La Corte costituzionale, con sentenza del 4 aprile 2011
n. 116, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’articolo 16, lettera c), del decreto legislativo 26
marzo 2001, n. 151, nella parte in cui non consente,
nell’ipotesi di parto prematuro con ricovero del neonato
in una struttura sanitaria pubblica o privata, che la
madre lavoratrice possa fruire, a sua richiesta e
compatibilmente con le sue condizioni di salute
attestate da documentazione medica, del congedo
obbligatorio che le spetta, o di parte di esso, a far
tempo dalla data d’ingresso del bambino nella casa
familiare.
Va premesso che, secondo l’orientamento già espresso a
più riprese dalla Consulta (sentt. 270/1999, 332/1988)
la ratio sottesa al congedo obbligatorio, oggi disposto
dall’art. 16 D.Lgs. 151/2001, è quella di tutelare la
salute della donna nel periodo immediatamente
susseguente al parto, per consentirle di recuperare le
energie necessarie a riprendere il lavoro. La norma,
tuttavia, considera e protegge anche il rapporto che in
tale periodo si instaura tra madre e figlio, e ciò non
soltanto per quanto attiene ai bisogni più propriamente
biologici, ma anche in riferimento alle esigenze di
carattere relazionale e affettivo collegate allo
sviluppo della personalità del bambino.
Dalla lettura del citato art. 16, il principio secondo
cui il congedo obbligatorio post partum decorre comunque
dalla data di questo è rimasto immutato, anche in
relazione ai casi, come la fattispecie all’esame della
Corte, nei quali il parto non è soltanto precoce
rispetto alla data prevista, ma avviene con notevole
anticipo (cosiddetto parto prematuro), tanto da
richiedere un immediato ricovero del neonato presso una
struttura ospedaliera pubblica o privata, dove deve
restare per periodi anche molto lunghi. In siffatte
ipotesi – come la Corte ha già avuto
occasione di rilevare (sentenza n. 270 del 1999) – la
madre, una volta dimessa e pur in congedo obbligatorio,
non può svolgere alcuna attività per assistere il figlio
ricoverato. Nel frattempo, tuttavia, il periodo di
astensione obbligatoria decorre, obbligando la madre a
riprendere l’attività lavorativa quando il figlio deve
essere assistito a casa. In simili casi, com’è evidente,
il fine di proteggere il rapporto, che dovrebbe
instaurarsi tra madre e figlio nel periodo
immediatamente successivo alla nascita, rimane di fatto
eluso.
Di Lilla Laperuta |