Non sussiste alcun rapporto di
specialità tra la disciplina, in materia di rifiuti,
dettata dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e la
disciplina, in materia di veicoli fuori uso, dettata dal
D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209, in quanto la disciplina
contenuta in quest’ultimo decreto afferisce al complesso
delle operazioni necessarie per la rottamazione dei
veicoli fuori uso, dovendosi intendere per tali quelli
non solo rottamati, ma soprattutto completamente
bonificati.
Interessante decisione della
Cassazione sul tema dei rapporti intercorrenti tra la
disciplina dei rifiuti e la disciplina in tema di
veicoli fuori uso.
La Corte, soffermandosi sulla
questione, pone un chiaro distinguo tra le due
discipline che, seppure contigue, si differenziano
profondamente per presupposti, condotte e sanzioni.
Nell’escludere, infatti, la
fondatezza delle tesi difensiva secondo cui l’unica
disciplina applicabile avrebbe dovuto essere quella
contenuta nel D.Lgs. n. 209/2003, i Supremi Giudici,
precisano come, nel caso di un veicolo fuori uso, una
rottamazione effettuata in spregio ai criteri indicati
nella normativa dettata dal D.Lgs. n. 209/2003 equivale
ad attrarre tale condotta nell’orbita della
“alternativa” e più grave disciplina prevista dal D.Lgs.
n. 152/2006 che non si pone, quindi, come lex specialis
rispetto alla prima.
Il fatto
La vicenda processuale, che ha dato
origine al pronunciamento della Cassazione, originava da
un provvedimento di sequestro preventivo riguardante la
società e relativi beni aziendali di proprietà di due
s.r.l. riconducibili a due diversi indagati.
Le società da questi amministrate,
in particolare, svolgevano attività d’impresa, entrambe
autorizzate alla demolizione e rottamazione di
autoveicoli nonché allo stoccaggio provvisorio, cernita
e trattamento dei rifiuti derivanti dall’attività di
raccolta e trasporto di rifiuti pericolosi e non
pericolosi.
A seguito di un accertamento svolto
dalla polizia giudiziaria, in particolare, si accertava
che dette società operavano un’illecita attività di
raccolta e trasporto di rifiuti, consistente nella
demolizione sistematica dei veicoli rottamati ridotti in
“pacchi” e poi compattati in “cubi”, senza che tali
autoveicoli venissero bonificati compiutamente come
d’obbligo; inoltre, le società provvedevano alla
raccolta e al trasporto di rifiuti pericolosi costituiti
dai residui provenienti dai veicoli non adeguatamente
bonificati, ricorrendo a certificazioni false attestanti
il trasporto di veicoli fuori uso non bonificati fatti
passare come bonificati.
Il tutto si inseriva nell’ambito di
un’attività delinquenziale organizzata, rispetto alla
quale le varie operazioni di raccolta, trasporto e
smaltimento dei rifiuti costituiti i reati – fine.
Il ricorso
Contro la sentenza di condanna,
veniva proposta impugnazione.
Per quanto qui di interesse, i
motivi di ricorso rilevanti erano due:
a) attribuire all'imputato la
responsabilità dell'infortunio sulla base della
violazione del generico dovere di vigilanza, malgrado
egli avesse adottato tutte le cautele imposte dalla
normativa in materia, contrasterebbe con la corretta
applicazione della predetta norma, alla luce delle
emergenze probatorie dalle quali è emerso che l'imputato
aveva adottato tutte le misure idonee a scongiurare il
pericolo di infortuni, misure non osservate dal
lavoratore;
b) il giudice del gravame non
avrebbe considerato che, a dispetto di qualsiasi
controllo, il lavoratore avrebbe potuto continuare ad
affidarsi alla prassi e ad operare in spregio alle
direttive ricevute e che, in realtà, la condotta
dell’operaio si è posta quale fattore sopravvenuto
idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra la
condotta dell'imputato e l'evento.
Di fronte a tali dati indiziari,
prima il Giudice per le indagini preliminari e , poi, il
Tribunale del riesame confermavano sia l’esistenza del
fumus delicti che il periculum in mora.
La decisione della Cassazione
La Corte, nel rigettare il ricorso,
ha disatteso la prospettazione difensiva, affermando il
principio di diritto in precedenza richiamato. Il
ragionamento della Corte è assolutamente lineare.
Al fine di ben comprendere la
ratio, è necessario un breve inquadramento giuridico. Il
D.Lgs. n. 152/2006 si applica, con riferimento alla sua
Parte IV, con riferimento ai rifiuti.
Lo stesso T.U.A., peraltro,
stabilisce espressamente all’art. 227 come restino ferme
le disposizioni speciali, nazionali e comunitarie
relative alle altre tipologie di rifiuti, ed in
particolare quelle riguardanti proprio i veicoli fuori
uso, di cui alla direttiva 2000/53/CE ed al decreto
legislativo 24 giugno 2003, n. 209 “ferma restando la
ripartizione degli oneri, a carico degli operatori
economici, per il ritiro e trattamento dei veicoli fuori
uso in conformità a quanto previsto dall'articolo 5,
comma 4, della citata direttiva 2000/53/CE” (comma 1,
lett. c).
E’, quindi, chiaro, per espressa
previsione normativa, che la disciplina dettata dal
D.Lgs. n. 209/2003 trova applicazione ove i rifiuti
“veicolari” non rientrino nel campo di applicazione del
D.Lgs. n. 152/2006.
Ad ulteriore conferma di quanto
sopra, poi, l’art. 231 del medesimo D.Lgs. n. 152/2006,
detta una disciplina ad hoc riguardante i “veicoli fuori
uso non disciplinati dal decreto legislativo 24 giugno
2003, n. 209”, ponendo particolari obblighi a carico del
proprietario di un veicolo a motore o di un rimorchio -
con esclusione di quelli disciplinati dal decreto
legislativo 24 giugno 2002, n. 209 - che intenda
procedere alla sua demolizione, imponendogli il
conferimento dello stesso ad un centro di raccolta per
la messa in sicurezza, la demolizione, il recupero dei
materiali e la rottamazione, autorizzato ai sensi degli
articoli 208, 209 e 210. Deve poi – secondo la
Cassazione - essere considerato "fuori uso", tenuto
conto di quanto sancito alla lett.d), comma secondo,
dell'art. 3 del D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209
(Attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai
veicoli fuori uso), sia il veicolo di cui il
proprietario si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo
di disfarsi, sia quello destinato alla demolizione,
ufficialmente privato delle targhe di immatricolazione,
anche prima della materiale consegna a un centro di
raccolta, sia quello che risulti in evidente stato di
abbandono, anche se giacente in area privata (Cass.
pen., Sez. 3, n. 22035 del 10/06/2010, B., in Ced Cass.
247625; Sez. 3, n. 33789 del 22/09/2005, B., in Ced
Cass. 232480; Sez. 3, n. 21963 del 10/06/2005, D., in
Ced Cass. 231639).
La tesi difensiva, nel caso in
esame, proponeva invece il tema del rapporto di
specialità tra la disciplina dettata dal D.Lgs. n.
152/2006 e quella dettata dal D.Lgs. n. 209/2003,
ritenuta dai ricorrenti assorbente rispetto alla prima.
La Corte, nel caso in esame,
esclude che possa sussistere un rapporto di specialità
nel senso invocato dai ricorrenti, precisando come la
disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 209/2003 afferisce al
complesso delle operazioni necessarie per la
rottamazione dei veicoli fuori uso, dovendosi intendere
per tali quelli non solo rottamati, ma soprattutto
completamente bonificati. E’ quindi evidente,
sottolineano i giudici di legittimità, che nel caso di
un veicolo fuori uso, una rottamazione effettuata in
spregio ai criteri indicati nella normativa dettata dal
D.Lgs. n. 209/2003 equivale ad attrarre tale condotta
nell’orbita della “alternativa” e più grave disciplina
prevista dal D.Lgs. n. 152/2006 che non si pone, quindi,
come lex specialis rispetto alla prima.
Già la giurisprudenza, sul punto,
aveva avuto modo di chiarire inequivocabilmente come il
reato di abbandono incontrollato di veicoli fuori uso
costituenti rifiuti speciali a norma dell'art. 184,
comma terzo, lett. l) del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152
fosse soggetto alla sanzione penale prevista dall'art.
256, comma secondo, del citato D.Lgs. nelle ipotesi non
riconducibili alla disciplina speciale di cui al D.Lgs.
24 giugno 2003, n. 209, che regola la procedura di
"gestione" del veicolo fuori uso (Fattispecie di
deposito incontrollato di alcuni veicoli a motore, in
stato di abbandono e privi di targa, su area di
proprietà del ricorrente: Cass. pen., Sez. 3, n. 23790
del 19/06/2007, M., in Ced Cass. 236953).
In una fattispecie analoga a quella
esaminata con la sentenza qui commentata, infine, i
giudici di Piazza Cavour hanno avuto modo di affermare
che il delitto di attività organizzate per il traffico
illecito di rifiuti (art. 260, D.Lgs. 3 aprile 2006, n.
152) trova applicazione anche con riferimento a quella
particolare categoria di rifiuti costituita dai veicoli
fuori uso, disciplinata dal D.Lgs. 24 giugno 2003, n.
209, non esaurendo né sostituendo tale ultimo decreto
ogni ipotesi sanzionatoria relativa alla disciplina dei
rifiuti prevista dal D.Lgs. n. 152 del 2006 (Cass. pen.,
Sez. 3, n. 40945 del 19/11/2010, D.P. e altri, in Ced
Cass. 248629; conf., sez. III, 21 ottobre 2010, n.
40946, n.m.).
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.
III, 8/04/2011, Sentenza n. 14042
RIFIUTI - Attività di demolizione e
rottamazione autoveicoli - Attività organizzate per il
traffico illecito di rifiuti - Rapporto di specialità
tra D. Lgs. n.152/2006 e D.Lgs. n. 209/2003 -
Esclusione. Non può configurarsi rapporto di specialità
tra la disciplina normativa di cui al Decreto
Legislativo 3 aprile 2006 n. 152 e quella di cui al
Decreto Legislativo, posto che la disciplina contenuta
nel Decreto Legislativo 24 giugno 2003, n. 209,
afferisce al complesso delle operazioni necessarie per
la rottamazione dei veicoli fuori uso, dovendosi
intendere per tali quelli non soltanto rottamati ma
soprattutto completamente bonificati: di conseguenza una
rottamazione effettuata in spregio ai criteri indicati
in detta normativa equivale ad attrarre tale condotta
nell'orbita della "alternativa" e più grave disciplina
prevista dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006 che non
si pone, quindi come lex specialis rispetto alla prima.
(Fattispecie, avente ad oggetto: la demolizione
sistematica di veicoli rottamati ridotti in "pacchi" e
poi compattati in "cubi", in assenza di bonifica degli
autoveicoli come d'obbligo; la raccolta e il trasporto
di rifiuti pericolosi costituiti dai residui provenienti
dai veicoli non adeguatamente bonificati e il ricorso a
certificazioni non veritiere attestanti il trasporto di
veicoli fuori uso non bonificati fatti passare come
veicoli bonificati, nell'ambito di una attività
delinquenziale organizzata, rispetto alla quale le varie
operazioni di raccolta, trasporto e smaltimento
costituivano i delitti-fine - artt. 416, 483 c.p. e 260
D.Lgs. 152/2006). (conferma ordinanza del Tribunale del
Riesame di Napoli del 1/02/2010 che ha confermato il
decreto di sequestro preventivo ex articolo 321 c.p.p.
emesso dal GIP del Tribunale di Napoli in data
10/02/2009). Pres. Ferrua - Est. Grillo - P.M.
D'Ambrosio - Ric. De. Pr. Ma. e De Pr. Fr. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 8/04/2011, Sentenza n.
14042
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. FERRUA
Giuliana - Presidente
Dott. GRILLO
Renato - est. Consigliere
Dott. MULLIRI
Guicla - Consigliere
Dott. MARINI
Luigi - Consigliere
Dott. GAZZARA
Santi - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
- sul ricorso proposto da:
1) De. Pr. Ma.;
2) De. Pr. Fr.;
- avverso la ordinanza
dell'1.02.2010 del Tribunale - Sezione Riesame - di
Napoli;
- udita nella udienza del 15
dicembre 2010 la relazione fatta dal Consigliere Dr.
Renato GRILLO;
- udito il Pubblico Ministero in
persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
D'AMBROSIO Vito, che ha concluso per il rigetto del
ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI
DELLA DECISIONE
Con ordinanza dell'1 febbraio 2010
il Tribunale del Riesame di Napoli ha confermato il
decreto di sequestro preventivo ex articolo 321 c.p.p.
emesso dal GIP del Tribunale di Napoli in data 10
febbraio 2009 nei riguardi di De. Pr. Fr., De. Pr. Ma. e
De. Pr. Pa., avendo ritenuto sussistente sia il fumus
commissi delicti (reati previsti dall'articolo 416 c.p.
e Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 260 e
articolo 483 c.p.), che il periculum in mora.
Il sequestro in parola riguardava
società e relativi beni aziendali della CA. s.r.l. e
della DE. FR. s.r.l. riconducibili agli indagati.
Con il provvedimento impugnato il
Tribunale del Riesame, dopo aver ripercorso le vicende
oggetto dell'indagine ha ritenuto sussistere il
compendio gravemente indiziario e il pericolo connesso
alla libera disponibilità dei beni.
Ha proposto ricorso il difensore
degli indagati deducendo, con il primo motivo,
violazione di legge in relazione ad entrambe le ipotesi
delittuose contestate, rilevando come nel caso in esame
l'unica disciplina sanzionatoria applicabile fosse
quella di cui al Decreto Legislativo n. 209 del 2003.
Ha, conseguentemente contestato
l'alternatività tra le due diverse disposizioni di
legge, ritenuta invece dal Tribunale.
Con il secondo motivo ha dedotto
violazione di legge in relazione alle dette disposizioni
penali come contestate ai capi a), b) ed e) della
rubrica, ritenendo che nella specie si trattasse di
violazione di genere contravvenzionale che escludono la
configurabilità del delitto associativo contestato.
Con il terzo motivo ha denunciato
violazione di legge in relazione al delitto di cui
all'articolo 483 c.p., contestando la sussistenza o
configurabilità dell'ipotizzato delitto di falso
ideologico, oltre che illogicità della motivazione nella
parte in cui si é ritenuto di estendere tout court la
responsabilità indifferenziata a tutti gli indagati per
il delitto di falso.
Ha, sempre con il detto motivo,
denunciato violazione di legge in relazione al disposto
di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo
260, ritenendo che nella specie fosse configurabile
l'ipotesi disciplinata dal cit. Decreto Legislativo,
articolo 258, dovendosi escludere che nel caso in esame
si trattasse di rifiuti pericolosi come, invece,
ritenuto con l'ordinanza impugnata.
Ha, con l'ultimo motivo, denunciato
violazione di legge per errata applicazione
dell'articolo 321 c.p.p. nella parte relativa alla
sussistenza delle esigenze cautelari, asseritamente
insussistenti.
Il ricorso non é fondato.
Con motivazione articolata,
ancorché effettuata per relationem con riferimento ad
altro similare procedimento definito dal Tribunale del
Riesame con ordinanza del 28 gennaio 2010 che vedeva
protagonisti altri soggetti oltre che gli odierni
ricorrenti De. Pr. Ma. e De. Pr. Fr., l'ordinanza
impugnata ha analiticamente descritto le condotte dei
due indagati - per quanto rileva in questa sede -
nell'ambito della loro attività di impresa addetta (ed
autorizzata) alla demolizione e rottamazione di
autoveicoli, nonché allo stoccaggio provvisorio, ed
ancora, alla cernita e trattamento dei rifiuti derivanti
dall'attività di raccolta e trasporto di rifiuti
pericolosi e non pericolosi.
Tali condotte sono state
dettagliatamente descritte e costituiscono il
presupposto fattuale preso in considerazione dal
Tribunale sia per ritenere illecita l'attività di
raccolta e trasporto dei rifiuti effettata dalle imprese
direttamente riconducibili ai due odierni ricorrenti (in
sintesi una demolizione sistematica dei veicoli
rottamati ridotti in "pacchi" e poi compattati in
"cubi", senza che tali autoveicoli venissero bonificati
compiutamente come d'obbligo; raccolta e trasporto di
rifiuti pericolosi costituiti dai residui provenienti
dai veicoli non adeguatamente bonificati e ricorso a
certificazioni non veritiere attestanti il trasporto di
veicoli fuori uso non bonificati fatti passare come
veicolo bonificati: il tutto nell'ambito di una attività
delinquenziale organizzata, rispetto alla quale le varie
operazioni di raccolta, trasporto e smaltimento
costituivano i delitti-fine).
Nel ricorso vengono sostanzialmente
riproposte doglianze che già erano state formulate
nell'ambito di un diverso e similare procedimento
definito con identica ordinanza di conferma del
sequestro cautelare.
Si tratta di censure che anzitutto
ripropongono il tema del rapporto di specialità tra la
disciplina dettata dal Decreto Legislativo n. 152 del
2006 sub specie dell'articolo 260 e quella - definita
dei ricorrenti specifica - di cui al Decreto Legislativo
n. 209 del 2003.
Tale preteso rapporto di specialità
non può configurarsi nella specie, posto che la
disciplina contenuta nel Decreto Legislativo n. 209 del
2003 afferisce al complesso delle operazioni necessarie
per la rottamazione dei veicoli fuori uso, dovendosi
intendere per tali quelli non soltanto rottamati ma
soprattutto completamente bonificati: di conseguenza una
rottamazione effettuata in spregio ai criteri indicati
in detta normativa equivale ad attrarre tale condotta
nell'orbita della "alternativa" e più grave (come
correttamente definita dal Tribunale) disciplina
prevista dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006 che non
si pone, quindi come lex specialis (come preteso dalla
difesa dei ricorrenti) rispetto alla prima.
Anche per quel che riguarda
l'ipotizzata - sempre a livello di fumus commissi
delicti - associazione per delinquere, l'ordinanza
impugnata non solo ha fatto buon governo dei principi
generali che presiedono alla fattispecie delittuosa in
esame ma ha enumerato ruoli, organigramma, reati-fine e
rapporti tra singoli soggetti fisici (spesso tra loro
imparentati, ma anche tra loro estranei) e
cointeressenze di tali soggetti in numerose società
operanti nel medesimo settore.
Le censure dei ricorrenti non
colgono, quindi nel segno, laddove ritengono
insussistente - nemmeno a livello indiziario - la
associazione per delinquere, in quanto i vari elementi
enucleati dal Tribunale per confermare la
configurabilità dell'associazione criminale sono
assolutamente compatibili con la struttura delle aziende
riconducibili agli indagati: ed anzi, la circostanza che
in essa tutti, dai vertici ai dipendenti di minore
livello cooperino nella realizzazione di un vero e
proprio ciclo produttivo illecito é la migliore
dimostrazione della solidità del gruppo criminale e
della suddivisione dei compiti, oltre che della
stabilità del vincolo.
In questo senso nessuna illogicità
é dato cogliere nella affermazione del Tribunale di un
"gruppo saldo e organizzato al cui interno ciascuno ha
un compito ben preciso" (v. pag. 23 dell'ordinanza
impugnata) e soprattutto di un gruppo variamente
composito e non circoscritto all'organigramma societario
CA. - DE. FR. (società, quest'ultima, satellite della
prima e riconducibile a De. Pr. Pa. , fratello dei due
odierni ricorrenti), in quanto a tali affermazioni il
Tribunale é pervenuto sulla base di una corretta ed
esaustiva analisi riguardante le singole attività poste
in essere dai vari gruppi e l'intreccio dei rapporti tra
tali gruppi.
é quindi da disattendere la tesi
difensiva che vorrebbe una vera e propria
sovrapposizione di condotte e contestazioni, esclusa
radicalmente dall'ordinanza impugnata con argomentazione
persuasiva e logica oltre che aderente ai vari elementi
indiziari raccolti ed analizzati.
Quanto poi alle specifiche censure
di erronea applicazione della legge penale (Decreto
Legislativo n. 152 del 2006, articolo 260) non può non
sottolinearsi che si tratta in realtà di una serie di
doglianze che attengono ad una diversa ricostruzione del
fatto, non ammissibile in questa sede, con specifico
riferimento proprio alla qualificazione dei rifiuti
pericolosi data dal Tribunale sulla base di precisi
riscontri fattuali (controlli visivi; videoriprese;
analisi chimica dei residui provenienti dai veicoli
rottamati; intercettazioni).
La nozione di abusività
dell'attività elaborata dal Tribunale appare poi
rispondete a logico così come il traffico organizzato di
rifiuti, senza che la relativa fattispecie come
delineata dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006,
articolo 260 possa sovrapporsi al delitto di cui
all'articolo 416 c.p. per quelle ragioni strettamente
giuridiche enunciate dal Tribunale che vedono le due
fattispecie distinguersi nettamente tra loro senza che
possa ravvisarsi alcuna interferenza.
Anzi, rispetto al delitto
associativo configurato dall'articolo 416 c.p., le
attività di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006,
articolo 260 rappresentano i delitti-fine rientranti nel
programma delittuoso congegnato da tempo e reiterato di
continuo dai vari sodali - tra i quali i due odierni
ricorrenti.
Anche con riguardo agli aspetti
concernenti l'ingente quantitativo dei rifiuti e il dolo
specifico di profitto ingiusto tipico della norma
incriminatrice speciale, il Tribunale ha fornito una
illustrazione conforme a legge e pienamente
corrispondente alla realtà fattuale non incorrendo
quindi in alcuno dei vizi logici denunciati dai
ricorrenti.
Analoga conclusione va fatta anche
per quanto riguarda il fumus commissi delicti riferito
all'articolo 483 c.p., in quanto il Tribunale ha
motivato la sussistenza (rectius, la configurabilità sul
piano indiziario) di tale delitto ricavandola proprio
dalle intercettazioni in cui vi sono chiarissimi accenni
all'uso distorto dei certificati di trasporto
riflettenti una realtà diversa da quella astratta che i
detti documenti avrebbero dovuto attestare.
In questo senso quindi deve
escludersi la fondatezza del rilievo difensivo che
pretenderebbe di affermare che la contestazione di tale
fattispecie - per come valutata dal Tribunale - sarebbe
frutto di una errata applicazione della norma penale, in
quanto in modo logico ed esente da vizi motivazionali il
Tribunale ha descritto il reale contenuto dei
certificati che, in quanto non rispondenti al vero non
possono che rientrare nello schema punitivo di cui
all'articolo 483 c.p..
In ultimo, con riguardo alla
denunciata violazione di legge in punto di ritenuta
sussistenza delle esigenze cautelari, va anzitutto
escluso che queste dovessero essere riguardate alla luce
del disposto di cui al Decreto Legislativo n. 152 del
2006, articolo 256 come riduttivamente sostenuto dalla
difesa dei ricorrenti, in quanto ben più gravi essere si
profilano rispetto ai reati di associazione per delinque
ed attività organizzata di raccolta, trasporto e
smaltimento dei rifiuti come ipotizzati dal Tribunale.
Inoltre il Tribunale ha
sottolineato l'attualità del pericolo di reiterazione di
condotte dello stesso tipo rispetto alle quali la difesa
non sembra opporre obiezioni specifiche essendosi
soltanto limitata a sostenere che si verserebbe in una
diversa e meno grave ipotesi contravvenzionale legata
alla errata esecuzione del procedimento di bonifica dei
mezzi rottamati da compattare in cubi che, viceversa,
costituisce proprio il nucleo fondante della imputazione
di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo
260.
Né può trovare ingresso il
principio enunciato dai ricorrenti della
insuscettibilità dei beni ad essere confiscati
(versandosi semmai nella opposta ipotesi della confisca
obbligatoria laddove l'originaria ipotesi accusatori
oggi allo stato indiziario dovesse essere confermata nel
prosieguo delle indagini) o della illegittimità del
sequestro connesso alla necessità di una prosecuzione
dell'attività lavorativa delle aziende del gruppo in
quanto fonte di produzione industriale (in realtà del
tutto illecita) e di lavoro per i dipendenti delle
singole società (in realtà, anche questi almeno in parte
coinvolti direttamente nella commissione di reati). Al
rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna
singolarmente i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
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