stato constatato

che il sig. El Dridi non si era conformato a detto ordine di allontanamento.

21 Il sig. El Dridi è stato condannato dal Tribunale monocratico di Trento,

all’esito di giudizio abbreviato, alla pena di un anno di reclusione per il reato di

cui all’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286/1998.

22 Egli ha impugnato tale decisione dinanzi alla Corte d’appello di Trento.

23 Quest’ultima s’interroga sulla possibilità di disporre una sanzione penale,

nel corso della procedura amministrativa di rimpatrio di uno straniero, per

inosservanza di una delle fasi di tale procedura; una simile sanzione sembra,

infatti, contraria al principio di leale cooperazione, al conseguimento degli scopi

della direttiva 2008/115 e al suo effetto utile, nonché ai principi di

proporzionalità, di adeguatezza e di ragionevolezza della pena.

24 Essa precisa, al riguardo, che la sanzione penale di cui all’art. 14,

comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286/1998 interviene dopo l’accertata

violazione di un passaggio intermedio della procedura graduale di attuazione

della decisione di rimpatrio, prevista dalla direttiva 2008/115, ovverosia

l’inottemperanza al solo ordine di allontanamento. Potendo andare da uno a

quattro anni, la pena della reclusione sarebbe connotata, peraltro, da un

carattere di estremo rigore.

25 Ciò considerato, la Corte d’appello di Trento ha deciso di sospendere il

procedimento e di proporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se alla luce dei principi di leale collaborazione all’effetto utile di

conseguimento degli scopi della direttiva e di proporzionalità, adeguatezza e

ragionevolezza della pena, gli artt. 15 e 16 della direttiva [2008/115] ostino:

– alla possibilità che venga sanzionata penalmente la violazione di un

passaggio intermedio della procedura amministrativa di rimpatrio, prima che

essa sia completata[,] con il ricorso al massimo rigore coercitivo ancora

possibile amministrativamente;

– alla possibilità che venga punita con la reclusione sino a quattro anni la

mera mancata cooperazione dell’interessato alla procedura di espulsione, ed in

particolare l’ipotesi di inosservanza al primo ordine di allontanamento emanato

dall’autorità amministrativa».

Sul procedimento d’urgenza

26 La Corte d’appello di Trento ha chiesto che il presente rinvio

pregiudiziale sia sottoposto al procedimento d’urgenza previsto all’art. 104 ter

del regolamento di procedura della Corte.

27 Il giudice del rinvio ha motivato tale domanda con il fatto che il sig. El

Dridi è detenuto in esecuzione della pena cui è stato condannato dal Tribunale

di Trento.

28 La Prima Sezione della Corte, sentito l’avvocato generale, ha deciso di

accogliere la domanda del giudice remittente di sottoporre il rinvio

pregiudiziale al procedimento d’urgenza.

Sulla questione pregiudiziale

29 Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la

direttiva 2008/115, in particolare i suoi artt. 15 e 16, debba essere

interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro,

come quella in discussione nel procedimento principale, che preveda

l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui

soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un

ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato,

permane in detto territorio senza giustificato motivo.

30 Il giudice del rinvio fa riferimento, al riguardo, al principio di leale

cooperazione di cui all’art. 4, n. 3, TUE, nonché all’obiettivo di assicurare

l’effetto utile del diritto dell’Unione.

31 In proposito si deve ricordare che, come enuncia il suo secondo

‘considerando’, la direttiva 2008/115 persegue l’attuazione di un’efficace

politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme comuni

affinché le persone interessate siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno

rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità.

32 Come si apprende tanto dal suo titolo quanto dall’art. 1, la direttiva

2008/115 stabilisce le «norme e procedure comuni» che devono essere

applicate da ogni Stato membro al rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui

soggiorno sia irregolare. Discende dalla locuzione summenzionata, come pure

dall’economia generale della succitata direttiva, che gli Stati membri possono

derogare a tali norme e procedure solo alle condizioni previste dalla direttiva

medesima, segnatamente quelle fissate al suo art. 4.

33 Di conseguenza, mentre il n. 3 di detto art. 4 riconosce agli Stati

membri la facoltà di introdurre o di mantenere disposizioni più favorevoli per i

cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare rispetto a quelle stabilite

dalla direttiva 2008/115, purché compatibili con quest’ultima, detta direttiva

non permette invece a tali Stati di applicare norme più severe nell’ambito che

essa disciplina.

34 Occorre del pari rilevare che la direttiva 2008/115 stabilisce con

precisione la procedura che ogni Stato membro è tenuto ad applicare al

rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare e fissa la

successione delle diverse fasi di tale procedura.

35 In tal senso, l’art. 6, n. 1, di detta direttiva prevede anzitutto, in via

principale, l’obbligo per gli Stati membri di adottare una decisione di rimpatrio

nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro

territorio sia irregolare.

36 Nell’ambito di questa prima fase della procedura di rimpatrio va

accordata priorità, salvo eccezioni, all’esecuzione volontaria dell’obbligo

derivante dalla decisione di rimpatrio; in tal senso, l’art. 7, n. 1, della direttiva

2008/115 dispone che detta decisione fissa per la partenza volontaria un

periodo congruo di durata compresa tra sette e trenta giorni.

37 Risulta dall’art. 7, nn. 3 e 4, di detta direttiva che solo in circostanze

particolari, per esempio se sussiste rischio di fuga, gli Stati membri possono,

da un lato, imporre al destinatario di una decisione di rimpatrio l’obbligo di

presentarsi periodicamente alle autorità, di prestare una garanzia finanziaria

adeguata, di consegnare i documenti o di dimorare in un determinato luogo

oppure, dall’altro, concedere un termine per la partenza volontaria inferiore a

sette giorni o addirittura non accordare alcun termine.

38 In quest’ultima ipotesi, ma anche nel caso in cui l’obbligo di rimpatrio

non sia stato adempiuto entro il termine concesso per la partenza volontaria,

risulta dall’art. 8, nn. 1 e 4, della direttiva 2008/115 che, al fine di assicurare

l’efficacia delle procedure di rimpatrio, tali disposizioni impongono allo Stato

membro, che ha adottato una decisione di rimpatrio nei confronti di un

cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare, l’obbligo di procedere

all’allontanamento, prendendo tutte le misure necessarie, comprese,

all’occorrenza, misure coercitive, in maniera proporzionata e nel rispetto, in

particolare, dei diritti fondamentali.

39 Al riguardo, discende dal sedicesimo ‘considerando’ di detta direttiva

nonché dal testo del suo art. 15, n. 1, che gli Stati membri devono procedere

all’allontanamento mediante le misure meno coercitive possibili. Solo qualora

l’esecuzione della decisione di rimpatrio sotto forma di allontanamento rischi,

valutata la situazione caso per caso, di essere compromessa dal

comportamento dell’interessato, detti Stati possono privare quest’ultimo della

libertà ricorrendo al trattenimento.

40 Conformemente all’art. 15, n. 1, secondo comma, della direttiva

2008/115, tale privazione della libertà deve avere durata quanto più breve

possibile e protrarsi solo per il tempo necessario all’espletamento diligente

delle modalità di rimpatrio. Ai sensi dei nn. 3 e 4 di detto art. 15, tale

privazione della libertà è riesaminata ad intervalli ragionevoli e deve cessare

appena risulti che non esiste più una prospettiva ragionevole di

allontanamento. I nn. 5 e 6 del medesimo articolo fissano la sua durata

massima in 18 mesi, termine tassativo per tutti gli Stati membri. L’art. 16,

n. 1, di detta direttiva, inoltre, prescrive che gli interessati siano collocati in un

centro apposito e, in ogni caso, separati dai detenuti di diritto comune.

41 Emerge da quanto precede che la successione delle fasi della procedura

di rimpatrio stabilita dalla direttiva 2008/115 corrisponde ad una gradazione

delle misure da prendere per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio,

gradazione che va dalla misura meno restrittiva per la libertà dell’interessato –

la concessione di un termine per la sua partenza volontaria – alla misura che

maggiormente limita la sua libertà – il trattenimento in un apposito centro –,

fermo restando in tutte le fasi di detta procedura l’obbligo di osservare il

principio di proporzionalità.

42 Perfino il ricorso a quest’ultima misura, la più restrittiva della libertà che

la direttiva consente nell’ambito di una procedura di allontanamento coattivo,

appare strettamente regolamentato, in applicazione degli artt. 15 e 16 di detta

direttiva, segnatamente allo scopo di assicurare il rispetto dei diritti

fondamentali dei cittadini interessati dei paesi terzi.

43 In particolare, la durata massima prevista all’art. 15, nn. 5 e 6, della

direttiva 2008/115 ha lo scopo di limitare la privazione della libertà dei cittadini

di paesi terzi in situazione di allontanamento coattivo (sentenza 30 novembre

2009, causa C-357/09 PPU, Kadzoev, Racc. pag. I-11189, punto 56). La

direttiva 2008/115 intende così tener conto sia della giurisprudenza della Corte

europea dei diritti dell’uomo, secondo la quale il principio di proporzionalità

esige che il trattenimento di una persona sottoposta a procedura di espulsione

o di estradizione non si protragga oltre un termine ragionevole, vale a dire non

superi il tempo necessario per raggiungere lo scopo perseguito (v., in

particolare, Corte eur. D.U, sentenza Saadi c. Regno Unito del 29 gennaio

2008, non ancora pubblicata nel Recueil des arrêts et décisions, §§ 72 e 74),

sia dell’ottavo dei «Venti orientamenti sul rimpatrio forzato» adottati il 4

maggio 2005 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, ai quali la

direttiva fa riferimento nel terzo ‘considerando’. Secondo tale principio, il

trattenimento ai fini dell’allontanamento deve essere quanto più breve

possibile.

44 È alla luce delle suesposte considerazioni che occorre valutare se le

regole comuni introdotte dalla direttiva 2008/115 ostino ad una normativa

nazionale come quella in discussione nel procedimento principale.

45 Al riguardo va rilevato, in primo luogo, che, come risulta dalle

informazioni fornite sia dal giudice del rinvio sia dal governo italiano nelle sue

osservazioni scritte, la direttiva 2008/115 non è stata trasposta

nell’ordinamento giuridico italiano.

46 Orbene, per costante giurisprudenza, qualora uno Stato membro si

astenga dal recepire una direttiva entro i termini o non l’abbia recepita

correttamente, i singoli sono legittimati a invocare contro detto Stato membro

le disposizioni di tale direttiva che appaiano, dal punto di vista sostanziale,

incondizionate e sufficientemente precise (v. in tal senso, in particolare,

sentenze 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall, Racc. pag. 723, punto 46,

e 3 marzo 2011, causa C-203/10, Auto Nikolovi, non ancora pubblicata nella

Raccolta, punto 61).

47 Ciò vale anche per gli artt. 15 e 16 della direttiva 2008/115, i quali,

come si evince dal punto 40 della presente sentenza, sono incondizionati e

sufficientemente precisi da non richiedere ulteriori specifici elementi perché gli

Stati membri li possano mettere in atto.

48 Peraltro, una persona che si trovi nella situazione del sig. El Dridi rientra

nell’ambito di applicazione ratione personae della direttiva 2008/115, la quale

si applica, conformemente al suo art. 2, n. 1, ai cittadini di paesi terzi il cui

soggiorno nel territorio di uno Stato membro sia irregolare.

49 Come ha osservato l’avvocato generale ai paragrafi 22-28 della sua

presa di posizione, non incide su tale conclusione l’art. 2, n. 2, lett. b), di detta

direttiva, ai sensi del quale gli Stati membri possono decidere di non applicare

la direttiva ai cittadini di paesi terzi sottoposti a rimpatrio come sanzione

penale o in conseguenza di una sanzione penale, in conformità della

legislazione nazionale, o sottoposti a procedura di estradizione. Invero, si

apprende dalla decisione di rinvio che l’obbligo di rimpatrio risulta, nel

procedimento principale, da un decreto del prefetto di Torino dell’8 maggio

2004. Peraltro, le sanzioni penali di cui a detta disposizione non concernono

l’inosservanza del termine impartito per la partenza volontaria.

50 Si deve constatare, in secondo luogo, che, sebbene il decreto del

prefetto di Torino dell’8 maggio 2004, in quanto stabilisce un obbligo per il

sig. El Dridi di lasciare il territorio nazionale, integri una «decisione di

rimpatrio» come definita all’art. 3, punto 4, della direttiva 2008/115 e

menzionata, in particolare, agli artt. 6, n. 1, e 7, n. 1, della stessa, la

procedura di allontanamento prevista dalla normativa italiana in discussione

nel procedimento principale differisce notevolmente da quella stabilita da detta

direttiva.

51 Infatti, mentre detta direttiva prescrive la concessione di un termine per

la partenza volontaria, compreso tra i sette e i trenta giorni, il decreto

legislativo n. 286/1998 non prevede una tale misura.

52 Per quanto riguarda, poi, le misure coercitive che gli Stati membri

possono adottare ai sensi dell’art. 8, n. 4, della direttiva 2008/115, in

particolare l’accompagnamento coattivo alla frontiera previsto all’art. 13,

comma 4, del decreto legislativo n. 286/1998, è giocoforza constatare che, in

una situazione in cui tali misure non abbiano consentito di raggiungere il

risultato perseguito, ossia l’allontanamento del cittadino di un paese terzo

contro il quale sono state disposte, gli Stati membri restano liberi di adottare

misure, anche penali, atte segnatamente a dissuadere tali cittadini dal

soggiornare illegalmente nel territorio di detti Stati.

53 Occorre tuttavia rilevare che, se è vero che la legislazione penale e le

norme di procedura penale rientrano, in linea di principio, nella competenza

degli Stati membri, su tale ambito giuridico può nondimeno incidere il diritto

dell’Unione (v. in questo senso, in particolare, sentenze 11 novembre 1981,

causa 203/80, Casati, Racc. pag. 2595, punto 27; 2 febbraio 1989, causa

186/87, Cowan, Racc. pag. 195, punto 19, e 16 giugno 1998, causa C-226/97,

Lemmens, Racc. pag. I-3711, punto 19).

54 Di conseguenza, sebbene né l’art. 63, primo comma, punto 3, lett. b),

CE – disposizione che è stata ripresa dall’art. 79, n. 2, lett. c), TFUE – né la

direttiva 2008/115, adottata in particolare sul fondamento di detta disposizione

del Trattato CE, escludano la competenza penale degli Stati membri in tema di

immigrazione clandestina e di soggiorno irregolare, questi ultimi devono fare in

modo che la propria legislazione in materia rispetti il diritto dell’Unione.

55 In particolare, detti Stati non possono applicare una normativa, sia pure

di diritto penale, tale da compromettere la realizzazione degli obiettivi

perseguiti da una direttiva e da privare così quest’ultima del suo effetto utile.

56 Infatti, ai sensi rispettivamente del secondo e del terzo comma

dell’art. 4, n. 3, TUE, gli Stati membri, in particolare, «adottano ogni misura di

carattere generale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi

derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione» e «si

astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione

degli obiettivi dell’Unione», compresi quelli perseguiti dalle direttive.

57 Quanto, più specificamente, alla direttiva 2008/115, si deve ricordare

che – come enuncia il suo tredicesimo ‘considerando’ – essa subordina

espressamente l’uso di misure coercitive al rispetto dei principi di

proporzionalità e di efficacia per quanto riguarda i mezzi impiegati e gli

obiettivi perseguiti.

58 Ne consegue che gli Stati membri non possono introdurre, al fine di

ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere

all’allontanamento coattivo conformemente all’art. 8, n. 4, di detta direttiva,

una pena detentiva, come quella prevista all’art. 14, comma 5-ter, del decreto

legislativo n. 286/1998, solo perché un cittadino di un paese terzo, dopo che

gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio di uno Stato membro e

che il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera

irregolare nel territorio nazionale. Essi devono, invece, continuare ad

adoperarsi per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, che continua a

produrre i suoi effetti.

59 Una tale pena, infatti, segnatamente in ragione delle sue condizioni e

modalità di applicazione, rischia di compromettere la realizzazione

dell’obiettivo perseguito da detta direttiva, ossia l’instaurazione di una politica

efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui

soggiorno sia irregolare. In particolare, come ha rilevato l’avvocato generale al

paragrafo 42 della sua presa di posizione, una normativa nazionale quale

quella oggetto del procedimento principale può ostacolare l’applicazione delle

misure di cui all’art. 8, n. 1, della direttiva 2008/115 e ritardare l’esecuzione

della decisione di rimpatrio.

60 Ciò non esclude la facoltà per gli Stati membri di adottare, nel rispetto

dei principi della direttiva 2008/115 e del suo obiettivo, disposizioni che

disciplinino le situazioni in cui le misure coercitive non hanno consentito di

realizzare l’allontanamento di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sul

loro territorio sia irregolare.

61 Alla luce di quanto precede, al giudice del rinvio, incaricato di applicare,

nell’ambito della propria competenza, le disposizioni del diritto dell’Unione e di

assicurarne la piena efficacia, spetterà disapplicare ogni disposizione del

decreto legislativo n. 286/1998 contraria al risultato della direttiva 2008/115,

segnatamente l’art. 14, comma 5-ter, di tale decreto legislativo (v., in tal

senso, sentenze 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal, Racc. pag. 629,

punto 24; 22 maggio 2003, causa C-462/99, Connect Austria,

Racc. pag. I-5197, punti 38 e 40, nonché 22 giugno 2010, cause riunite

C-188/10 e C-189/10, Melki e Abdeli, non ancora pubblicata nella Raccolta,

punto 43). Ciò facendo il giudice del rinvio dovrà tenere debito conto del

principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite, il quale fa parte delle

tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri (sentenze 3 maggio 2005,

cause riunite C-387/02, C-391/02 e C-403/02, Berlusconi e a.,

Racc. pag. I-3565, punti 67-69, nonché 11 marzo 2008, causa C-420/06,

Jager, Racc. pag. I-1315, punto 59).

62 Pertanto, occorre risolvere la questione deferita dichiarando che la

direttiva 2008/115, in particolare i suoi artt. 15 e 16, deve essere interpretata

nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella

in discussione nel procedimento principale, che preveda l’irrogazione della pena

della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per

la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un

determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza

giustificato motivo.

Sulle spese

63 Nei confronti delle parti nel procedimento principale il presente

procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui

spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per

presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008,

2008/115/CE, recante norme e procedure comuni applicabili negli

Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è

irregolare, in particolare i suoi artt. 15 e 16, deve essere interpretata

nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come

quella in discussione nel procedimento principale, che preveda

l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il

cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione

di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di

tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo.

Firme

 

 

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