Evoluzione legislativa
Vi è una palese tendenza del legislatore
a rendere sempre più stringente la deroga alla regola
secondo cui le spese seguono la soccombenza. La
giurisprudenza ha ripetutamente chiarito che il T.A.R.
ha amplissimi poteri discrezionali in ordine al
riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi
per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali
ovvero per escluderla, con il solo limite, in pratica,
che non può condannare, totalmente o parzialmente alle
spese la parte risultata vittoriosa in giudizio o
disporre statuizioni abnormi.
Nel caso di specie i
giudici di Palazzo Spada hanno esaminato il capo degli
appelli volto a censurare la compensazione delle spese
resa nel giudizio di primo grado, e che la Sezione ha
ritenuto non meritevole di accoglimento, intendendo
conformarsi al pacifico orientamento del Consiglio (cfr,
da ultimo, Sezione VI, n. 892, 14 dicembre 2010,
depositata il 9 febbraio 2011).
L’articolo 26 del codice
del processo amministrativo stabilisce, al comma 1, la
regola secondo cui, “quando emette una decisione, il
giudice provvede anche sulle spese del giudizio, secondo
gli articoli 91, 92, 93, 94, 96 e 97 del codice di
procedura civile”, quindi confermando il principio
secondo cui la pronuncia sulle spese del giudizio è
soggetta alla stessa disciplina prevista per il processo
civile e, in linea generale, in base all’art. 91 dello
stesso codice, le spese seguono la soccombenza.
Tuttavia, in forza
dell’articolo 92, comma secondo, del codice, nel testo
originario “Se vi è soccombenza reciproca o concorrono
altri giusti motivi, il giudice può compensare,
parzialmente o per intero, le spese tra le parti”.
Successivamente, la
legge 28 dicembre 2005 n. 263 ha modificato la
disposizione prevedendo che “Se vi è soccombenza
reciproca o concorrono altri giusti motivi,
esplicitamente indicati nella motivazione, il giudice
può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra
le parti”.
Infine, il testo
attualmente vigente, derivante dalle ulteriori modifiche
disposte dalla legge n. 69/2009, stabilisce che “Se vi è
soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed
eccezionali ragioni, esplicitamente indicati nella
motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o
per intero, le spese tra le parti”.
Vi è quindi una palese
tendenza del legislatore a rendere sempre più stringente
la deroga alla regola secondo cui le spese seguono la
soccombenza.
In tale quadro di
riferimento, la giurisprudenza ha ripetutamente chiarito
che il T.A.R. ha amplissimi poteri discrezionali in
ordine al riconoscimento, sul piano equitativo, dei
giusti motivi per far luogo alla compensazione delle
spese giudiziali ovvero per escluderla, con il solo
limite, in pratica, che non può condannare, totalmente o
parzialmente alle spese la parte risultata vittoriosa in
giudizio o disporre statuizioni abnormi (cfr., fra le
altre, citato Cons. Stato, VI, n. 892/2011), e la
valutazione di merito sulla compensazione delle spese
non è sindacabile neppure per difetto di motivazione.
Quanto detto vale sia in
riferimento alle sentenze di merito che a quelle
meramente processuali nelle quali, infatti, pur sussiste
una soccombenza virtuale nei confronti del soggetto che
ha agito con un atto poi dichiarato inammissibile o
improcedibile (Cons. Stato, Sez. VI, 24 novembre 2010 n.
8224).
|