di Aldo Carrato
La S.C. ritorna
sulla discussa questione delle condizioni di
risarcibilità del danno in caso di opere illegittime che
violano i limiti legali di vicinato.
Mentre in tema di violazioni di norme prescrittive di
distanze legali la giurisprudenza della S.C. ritiene
configurabile un danno “in re ipsa”, per le altre
violazioni è necessario provare in concreto il danno
subito.
E’
stato, infatti, statuito, in materia di violazione delle
distanze tra costruzioni previste dal codice civile e
dalle norme integrative dello stesso, quali i
regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante
che lamenti tale violazione compete sia la tutela in
forma specifica, finalizzata al ripristino della
situazione antecedente al verificarsi dell'illecito, sia
quella risarcitoria, e, determinando la suddetta
violazione un asservimento di fatto del fondo del
vicino, il danno deve ritenersi "in re ipsa", senza
necessità di una specifica attività probatoria.
In
altri termini, ricorrendo tali violazioni, al
proprietario confinante che deduca il superamento delle
distanze legali spetta sia la tutela in forma specifica,
finalizzata al ripristino della situazione antecedente
al verificarsi dell'illecito, sia quella risarcitoria,
ed il danno che egli subisce (danno conseguenza e non
danno evento), essendo l'effetto, certo ed
indiscutibile, dell'abusiva imposizione di una servitù
nel proprio fondo e, quindi, della limitazione del
relativo godimento, che si traduce in una diminuzione
temporanea del valore della proprietà medesima, deve
ritenersi "in re ipsa", senza necessità di una specifica
attività probatoria.
Per contro, la realizzazione di opere in violazione di
norme recepite dagli strumenti urbanistici locali,
diverse da quelle in materia di distanze, non comportano
immediato e contestuale danno per i vicini, il cui
diritto al risarcimento presuppone l'accertamento di un
nesso tra la violazione contestata e l'effettivo
pregiudizio subito.
La
prova di tale pregiudizio deve essere fornita dagli
interessati in modo preciso, con riferimento alla
sussistenza del danno ed all'entità dello stesso.
Con la segnalata sentenza è stato, altresì, precisato
che, in tema di "servitus non aedificandi", il contenuto
del diritto si concreta nel corrispondente dovere del
proprietario del fondo servente di astenersi da
qualsiasi attività edificatoria che abbia come risultato
quello di comprimere o ridurre le condizioni di
vantaggio derivanti al fondo dominante dalla
costituzione di detta servitù, quale che sia, in
concreto, l'entità di siffatta compressione o riduzione
e indipendentemente dalla misura dell'interesse del
titolare del diritto a far cessare impedimenti e
turbative del medesimo; ne consegue che non è possibile
subordinare la tutela giudiziale di una tale servitù,
come, in genere, di ogni diritto reale, all'esistenza di
un concreto pregiudizio derivante dagli atti lesivi,
attesa l'assolutezza propria di tali situazioni
giuridiche soggettive, tutelate da ogni forma di
compressione o ingerenza da parte di terzi, col solo
limite del divieto di atti emulativi e salva la
rilevanza dell'entità del pregiudizio al solo fine della
quantificazione dell'eventuale risarcimento.
Per opportuni riferimenti cfr. Cass. n. 7909 del 2001 e,
da ultimo, Cass. n. 24387 del 2010.
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