1. Chi agisce in giudizio per ottenere di essere
dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo
usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi
costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e
quindi, tra l'altro, non solo del corpus, ma anche
dell'animus; il secondo, tuttavia, può eventualmente
essere desunto in via presuntiva dal primo, se lo
svolgimento di attività corrispondente all'esercizio del
diritto dominicale è già di per sé indicativo
dell'intento, in colui che la compie, di avere la cosa
come propria, sicché allora è il convenuto che deve
dimostrare il contrario, provando che la disponibilità
del bene è stata conseguita dall'attore mediante un
titolo che gli conferiva un diritto di carattere
soltanto personale.
2. Solo la sussistenza di un corpus, accompagnata
dall'animus possidendi, corrispondente all'esercizio del
diritto di proprietà, che si protrae per il tempo
previsto per il maturarsi dell'usucapione, raffigura il
fatto cui la legge riconduce l'acquisto del diritto di
proprietà.
Cassazione, sez. II, 26 aprile 2011, n. 9325
(Pres. Elefante – Rel. Falaschi)
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 13.1.1997 T.G.
evocava, dinanzi al Pretore di Viterbo, A..P. esponendo
di avere esercitato per oltre venti anni, comportandosi
come solo ed unico proprietario, in modo indisturbato,
pubblico e notorio, atti di possesso perfettamente
corrispondenti al diritto di proprietà sulla porzione
immobiliare sita in Comune di …, costituita da
appezzamento di terreno con retrostante fabbricato
rurale in località …, della superficie complessiva di
aree 88,80, distinta in Catasto Terreni alla partita
1603, foglio 36, particene 147, 296, 358 e 359;
aggiungeva di avere esercitato tale signoria con segni
visibili, quali la messa a dimora di piante, di
serrature e/o catene e di ogni altra opera necessaria al
miglioramento del bene immobile, nonché di avere
provveduto al pagamento dei tributi. Tanto premesso,
chiedeva dichiararsi l'intervenuta usucapione speciale
decennale ovvero quella ordinaria ventennale, in suo
favore del diritto di proprietà di detta porzione
immobiliare o quanto meno del diritto di superficie
della stessa.
Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza della
convenuta, la quale affermava di avere consentito
all'attore solo di deporre utensili sul suo fondo
(precisando che notificato ricorso dal T., il 17.3.1997,
per la reintegra nel possesso del bene, il Pretore di
Viterbo aveva rigettato la domanda con sentenza del
6.10.1997), il Tribunale (già Pretore) adito, espletata
istruttoria, in accoglimento della domanda attorea,
dichiarava l'attore proprietario del terreno in
contestazione per intervenuta usucapione.
In virtù di rituale appello interposto dalla P., con il
quale lamentava l'erroneità della sentenza del giudice
di prime cure che aveva errato a ritenere intervenuta
l'usucapione del fondo, la Corte di appello di Roma,
nella resistenza dell'appellato, accoglieva il gravame e
rigettava la domanda attorea.
A sostegno dell'adottata sentenza, la Corte territoriale
evidenziava che dalle prove testimoniali, in particolare
dalle affermazioni di Gi.To. (figlio dell'attore)
emergeva che il T. aveva iniziato la sua attività sul
terreno esclusivamente a seguito del consenso del
coniuge della proprietaria, E..C. , madre
dell'appellante, e la detenzione si era protratta anche
allorché era divenuta proprietaria del fondo la P., per
successione alla madre, attraverso consenso tacito.
Aggiungeva che la semplice qualità di detentore del T.
andava ribadita per il fatto che lo stesso aveva dovuto
chiedere le chiavi alla P. per accedere al terreno, per
cui non poteva ritenersi essere intervenuta interversio
possessionis almeno sino al 1996, ossia di un fatto
esterno da cui desumere che il possessore nomine alieno
avesse cessato di possedere in nome di altri ed iniziato
un possesso per conto e in nome proprio.
Avverso l'indicata sentenza della Corte di Appello di
Roma ha proposto ricorso per cassazione il T., che
risulta articolato su un unico motivo, al quale ha
resistito con controricorso la P..
Motivi della decisione
Con l'unico motivo, sviluppato sotto molteplici profili,
il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione
dell'art. 116 c.p.c. in riferimento agli artt. 1140,
1141 e 1158 c.c., ovvero l'omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione in ordine a detti punti
decisivi della controversia in relazione all'art. 360
nn. 3 e 5 c.p.c..
In particolare, il giudice del gravame avrebbe omesso di
presumere il possesso in colui che esercita il potere di
fatto sulla cosa, per cui sarebbe gravato sulla P.
l'onere di dimostrare la sola detenzione da parte del
ricorrente. Peraltro le dichiarazioni del teste Gi..To.
sarebbero state rese solo nella fase cautelare del
procedimento possessorio.
Precisa, altresì, che gli atti di tolleranza che ad
avviso della controparte avrebbero consentito al T. di
possedere il terreno, per essere tali avrebbero dovuto
avere il carattere della saltuarietà e una durata
limitata nel tempo. La corte di merito non avrebbe
valutato correttamente le risultanze testimoniali,
omettendo di esaminare quella del M. , il quale presente
all'incontro T. - P., alla comunicazione dell'iniziativa
della seconda di vendere il terreno, il primo avrebbe
affermato la proprietà esclusiva del fondo. Di converso
non andrebbe dovuto attribuire alcun valore
all'affermazione secondo cui il T. avrebbe mostrato
interesse all'acquisto del bene, evidenziando la
circostanza il solo riconoscimento di non essere
formalmente proprietario del fondo.
Le censure vengono esaminate congiuntamente in quanto
attengono tutte alla valutazione delle risultanze
probatorie, o meglio vengono evidenziati vizi relativi
alla deficienza del ragionamento logico-giuridico della
sentenza impugnata.
Tali censure sono infondate, con riferimento ai rilievi
che seguono.
Chi agisce in giudizio per ottenere di essere dichiarato
proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito,
deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi
della dedotta fattispecie acquisitiva e quindi, tra
l'altro, non solo del corpus, ma anche dell'animus
(Cass. 28 gennaio 2000 n. 975); il secondo, tuttavia,
può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal
primo, se lo svolgimento di attività corrispondente
all'esercizio del diritto dominicale è già di per sé
indicativo dell'intento, in colui che la compie, di
avere la cosa come propria, sicché allora è il convenuto
che deve dimostrare il contrario, provando che la
disponibilità del bene è stata conseguita dall'attore
mediante un titolo che gli conferiva un diritto di
carattere soltanto personale (Cass. 5 luglio 1999 n.
6944).
Solo la sussistenza di un corpus, accompagnata
dall'animus possidendi, corrispondente all'esercizio del
diritto di proprietà, che si protrae per il tempo
previsto per il maturarsi dell'usucapione, raffigura il
fatto cui la legge riconduce l'acquisto del diritto di
proprietà.
Da questi principi non si discosta la sentenza
impugnata. Nel valutare le risultanze processuali,
infatti, la Corte di appello, mediante apprezzamenti
eminentemente di merito sorretti da adeguata motivazione
e quindi insindacabili in questa sede, ha ritenuto che
la prova fornita dal T. aveva riguardato il solo corpus.
Infatti dalle prove testimoniali dedotte da entrambe le
parti, in particolare dalle dichiarazioni dei testi O. e
B. emergevano molteplici dati, precisi e concordanti, da
cui poteva senz'altro ricavarsi l'esistenza del corpus,
ma non dell'animus, in quanto avvaloravano la tesi della
appellante - resistente secondo cui l'originario attore
era stato immesso nel godimento del terreno in questione
a seguito del consenso del coniuge della proprietaria
C.E. , madre della P. , attuale proprietaria, la cui
volontà era stata poi rispettata dall'erede, dopo la sua
morte.
Per la verità, la coltivazione del terreno con la messa
a dimora di piante configura una attività, specifica ed
importante, senza dubbio corrispondente all'esercizio
del diritto di proprietà vantato dal ricorrente;
coltivare il terreno, infatti, significa disporre
materialmente di esso. Se la coltivazione configura un
comportamento pubblico, pacifico, continuo e non
interrotto inequivocabilmente esso deve ritenersi inteso
ad esercitare sul predio un potere di fatto
corrispondente a quello del proprietario.
Nella specie, però, lo stesso figlio del ricorrente,
To.Gi. , della cui attendibilità non è dato dubitare,
non avendo peraltro il T. dedotto che l'assunzione delle
sue dichiarazioni in sede possessoria sia avvenuta senza
avere prestato giuramento, ha dichiarato testualmente
"il padre della P. che era ingegnere aveva dato a mio
padre l'incarico di coltivare il terreno. Poi è
subentrata la P. che non ho mai visto sul terreno. Non
so se la P. abbia autorizzato mio padre a proseguire
nella coltivazione del terreno: suppongo che fosse
intervenuto un tacito consenso anche perché molti anni
fa mio padre mi ha riferito che la P. gli aveva chiesto
di aprire con la chiave per entrare nel fondo". Posto
che per la sussistenza del possesso utile per usucapire
occorre oltre al riscontro di un comportamento continuo
e non interrotto, inteso inequivocabilmente ad
esercitare sulla cosa, per tutto il tempo prescritto
dalla legge, l'esercizio di un potere corrispondente a
quello del proprietario, non riconducibile però alla
mera tolleranza del proprietario (v. Cass. del 10.7.2007
n. 15446), incombeva sul ricorrente - attore la
dimostrazione della c.d. interversio possessionis, che
gli avrebbe consentito di mutare il titolo originario di
questo rapporto con la cosa, ai sensi dell'art. 1141,
comma 2, c.c. Ai fini dell'usucapione è, infatti,
necessario la manifestazione del dominio esclusivo sulla
"res" da parte dell'interessato attraverso una attività
apertamente contrastante ed inoppugnabilmente
incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere
della relativa prova su colui che invochi l'avvenuta
usucapione del bene (vedi "ex multis" Cass. 18.2.1999 n.
1367; Cass. 15.6.2001 n. 8152; Cass. 20.9.2007 n. 19478;
Cass. 27.7.2009 n. 17462; Cass. 1.3.2010 n. 4863), non
essendo al riguardo sufficienti atti soltanto di
gestione consentiti dal proprietario o anche atti
tollerati dallo stesso titolare del diritto dominicale
perché comportanti solo il soddisfacimento di obblighi o
l'erogazione di spese per il miglior godimento della
cosa (Cass. 11.8.2005 n. 16841).
Alla luce di tale orientamento è evidente l'irrilevanza
delle circostanze addotte a sostegno della propria tesi
da parte del ricorrente, posto che il godimento del
terreno in questione o i lavori da questo asseritamente
eseguiti su tale immobile non comportano di per sé una
situazione oggettivamente incompatibile con la proprietà
altrui.
Per tutte le considerazioni sopra svolte, il ricorso
deve, dunque, essere respinto.
Al rigetto consegue, come per legge, la condanna del
ricorrente al pagamento in favore della resistente delle
spese del giudizio di Cassazione, liquidate come in
dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente
alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione,
che liquida in complessivi Euro. 1.700,00, di cui Euro.
200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge. |