E' risaputo che l'equivalenza tra professioni simili in
Europa va vagliata, potendosi pervenire anche ad
escludere l'equivalenza tra professioni come ha fatto il
TAR Lazio con sentenza n. 8299 del 22/4/2009,
depositata il 26/8/2009.
Questo il principio espresso dal TAR Lazio: "Deve
negarsi l'equivalenza delle professioni. Del tutto
legittimamente, infatti, il provvedimento ha rilevato
come, in relazione alle differenti specifiche competenze
esercitate in Italia -come ad esempio la difesa in
giudizio nelle controversie tributarie previste all'art.
12 del D.Lgs. 546/ 1992- non vi poteva essere alcuna
corrispondenza tra il titolo professionale spagnolo
Diplomado en ciencias y empresariales y profesor
mercantil e la professione di consulente del lavoro. La
difformità era poi tale da non consentire nemmeno
l'applicazione delle misure di compensazione".
Su questa linea pure la sentenza della Corte di
giustizia (Grande Sezione) del 5 aprile 2011 nel
procedimento C‑424/09.
La Corte era chiamata ad indicare i limiti del
riconoscimento delle qualifiche professionali nei casi
nei quali il professionista si sia formato e abbia
acquisito la qualifica in uno Stato in cui l'esercizio
della professione non è regolamentato dallo Stato ma da
organizzazioni private riconosciute (nella fattispecie
si trattava di riconoscimento del titolo di ingegnere
ambientale). Ha constatato che in tal caso "è
applicabile solo il meccanismo di riconoscimento che
presuppone l'esercizio a tempo pieno per almeno due anni
della professione" ed ha affermato che devono coesistere
tre condizioni per poter prendere in considerazione
l'esperienza lavorativa ai fini del riconoscimento del
diploma: A) l'esperienza deve consistere in un "lavoro a
tempo pieno per almeno due anni nel corso dei dieci anni
precedenti"; B) "il lavoro deve essere consistito
nell'esercizio costante e regolare di un insieme di
attività professionali che caratteizzano la professione
nello Stato membro di origine; C) "la professione, come
normalmente esercitata nello Stato membro di origine,
deve essere equivalente, per quanto riguarda le attività
in cui essa si estrinseca, a quella che si intende
esercitare nello Stato membro ospitante".SENTENZA DEL 5
APRILE 2011 DELLA CORTE DI GIUSTIZIA NELLA CAUSA
C-424/09 ...
«Direttiva 89/48/CEE – Art. 3, primo comma, lett. a) e
b) – Riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore
– Ingegnere ambientale – Attività assimilata ad
un’attività professionale regolamentata – Meccanismo di
riconoscimento applicabile – Nozione di “esperienza
professionale”»
Nel procedimento C‑424/09,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale
proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal
Symvoulio tis Epikrateias (Grecia), con decisione 29
giugno 2009, pervenuta in cancelleria il 28 ottobre
2009, nella causa
Christina Ioanni Toki
contro
Ypourgos Ethnikis paideias kai Thriskevmaton,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A.
Tizzano, J.N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts, J.-C.
Bonichot, K. Schiemann (relatore), J.‑J.
Kasel e D. Šváby, presidenti di sezione, dalla sig.ra R.
Silva de Lapuerta, dai sigg. E. Juhász, G. Arestis, M.
Safjan e dalla sig.ra M. Berger, giudici,
avvocato generale: sig. P. Mengozzi
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore
principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito
all’udienza del 12 ottobre 2010,
considerate le osservazioni presentate:
– per la sig.ra Toki, dall’avv. T. Georgopoulos,
dikigoros;
– per il governo greco, dalla sig.ra E.
Skandalou, in qualità di agente;
– per la Commissione europea, dai sigg. G. Zavvos
e H. Støvlbæk, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale,
presentate all’udienza del 30 novembre 2010,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte
sull’interpretazione dell’art. 3, primo comma, lett. b),
della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988,
89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di
riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che
sanzionano formazioni professionali di una durata minima
di 3 anni (GU 1989, L 19, pag. 16), come modificata
dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
14 maggio 2001, 2001/19/CE (GU L 206, pag. 1; in
prosieguo: la «direttiva 89/48»).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di
una controversia tra la sig.ra Toki, titolare di talune
qualifiche nel settore dell’ingegneria ambientale
acquisite nel Regno Unito, e l’Ypourgos Ethnikis
paideias kai Thriskevmaton (Ministro della Pubblica
istruzione e dei Culti religiosi) in merito alle
decisioni del Symvoulio Anagnorisis Epangelmatikis
Isotimias Titlon Tritovathmias Ekpaidefsis (Consiglio
per il riconoscimento dell’equivalenza professionale dei
titoli di istruzione superiore) con cui le viene negato
l’accesso alla professione di ingegnere ambientale in
Grecia.
Contesto normativo
La normativa dell’Unione
3 Dal terzo e dal quarto ‘considerando’ della
direttiva 89/48 risulta che essa ho lo scopo di
istituire un sistema generale di riconoscimento dei
diplomi di istruzione superiore atto ad agevolare ai
cittadini europei l’esercizio di tutte le attività
professionali subordinate, in un determinato Stato
membro ospitante, al possesso di una formazione
post-secondaria, sempreché essi siano in possesso di
diplomi che li preparino a dette attività, sanzionino un
ciclo di studi di almeno tre anni e siano stati
rilasciati in un altro Stato membro.
4 In virtù del quinto e del decimo ‘considerando’
di detta direttiva, gli Stati membri conservano la
facoltà di stabilire il livello minimo di qualifica
necessario allo scopo di garantire la qualità delle
prestazioni fornite nel loro territorio relativamente
alle professioni per il cui esercizio l’Unione europea
non ha stabilito tale livello e il sistema generale di
riconoscimento dei diplomi non è destinato a modificare
le norme professionali, comprese quelle deontologiche,
applicabili a chiunque eserciti una professione nel
territorio di uno Stato membro.
5 La direttiva 89/48 si applica, secondo il suo
art. 2, primo comma, a qualunque cittadino di uno Stato
membro che intenda esercitare «una professione
regolamentata» in un altro Stato membro.
6 Secondo la definizione di cui all’art. 1, lett.
c), della direttiva 89/48, si intende per «professione
regolamentata» l’attività o l’insieme delle attività
professionali regolamentate che costituiscono questa
professione in uno Stato membro.
7 Ai sensi dell’art. 1, lett. d), di detta
direttiva, ai fini della stessa, si intende per:
«(...) attività professionale regolamentata, un’attività
professionale per la quale l’accesso alla medesima o
l’esercizio o una delle modalità di esercizio
dell’attività in uno Stato membro siano subordinati,
direttamente o indirettamente mediante disposizioni
legislative, regolamentari o amministrative, al possesso
di un diploma. In particolare, costituiscono modalità di
esercizio di un’attività professionale regolamentata:
– l’esercizio di un’attività con l’impiego di un
titolo professionale qualora l’uso del titolo sia
limitato a chi possieda un dato diploma previsto da
disposizioni legislative, regolamentari o
amministrative;
– l’esercizio di un’attività professionale nel
settore sanitario qualora la retribuzione e/o il
rimborso della medesima siano subordinati dal regime
nazionale di sicurezza sociale al possesso di un
diploma.
Quando non si applica il primo comma, è assimilata ad
un’attività professionale regolamentata l’attività
professionale esercitata dai membri di un’associazione
od organizzazione che, oltre ad avere segnatamente lo
scopo di promuovere e mantenere un livello elevato nel
settore professionale in questione sia oggetto, per la
realizzazione di tale obiettivo, di riconoscimento
specifico da parte di uno Stato membro e
– rilasci ai suoi membri un diploma,
– esiga da parte loro il rispetto di regole di
condotta professionale da essa prescritte e
– conferisca ai medesimi il diritto di un titolo,
di un’abbreviazione o di beneficiare di uno status
corrispondente a tale diploma.
Nell’allegato è riportato un elenco non esauriente delle
associazioni o organizzazioni che, al momento
dell’adozione della presente direttiva, soddisfano alle
condizioni del secondo comma. Ogni qual volta uno Stato
membro concede il riconoscimento di cui al secondo comma
ad un’associazione o organizzazione, esso ne informa la
Commissione che pubblica questa informazione nella
Gazzetta ufficiale delle Comunità europee».
8 Nell’elenco menzionato all’art. 1, lett. d),
terzo comma, della direttiva 89/48 figura, segnatamente,
l’«Engineering Council».
9 La nozione di «esperienza professionale» ai
fini di detta direttiva è definita all’art. 1, lett. e),
della medesima come l’«esercizio effettivo e legittimo
della professione in questione in uno Stato membro».
10 L’art. 3 della direttiva 89/48 prevede quanto
segue:
«Quando nello Stato membro ospitante l’accesso o
l’esercizio di una professione regolamentata è
subordinato al possesso di un diploma, l’autorità
competente non può rifiutare ad un cittadino di un altro
Stato membro, per mancanza di qualifiche, l’accesso a/o
l’esercizio di tale professione, alle stesse condizioni
che vengono applicate ai propri cittadini:
a) se il richiedente possiede il diploma che è
prescritto in un altro Stato membro per l’accesso o
l’esercizio di questa stessa professione sul suo
territorio, e che è stato ottenuto in un altro Stato
membro, oppure
b) se il richiedente ha esercitato a tempo pieno
tale professione per due anni durante i precedenti dieci
anni in un altro Stato membro in cui questa professione
non è regolamentata ai sensi dell’articolo 1, lettera
c), e del primo comma dell’articolo 1, lettera d), ed è
in possesso di uno o più titoli di formazione:
– rilasciati da un’autorità competente di uno
Stato membro, designata conformemente alle disposizioni
legislative, regolamentari ed amministrative di questo
Stato membro,
– da cui risulti che il titolare ha seguito con
successo un ciclo di studi post-secondari di durata
minima di tre anni oppure di durata equivalente a tempo
parziale, in un’università o un istituto di istruzione
superiore o in altro istituto dello stesso livello di
formazione di uno Stato membro, e, se del caso, che ha
seguito con successo la formazione professionale
richiesta oltre al ciclo di studi post-secondari, e
– che l’hanno preparato all’esercizio di tale
professione.
Non si possono tuttavia richiedere i due anni di
esperienza professionale di cui al primo comma se il
titolo o i titoli in possesso del richiedente e di cui
alla presente lettera sanciscono una formazione
regolamentata.
È assimilato al titolo di formazione di cui al primo
comma qualsiasi titolo o insieme di titoli che sia stato
rilasciato da un’autorità competente in uno Stato membro
qualora sancisca una formazione acquisita nella Comunità
e sia riconosciuto come equivalente da detto Stato
membro, a condizione che il riconoscimento sia stato
notificato agli altri Stati membri e alla Commissione».
11 Nonostante l’art. 3 della direttiva 89/48,
l’art. 4 della medesima consente allo Stato membro
ospitante di esigere che il richiedente, in determinati
casi ivi definiti, provi di possedere un’esperienza
professionale di una durata determinata, che compia un
tirocinio di adattamento per un periodo massimo di tre
anni o si sottoponga a una prova attitudinale.
La normativa nazionale
12 Le disposizioni del decreto presidenziale 23
giugno 2000, 165/2000 (FEK A’ 149/28.6.2000), come
modificato dai decreti presidenziali 22 ottobre 2001,
373/2001 (FEK A’ 251), e 23 dicembre 2002, 385/2002 (FEK
A’ 334; in prosieguo: il «decreto 165/2000»), sono
dirette a recepire la direttiva 89/48 nell’ordinamento
giuridico greco.
13 L’art. 2, nn. 3 e 4, del decreto 165/2000
definisce la professione regolamentata, l’attività
professionale regolamentata e l’attività professionale
assimilata ad un’attività professionale regolamentata in
termini identici a quelli della direttiva 89/48.
Tuttavia, quanto al meccanismo di riconoscimento
previsto all’art. 3 della direttiva 89/48, l’art. 4, n.
1, lett. b), di detto decreto dispone che «quando in
Grecia l’accesso o l’esercizio di una professione
regolamentata è subordinato al possesso di un diploma ai
sensi dell’art. 2, il Consiglio di cui all’art. 10 del
presente decreto non può rifiutare ad un cittadino di un
altro Stato membro, per mancanza di qualifiche,
l’accesso a/o l’esercizio di tale professione, alle
stesse condizioni che vengono applicate ai propri
cittadini (...) se il richiedente (...) ha esercitato a
tempo pieno tale professione per due anni durante i
precedenti dieci anni in un altro Stato membro in cui
questa professione non è regolamentata ai sensi
dell’art. 2, nn. 3 e 4, del presente decreto (...)».
14 Così, per quanto riguarda i casi in cui è
esclusa l’applicazione del meccanismo di riconoscimento
da essa previsto, tale disposizione nazionale rinvia,
oltre alla disposizione corrispondente dell’art. 1,
lett. c), della direttiva 89/48, alle disposizioni
corrispondenti dell’art. 1, lett. d), della medesima
direttiva, nella sua totalità. Siffatta formulazione ha
l’effetto di escludere l’applicazione di tale meccanismo
di riconoscimento quando l’interessato proviene da uno
Stato membro in cui l’esercizio della professione in
questione è regolamentato da organizzazioni private
riconosciute da tale Stato membro conformemente alle
disposizioni dell’art. 1, lett. d), secondo comma, di
detta direttiva.
Causa principale e questioni pregiudiziali
15 La sig.ra Toki, cittadina greca, è titolare di
un diploma di «Bachelor of Engineering» nonché del
diploma di «Master of Science» nel settore
dell’ingegneria ambientale ottenuti nel Regno Unito,
rispettivamente nel 1997, presso l’Università Sheffield
Hallam, e nel 1998, presso l’Università di Portsmouth.
Il 1° settembre 1999, quest’ultima ha assunto la sig.ra
Toki in qualità di ricercatore. Essa ha lavorato nel
dipartimento di ingegneria civile di tale università
sino al 31 agosto 2002. Le attività svolte dalla sig.ra
Toki comprendevano, oltre al generale lavoro di ricerca,
l’assistenza alle attività dei laureandi e dei
dottorandi per i loro lavori nonché la valutazione della
resa di un metodo d’avanguardia per il trattamento dei
rifiuti in collaborazione con un’impresa privata
specializzata nelle tecnologie relative a tale settore.
16 Nel Regno Unito, le attività rientranti
nell’ambito della professione di ingegnere sono
regolamentate dall’Engineering Council, menzionato
espressamente nell’elenco previsto all’art. 1, lett. d),
terzo comma, della direttiva 89/48. Essere membro di
tale organizzazione non è obbligatorio al fine di
esercitare la professione di ingegnere, ma una gran
parte dei professionisti in tale settore ne sono membri
e si assoggettano volontariamente alla regolamentazione
che essa elabora. La sig.ra Toki si è iscritta in
qualità di tirocinante nel registro dell’Engineering
Council, tuttavia successivamente non ne è divenuta
membro a pieno titolo («Chartered Engineer»). Peraltro,
ella si è anche iscritta come membro della Chartered
Institution of Water and Environmental Management in
qualità di laureata («graduate»).
17 Poiché la professione di ingegnere ambientale è
regolamentata in Grecia, la sig.ra Toki ha chiesto che
le venisse riconosciuto il diritto di esercitare questa
professione in detto paese, invocando a tale scopo le
qualifiche e l’esperienza professionale da ella
acquisite nel Regno Unito. Tale domanda è stata respinta
con una decisione del 12 aprile 2005 dal Symvoulio
Anagnorisis Epangelmatikis Isotimias Titlon
Tritovathmias Ekpaidefsis, con la motivazione che, non
essendo la sig.ra Toki titolare di un diploma in
ingegneria nel Regno Unito, dato che non è membro a
tutti gli effetti dell’Engineering Council e non
possiede il titolo di «Chartered Engineer», ella non
poteva di conseguenza beneficiare del meccanismo di
riconoscimento previsto all’art. 3, primo comma, lett.
a), della direttiva 89/48.
18 La sig.ra Toki ha impugnato detta decisione di
rigetto dinanzi al giudice del rinvio facendo valere che
la sua domanda era stata illegittimamente respinta in
base alle disposizioni del decreto 165/2000 dirette a
trasporre l’art. 3, primo comma, lett. a), della
direttiva 89/48, nella fattispecie l’art. 4, n. 1, lett.
a), di detto decreto, mentre tale domanda avrebbe dovuto
essere esaminata sulla base delle disposizioni di tale
decreto concernenti la trasposizione dell’art. 3, primo
comma, lett. b), di detta direttiva, ovvero l’art. 4, n.
1, lett. b), del decreto 165/2000, dato che, da una
parte, la professione di ingegnere ambientale non è
regolamentata nel Regno Unito e, dall’altra, la sig.ra
Toki possedeva i titoli richiesti nonché un’esperienza
professionale triennale in tale Stato membro acquisita
nel corso dei dieci anni precedenti.
19 Secondo il giudice del rinvio, il rigetto della
domanda della sig.ra Toki è conforme alle norme
introdotte dalle disposizioni del decreto 165/2000 che
escludono, come è già stato esposto ai punti 13 e 14
della presente sentenza, l’applicazione del meccanismo
di riconoscimento di cui all’art. 3, primo comma, lett.
b), della direttiva 89/48, quando, nello Stato membro di
origine, la professione in questione è regolamentata o
assimilata ad un’attività professionale regolamentata ai
sensi dell’art. 1, lett. d), secondo comma, della
medesima direttiva.
20 Trovandosi confrontato a difficoltà di
interpretazione della direttiva 89/48, il Symvoulio tis
Epikrateias ha deciso di sospendere il procedimento e di
sottoporre alla Corte le seguenti questioni
pregiudiziali:
«1) Se l’art. 3, [primo comma,] lett. b), della
direttiva 89/48 (…) debba essere interpretato nel senso
che il meccanismo di riconoscimento previsto nella
disposizione in parola si applica ai casi in cui nello
Stato membro di provenienza la professione di cui
trattasi è regolamentata nel senso attribuito a tale
nozione dall’art. 1, lett. d), secondo comma, [di tale]
direttiva, ma l’interessato non è membro a pieno titolo
di un’associazione o di un’organizzazione che soddisfa i
requisiti del comma precedente.
2) Se, ai sensi dell’art. 3, [primo comma,] lett.
b), della direttiva 89/48 (…), con esercizio a tempo
pieno di una professione nello Stato membro di
provenienza si intenda l’esercizio, come lavoratore
autonomo o subordinato, di quella professione per cui
viene presentata nello Stato membro ospitante una
domanda di autorizzazione ai sensi della direttiva 89/48
(…), o se possa intendersi anche la ricerca scientifica
collegata all’attività in campo scientifico svolta
presso un istituto essenzialmente senza fini di lucro».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione
21 Per quanto riguarda l’ambito di applicazione
rispettivo dei due meccanismi di riconoscimento previsti
all’art. 3, primo comma, lett. a) e b), della direttiva
89/48, la Corte ha già dichiarato che risulta dal
sistema di tale art. 3 che soltanto uno di questi due
meccanismi di riconoscimento può applicarsi, in linea di
principio, in un dato ambito fattuale (sentenza 7
settembre 2006, causa C‑149/05,
Price, Racc. pag. I‑7691,
punto 36).
22 La prima questione posta dal giudice del rinvio
riguarda la situazione particolare, prevista all’art. 1,
lett. d), secondo comma, della direttiva 89/48 e diffusa
soprattutto in Irlanda e nel Regno Unito, in cui la
professione in questione non è regolamentata, ai sensi
del primo comma della medesima disposizione, dallo Stato
membro di origine, ma è tuttavia spesso esercitata in
pratica dai membri di un’associazione o di
un’organizzazione privata che beneficia di un
riconoscimento in una forma specifica da parte dello
Stato membro interessato e assoggetta detti membri ad
una certa regolamentazione.
23 Emerge, a tal riguardo, dalla lettera dell’art.
3, primo comma, lett. a) e b), della direttiva 89/48 che
solo il meccanismo previsto al detto primo comma, lett.
b), è idoneo ad essere applicato alle professioni
rientranti nell’art. 1, lett. d), secondo comma, della
direttiva 89/48. Da una parte, i membri di
un’associazione o di un’organizzazione prevista all’art.
1, lett. d), secondo comma, di tale direttiva, non
possiedono incontestabilmente un diploma «prescritto in
un altro Stato membro» per accedere ad una professione,
come richiesto da detto art. 3, primo comma, lett. a).
Dall’altra, tale art. 3, primo comma, lett. b), esclude
espressamente dal proprio ambito di applicazione le
professioni previste al primo comma di detto art. 1,
lett. d), ma non esclude quelle previste al secondo
comma di tale disposizione alle quali si applica quindi
pienamente.
24 Anche se l’art. 1, lett. d), secondo comma,
della direttiva 89/48 prevede che le professioni
indicate da tale disposizione sono assimilate alle
professioni regolamentate quando sono esercitate da un
membro dell’organizzazione o dell’associazione
interessata, tale assimilazione, come rileva l’avvocato
generale al paragrafo 57 delle sue conclusioni, non è
tuttavia completa, e tali professioni non costituiscono
professioni regolamentate ai sensi dell’art. 1, lett.
c), di detta direttiva. Di conseguenza, il meccanismo di
riconoscimento previsto all’art. 3, primo comma, lett.
a), della medesima, non può, contrariamente a quanto è
stato affermato ai punti 45 e 47 della citata sentenza
Price essere invocato da richiedenti rientranti in una
tale professione. Peraltro, contrariamente a quanto
sembra emergere dai punti 36, 45, 46 e 48 di detta
sentenza Price, ad una professione rientrante nell’art.
1, lett. d), secondo comma, della direttiva 89/48 è
applicabile il meccanismo di riconoscimento previsto
all’art. 3, primo comma, lett. b), di tale direttiva.
25 Indipendentemente dalla questione se la sig.ra
Toki sia o meno membro a pieno titolo dell’Engineering
Council, alla sua situazione è applicabile solo il
meccanismo di riconoscimento previsto all’art. 3, primo
comma, lett. b), della direttiva 89/48, dato che detta
situazione non rientra nell’ambito dell’art. 1, lett. c)
e d), primo comma, di tale direttiva.
26 Di conseguenza, occorre risolvere la prima
questione dichiarando che l’art. 3, primo comma, lett.
b), della direttiva 89/48 deve essere interpretato nel
senso che il meccanismo di riconoscimento da esso
previsto è applicabile quando, nello Stato membro di
origine, la professione di cui trattasi rientra
nell’art. 1, lett. d), secondo comma, della medesima
direttiva, a prescindere dalla questione se
l’interessato sia o meno membro a pieno titolo
dell’associazione o dell’organismo di cui trattasi.
Sulla seconda questione
27 Con la seconda questione, il giudice del rinvio
chiede, in sostanza, quali siano i criteri che occorre
applicare per determinare se l’esperienza professionale
provata dall’autore di una domanda diretta ad ottenere
l’autorizzazione ad esercitare una professione
regolamentata nello Stato membro ospitante debba essere
presa in considerazione a titolo dell’art. 3, primo
comma, lett. b), della direttiva 89/48.
28 A tal riguardo, la direttiva 89/48 definisce, al
suo art. 1, lett. e), la nozione di esperienza
professionale ai fini di tale direttiva come
l’«esercizio effettivo e legittimo della professione in
questione in uno Stato membro».
29 Per poter risolvere la seconda questione,
occorre, in un primo tempo, precisare il contenuto della
nozione di esercizio effettivo di una professione con
riferimento al meccanismo di riconoscimento previsto
all’art. 3, primo comma, lett. b), della direttiva
89/48, quindi, in un secondo tempo, esaminare in quali
circostanze si possa considerare che la professione a
cui si collega detta esperienza nello Stato membro di
origine sia la medesima professione di quella per il cui
esercizio è richiesta l’autorizzazione nello Stato
membro ospitante.
30 La condizione di cui all’art. 3, primo comma,
lett. b), della direttiva 89/48, secondo cui un
richiedente proveniente da uno Stato membro che non
regolamenta né la professione che egli desidera
esercitare in un altro Stato membro, né la relativa
formazione, deve provare un’esperienza professionale
minima di due anni, ha lo scopo di consentire allo Stato
membro ospitante di beneficiare di garanzie simili a
quelle esistenti quando o la professione di cui
trattasi, o la formazione che prepara all’esercizio
della medesima sono regolamentate nello Stato membro di
origine, e quando sono applicabili o l’art. 3, primo
comma, lett. a), o l’art. 3, secondo comma, della
direttiva 89/48.
31 In assenza di regolamentazione di una
professione da parte dello Stato, la garanzia di un
certo livello di qualità delle prestazioni nel settore
professionale interessato è infatti, nella maggior parte
dei casi, assicurata dalle leggi di mercato, nel senso
che solo i membri della professione interessata in
possesso di competenze ad un livello ritenuto
sufficiente dai datori di lavoro o dai clienti saranno
in grado di esercitare tale professione, come lavoratore
autonomo o subordinato, a tempo pieno durante il periodo
previsto di due anni. Il requisito di un’esperienza
professionale di tale durata si riferisce dunque alla
concreta possibilità per il richiedente di esercitare la
professione di cui trattasi nello Stato membro di
origine.
32 Tale requisito non può essere inteso, invece,
nel senso che esso riguarda il contenuto specifico delle
qualifiche professionali del richiedente né nel senso
che sostituisce le misure compensative descritte al
punto 11 della presente sentenza, quali previste
all’art. 4 della direttiva 89/48, che possono, in ogni
caso, essere applicate ad un richiedente qualora
esistano differenze sostanziali tra la formazione
ricevuta dal medesimo nello Stato membro di origine e
quella normalmente richiesta nello Stato membro
ospitante.
33 Per quanto riguarda il contesto in cui la
professione deve essere stata esercitata nello Stato
membro di origine, occorre rilevare, come ha fatto
l’avvocato generale al paragrafo 70 delle sue
conclusioni, da una parte, che è irrilevante, ai fini
dell’applicazione del meccanismo di riconoscimento
previsto dalla direttiva 89/48, la questione di quale
sia il contesto organizzativo e statutario nel quale un
richiedente abbia esercitato la sua professione nello
Stato membro di origine e, d’altra parte, che il fatto
che il suo datore di lavoro in tale Stato membro sia un
organismo senza scopo di lucro non può influire
sull’applicabilità dell’art. 3, primo comma, lett. b),
della direttiva 89/48. Parimenti, secondo la lettera del
suo art. 2, primo comma, essa si applica a qualsiasi
cittadino di uno Stato membro che intenda esercitare una
professione regolamentata «come lavoratore autonomo o
subordinato» in un altro Stato membro e nessuna
disposizione di tale direttiva indica che una
professione, prevalentemente esercitata come lavoratore
autonomo, debba essere stata esercitata a tale titolo
invece che a titolo subordinato nello Stato membro di
origine per consentire che sia presa in considerazione
l’esperienza professionale così acquisita.
34 Peraltro, anche se l’art. 3, primo comma, lett.
b), della direttiva 89/48 richiede che la professione di
cui trattasi sia stata esercitata «a tempo pieno», e se
l’art. 1, lett. c), della medesima direttiva, definisce
una professione regolamentata come «l’attività o
l’insieme delle attività professionali regolamentate»
che costituiscono tale professione, non può tuttavia
essere richiesto, a rischio di restringere
smisuratamente l’ambito di applicazione del meccanismo
di riconoscimento previsto a tale art. 3, primo comma,
lett. b), che un richiedente si sia dedicato totalmente
ed esclusivamente a tutte le attività rientranti nella
professione di cui trattasi affinché la sua esperienza
possa essere presa in considerazione.
35 Pertanto, ai fini dell’art. 3, primo comma,
lett. b), della direttiva 89/48, deve essere considerato
sufficiente che l’esperienza professionale invocata
abbia comportato, nell’ambito di un lavoro a tempo
pieno, l’esercizio costante e regolare di un insieme di
attività professionali che caratterizzano la professione
interessata, senza che sia necessario che essa copra la
totalità di tali attività.
36 La questione di quali siano le attività
professionali rientranti in una professione determinata
è principalmente una questione di fatto che dovrà essere
risolta dalle autorità competenti dello Stato membro
ospitante, sotto il controllo dei giudici nazionali,
eventualmente ricorrendo all’assistenza delle autorità
dello Stato membro di origine. Se, come nella causa
principale, la professione esercitata nello Stato membro
di origine non è una professione regolamentata nel
medesimo, ai sensi dell’art. 1, lett. d), primo comma,
della direttiva 89/48, occorrerà far riferimento alle
attività professionali normalmente esercitate dai membri
di tale professione in quello stesso Stato membro.
37 Nell’ambito di tale valutazione, le autorità
competenti dello Stato membro ospitante devono
verificare se l’esperienza professionale di cui all’art.
3, primo comma, lett. b), della direttiva 89/48 consista
principalmente in un’esperienza pratica e legata al
mercato del lavoro corrispondente alla professione
interessata.
38 A tale riguardo, le attività esercitate dalla
sig.ra Toki, quali il lavoro generale di ricerca o la
fornitura di assistenza ai laureandi e ai dottorandi per
i loro lavori, descritte al punto 15 della presente
sentenza, non possono essere considerate, di per sé, un
esercizio effettivo della professione di ingegnere
ambientale e dunque come un’esperienza professionale che
deve essere presa in considerazione ai fini dell’art. 3,
primo comma, lett. b), della direttiva 89/48.
39 Invece, potrebbero costituire un tale esercizio
i lavori effettuati in collaborazione con una società
privata specializzata nelle tecnologie relative al
trattamento dei rifiuti liquidi, quali descritti al
punto 15 della presente sentenza, tuttavia a condizione
che tale attività sia stata esercitata per almeno due
anni in modo costante e regolare nell’ambito di un
lavoro a tempo pieno, circostanza che, eventualmente,
spetta alle autorità nazionali verificare.
40 Ove dovesse essere accertato che la sig.ra Toki
ha esercitato in modo effettivo la professione di
ingegnere ambientale nel Regno Unito, occorrerebbe
determinare se essa costituisca la stessa professione di
quella per il cui esercizio la ricorrente nella causa
principale ha chiesto la concessione di
un’autorizzazione in Grecia. Nel contesto del meccanismo
di riconoscimento introdotto dall’art. 3, primo comma,
lett. b), della direttiva 89/48, spetta alle autorità
competenti dello Stato membro ospitante verificare tale
circostanza.
41 Emerge a tal riguardo dalla giurisprudenza della
Corte che l’espressione «questa stessa professione»,
contenuta all’art. 3, primo comma, lett. a), della
direttiva, deve essere intesa come riferita a
professioni che sono, nello Stato di origine e in quello
ospitante, identiche o analoghe oppure, in certi casi,
semplicemente equivalenti per quanto riguarda le
attività in cui esse si estrinsecano (sentenza 19
gennaio 2006, causa C‑330/03,
Colegio de Ingenieros de Caminos, Canales y Puertos,
Racc. pag. I‑801,
punto 20). Tale interpretazione è valida anche, come ha
rilevato l’avvocato generale al paragrafo 75 delle sue
conclusioni, per quanto riguarda l’art. 3, primo comma,
lett. b), di detta direttiva, disposizione che riguarda
espressamente l’esercizio di «tale professione».
42 Dalle considerazioni che precedono risulta che
la seconda questione va risolta nel senso che, per poter
essere presa in considerazione, ai fini dell’art. 3,
primo comma, lett. b), della direttiva 89/48,
l’esperienza professionale provata dall’autore di una
domanda diretta ad ottenere l’autorizzazione ad
esercitare una professione regolamentata nello Stato
membro ospitante, deve soddisfare le tre condizioni
seguenti:
– l’esperienza addotta deve consistere in un
lavoro a tempo pieno per almeno due anni nel corso dei
dieci anni precedenti;
– tale lavoro deve essere consistito
nell’esercizio costante e regolare di un insieme di
attività professionali che caratterizzano la professione
interessata nello Stato membro di origine, senza che sia
necessario che tale lavoro abbia coperto la totalità di
tali attività, e
– la professione, come normalmente esercitata
nello Stato membro di origine, deve essere equivalente,
per quanto riguarda le attività in cui essa si
estrinseca, a quella per il cui esercizio è stata
richiesta un’autorizzazione nello Stato membro ospitante
Sulle spese
43 Nei confronti delle parti nella causa principale
il presente procedimento costituisce un incidente
sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta
quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri
soggetti per presentare osservazioni alla Corte non
possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1) L’art. 3, primo comma, lett. b), della direttiva
del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/48/CEE, relativa ad
un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di
istruzione superiore che sanzionano formazioni
professionali di una durata minima di 3 anni, come
modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio 14 maggio 2001, 2001/19/CE, deve essere
interpretato nel senso che il meccanismo di
riconoscimento da esso previsto è applicabile quando,
nello Stato membro di origine, la professione di cui
trattasi rientra nell’art. 1, lett. d), secondo comma,
della medesima direttiva, a prescindere dalla questione
se l’interessato sia o meno membro a pieno titolo
dell’associazione o dell’organismo di cui trattasi.
2) Per poter essere presa in considerazione, ai
fini dell’art. 3, primo comma, lett. b), della direttiva
89/48, come modificata dalla direttiva 2001/19,
l’esperienza professionale provata dall’autore di una
domanda diretta ad ottenere l’autorizzazione ad
esercitare una professione regolamentata nello Stato
membro ospitante, deve soddisfare le tre condizioni
seguenti:
– l’esperienza addotta deve consistere in un
lavoro a tempo pieno per almeno due anni nel corso dei
dieci anni precedenti;
– tale lavoro deve essere consistito
nell’esercizio costante e regolare di un insieme di
attività professionali che caratterizzano la professione
interessata nello Stato membro di origine, senza che sia
necessario che tale lavoro abbia coperto la totalità di
tali attività, e
– la professione, come normalmente esercitata
nello Stato membro di origine, deve essere equivalente,
per quanto riguarda le attività in cui essa si
estrinseca, a quella per il cui esercizio è stata
richiesta un’autorizzazione nello Stato membro
ospitante.
Firme |