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Giustizia amministrativa, crolla il mito dell’effetto retroattivo dell’annullamento giurisdizionale-“L’atto illegittimo può essere annullato anche ex nunc”, Consiglio di Stato 2755 del 2011-LeggiOggi.it

 

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“Anche il giudice amministrativo nazionale, così come la Corte di Giustizia, può differire gli effetti di annullamento degli atti impugnati, risultati illegittimi, ovvero non disporli affatto, statuendo solo gli effetti conformativi, volti a far sostituire il provvedimento risultato illegittimo”.

 

Lo ha stabilito, con una sentenza assolutamente innovativa depositata il 10 maggio scorso, la sesta sezione del Consiglio di Stato (estensori il presidente Luigi Maruotti ed il consigliere Fabio Taormina).

 

Di seguito, la parte motiva della pronunzia:

 

“Diritto (…)

 

15. (…) considerate le circostanze, ritiene la Sezione che la presente sentenza debba avere unicamente effetti conformativi del successivo esercizio della funzione pubblica, e non anche i consueti effetti ex tunc di annullamento, demolitori degli effetti degli atti impugnati, né quelli ex nunc

 

15.1. Di regola, in base ai principi fondanti la giustizia amministrativa, l’accoglimento della azione di annullamento comporta l’annullamento con effetti ex tunc del provvedimento risultato illegittimo, con salvezza degli ulteriori provvedimenti della autorità amministrativa, che può anche retroattivamente disporre con un atto avente effetti ‘ora per allora’.

 

Tale regola fondamentale è stata affermata ab antiquo et antiquissimo tempore da questo Consiglio (come ineluttabile corollario del principio di effettività della tutela), poiché la misura tipica dello Stato di diritto – come affermatosi con la legge fondamentale del 1889, istitutiva della Quarta Sezione del Consiglio di Stato – non può che essere quella della eliminazione integrale degli effetti dell’atto lesivo per il ricorrente, risultato difforme dal principio di legalità.

 

15.2. Tuttavia, quando la sua applicazione risulterebbe incongrua e manifestamente ingiusta, ovvero in contrasto col principio di effettività della tutela giurisdizionale, ad avviso del Collegio la regola dell’annullamento con effetti ex tunc dell’atto impugnato a seconda delle circostanze deve trovare una deroga, o con la limitazione parziale della retroattività degli effetti (Sez. VI, 9 marzo 2011, n. 1488), o con la loro decorrenza ex nunc ovvero escludendo del tutto gli effetti dell’annullamento e disponendo esclusivamente gli effetti conformativi.

 

La legislazione ordinaria non preclude al giudice amministrativo l’esercizio del potere di determinare gli effetti delle proprie sentenze di accoglimento.

 

Da un lato, la normativa sostanziale e quella processuale non dispongono l’inevitabilità della retroattività degli effetti dell’annullamento di un atto in sede amministrativa o giurisdizionale (cfr. l’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 e l’art. 34, comma 1, lettera a), del Codice del processo amministrativo).

 

D’altro lato, dagli articoli 121 e 122 del Codice emerge che la rilevata fondatezza di un ricorso d’annullamento può comportare l’esercizio di un potere valutativo del giudice, sulla determinazione dei concreti effetti della propria pronuncia.

 

Tale potere valutativo, attribuito per determinare la perduranza o meno degli effetti di un contratto, per le ragioni di seguito esposte, va riconosciuto al giudice amministrativo in termini generali, quando si tratti di determinare la perduranza o meno degli effetti di un provvedimento.

 

16. Il giudice amministrativo, nel determinare gli effetti delle proprie statuizioni, deve ispirarsi al criterio per cui esse, anche le più innovative, devono produrre conseguenze coerenti con il sistema (e cioè armoniche con i principi generali dell’ordinamento, e in particolare con quello di effettività della tutela) e congruenti (in quanto basate sui medesimi principi generali, da cui possa desumersi in via interpretativa la regula iuris in concreto enunciata).

 

17. Nel caso di specie (e con riferimento al criterio della coerenza col sistema e col principio di effettività della tutela da attuare nei confronti dell’appellante, vincitrice nel giudizio), si deve tenere conto di due decisive considerazioni:

 

a) il ricorso di primo grado è stato proposto da una associazione ambientalista, non a tutela della sua specifica sfera giuridica, bensì nella qualità di soggetto legittimato ex lege ad impugnare i provvedimenti di portata generale che in qualsiasi modo abbiano una negativa incidenza sull’ambiente e sulle sue singole componenti, ovvero non lo abbiano adeguatamente tutelato (v. l’art. 18 della legge n. 349 del 1986);

 

b) il medesimo ricorso di primo grado non ha mirato a far rimuovere in quanto tali gli atti generali impugnati, bensì a farne rilevare l’illegittimità per l’inadeguatezza della tutela prevista dal piano faunistico approvato dalla Regione Puglia, inadeguatezza da considerare in re ipsa per il fatto che non sia stato posto in essere il prescritto procedimento di valutazione ambientale strategica (così mancando le più compiute valutazioni di merito), la cui conclusione avrebbe potuto ragionevolmente indurre l’Autorità regionale ad emanare prescrizioni più restrittive, limitative dei comportamenti potenzialmente incidenti sull’ambiente e su alcune delle sue componenti.

 

Ove il Collegio annullasse ex tunc ovvero anche ex nunc il piano in ragione della mancata attivazione della VAS, sarebbero travolte tutte le prescrizioni del piano, e ciò sia in contrasto con la pretesa azionata col ricorso di primo grado, sia con la gravissima e paradossale conseguenza di privare il territorio pugliese di qualsiasi regolamentazione e di tutte le prescrizioni di tutela sostanziali contenute nel piano già approvato (retrospettivamente o a decorrere dalla pubblicazione della presente sentenza, nei casi rispettivamente di annullamento ex tunc o ex nunc).

 

In altri termini, l’annullamento ex tunc e anche quello ex nunc degli atti impugnati risulterebbero in palese contrasto sia con l’interesse posto a base dell’impugnazione, sia con le esigenze di tutela prese in considerazione dalla normativa di settore, e si ritorcerebbe a carico degli interessi pubblici di cui è portatrice ex lege l’associazione appellante.

 

18. Ritiene la Sezione che tali conclusioni paradossali possano essere agevolmente evitate, facendo applicazione dei principi nazionali sulla effettività della tutela giurisdizionale, nonché dei pacifici principi enunciati dalla Corte di Giustizia, e applicabili anche nel sistema nazionale, nei casi di constatata invalidità di un atto di portata generale.

 

18.1. Quanto al principio di effettività della tutela giurisdizionale, desumibile dagli articoli 6 e 13 della CEDU, dagli artt. 24, 111 e 113 della Costituzione e dal Codice del processo amministrativo, si deve ritenere che la funzione primaria ed essenziale del giudizio è quella di attribuire alla parte che risulti vittoriosa l’utilità che le compete in base all’ordinamento sostanziale.

 

La fondatezza delle censure della associazione appellante – legittimata ad impugnare gli atti generali comunque viziati e lesivi per l’ambiente – non può indurre il giudice amministrativo ad emettere statuizioni che vanifichino l’effettività della tutela o, addirittura, che si pongano in palese contrasto con le finalità poste a base della iniziativa processuale.

 

In applicazione del principio sancito dall’art. 1 del Codice del processo amministravo (sulla ‘tutela piena ed effettiva’), il giudice può emettere le statuizioni che risultino in concreto satisfattive dell’interesse fatto valere e deve interpretare coerentemente ogni disposizione processuale.

 

18.2. Quanto alla rilevanza nel sistema nazionale dei principi europei (anch’essi richiamati dall’art. 1 del Codice), va premesso che – per l’articolo 264 del Trattato sul funzionamento della Unione Europea – la Corte di Giustizia, ove lo reputi necessario, può precisare ‘gli effetti dell’atto annullato che devono essere considerati definitivi’.

 

La giurisprudenza comunitaria ha da tempo affermato che il principio dell’efficacia ex tunc dell’annullamento, seppur costituente la regola, non ha portata assoluta e che la Corte può dichiarare che l’annullamento di un atto (sia esso parziale o totale) abbia effetto ex nunc o che, addirittura, l’atto medesimo conservi i propri effetti sino a che l’istituzione comunitaria modifichi o sostituisca l’atto impugnato (Corte di Giustizia, 5 giugno 1973, Commissione c. Consiglio, in C-81/72; Corte di Giustizia, 25 febbraio 1999, Parlamento c. Consiglio, in C-164/97 e 165/97).

 

Tale potere valutativo prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona era previsto espressamente nel caso di riscontrata invalidità di un regolamento comunitario (v. l’art. 231 del Trattato istitutivo della Comunità Europea), ma era esercitabile – ad avviso della Corte – anche nei casi di impugnazione delle decisioni (Corte di Giustizia, 12 maggio 1998, Regno Unito c Commissione, in C-106/96), delle direttive e di ogni altro atto generale (Corte di Giustizia, 7 luglio 1992, Parlamento c. Consiglio, in C-295/90; 5 luglio 1995, Parlamento c Consiglio, in C-21-94).

 

La Corte di Giustizia è dunque titolare anche del potere di statuire la perduranza, in tutto o in parte, degli effetti dell’atto risultato illegittimo, per un periodo di tempo che può tenere conto non solo del principio di certezza del diritto e della posizione di chi ha vittoriosamente agito in giudizio, ma anche di ogni altra circostanza da considerare rilevante (Corte di Giustizia, 10 gennaio 2006, in C-178/03; 3 settembre 2008, in C-402/05 e 415/05; 22 dicembre 2008, in C-333/07).

 

Tale giurisprudenza, come sopra segnalato, ha ormai trovato un fondamento testuale nel secondo comma dell’art. 264 (ex 231) del Trattato di Lisbona sul funzionamento della Unione Europea, che non contiene più il riferimento delimitativo alla categoria dei regolamenti (“Se il ricorso è fondato, la Corte di giustizia dell’Unione europea dichiara nullo e non avvenuto l’atto impugnato. Tuttavia la Corte, ove lo reputi necessario, precisa gli effetti dell’atto annullato che devono essere considerati definitivi”).

 

18.3. Ciò posto, ritiene la Sezione che – nel rispetto del principio di congruenza, per il quale la propria statuizione deve fondarsi quanto meno su regole disciplinanti un caso analogo – anche il giudice amministrativo nazionale possa differire gli effetti di annullamento degli atti impugnati, risultati illegittimi, ovvero non disporli affatto, statuendo solo gli effetti conformativi, volti a far sostituire il provvedimento risultato illegittimo.

 

Da un lato il sopra richiamato principio di effettività della tutela impone di emettere una sentenza che sia del tutto coerente con le istanze di tutela e di giustizia.

 

Dall’altro, non può disconoscersi che – in una materia quale quella ambientale, per la quale vi è la competenza concorrente dell’Unione e degli Stati – gli standard della tutela giurisdizionale non possano essere diversi, a seconda che gli atti regolatori siano emessi in sede comunitaria o nazionale (e, dunque, che la controversia vada decisa o meno dal giudice dell’Unione).

 

Il giudice nazionale ove occorra può applicare le collaudate regole applicate dal giudice dell’Unione, spesso basate sul semplice buon senso, così come lo stesso giudice dell’Unione, nell’esercizio delle sue altissime funzioni, assicura “il rispetto dei principi generali comuni ai diritti degli Stati membri” (per l’art. 340 del medesimo Trattato sul funzionamento dell’Unione).

 

18.4. Tenuto conto di questo continuo processo di osmosi tra i principi applicabili dal giudice dell’Unione e quelli desumibili dagli ordinamenti degli Stati membri, nella fattispecie in esame la Sezione ritiene dunque che sia necessario:

 

- non statuire gli effetti di annullamento degli atti impugnati in primo grado e di disporre unicamente gli effetti conformativi delle statuizioni della presente sentenza;

 

- disporre che i medesimi atti conservino i propri effetti sino a che la Regione Puglia li modifichi o li sostituisca.

 

Sarebbe infatti contrario al buon senso, oltre che in contrasto con l’interesse fatto valere in giudizio, disporre l’annullamento ex tunc o ex nunc delle misure di tutela già introdotte, sol perché esse siano risultate insufficienti (non essendovi, né essendo stata prospettata, una normativa suppletiva di salvaguardia).

 

Per di più, nel caso di specie, lo strumento generale programmatorio e di regolamentazione è risultato privo di specifici vizi sostanziali (pur se – per il procedimento seguito – è ragionevole supporre che la mancanza della VAS abbia inciso sul suo contenuto, per l’assenza di valutazioni degli ulteriori profili di tutela prescritti dalla normativa di settore).

 

19. In conclusione, il Collegio ritiene dunque di statuire che l’accoglimento dell’appello in epigrafe, e del corrispondente ricorso di primo grado, comporta unicamente la produzione di effetti conformativi, in assenza di effetti caducatori e d’annullamento, in quanto la Regione Puglia deve emanare ulteriori provvedimenti, sostitutivi ex nunc di quelli risultati illegittimi e che tengano conto dei medesimi effetti conformativi e della sopravvenuta entrata in vigore del decreto legislativo n. 4 del 2008.

 

Inoltre, la Sezione ritiene di statuire che la Regione Puglia proceda alla approvazione dell’ulteriore piano faunistico venatorio, rilevante fino all’anno 2014, entro il termine di dieci mesi, decorrente dalla notificazione o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, nel rispetto delle precedenti considerazioni e anche esercitando i poteri sostitutivi che le spettano, nei tempi da essa determinati, nel caso di inadeguata collaborazione di altre pubbliche amministrazioni.

 

Qualora il termine di dieci mesi decorra in assenza di determinazioni regionali, nel caso di proposizione del giudizio di ottemperanza la Sezione potrà valutare tutte le circostanze ed esercitare i poteri previsti dal Codice del processo amministrativo, anche quelli riguardanti le misure dissuasorie della eventuale inottemperanza.

 

Resta comunque inteso che, in attesa della rinnovata emanazione (con effetti di per sé non retroattivi) del piano faunistico regionale, nel rispetto dei procedimenti previsti dalle leggi, rimangono ferme tutte le prescrizioni contenute nella deliberazione n. 217 del 21 luglio 2009 del consiglio regionale della Puglia, così come resta inteso che la presente sentenza non produce ulteriori conseguenze, sulla legittimità e sulla efficacia di qualsiasi atto o provvedimento che sia stato emesso in applicazione o a seguito della medesima deliberazione, ovvero che sia emesso fino a quando sia approvato il nuovo piano faunistico venatorio regionale efficace sino all’anno 2014.

 

20. Per le ragioni che precedono, l’appello in esame va accolto nei limiti sopra precisati e con le conseguenze conformative sopra determinate.

 

In ragione della reciproca soccombenza, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese dei due gradi del giudizio.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello n. 1846 del 2010, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente nei termini di cui alla motivazione e, per l’effetto, in riforma dell’appellata sentenza:

 

- accoglie il ricorso di primo grado n. 1683 del 2009 e rileva che la delibera n. 217 del 2009 del Consiglio Regionale della Puglia è stata emanata in assenza dell’attivazione del procedimento sulla valutazione ambientale strategica, prescritto dalla legislazione di settore;

 

- mantiene fermi, come precisato in motivazione, tutti gli effetti dei provvedimenti impugnati in primo grado e, in particolare, della medesima delibera n. 217 del 21 luglio 2009, anche per la verifica della legittimità e della efficacia degli atti conseguenti;

 

- dichiara il dovere della Regione Puglia di procedere alla rinnovata emanazione – con effetti ex nunc – del piano faunistico venatorio regionale efficace fino all’anno 2014 e di concludere il relativo procedimento entro il termine di dieci mesi, decorrente dalla notificazione o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza;

 

- compensa tra le parti le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio;

 

- dispone che copia della presente sentenza sia comunicata, a cura della Segreteria, anche al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.

 

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2011 con l’intervento dei magistrati:

 

Luigi Maruotti, Presidente

Rosanna De Nictolis, Consigliere

Maurizio Meschino, Consigliere

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

 

Depositata in segreteria il 10 maggio 2011”

 

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