Pubblichiamo il comunicato stampa e
la sentenza con cui questa mattina la Corte di giustizia
dell'Unione europea ha annunciato la propria decisione
nel procedimento urgente El Dridi, relativo alla
questione pregiudiziale posta dalla Corte d'Appello di
Trento relativa alla (in)compatibilità del delitto di
cui all'art. 14 co. 5 ter t.u. imm. con la disciplina
della direttiva 2008/115/CE (c.d. direttiva rimpatri),
il cui termine di attuazione era invano scaduto il 24
dicembre scorso. La sentenza 28 aprile 2011 della Prima
sezione della Corte di giustizia dell'UE nel
procedimento C‑61/11
PPU, avente ad oggetto una domanda di pronuncia
pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, proposta
dalla Corte d’appello di Trento, con ordinanza 2
febbraio 2011, pervenuta in cancelleria il 10 febbraio
2011, nel procedimento penale a carico di Hassen El
Dridi, alias Soufi Karim, dichiara che la direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008,
2008/115/CE, recante norme e procedure comuni
applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini
di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, in
particolare i suoi artt. 15 e 16, deve essere
interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di
uno Stato membro, come quella dell'art. 14, comma 5-ter
del testo unico delle leggi sull'immigrazione, approvato
con d. lgs. n. 286/1998, che preveda l’irrogazione della
pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il
cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che
questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un
determinato termine il territorio di tale Stato, permane
in detto territorio senza giustificato motivo.
La Corte afferma la diretta
applicabilità delle disposizioni della direttiva
nell'ordinamento italiano, non essendo essa stata
recepita dall'Italia e riguardando i casi nei quali
l'obbligo di rimpatrio dello straniero in condizione di
soggiorno irregolare deriva non già dalla sentenza di un
giudice per un reato commesso, bensì da un provvedimento
amministrativo di espulsione disposto dal Prefetto.
Perciò la Corte afferma che al giudice nazionale spetta
disapplicare ogni disposizione del decreto legislativo
n. 286/1998 contraria al risultato della direttiva
2008/115, segnatamente l’art. 14, comma 5‑ter,
di tale decreto legislativo e dovrà tenere debito conto
del principio dell’applicazione retroattiva della pena
più mite, il quale fa parte delle tradizioni
costituzionali comuni agli Stati membri.
Nella sentenza della Corte si
afferma altresì che mentre la direttiva prescrive la
concessione di un termine per la partenza volontaria,
compreso tra i sette e i trenta giorni, il decreto
legislativo n. 286/1998 non prevede una tale misura.
La sentenza ricorda che la
successione delle fasi della procedura di rimpatrio
stabilita dalla direttiva 2008/115 corrisponde ad una
gradazione delle misure da prendere per dare esecuzione
alla decisione di rimpatrio, gradazione che va dalla
misura meno restrittiva per la libertà dell’interessato
– la concessione di un termine per la sua partenza
volontaria – alla misura che maggiormente limita la sua
libertà – il trattenimento in un apposito centro –,
fermo restando in tutte le fasi di detta procedura
l’obbligo di osservare il principio di proporzionalità e
che perfino il ricorso a quest’ultima misura, la più
restrittiva della libertà che la direttiva consente
nell’ambito di una procedura di allontanamento coattivo,
appare strettamente regolamentato, in applicazione degli
artt. 15 e 16 di detta direttiva, segnatamente allo
scopo di assicurare il rispetto dei diritti fondamentali
dei cittadini interessati dei paesi terzi: il principio
di proporzionalità esige che il trattenimento di una
persona sottoposta a procedura di espulsione o di
estradizione non si protragga oltre un termine
ragionevole, vale a dire non superi il tempo necessario
per raggiungere lo scopo perseguito. Secondo tale
principio, il trattenimento ai fini dell’allontanamento
deve essere quanto più breve possibile.
La Corte afferma che gli Stati
membri non possono introdurre, al fine di ovviare
all’insuccesso delle misure coercitive adottate per
procedere all’allontanamento coattivo conformemente
all’art. 8, n. 4, di detta direttiva, una pena
detentiva, come quella prevista all’art. 14, comma 5‑ter,
del decreto legislativo n. 286/1998, solo perché un
cittadino di un paese terzo, dopo che gli è stato
notificato un ordine di lasciare il territorio di uno
Stato membro e che il termine impartito con tale ordine
è scaduto, permane in maniera irregolare nel territorio
nazionale.
Essi devono, invece, continuare ad
adoperarsi per dare esecuzione alla decisione di
rimpatrio, che continua a produrre i suoi effetti. Tale
pena, infatti, segnatamente in ragione delle sue
condizioni e modalità di applicazione, rischia di
compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito
da detta direttiva, ossia l’instaurazione di una
politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei
cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia
irregolare.
Peraltro la Corte ammette che ciò
non esclude la facoltà per gli Stati membri di adottare,
nel rispetto dei principi della direttiva 2008/115 e del
suo obiettivo, disposizioni che disciplinino le
situazioni in cui le misure coercitive non hanno
consentito di realizzare l’allontanamento di un
cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sul loro
territorio sia irregolare.
Fonte: Curia.eu.it
SENTENZA DELLA CORTE (Prima
Sezione)
28 aprile 2011(*)
«Spazio di libertà, di sicurezza e
di giustizia – Direttiva 2008/115/CE –
Rimpatrio dei cittadini di paesi
terzi il cui soggiorno è irregolare – Artt. 15 e 16
– Normativa nazionale che prevede
la reclusione per i cittadini di paesi terzi in
soggiorno irregolare in caso di
inottemperanza all’ordine di lasciare il territorio
di uno Stato membro –
Compatibilità»
Nel procedimento C-61/11 PPU,
avente ad oggetto una domanda di
pronuncia pregiudiziale ai sensi
dell’art. 267 TFUE, proposta dalla
Corte d’appello di Trento, con ordinanza 2
febbraio 2011, pervenuta in
cancelleria il 10 febbraio 2011, nel procedimento
penale a carico di
Hassen El Dridi, alias Soufi Karim,
LA CORTE (Prima Sezione),
composta dal sig. A. Tizzano,
presidente di sezione, dai sigg. J.-J. Kasel,
M. Ilešič (relatore), E. Levits e
M. Safjan, giudici,
avvocato generale: sig. J. Mazák
cancelliere: sig.ra A.
Impellizzeri, amministratore
vista la domanda del giudice del
rinvio del 2 febbraio 2011, pervenuta alla
Corte il 10 febbraio 2011 e
integrata l’11 febbraio 2011, di sottoporre il rinvio
pregiudiziale a procedimento
d’urgenza, a norma dell’art. 104 ter del
regolamento di procedura della
Corte,
vista la decisione della Prima
Sezione del 17 febbraio 2011 di accogliere la
suddetta domanda,
vista la fase scritta del
procedimento e in seguito all’udienza del 30 marzo
2011,
considerate le osservazioni
presentate:
– per il sig. El Dridi, dagli
avv.ti M. Pisani e L. Masera;
– per il governo italiano, dalla
sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente,
assistita dal sig. L. D’Ascia,
avvocato dello Stato;
– per la Commissione europea, dalla
sig.ra M. Condou-Durande e dal
sig. L. Prete, in qualità di
agenti,
sentito l’avvocato generale,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia
pregiudiziale verte sull’interpretazione degli
artt. 15 e 16 della direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio 16
dicembre 2008, 2008/115/CE, recante
norme e procedure comuni applicabili
negli Stati membri al rimpatrio di
cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è
irregolare (GU L 348, pag. 98).
2 Detta domanda è stata proposta
nell’ambito di un procedimento a carico
del sig. El Dridi, il quale è
condannato alla pena di un anno di reclusione per il
reato di permanenza irregolare sul
territorio italiano, senza giustificato motivo,
in violazione di un ordine di
allontanamento emesso nei suoi confronti dal
questore di Udine.
Contesto normativo
La normativa dell’Unione
3 I ‘considerando’ secondo, sesto,
tredicesimo, sedicesimo e
diciassettesimo della direttiva
2008/115 enunciano quanto segue:
«(2) Il Consiglio europeo di
Bruxelles del 4 e 5 novembre 2004 ha
sollecitato l’istituzione di
un’efficace politica in materia di allontanamento e
rimpatrio basata su norme comuni
affinché le persone siano rimpatriate in
maniera umana e nel pieno rispetto
dei loro diritti fondamentali e della loro
dignità.
(…)
(6) È opportuno che gli Stati
membri provvedano a porre fine al soggiorno
irregolare dei cittadini di paesi
terzi secondo una procedura equa e trasparente.
(…)
(…)
(13) L’uso di misure coercitive
dovrebbe essere espressamente subordinato
al rispetto dei principi di
proporzionalità e di efficacia per quanto riguarda i
mezzi impiegati e gli obiettivi
perseguiti. (…)
(…)
(16) Il ricorso al trattenimento ai
fini dell’allontanamento dovrebbe essere
limitato e subordinato al principio
di proporzionalità con riguardo ai mezzi
impiegati e agli obiettivi
perseguiti. Il trattenimento è giustificato soltanto per
preparare il rimpatrio o effettuare
l’allontanamento e se l’uso di misure meno
coercitive è insufficiente.
(17) I cittadini di paesi terzi che
sono trattenuti dovrebbero essere trattati
in modo umano e dignitoso, nel
pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e in
conformità del diritto nazionale e
internazionale. Fatto salvo l’arresto iniziale da
parte delle autorità incaricate
dell’applicazione della legge, disciplinato dal
diritto nazionale, il trattenimento
dovrebbe di norma avvenire presso gli
appositi centri di permanenza
temporanea».
4 L’art. 1 della direttiva
2008/115, rubricato «Oggetto», recita:
«La presente direttiva stabilisce
norme e procedure comuni da applicarsi negli
Stati membri al rimpatrio di
cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare,
nel rispetto dei diritti
fondamentali in quanto principi generali del diritto
comunitario e del diritto
internazionale, compresi gli obblighi in materia di
protezione dei rifugiati e di
diritti dell’uomo».
5 L’art. 2, nn. 1 e 2, di detta
direttiva così dispone:
«1. La presente direttiva si
applica ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno
nel territorio di uno Stato membro
è irregolare.
2. Gli Stati membri possono
decidere di non applicare la presente direttiva
ai cittadini di paesi terzi:
(…)
b) sottoposti a rimpatrio come
sanzione penale o come conseguenza di una
sanzione penale, in conformità
della legislazione nazionale, o sottoposti a
procedure di estradizione».
6 Ai sensi dell’art. 3, punto 4,
della direttiva 2008/115 si intende per
«decisione di rimpatrio», ai fini
della medesima direttiva, «[una] decisione o
[un] atto amministrativo o
giudiziario che attesti o dichiari l’irregolarità del
soggiorno di un cittadino di paesi
terzi e imponga o attesti l’obbligo di
rimpatrio».
7 L’art. 4, n. 3, di detta
direttiva enuncia:
«La presente direttiva lascia
impregiudicata la facoltà degli Stati membri di
introdurre o mantenere disposizioni
più favorevoli alle persone cui si applica,
purché compatibili con le norme in
essa stabilite».
8 A termini dell’art. 6, n. 1,
della medesima direttiva, « [g]li Stati membri
adottano una decisione di rimpatrio
nei confronti di qualunque cittadino di un
paese terzo il cui soggiorno nel
loro territorio è irregolare, fatte salve le
deroghe di cui ai paragrafi da 2 a
5».
9 L’art. 7 della direttiva
2008/115, rubricato «Partenza volontaria»,
prevede quanto segue:
«1. La decisione di rimpatrio fissa
per la partenza volontaria un periodo
congruo di durata compresa tra
sette e trenta giorni, fatte salve le deroghe di
cui ai paragrafi 2 e 4. Gli Stati
membri possono prevedere nella legislazione
nazionale che tale periodo sia
concesso unicamente su richiesta del cittadino di
un paese terzo interessato. In tal
caso, gli Stati membri informano i cittadini di
paesi terzi interessati della
possibilità di inoltrare tale richiesta.
(…)
3. Per la durata del periodo per la
partenza volontaria possono essere
imposti obblighi diretti a evitare
il rischio di fuga, come l’obbligo di presentarsi
periodicamente alle autorità, la
costituzione di una garanzia finanziaria
adeguata, la consegna di documenti
o l’obbligo di dimorare in un determinato
luogo.
4. Se sussiste il rischio di fuga o
se una domanda di soggiorno regolare è
stata respinta in quanto
manifestamente infondata o fraudolenta o se
l’interessato costituisce un
pericolo per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza
o la sicurezza nazionale, gli Stati
membri possono astenersi dal concedere un
periodo per la partenza volontaria
o concederne uno inferiore a sette giorni».
10 L’art. 8, nn. 1 e 4, di detta
direttiva così dispone:
«1. Gli Stati membri adottano tutte
le misure necessarie per eseguire la
decisione di rimpatrio qualora non
sia stato concesso un periodo per la
partenza volontaria a norma
dell’articolo 7, paragrafo 4, o per mancato
adempimento dell’obbligo di
rimpatrio entro il periodo per la partenza
volontaria concesso a norma
dell’articolo 7.
(…)
4. Ove gli Stati membri ricorrano –
in ultima istanza – a misure coercitive
per allontanare un cittadino di un
paese terzo che oppone resistenza, tali
misure sono proporzionate e non
ecced[o]no un uso ragionevole della forza. Le
misure coercitive sono attuate
conformemente a quanto previsto dalla
legislazione nazionale in
osservanza dei diritti fondamentali e nel debito
rispetto della dignità e
dell’integrità fisica del cittadino di un paese terzo
interessato».
11 L’art. 15 della medesima
direttiva, compreso nel capo IV, relativo al
trattenimento ai fini
dell’allontanamento, è redatto nei seguenti termini:
«1. Salvo se nel caso concreto
possono essere efficacemente applicate altre
misure sufficienti ma meno
coercitive, gli Stati membri possono trattenere il
cittadino di un paese terzo
sottoposto a procedure di rimpatrio soltanto per
preparare il rimpatrio e/o
effettuare l’allontanamento, in particolare quando:
a) sussiste un rischio di fuga o
b) il cittadino del paese terzo
evita od ostacola la preparazione del
rimpatrio o dell’allontanamento.
Il trattenimento ha durata quanto
più breve possibile ed è mantenuto solo per
il tempo necessario
all’espletamento diligente delle modalità di rimpatrio.
(…)
3. In ogni caso, il trattenimento è
riesaminato ad intervalli ragionevoli su
richiesta del cittadino di un paese
terzo interessato o d’ufficio. Nel caso di
periodi di trattenimento prolungati
il riesame è sottoposto al controllo di
un’autorità giudiziaria.
4. Quando risulta che non esiste
più alcuna prospettiva ragionevole di
allontanamento per motivi di ordine
giuridico o per altri motivi o che non
sussistono più le condizioni di cui
al paragrafo 1, il trattenimento non è più
giustificato e la persona
interessata è immediatamente rilasciata.
5. Il trattenimento è mantenuto
finché perdurano le condizioni di cui al
paragrafo 1 e per il periodo
necessario ad assicurare che l’allontanamento sia
eseguito. Ciascuno Stato membro
stabilisce un periodo limitato di
trattenimento, che non può superare
i sei mesi.
6. Gli Stati membri non possono
prolungare il periodo di cui al paragrafo 5,
salvo per un periodo limitato non
superiore ad altri dodici mesi conformemente
alla legislazione nazionale nei
casi in cui, nonostante sia stato compiuto ogni
ragionevole sforzo, l’operazione di
allontanamento rischia di durare più a lungo
a causa:
a) della mancata cooperazione da
parte del cittadino di un paese terzo
interessato, o
b) dei ritardi nell’ottenimento
della necessaria documentazione dai paesi
terzi».
12 L’art. 16 della direttiva
2008/115, rubricato «Condizioni di
trattenimento», prevede al n. 1
quanto segue:
«Il trattenimento avviene di norma
in appositi centri di permanenza
temporanea. Qualora uno Stato
membro non possa ospitare il cittadino di un
paese terzo interessato in un
apposito centro di permanenza temporanea e
debba sistemarlo in un istituto
penitenziario, i cittadini di paesi terzi trattenuti
sono tenuti separati dai detenuti
ordinari».
13 Ai sensi dell’art. 18 della
direttiva 2008/115, rubricato «Situazioni di
emergenza»:
«1. Nei casi in cui un numero
eccezionalmente elevato di cittadini di paesi
terzi da rimpatriare comporta un
notevole onere imprevisto per la capacità dei
centri di permanenza temporanea di
uno Stato membro o per il suo personale
amministrativo o giudiziario, sino
a quando persiste la situazione anomala
detto Stato membro può decidere di
(...) adottare misure urgenti quanto alle
condizioni di trattenimento in
deroga a quelle previste all’articolo 16, paragrafo
1 (...).
2. All’atto di ricorrere a tali
misure eccezionali, lo Stato membro in
questione ne informa la
Commissione. Quest’ultima è informata anche non
appena cessino di sussistere i
motivi che hanno determinato l’applicazione
delle suddette misure eccezionali.
3. Nulla nel presente articolo può
essere interpretato nel senso che gli Stati
membri siano autorizzati a derogare
al loro obbligo generale di adottare tutte
le misure di carattere generale e
particolare atte ad assicurare l’esecuzione
degli obblighi ad essi incombenti
ai sensi della presente direttiva».
14 Ai sensi dell’art. 20, n. 1,
primo comma, della direttiva 2008/115, gli
Stati membri dovevano mettere in
vigore le disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative
necessarie per conformarsi a quest’ultima
entro il 24 dicembre 2010, eccezion
fatta per l’art. 13, n. 4.
15 Conformemente al suo art. 22,
detta direttiva è entrata in vigore il 13
gennaio 2009.
La normativa nazionale
16 L’art. 13 del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle
disposizioni concernenti la
disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione
dello straniero (Supplemento
ordinario alla GURI n. 191 del 18 agosto 1998),
come modificato dalla legge 15
luglio 2009, n. 94, recante disposizioni in
materia di sicurezza pubblica
(Supplemento ordinario alla GURI n. 170 del 24
luglio 2009; in prosieguo: il
«decreto legislativo n. 286/1998»), prevede ai
commi 2 e 4 quanto segue:
«2. L’espulsione è disposta dal
prefetto quando lo straniero:
a) è entrato nel territorio dello
Stato sottraendosi ai controlli di frontiera e
non è stato respinto (…);
b) si è trattenuto nel territorio
dello Stato (...) senza aver richiesto il
permesso di soggiorno nei termini
prescritti, salvo che il ritardo sia dipeso da
forza maggiore, ovvero quando il
permesso di soggiorno è stato revocato o
annullato, ovvero è scaduto da più
di sessanta giorni e non è stato chiesto il
rinnovo;
(...)
4. L’espulsione è sempre eseguita
dal questore con accompagnamento alla
frontiera a mezzo della forza
pubblica ad eccezione dei casi di cui al comma 5».
17 L’art. 14 del decreto
legislativo n. 286/1998 è così redatto:
«1. Quando non è possibile eseguire
con immediatezza l’espulsione
mediante accompagnamento alla
frontiera ovvero il respingimento, perché
occorre procedere al soccorso dello
straniero, [ad] accertamenti supplementari
in ordine alla sua identità o
nazionalità, ovvero all’acquisizione di documenti
per il viaggio, ovvero per
l’indisponibilità di vettore o altro mezzo di trasporto
idoneo, il questore dispone che lo
straniero sia trattenuto per il tempo
strettamente necessario presso il
centro di identificazione e di espulsione più
vicino, tra quelli individuati o
costituiti con decreto del Ministro dell’interno, di
concerto con i Ministri per la
solidarietà sociale e del tesoro, del bilancio e della
programmazione economica.
(…)
5-bis. Quando non sia stato
possibile trattenere lo straniero presso un
centro di identificazione ed
espulsione, ovvero la permanenza in tale struttura
non abbia consentito l’esecuzione
con l’accompagnamento alla frontiera
dell’espulsione o del
respingimento, il questore ordina allo straniero di
lasciare
il territorio dello Stato entro il
termine di cinque giorni. L’ordine è dato con
provvedimento scritto, recante
l’indicazione delle conseguenze sanzionatorie
della permanenza illegale, anche
reiterata, nel territorio dello Stato. L’ordine
del questore può essere
accompagnato dalla consegna all’interessato della
documentazione necessaria per
raggiungere gli uffici della rappresentanza
diplomatica del suo Paese in
Italia, anche se onoraria, nonché per rientrare
nello Stato di appartenenza ovvero,
quando ciò non sia possibile, nello Stato di
provenienza.
5-ter. Lo straniero che senza
giustificato motivo permane illegalmente nel
territorio dello Stato, in
violazione dell’ordine impartito dal questore ai sensi
del
comma 5-bis, è punito con la
reclusione da uno a quattro anni se l’espulsione o
il respingimento sono stati
disposti per ingresso illegale nel territorio nazionale
(...), ovvero per non aver
richiesto il permesso di soggiorno o non aver
dichiarato la propria presenza nel
territorio dello Stato nel termine prescritto in
assenza di cause di forza maggiore,
ovvero per essere stato il permesso
revocato o annullato. Si applica la
pena della reclusione da sei mesi ad un anno
se l’espulsione è stata disposta
perché il permesso di soggiorno è scaduto da
più di sessanta giorni e non ne è
stato richiesto il rinnovo, ovvero se la
richiesta del titolo di soggiorno è
stata rifiutata (...). In ogni caso, salvo che lo
straniero si trovi in stato di
detenzione in carcere, si procede all’adozione di un
nuovo provvedimento di espulsione
con accompagnamento alla frontiera a
mezzo della forza pubblica per
violazione all’ordine di allontanamento adottato
dal questore ai sensi del comma
5-bis. Qualora non sia possibile procedere
all’accompagnamento alla frontiera,
si applicano le disposizioni di cui ai commi
1 e 5-bis del presente articolo
(...).
5-quater. Lo straniero destinatario
del provvedimento di espulsione di cui al
comma 5-ter e di un nuovo ordine di
allontanamento di cui al comma 5-bis,
che continua a permanere
illegalmente nel territorio dello Stato, è punito con
la reclusione da uno a cinque anni.
Si applicano, in ogni caso, le disposizioni di
cui al comma 5-ter, terzo e ultimo
periodo.
5-quinquies. Per i reati previsti
ai commi 5-ter, primo periodo, e 5-quater si
procede con rito direttissimo ed è
obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto».
Procedimento principale e questione
pregiudiziale
18 Il sig. El Dridi è un cittadino
di un paese terzo entrato illegalmente in
Italia e privo di permesso di
soggiorno. Nei suoi confronti il prefetto di Torino
ha emanato un decreto di espulsione
in data 8 maggio 2004.
19 Un ordine di allontanamento dal
territorio nazionale, emesso il 21
maggio 2010 dal questore di Udine,
in esecuzione di detto decreto di
espulsione, gli è stato notificato
in pari data. Tale ordine di allontanamento era
motivato dall’indisponibilità di un
vettore o di altro mezzo di trasporto, dalla
mancanza di documenti di
identificazione del sig. El Dridi nonché
dall’impossibilità di ospitarlo in
un centro di permanenza temporanea per
mancanza di posti nelle apposite
strutture.
20 Durante un controllo effettuato
il 29 settembre 2010 è stato constatato
che il sig. El Dridi non si era
conformato a detto ordine di allontanamento.
21 Il sig. El Dridi è stato
condannato dal Tribunale monocratico di Trento,
all’esito di giudizio abbreviato,
alla pena di un anno di reclusione per il reato di
cui all’art. 14, comma 5-ter, del
decreto legislativo n. 286/1998.
22 Egli ha impugnato tale decisione
dinanzi alla Corte d’appello di Trento.
23 Quest’ultima s’interroga sulla
possibilità di disporre una sanzione penale,
nel corso della procedura
amministrativa di rimpatrio di uno straniero, per
inosservanza di una delle fasi di
tale procedura; una simile sanzione sembra,
infatti, contraria al principio di
leale cooperazione, al conseguimento degli scopi
della direttiva 2008/115 e al suo
effetto utile, nonché ai principi di
proporzionalità, di adeguatezza e
di ragionevolezza della pena.
24 Essa precisa, al riguardo, che
la sanzione penale di cui all’art. 14,
comma 5-ter, del decreto
legislativo n. 286/1998 interviene dopo l’accertata
violazione di un passaggio
intermedio della procedura graduale di attuazione
della decisione di rimpatrio,
prevista dalla direttiva 2008/115, ovverosia
l’inottemperanza al solo ordine di
allontanamento. Potendo andare da uno a
quattro anni, la pena della
reclusione sarebbe connotata, peraltro, da un
carattere di estremo rigore.
25 Ciò considerato, la Corte
d’appello di Trento ha deciso di sospendere il
procedimento e di proporre alla
Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se alla luce dei principi di leale
collaborazione all’effetto utile di
conseguimento degli scopi della
direttiva e di proporzionalità, adeguatezza e
ragionevolezza della pena, gli
artt. 15 e 16 della direttiva [2008/115] ostino:
– alla possibilità che venga
sanzionata penalmente la violazione di un
passaggio intermedio della
procedura amministrativa di rimpatrio, prima che
essa sia completata[,] con il
ricorso al massimo rigore coercitivo ancora
possibile amministrativamente;
– alla possibilità che venga punita
con la reclusione sino a quattro anni la
mera mancata cooperazione
dell’interessato alla procedura di espulsione, ed in
particolare l’ipotesi di
inosservanza al primo ordine di allontanamento emanato
dall’autorità amministrativa».
Sul procedimento d’urgenza
26 La Corte d’appello di Trento ha
chiesto che il presente rinvio
pregiudiziale sia sottoposto al
procedimento d’urgenza previsto all’art. 104 ter
del regolamento di procedura della
Corte.
27 Il giudice del rinvio ha
motivato tale domanda con il fatto che il sig. El
Dridi è detenuto in esecuzione
della pena cui è stato condannato dal Tribunale
di Trento.
28 La Prima Sezione della Corte,
sentito l’avvocato generale, ha deciso di
accogliere la domanda del giudice
remittente di sottoporre il rinvio
pregiudiziale al procedimento
d’urgenza.
Sulla questione pregiudiziale
29 Con la sua questione il giudice
del rinvio chiede, in sostanza, se la
direttiva 2008/115, in particolare
i suoi artt. 15 e 16, debba essere
interpretata nel senso che essa
osta ad una normativa di uno Stato membro,
come quella in discussione nel
procedimento principale, che preveda
l’irrogazione della pena della
reclusione al cittadino di un paese terzo il cui
soggiorno sia irregolare per la
sola ragione che questi, in violazione di un
ordine di lasciare entro un
determinato termine il territorio di tale Stato,
permane in detto territorio senza
giustificato motivo.
30 Il giudice del rinvio fa
riferimento, al riguardo, al principio di leale
cooperazione di cui all’art. 4, n.
3, TUE, nonché all’obiettivo di assicurare
l’effetto utile del diritto
dell’Unione.
31 In proposito si deve ricordare
che, come enuncia il suo secondo
‘considerando’, la direttiva
2008/115 persegue l’attuazione di un’efficace
politica in materia di
allontanamento e rimpatrio basata su norme comuni
affinché le persone interessate
siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno
rispetto dei loro diritti
fondamentali e della loro dignità.
32 Come si apprende tanto dal suo
titolo quanto dall’art. 1, la direttiva
2008/115 stabilisce le «norme e
procedure comuni» che devono essere
applicate da ogni Stato membro al
rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui
soggiorno sia irregolare. Discende
dalla locuzione summenzionata, come pure
dall’economia generale della
succitata direttiva, che gli Stati membri possono
derogare a tali norme e procedure
solo alle condizioni previste dalla direttiva
medesima, segnatamente quelle
fissate al suo art. 4.
33 Di conseguenza, mentre il n. 3
di detto art. 4 riconosce agli Stati
membri la facoltà di introdurre o
di mantenere disposizioni più favorevoli per i
cittadini di paesi terzi il cui
soggiorno sia irregolare rispetto a quelle stabilite
dalla direttiva 2008/115, purché
compatibili con quest’ultima, detta direttiva
non permette invece a tali Stati di
applicare norme più severe nell’ambito che
essa disciplina.
34 Occorre del pari rilevare che la
direttiva 2008/115 stabilisce con
precisione la procedura che ogni
Stato membro è tenuto ad applicare al
rimpatrio dei cittadini di paesi
terzi il cui soggiorno sia irregolare e fissa la
successione delle diverse fasi di
tale procedura.
35 In tal senso, l’art. 6, n. 1, di
detta direttiva prevede anzitutto, in via
principale, l’obbligo per gli Stati
membri di adottare una decisione di rimpatrio
nei confronti di qualunque
cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro
territorio sia irregolare.
36 Nell’ambito di questa prima fase
della procedura di rimpatrio va
accordata priorità, salvo
eccezioni, all’esecuzione volontaria dell’obbligo
derivante dalla decisione di
rimpatrio; in tal senso, l’art. 7, n. 1, della direttiva
2008/115 dispone che detta
decisione fissa per la partenza volontaria un
periodo congruo di durata compresa
tra sette e trenta giorni.
37 Risulta dall’art. 7, nn. 3 e 4,
di detta direttiva che solo in circostanze
particolari, per esempio se
sussiste rischio di fuga, gli Stati membri possono,
da un lato, imporre al destinatario
di una decisione di rimpatrio l’obbligo di
presentarsi periodicamente alle
autorità, di prestare una garanzia finanziaria
adeguata, di consegnare i documenti
o di dimorare in un determinato luogo
oppure, dall’altro, concedere un
termine per la partenza volontaria inferiore a
sette giorni o addirittura non
accordare alcun termine.
38 In quest’ultima ipotesi, ma
anche nel caso in cui l’obbligo di rimpatrio
non sia stato adempiuto entro il
termine concesso per la partenza volontaria,
risulta dall’art. 8, nn. 1 e 4,
della direttiva 2008/115 che, al fine di assicurare
l’efficacia delle procedure di
rimpatrio, tali disposizioni impongono allo Stato
membro, che ha adottato una
decisione di rimpatrio nei confronti di un
cittadino di un paese terzo il cui
soggiorno sia irregolare, l’obbligo di procedere
all’allontanamento, prendendo tutte
le misure necessarie, comprese,
all’occorrenza, misure coercitive,
in maniera proporzionata e nel rispetto, in
particolare, dei diritti
fondamentali.
39 Al riguardo, discende dal
sedicesimo ‘considerando’ di detta direttiva
nonché dal testo del suo art. 15,
n. 1, che gli Stati membri devono procedere
all’allontanamento mediante le
misure meno coercitive possibili. Solo qualora
l’esecuzione della decisione di
rimpatrio sotto forma di allontanamento rischi,
valutata la situazione caso per
caso, di essere compromessa dal
comportamento dell’interessato,
detti Stati possono privare quest’ultimo della
libertà ricorrendo al
trattenimento.
40 Conformemente all’art. 15, n. 1,
secondo comma, della direttiva
2008/115, tale privazione della
libertà deve avere durata quanto più breve
possibile e protrarsi solo per il
tempo necessario all’espletamento diligente
delle modalità di rimpatrio. Ai
sensi dei nn. 3 e 4 di detto art. 15, tale
privazione della libertà è
riesaminata ad intervalli ragionevoli e deve cessare
appena risulti che non esiste più
una prospettiva ragionevole di
allontanamento. I nn. 5 e 6 del
medesimo articolo fissano la sua durata
massima in 18 mesi, termine
tassativo per tutti gli Stati membri. L’art. 16,
n. 1, di detta direttiva, inoltre,
prescrive che gli interessati siano collocati in un
centro apposito e, in ogni caso,
separati dai detenuti di diritto comune.
41 Emerge da quanto precede che la
successione delle fasi della procedura
di rimpatrio stabilita dalla
direttiva 2008/115 corrisponde ad una gradazione
delle misure da prendere per dare
esecuzione alla decisione di rimpatrio,
gradazione che va dalla misura meno
restrittiva per la libertà dell’interessato –
la concessione di un termine per la
sua partenza volontaria – alla misura che
maggiormente limita la sua libertà
– il trattenimento in un apposito centro –,
fermo restando in tutte le fasi di
detta procedura l’obbligo di osservare il
principio di proporzionalità.
42 Perfino il ricorso a
quest’ultima misura, la più restrittiva della libertà
che
la direttiva consente nell’ambito
di una procedura di allontanamento coattivo,
appare strettamente regolamentato,
in applicazione degli artt. 15 e 16 di detta
direttiva, segnatamente allo scopo
di assicurare il rispetto dei diritti
fondamentali dei cittadini
interessati dei paesi terzi.
43 In particolare, la durata
massima prevista all’art. 15, nn. 5 e 6, della
direttiva 2008/115 ha lo scopo di
limitare la privazione della libertà dei cittadini
di paesi terzi in situazione di
allontanamento coattivo (sentenza 30 novembre
2009, causa C-357/09 PPU, Kadzoev,
Racc. pag. I-11189, punto 56). La
direttiva 2008/115 intende così
tener conto sia della giurisprudenza della Corte
europea dei diritti dell’uomo,
secondo la quale il principio di proporzionalità
esige che il trattenimento di una
persona sottoposta a procedura di espulsione
o di estradizione non si protragga
oltre un termine ragionevole, vale a dire non
superi il tempo necessario per
raggiungere lo scopo perseguito (v., in
particolare, Corte eur. D.U,
sentenza Saadi c. Regno Unito del 29 gennaio
2008, non ancora pubblicata nel
Recueil des arrêts et décisions, §§ 72 e 74),
sia dell’ottavo dei «Venti
orientamenti sul rimpatrio forzato» adottati il 4
maggio 2005 dal Comitato dei
Ministri del Consiglio d’Europa, ai quali la
direttiva fa riferimento nel terzo
‘considerando’. Secondo tale principio, il
trattenimento ai fini
dell’allontanamento deve essere quanto più breve
possibile.
44 È alla luce delle suesposte
considerazioni che occorre valutare se le
regole comuni introdotte dalla
direttiva 2008/115 ostino ad una normativa
nazionale come quella in
discussione nel procedimento principale.
45 Al riguardo va rilevato, in
primo luogo, che, come risulta dalle
informazioni fornite sia dal
giudice del rinvio sia dal governo italiano nelle sue
osservazioni scritte, la direttiva
2008/115 non è stata trasposta
nell’ordinamento giuridico
italiano.
46 Orbene, per costante
giurisprudenza, qualora uno Stato membro si
astenga dal recepire una direttiva
entro i termini o non l’abbia recepita
correttamente, i singoli sono
legittimati a invocare contro detto Stato membro
le disposizioni di tale direttiva
che appaiano, dal punto di vista sostanziale,
incondizionate e sufficientemente
precise (v. in tal senso, in particolare,
sentenze 26 febbraio 1986, causa
152/84, Marshall, Racc. pag. 723, punto 46,
e 3 marzo 2011, causa C-203/10,
Auto Nikolovi, non ancora pubblicata nella
Raccolta, punto 61).
47 Ciò vale anche per gli artt. 15
e 16 della direttiva 2008/115, i quali,
come si evince dal punto 40 della
presente sentenza, sono incondizionati e
sufficientemente precisi da non
richiedere ulteriori specifici elementi perché gli
Stati membri li possano mettere in
atto.
48 Peraltro, una persona che si
trovi nella situazione del sig. El Dridi rientra
nell’ambito di applicazione ratione
personae della direttiva 2008/115, la quale
si applica, conformemente al suo
art. 2, n. 1, ai cittadini di paesi terzi il cui
soggiorno nel territorio di uno
Stato membro sia irregolare.
49 Come ha osservato l’avvocato
generale ai paragrafi 22-28 della sua
presa di posizione, non incide su
tale conclusione l’art. 2, n. 2, lett. b), di detta
direttiva, ai sensi del quale gli
Stati membri possono decidere di non applicare
la direttiva ai cittadini di paesi
terzi sottoposti a rimpatrio come sanzione
penale o in conseguenza di una
sanzione penale, in conformità della
legislazione nazionale, o
sottoposti a procedura di estradizione. Invero, si
apprende dalla decisione di rinvio
che l’obbligo di rimpatrio risulta, nel
procedimento principale, da un
decreto del prefetto di Torino dell’8 maggio
2004. Peraltro, le sanzioni penali
di cui a detta disposizione non concernono
l’inosservanza del termine
impartito per la partenza volontaria.
50 Si deve constatare, in secondo
luogo, che, sebbene il decreto del
prefetto di Torino dell’8 maggio
2004, in quanto stabilisce un obbligo per il
sig. El Dridi di lasciare il
territorio nazionale, integri una «decisione di
rimpatrio» come definita all’art.
3, punto 4, della direttiva 2008/115 e
menzionata, in particolare, agli
artt. 6, n. 1, e 7, n. 1, della stessa, la
procedura di allontanamento
prevista dalla normativa italiana in discussione
nel procedimento principale
differisce notevolmente da quella stabilita da detta
direttiva.
51 Infatti, mentre detta direttiva
prescrive la concessione di un termine per
la partenza volontaria, compreso
tra i sette e i trenta giorni, il decreto
legislativo n. 286/1998 non prevede
una tale misura.
52 Per quanto riguarda, poi, le
misure coercitive che gli Stati membri
possono adottare ai sensi dell’art.
8, n. 4, della direttiva 2008/115, in
particolare l’accompagnamento
coattivo alla frontiera previsto all’art. 13,
comma 4, del decreto legislativo n.
286/1998, è giocoforza constatare che, in
una situazione in cui tali misure
non abbiano consentito di raggiungere il
risultato perseguito, ossia
l’allontanamento del cittadino di un paese terzo
contro il quale sono state
disposte, gli Stati membri restano liberi di adottare
misure, anche penali, atte
segnatamente a dissuadere tali cittadini dal
soggiornare illegalmente nel
territorio di detti Stati.
53 Occorre tuttavia rilevare che,
se è vero che la legislazione penale e le
norme di procedura penale
rientrano, in linea di principio, nella competenza
degli Stati membri, su tale ambito
giuridico può nondimeno incidere il diritto
dell’Unione (v. in questo senso, in
particolare, sentenze 11 novembre 1981,
causa 203/80, Casati, Racc. pag.
2595, punto 27; 2 febbraio 1989, causa
186/87, Cowan, Racc. pag. 195,
punto 19, e 16 giugno 1998, causa C-226/97,
Lemmens, Racc. pag. I-3711, punto
19).
54 Di conseguenza, sebbene né
l’art. 63, primo comma, punto 3, lett. b),
CE – disposizione che è stata
ripresa dall’art. 79, n. 2, lett. c), TFUE – né la
direttiva 2008/115, adottata in
particolare sul fondamento di detta disposizione
del Trattato CE, escludano la
competenza penale degli Stati membri in tema di
immigrazione clandestina e di
soggiorno irregolare, questi ultimi devono fare in
modo che la propria legislazione in
materia rispetti il diritto dell’Unione.
55 In particolare, detti Stati non
possono applicare una normativa, sia pure
di diritto penale, tale da
compromettere la realizzazione degli obiettivi
perseguiti da una direttiva e da
privare così quest’ultima del suo effetto utile.
56 Infatti, ai sensi
rispettivamente del secondo e del terzo comma
dell’art. 4, n. 3, TUE, gli Stati
membri, in particolare, «adottano ogni misura di
carattere generale o particolare
atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi
derivanti dai trattati o
conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione» e
«si
astengono da qualsiasi misura che
rischi di mettere in pericolo la realizzazione
degli obiettivi dell’Unione»,
compresi quelli perseguiti dalle direttive.
57 Quanto, più specificamente, alla
direttiva 2008/115, si deve ricordare
che – come enuncia il suo
tredicesimo ‘considerando’ – essa subordina
espressamente l’uso di misure
coercitive al rispetto dei principi di
proporzionalità e di efficacia per
quanto riguarda i mezzi impiegati e gli
obiettivi perseguiti.
58 Ne consegue che gli Stati membri
non possono introdurre, al fine di
ovviare all’insuccesso delle misure
coercitive adottate per procedere
all’allontanamento coattivo
conformemente all’art. 8, n. 4, di detta direttiva,
una pena detentiva, come quella
prevista all’art. 14, comma 5-ter, del decreto
legislativo n. 286/1998, solo
perché un cittadino di un paese terzo, dopo che
gli è stato notificato un ordine di
lasciare il territorio di uno Stato membro e
che il termine impartito con tale
ordine è scaduto, permane in maniera
irregolare nel territorio
nazionale. Essi devono, invece, continuare ad
adoperarsi per dare esecuzione alla
decisione di rimpatrio, che continua a
produrre i suoi effetti.
59 Una tale pena, infatti,
segnatamente in ragione delle sue condizioni e
modalità di applicazione, rischia
di compromettere la realizzazione
dell’obiettivo perseguito da detta
direttiva, ossia l’instaurazione di una politica
efficace di allontanamento e di
rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui
soggiorno sia irregolare. In
particolare, come ha rilevato l’avvocato generale al
paragrafo 42 della sua presa di
posizione, una normativa nazionale quale
quella oggetto del procedimento
principale può ostacolare l’applicazione delle
misure di cui all’art. 8, n. 1,
della direttiva 2008/115 e ritardare l’esecuzione
della decisione di rimpatrio.
60 Ciò non esclude la facoltà per
gli Stati membri di adottare, nel rispetto
dei principi della direttiva
2008/115 e del suo obiettivo, disposizioni che
disciplinino le situazioni in cui
le misure coercitive non hanno consentito di
realizzare l’allontanamento di un
cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sul
loro territorio sia irregolare.
61 Alla luce di quanto precede, al
giudice del rinvio, incaricato di applicare,
nell’ambito della propria
competenza, le disposizioni del diritto dell’Unione e di
assicurarne la piena efficacia,
spetterà disapplicare ogni disposizione del
decreto legislativo n. 286/1998
contraria al risultato della direttiva 2008/115,
segnatamente l’art. 14, comma
5-ter, di tale decreto legislativo (v., in tal
senso, sentenze 9 marzo 1978, causa
106/77, Simmenthal, Racc. pag. 629,
punto 24; 22 maggio 2003, causa
C-462/99, Connect Austria,
Racc. pag. I-5197, punti 38 e 40,
nonché 22 giugno 2010, cause riunite
C-188/10 e C-189/10, Melki e
Abdeli, non ancora pubblicata nella Raccolta,
punto 43). Ciò facendo il giudice
del rinvio dovrà tenere debito conto del
principio dell’applicazione
retroattiva della pena più mite, il quale fa parte delle
tradizioni costituzionali comuni
agli Stati membri (sentenze 3 maggio 2005,
cause riunite C-387/02, C-391/02 e
C-403/02, Berlusconi e a.,
Racc. pag. I-3565, punti 67-69,
nonché 11 marzo 2008, causa C-420/06,
Jager, Racc. pag. I-1315, punto
59).
62 Pertanto, occorre risolvere la
questione deferita dichiarando che la
direttiva 2008/115, in particolare
i suoi artt. 15 e 16, deve essere interpretata
nel senso che essa osta ad una
normativa di uno Stato membro, come quella
in discussione nel procedimento
principale, che preveda l’irrogazione della pena
della reclusione al cittadino di un
paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per
la sola ragione che questi, in
violazione di un ordine di lasciare entro un
determinato termine il territorio
di tale Stato, permane in detto territorio senza
giustificato motivo.
Sulle spese
63 Nei confronti delle parti nel
procedimento principale il presente
procedimento costituisce un
incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui
spetta quindi statuire sulle spese.
Le spese sostenute da altri soggetti per
presentare osservazioni alla Corte
non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Prima
Sezione) dichiara:
La direttiva del Parlamento europeo
e del Consiglio 16 dicembre 2008,
2008/115/CE, recante norme e
procedure comuni applicabili negli
Stati membri al rimpatrio di
cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è
irregolare, in particolare i suoi
artt. 15 e 16, deve essere interpretata
nel senso che essa osta ad una
normativa di uno Stato membro, come
quella in discussione nel
procedimento principale, che preveda
l’irrogazione della pena della
reclusione al cittadino di un paese terzo il
cui soggiorno sia irregolare per la
sola ragione che questi, in violazione
di un ordine di lasciare entro un
determinato termine il territorio di
tale Stato, permane in detto
territorio senza giustificato motivo.
Firme
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