In linea teorica non può certamente negarsi che la
critica sia legittima anche quando abbia ad oggetto
l'attività giudiziaria. La libertà di manifestazione del
proprio pensiero, garantita dall'articolo 21 della
Costituzione così come dall'articolo 10 della
Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, include la
libertà d'opinione e la libertà di ricevere o di
comunicare informazioni o idee o critiche su temi
d'interesse pubblico, dunque soprattutto sui modi
d'esercizio del potere qualunque esso sia, senza
ingerenza da parte delle autorità pubbliche. La natura
di diritto individuale di libertà ne consente, in campo
penale, l'evocazione per il tramite dell'articolo 51
cod. pen. (esercizio di un diritto), e non v'è dubbio
che esso costituisca diritto fondamentale in quanto
presupposto fondante la democrazia e condizione
dell'esercizio di altre libertà. All'interno delle
società democratiche deve, di conseguenza e soprattutto,
riconoscersi alla stampa e ai mass media il ruolo di
fori privilegiati per la divulgazione extra moenia dei
temi agitati all'interno delle Assemblee rappresentative
e per il dibattito in genere su materie di pubblico
interesse, ivi compresi la giustizia e l'imparzialità
della Magistratura. Il ruolo fondamentale nel dibattito
democratico svolto dalla libertà di stampa non consente,
in altri termini, di escludere che essa si esplichi in
attacchi al potere giudiziario, dovendo convenirsi con
la giurisprudenza della Corte EDU allorché afferma che i
giornali sono i c.d. "cani da guardia" (watch-dog) della
democrazia e delle istituzioni, anche giudiziarie.
Proprio la giurisprudenza della CEDU ha costantemente
ribadito che questi ultimi costituiscono il mezzo
principale diretto a garantire un controllo appropriato
sul corretto operato dei Giudici. Sulle medesime
premesse, la giurisprudenza di legittimità ha già da
tempo riconosciuto come sia, da un lato, "di enorme
interesse per la comunità nazionale la corretta e
puntuale esplicazione dell'attività giudiziaria e,
dall'altro, come critica e cronaca giornalistica volte a
tenere o a ricondurre il Giudice nell'alveo suo proprio
vadano non solo giustificate, ma propiziate". Maggiore è
il valore dell'attività esercitata più grande è d'altra
parte la imprescindibilità del dibattito pubblico. E se
più rigidi sono apparsi i limiti apposti dalla
giurisprudenza alla critica nei confronti delle
istituzioni giudiziarie, essi trovano ragione
soprattutto nel fatto che, a differenza di quel che
accade per altri soggetti pubblici, il dovere di
riservatezza generalmente impedisce ai Magistrati presi
di mira di reagire agli attacchi loro rivolti. Tutto ciò
premesso in punto di diritto, affermare, in conclusione
e in punto di fatto, che un ben individuato organo
giurisdizionale (nella specie la Procura della
Repubblica di Palermo) fosse "un'associazione a
delinquere di tipo istituzionale" costituisce, senza
dubbio alcuno, attacco alla imparzialità della funzione
giurisdizionale che, agli occhi del quivis de populo, è
la imprescindibile condizione che gli organi che tale
funzione esercitano deve rivestire proprio nella
coscienza della collettività. In particolare, balza agli
occhi il disonorevole riferimento alla struttura
organizzativa e alla tendenziale stabilità, che
caratterizzano l'attività dei criminali realmente
aderenti all'associazione a delinquere, per diffondere
in maniera avvolgente nella coscienza collettiva l'idea
di organi giurisdizionali del pari dediti stabilmente e
tendenzialmente al confezionamento di tesi accusatorie
precostituite e di complotti contro esponenti politici.
In questo caso pertanto non si applica l'esimente
prevista dall'art. 51 cod. pen. e l'autore della
diffamazione deve risponderne, essendo stati superati i
limiti posti all'esercizio del diritto di critica. |