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Veicoli rottamati e rifiuti, gestioni senza ''parentele''- CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 8/04/2011, Sentenza n. 14042Ipsoa.it

 

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Non sussiste alcun rapporto di specialità tra la disciplina, in materia di rifiuti, dettata dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e la disciplina, in materia di veicoli fuori uso, dettata dal D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209, in quanto la disciplina contenuta in quest’ultimo decreto afferisce al complesso delle operazioni necessarie per la rottamazione dei veicoli fuori uso, dovendosi intendere per tali quelli non solo rottamati, ma soprattutto completamente bonificati.

 

Interessante decisione della Cassazione sul tema dei rapporti intercorrenti tra la disciplina dei rifiuti e la disciplina in tema di veicoli fuori uso.

 

La Corte, soffermandosi sulla questione, pone un chiaro distinguo tra le due discipline che, seppure contigue, si differenziano profondamente per presupposti, condotte e sanzioni.

 

Nell’escludere, infatti, la fondatezza delle tesi difensiva secondo cui l’unica disciplina applicabile avrebbe dovuto essere quella contenuta nel D.Lgs. n. 209/2003, i Supremi Giudici, precisano come, nel caso di un veicolo fuori uso, una rottamazione effettuata in spregio ai criteri indicati nella normativa dettata dal D.Lgs. n. 209/2003 equivale ad attrarre tale condotta nell’orbita della “alternativa” e più grave disciplina prevista dal D.Lgs. n. 152/2006 che non si pone, quindi, come lex specialis rispetto alla prima.

 

Il fatto

 

La vicenda processuale, che ha dato origine al pronunciamento della Cassazione, originava da un provvedimento di sequestro preventivo riguardante la società e relativi beni aziendali di proprietà di due s.r.l. riconducibili a due diversi indagati.

 

Le società da questi amministrate, in particolare, svolgevano attività d’impresa, entrambe autorizzate alla demolizione e rottamazione di autoveicoli nonché allo stoccaggio provvisorio, cernita e trattamento dei rifiuti derivanti dall’attività di raccolta e trasporto di rifiuti pericolosi e non pericolosi.

 

A seguito di un accertamento svolto dalla polizia giudiziaria, in particolare, si accertava che dette società operavano un’illecita attività di raccolta e trasporto di rifiuti, consistente nella demolizione sistematica dei veicoli rottamati ridotti in “pacchi” e poi compattati in “cubi”, senza che tali autoveicoli venissero bonificati compiutamente come d’obbligo; inoltre, le società provvedevano alla raccolta e al trasporto di rifiuti pericolosi costituiti dai residui provenienti dai veicoli non adeguatamente bonificati, ricorrendo a certificazioni false attestanti il trasporto di veicoli fuori uso non bonificati fatti passare come bonificati.

 

Il tutto si inseriva nell’ambito di un’attività delinquenziale organizzata, rispetto alla quale le varie operazioni di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti costituiti i reati – fine.

 

Il ricorso

 

Contro la sentenza di condanna, veniva proposta impugnazione.

 

Per quanto qui di interesse, i motivi di ricorso rilevanti erano due:

 

a) attribuire all'imputato la responsabilità dell'infortunio sulla base della violazione del generico dovere di vigilanza, malgrado egli avesse adottato tutte le cautele imposte dalla normativa in materia, contrasterebbe con la corretta applicazione della predetta norma, alla luce delle emergenze probatorie dalle quali è emerso che l'imputato aveva adottato tutte le misure idonee a scongiurare il pericolo di infortuni, misure non osservate dal lavoratore;

 

b) il giudice del gravame non avrebbe considerato che, a dispetto di qualsiasi controllo, il lavoratore avrebbe potuto continuare ad affidarsi alla prassi e ad operare in spregio alle direttive ricevute e che, in realtà, la condotta dell’operaio si è posta quale fattore sopravvenuto idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra la condotta dell'imputato e l'evento.

 

Di fronte a tali dati indiziari, prima il Giudice per le indagini preliminari e , poi, il Tribunale del riesame confermavano sia l’esistenza del fumus delicti che il periculum in mora.

 

La decisione della Cassazione

 

La Corte, nel rigettare il ricorso, ha disatteso la prospettazione difensiva, affermando il principio di diritto in precedenza richiamato. Il ragionamento della Corte è assolutamente lineare.

 

Al fine di ben comprendere la ratio, è necessario un breve inquadramento giuridico. Il D.Lgs. n. 152/2006 si applica, con riferimento alla sua Parte IV, con riferimento ai rifiuti.

 

Lo stesso T.U.A., peraltro, stabilisce espressamente all’art. 227 come restino ferme le disposizioni speciali, nazionali e comunitarie relative alle altre tipologie di rifiuti, ed in particolare quelle riguardanti proprio i veicoli fuori uso, di cui alla direttiva 2000/53/CE ed al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209 “ferma restando la ripartizione degli oneri, a carico degli operatori economici, per il ritiro e trattamento dei veicoli fuori uso in conformità a quanto previsto dall'articolo 5, comma 4, della citata direttiva 2000/53/CE” (comma 1, lett. c).

 

E’, quindi, chiaro, per espressa previsione normativa, che la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 209/2003 trova applicazione ove i rifiuti “veicolari” non rientrino nel campo di applicazione del D.Lgs. n. 152/2006.

 

Ad ulteriore conferma di quanto sopra, poi, l’art. 231 del medesimo D.Lgs. n. 152/2006, detta una disciplina ad hoc riguardante i “veicoli fuori uso non disciplinati dal decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209”, ponendo particolari obblighi a carico del proprietario di un veicolo a motore o di un rimorchio - con esclusione di quelli disciplinati dal decreto legislativo 24 giugno 2002, n. 209 - che intenda procedere alla sua demolizione, imponendogli il conferimento dello stesso ad un centro di raccolta per la messa in sicurezza, la demolizione, il recupero dei materiali e la rottamazione, autorizzato ai sensi degli articoli 208, 209 e 210. Deve poi – secondo la Cassazione - essere considerato "fuori uso", tenuto conto di quanto sancito alla lett.d), comma secondo, dell'art. 3 del D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209 (Attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso), sia il veicolo di cui il proprietario si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi, sia quello destinato alla demolizione, ufficialmente privato delle targhe di immatricolazione, anche prima della materiale consegna a un centro di raccolta, sia quello che risulti in evidente stato di abbandono, anche se giacente in area privata (Cass. pen., Sez. 3, n. 22035 del 10/06/2010, B., in Ced Cass. 247625; Sez. 3, n. 33789 del 22/09/2005, B., in Ced Cass. 232480; Sez. 3, n. 21963 del 10/06/2005, D., in Ced Cass. 231639).

 

La tesi difensiva, nel caso in esame, proponeva invece il tema del rapporto di specialità tra la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 152/2006 e quella dettata dal D.Lgs. n. 209/2003, ritenuta dai ricorrenti assorbente rispetto alla prima.

 

La Corte, nel caso in esame, esclude che possa sussistere un rapporto di specialità nel senso invocato dai ricorrenti, precisando come la disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 209/2003 afferisce al complesso delle operazioni necessarie per la rottamazione dei veicoli fuori uso, dovendosi intendere per tali quelli non solo rottamati, ma soprattutto completamente bonificati. E’ quindi evidente, sottolineano i giudici di legittimità, che nel caso di un veicolo fuori uso, una rottamazione effettuata in spregio ai criteri indicati nella normativa dettata dal D.Lgs. n. 209/2003 equivale ad attrarre tale condotta nell’orbita della “alternativa” e più grave disciplina prevista dal D.Lgs. n. 152/2006 che non si pone, quindi, come lex specialis rispetto alla prima.

 

Già la giurisprudenza, sul punto, aveva avuto modo di chiarire inequivocabilmente come il reato di abbandono incontrollato di veicoli fuori uso costituenti rifiuti speciali a norma dell'art. 184, comma terzo, lett. l) del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 fosse soggetto alla sanzione penale prevista dall'art. 256, comma secondo, del citato D.Lgs. nelle ipotesi non riconducibili alla disciplina speciale di cui al D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209, che regola la procedura di "gestione" del veicolo fuori uso (Fattispecie di deposito incontrollato di alcuni veicoli a motore, in stato di abbandono e privi di targa, su area di proprietà del ricorrente: Cass. pen., Sez. 3, n. 23790 del 19/06/2007, M., in Ced Cass. 236953).

 

In una fattispecie analoga a quella esaminata con la sentenza qui commentata, infine, i giudici di Piazza Cavour hanno avuto modo di affermare che il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 260, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) trova applicazione anche con riferimento a quella particolare categoria di rifiuti costituita dai veicoli fuori uso, disciplinata dal D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209, non esaurendo né sostituendo tale ultimo decreto ogni ipotesi sanzionatoria relativa alla disciplina dei rifiuti prevista dal D.Lgs. n. 152 del 2006 (Cass. pen., Sez. 3, n. 40945 del 19/11/2010, D.P. e altri, in Ced Cass. 248629; conf., sez. III, 21 ottobre 2010, n. 40946, n.m.).

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 8/04/2011, Sentenza n. 14042

 

 

 

RIFIUTI - Attività di demolizione e rottamazione autoveicoli - Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti - Rapporto di specialità tra D. Lgs. n.152/2006 e D.Lgs. n. 209/2003 - Esclusione. Non può configurarsi rapporto di specialità tra la disciplina normativa di cui al Decreto Legislativo 3 aprile 2006 n. 152 e quella di cui al Decreto Legislativo, posto che la disciplina contenuta nel Decreto Legislativo 24 giugno 2003, n. 209, afferisce al complesso delle operazioni necessarie per la rottamazione dei veicoli fuori uso, dovendosi intendere per tali quelli non soltanto rottamati ma soprattutto completamente bonificati: di conseguenza una rottamazione effettuata in spregio ai criteri indicati in detta normativa equivale ad attrarre tale condotta nell'orbita della "alternativa" e più grave disciplina prevista dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006 che non si pone, quindi come lex specialis rispetto alla prima. (Fattispecie, avente ad oggetto: la demolizione sistematica di veicoli rottamati ridotti in "pacchi" e poi compattati in "cubi", in assenza di bonifica degli autoveicoli come d'obbligo; la raccolta e il trasporto di rifiuti pericolosi costituiti dai residui provenienti dai veicoli non adeguatamente bonificati e il ricorso a certificazioni non veritiere attestanti il trasporto di veicoli fuori uso non bonificati fatti passare come veicoli bonificati, nell'ambito di una attività delinquenziale organizzata, rispetto alla quale le varie operazioni di raccolta, trasporto e smaltimento costituivano i delitti-fine - artt. 416, 483 c.p. e 260 D.Lgs. 152/2006). (conferma ordinanza del Tribunale del Riesame di Napoli del 1/02/2010 che ha confermato il decreto di sequestro preventivo ex articolo 321 c.p.p. emesso dal GIP del Tribunale di Napoli in data 10/02/2009).  Pres. Ferrua - Est. Grillo - P.M. D'Ambrosio - Ric. De. Pr. Ma. e De Pr. Fr. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 8/04/2011, Sentenza n. 14042

 

 

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

 

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

Dott. FERRUA Giuliana                          - Presidente

Dott. GRILLO Renato                             - est. Consigliere

Dott. MULLIRI Guicla                             - Consigliere

Dott. MARINI Luigi                                 - Consigliere

Dott. GAZZARA Santi                            - Consigliere

 

ha pronunciato la seguente:

 

 

SENTENZA

 

 

- sul ricorso proposto da:

1) De. Pr. Ma.;

2) De. Pr. Fr.;

- avverso la ordinanza dell'1.02.2010 del Tribunale - Sezione Riesame - di Napoli;

- udita nella udienza del 15 dicembre 2010 la relazione fatta dal Consigliere Dr. Renato GRILLO;

- udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. D'AMBROSIO Vito, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

 

 

Con ordinanza dell'1 febbraio 2010 il Tribunale del Riesame di Napoli ha confermato il decreto di sequestro preventivo ex articolo 321 c.p.p. emesso dal GIP del Tribunale di Napoli in data 10 febbraio 2009 nei riguardi di De. Pr. Fr., De. Pr. Ma. e De. Pr. Pa., avendo ritenuto sussistente sia il fumus commissi delicti (reati previsti dall'articolo 416 c.p. e Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 260 e articolo 483 c.p.), che il periculum in mora.

 

Il sequestro in parola riguardava società e relativi beni aziendali della CA. s.r.l. e della DE. FR. s.r.l. riconducibili agli indagati.

 

Con il provvedimento impugnato il Tribunale del Riesame, dopo aver ripercorso le vicende oggetto dell'indagine ha ritenuto sussistere il compendio gravemente indiziario e il pericolo connesso alla libera disponibilità dei beni.

 

Ha proposto ricorso il difensore degli indagati deducendo, con il primo motivo, violazione di legge in relazione ad entrambe le ipotesi delittuose contestate, rilevando come nel caso in esame l'unica disciplina sanzionatoria applicabile fosse quella di cui al Decreto Legislativo n. 209 del 2003.

 

Ha, conseguentemente contestato l'alternatività tra le due diverse disposizioni di legge, ritenuta invece dal Tribunale.

 

Con il secondo motivo ha dedotto violazione di legge in relazione alle dette disposizioni penali come contestate ai capi a), b) ed e) della rubrica, ritenendo che nella specie si trattasse di violazione di genere contravvenzionale che escludono la configurabilità del delitto associativo contestato.

 

Con il terzo motivo ha denunciato violazione di legge in relazione al delitto di cui all'articolo 483 c.p., contestando la sussistenza o configurabilità dell'ipotizzato delitto di falso ideologico, oltre che illogicità della motivazione nella parte in cui si é ritenuto di estendere tout court la responsabilità indifferenziata a tutti gli indagati per il delitto di falso.

 

Ha, sempre con il detto motivo, denunciato violazione di legge in relazione al disposto di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 260, ritenendo che nella specie fosse configurabile l'ipotesi disciplinata dal cit. Decreto Legislativo, articolo 258, dovendosi escludere che nel caso in esame si trattasse di rifiuti pericolosi come, invece, ritenuto con l'ordinanza impugnata.

 

Ha, con l'ultimo motivo, denunciato violazione di legge per errata applicazione dell'articolo 321 c.p.p. nella parte relativa alla sussistenza delle esigenze cautelari, asseritamente insussistenti.

 

Il ricorso non é fondato.

 

Con motivazione articolata, ancorché effettuata per relationem con riferimento ad altro similare procedimento definito dal Tribunale del Riesame con ordinanza del 28 gennaio 2010 che vedeva protagonisti altri soggetti oltre che gli odierni ricorrenti De. Pr. Ma. e De. Pr. Fr., l'ordinanza impugnata ha analiticamente descritto le condotte dei due indagati - per quanto rileva in questa sede - nell'ambito della loro attività di impresa addetta (ed autorizzata) alla demolizione e rottamazione di autoveicoli, nonché allo stoccaggio provvisorio, ed ancora, alla cernita e trattamento dei rifiuti derivanti dall'attività di raccolta e trasporto di rifiuti pericolosi e non pericolosi.

 

Tali condotte sono state dettagliatamente descritte e costituiscono il presupposto fattuale preso in considerazione dal Tribunale sia per ritenere illecita l'attività di raccolta e trasporto dei rifiuti effettata dalle imprese direttamente riconducibili ai due odierni ricorrenti (in sintesi una demolizione sistematica dei veicoli rottamati ridotti in "pacchi" e poi compattati in "cubi", senza che tali autoveicoli venissero bonificati compiutamente come d'obbligo; raccolta e trasporto di rifiuti pericolosi costituiti dai residui provenienti dai veicoli non adeguatamente bonificati e ricorso a certificazioni non veritiere attestanti il trasporto di veicoli fuori uso non bonificati fatti passare come veicolo bonificati: il tutto nell'ambito di una attività delinquenziale organizzata, rispetto alla quale le varie operazioni di raccolta, trasporto e smaltimento costituivano i delitti-fine).

 

Nel ricorso vengono sostanzialmente riproposte doglianze che già erano state formulate nell'ambito di un diverso e similare procedimento definito con identica ordinanza di conferma del sequestro cautelare.

 

Si tratta di censure che anzitutto ripropongono il tema del rapporto di specialità tra la disciplina dettata dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006 sub specie dell'articolo 260 e quella - definita dei ricorrenti specifica - di cui al Decreto Legislativo n. 209 del 2003.

 

Tale preteso rapporto di specialità non può configurarsi nella specie, posto che la disciplina contenuta nel Decreto Legislativo n. 209 del 2003 afferisce al complesso delle operazioni necessarie per la rottamazione dei veicoli fuori uso, dovendosi intendere per tali quelli non soltanto rottamati ma soprattutto completamente bonificati: di conseguenza una rottamazione effettuata in spregio ai criteri indicati in detta normativa equivale ad attrarre tale condotta nell'orbita della "alternativa" e più grave (come correttamente definita dal Tribunale) disciplina prevista dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006 che non si pone, quindi come lex specialis (come preteso dalla difesa dei ricorrenti) rispetto alla prima.

 

Anche per quel che riguarda l'ipotizzata - sempre a livello di fumus commissi delicti - associazione per delinquere, l'ordinanza impugnata non solo ha fatto buon governo dei principi generali che presiedono alla fattispecie delittuosa in esame ma ha enumerato ruoli, organigramma, reati-fine e rapporti tra singoli soggetti fisici (spesso tra loro imparentati, ma anche tra loro estranei) e cointeressenze di tali soggetti in numerose società operanti nel medesimo settore.

 

Le censure dei ricorrenti non colgono, quindi nel segno, laddove ritengono insussistente - nemmeno a livello indiziario - la associazione per delinquere, in quanto i vari elementi enucleati dal Tribunale per confermare la configurabilità dell'associazione criminale sono assolutamente compatibili con la struttura delle aziende riconducibili agli indagati: ed anzi, la circostanza che in essa tutti, dai vertici ai dipendenti di minore livello cooperino nella realizzazione di un vero e proprio ciclo produttivo illecito é la migliore dimostrazione della solidità del gruppo criminale e della suddivisione dei compiti, oltre che della stabilità del vincolo.

 

In questo senso nessuna illogicità é dato cogliere nella affermazione del Tribunale di un "gruppo saldo e organizzato al cui interno ciascuno ha un compito ben preciso" (v. pag. 23 dell'ordinanza impugnata) e soprattutto di un gruppo variamente composito e non circoscritto all'organigramma societario CA. - DE. FR. (società, quest'ultima, satellite della prima e riconducibile a De. Pr. Pa. , fratello dei due odierni ricorrenti), in quanto a tali affermazioni il Tribunale é pervenuto sulla base di una corretta ed esaustiva analisi riguardante le singole attività poste in essere dai vari gruppi e l'intreccio dei rapporti tra tali gruppi.

 

é quindi da disattendere la tesi difensiva che vorrebbe una vera e propria sovrapposizione di condotte e contestazioni, esclusa radicalmente dall'ordinanza impugnata con argomentazione persuasiva e logica oltre che aderente ai vari elementi indiziari raccolti ed analizzati.

 

Quanto poi alle specifiche censure di erronea applicazione della legge penale (Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 260) non può non sottolinearsi che si tratta in realtà di una serie di doglianze che attengono ad una diversa ricostruzione del fatto, non ammissibile in questa sede, con specifico riferimento proprio alla qualificazione dei rifiuti pericolosi data dal Tribunale sulla base di precisi riscontri fattuali (controlli visivi; videoriprese; analisi chimica dei residui provenienti dai veicoli rottamati; intercettazioni).

 

La nozione di abusività dell'attività elaborata dal Tribunale appare poi rispondete a logico così come il traffico organizzato di rifiuti, senza che la relativa fattispecie come delineata dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 260 possa sovrapporsi al delitto di cui all'articolo 416 c.p. per quelle ragioni strettamente giuridiche enunciate dal Tribunale che vedono le due fattispecie distinguersi nettamente tra loro senza che possa ravvisarsi alcuna interferenza.

 

Anzi, rispetto al delitto associativo configurato dall'articolo 416 c.p., le attività di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 260 rappresentano i delitti-fine rientranti nel programma delittuoso congegnato da tempo e reiterato di continuo dai vari sodali - tra i quali i due odierni ricorrenti.

 

Anche con riguardo agli aspetti concernenti l'ingente quantitativo dei rifiuti e il dolo specifico di profitto ingiusto tipico della norma incriminatrice speciale, il Tribunale ha fornito una illustrazione conforme a legge e pienamente corrispondente alla realtà fattuale non incorrendo quindi in alcuno dei vizi logici denunciati dai ricorrenti.

 

Analoga conclusione va fatta anche per quanto riguarda il fumus commissi delicti riferito all'articolo 483 c.p., in quanto il Tribunale ha motivato la sussistenza (rectius, la configurabilità sul piano indiziario) di tale delitto ricavandola proprio dalle intercettazioni in cui vi sono chiarissimi accenni all'uso distorto dei certificati di trasporto riflettenti una realtà diversa da quella astratta che i detti documenti avrebbero dovuto attestare.

 

In questo senso quindi deve escludersi la fondatezza del rilievo difensivo che pretenderebbe di affermare che la contestazione di tale fattispecie - per come valutata dal Tribunale - sarebbe frutto di una errata applicazione della norma penale, in quanto in modo logico ed esente da vizi motivazionali il Tribunale ha descritto il reale contenuto dei certificati che, in quanto non rispondenti al vero non possono che rientrare nello schema punitivo di cui all'articolo 483 c.p..

 

In ultimo, con riguardo alla denunciata violazione di legge in punto di ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, va anzitutto escluso che queste dovessero essere riguardate alla luce del disposto di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256 come riduttivamente sostenuto dalla difesa dei ricorrenti, in quanto ben più gravi essere si profilano rispetto ai reati di associazione per delinque ed attività organizzata di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti come ipotizzati dal Tribunale.

 

Inoltre il Tribunale ha sottolineato l'attualità del pericolo di reiterazione di condotte dello stesso tipo rispetto alle quali la difesa non sembra opporre obiezioni specifiche essendosi soltanto limitata a sostenere che si verserebbe in una diversa e meno grave ipotesi contravvenzionale legata alla errata esecuzione del procedimento di bonifica dei mezzi rottamati da compattare in cubi che, viceversa, costituisce proprio il nucleo fondante della imputazione di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 260.

 

Né può trovare ingresso il principio enunciato dai ricorrenti della insuscettibilità dei beni ad essere confiscati (versandosi semmai nella opposta ipotesi della confisca obbligatoria laddove l'originaria ipotesi accusatori oggi allo stato indiziario dovesse essere confermata nel prosieguo delle indagini) o della illegittimità del sequestro connesso alla necessità di una prosecuzione dell'attività lavorativa delle aziende del gruppo in quanto fonte di produzione industriale (in realtà del tutto illecita) e di lavoro per i dipendenti delle singole società (in realtà, anche questi almeno in parte coinvolti direttamente nella commissione di reati). Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

 

 

P.Q.M.

 

 

Rigetta il ricorso e condanna singolarmente i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

 

 

 

 

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