(Pres. Giordano – Rel. Caiazzo)
Ordinanza
Con ordinanza in data 3.11.2010 il
Tribunale di Roma, richiesto ex art. 309 c.p.p., di
riesaminare l'ordinanza cautelare emessa dal GIP del
Tribunale di Latina in data 19.10.2010, con la quale era
stata disposta la custodia cautelare in carcere nei
confronti di E.S.A.K.M.F., D.M.S.I., A.R.A.A. e
A.R.A.A.T., cittadini egiziani da tempo residenti in
Italia, ha confermato ti provvedimento impugnato.
Ai predetti indagati è contestato
il delitto di cui agli artt. 110 c.p. e 12, comma 3
lettere a, b, d del D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286, per
aver compiuto tra il 3 e 4 ottobre 2010 atti diretti a
procurare illegalmente l'ingresso nel territorio dello
Stato di stranieri, giunti con un peschereccio davanti
alla costa di (omissis), trasportandoli a terra con un
gommone e conducendoli presso l'abitazione di
E.S.A.K.M.F., sita in …. Si tratta della ipotesi
autonoma del reato di favoreggiamento della immigrazione
clandestina aggravata in relazione al numero dei
migranti trasportati, alle condizioni di pericolo in cui
si è svolto il trasporto e al numero dei concorrenti nei
reato.
Il Tribunale del riesame riteneva
che la sostenuta estraneità ai fatti di E.S. non fosse
logicamente plausibile e che fosse smentita dal racconto
di D..L., la quale aveva riferito dello stato di
agitazione del predetto - evidentemente coinvolto nella
temporanea destinazione dei suo appartamento a rifugio
di clandestini - quando, poche ore dopo l'ingresso di
costoro nell'appartamento, gli aveva chiesto cosa stesse
succedendo.
La tesi degli scopi umanitari che
avrebbero ispirato la condotta di D.M.S.I. era in
contrasto con il ruolo nel trasporto dei clandestini dal
peschereccio a terra svolto dallo stesso, che aveva a
questo scopo acquistato un gommone per effettuare detto
trasporto.
Il coinvolgimento di A.R.A.A.
risultava dal fatto che era stato sorpreso nei pressi
della casa di E.S. alla guida della sua autovettura,
nella quale viaggiava anche D.M. e nel cui portabagagli
erano state rinvenute bottiglie d'acqua e generi
alimentari destinati ai clandestini; la consegna
dell'acqua e dei generi alimentari non era potuta
avvenire, poiché sul posto erano intervenuti I
Carabinieri e, poco prima, i clandestini si erano
frettolosamente allontanati dalla casa di E.S..
A.R.A.A.T. era stato riconosciuto
come partecipante all'operazione da più persone (S.A.,
T.A. e L.D.) e detti riconoscimenti, benché informali,
apparivano idonei in questa fase di indagini a
supportare la provvista indiziaria, avvalorata anche dal
racconto del coindagato D..
Per quanto riguarda le esigenze
cautelari, il Tribunale del riesame affermava che non
erano stati acquisiti elementi dai quali evincere
l'insussistenza di esigenze cautelari, richiamando anche
il contenuto sui punto dell'ordinanza del GIP del
Tribunale di Velletri, integralmente recepito
nell'ordinanza cautelare del GIP dei Tribunale di
Latina.
Il GIP del Tribunale di Velletri,
che dopo aver interrogato le suddette persone sottoposte
a fermo aveva disposto in data 9.10.2010 la provvisoria
misura cautelare - aveva ritenuto la sussistenza di
esigenze cautelari nei confronti degli indagati,
osservando - a proposito della richiesta di arresti
domiciliari avanzata dal P.M. nei confronti di D.M.S.I.
- che è Requirente non aveva tenuto conto del fatto che
riguardo al delitto contestato "il Legislatore ha
sottratto qualsivoglia discrezionalità nella scelta
della misura. Riguardo a tale tipologia di delitto,
infatti; nel caso di gravi indizi di colpevolezza e di
esigenze cautelari, a ben vedere presunte dalla legge -
ma in ogni caso ravvisabili nel caso in esame, come
ritenuto dal P.M. - sussiste una presunzione assoluta di
adeguatezza e di proporzionalità della misura della
custodia cautelare in carcere. Il P.M., in sostanza,
formulata la domanda cautelare, non ha la possibilità di
scegliere una misura diversa da quella inframuraria...".
Circa i dubbi sulla legittimità
costituzionale dell'art. 12 comma 4-bis del citato
Decreto legislativo manifestati dai difensori, il
Tribunale dei riesame non ha raccolto la sollecitazione
a sollevare davanti alla Corte Costituzionale la
questione di legittimità costituzionale di detta norma,
ritenendo che la severità della stessa non contrastasse
con alcuna norma di rango costituzionale, essendo
rimesso alla discrezionalità del legislatore un
particolare rigore nei confronti di reati che destano un
peculiare allarme sociale.
Avverso la ordinanza del Tribunale
del riesame hanno proposto ricorso per cassazione gli
indagati, personalmente l'A.R.A.A.T. e tramite i
rispettivi difensori gli altri, chiedendo l'annullamento
del provvedimento impugnato e deducendo alcuni motivi
comuni a tutti ed altri relativi alle singole posizioni.
I ricorrenti hanno anche criticato
la motivazione del Tribunale del riesame con la quale
era stata ritenuta manifestamente infondata l'eccezione
di illegittimità costituzionale dell'art. 12/comma 4 bis
del D. L.vo 286/1998 ed hanno fatto presente che, con
recente sentenza della Corte Costituzionale del
21.7.2010 n. 265, era stato ritenuto, in un caso
analogo, contrario ai principi della Costituzione il
rigido sistema, previsto dall'art. 275/3 c.p.p., di
applicazione della custodia cautelare in carcere per
determinati delitti, salvo che siano acquisiti elementi
dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari.
La questione di legittimità costituzionale della
suddetta norma meritava, secondo i ricorrenti, di essere
sollevata nel presente procedimento, poiché il fatto
appariva occasionale e gli indagati, da anni residenti
in Italia, non apparivano dotati di una particolare
pericolosità sociale;
Hanno eccepito la nullità
dell'ordinanza impugnata, poiché il Tribunale di Latina
aveva trasmesso al Tribunale del riesame solo
formalmente l'interrogatorio reso da D. al P.M. in data
7.10.2010, in quanto la registrazione dello stesso non
risultava trascritta e in atti vi èra solo l'apertura
del verbale e l'incaricò di trascrivere il contenuto
della registrazione dell'interrogatorio.
Hanno ritenuto carente la
motivazione dell'ordinanza impugnata, in quanto la
stessa aveva fatto rinvio alla motivazione
dell'ordinanza del GIP df Latina, il quale, a sua volta,
aveva fatto rinvio alla motivazione dell'ordinanza
cautelare emessa dal GIP di Velletri.
In favore di E.S.A.K.M.F. sono
stati dedotti i seguenti motivi di ricorso.
La motivazione dell'ordinanza era
carente sui gravi indizi di colpevolezza, ravvisati
esclusivamente nella dichiarazione della vicina di casa,
L.D., che aveva riferito di una reazione imbarazzata del
predetto, alla richiesta di spiegazioni circa i rumori
che la notte precedente la teste aveva udito provenire
dall'appartamento dell'indagato.
Nella specie doveva essere
applicata la disposizione del secondo comma dell'art. 12
D.L.vo 286/1998, in quanto gli stranieri erano in
precarie condizioni fisiche dopo una traversata in mare
durata quattordici giorni.
In favore di D.M.S.I. sono stati
dedotti i seguenti motivi di ricorso.
L'indagato aveva pienamente
collaborato con la Polizia Giudiziaria, fornendo
elementi utili ai fini delle Indagini. Poteva essergli
riconosciuta l'attenuante speciale prevista dall'art.
12/3 - quinquies e, con la scelta di un rito
alternativo, avrebbe potuto godere della sospensione
condizionale della pena.
D., almeno putativamente, aveva
ritenuto di agire in presenza della causa di
giustificazione prevista dal secondo comma del citato
art. 12, e sul punto nulla aveva détto il Tribunale del
riesame, nonostante risultasse dagli atti che gli
indagati avevano fornito viveri ai clandestini e che
senza il loro intervento gli stessi, con altissima
probabilità, sarebbero stati fatti sbarcare a nuoto.
In favore di A.R.A.A. sono stati
dedotti i seguenti motivi.
A carico dell'indagato vi era solo
la congettura che egli avesse partecipato
all'operazione, basata sul fatto che era stato
controllato dai Carabinieri alle ore 4,50 del mattino,
nei pressi dell'abitazione di E.S., mentre era in
macchina con D. e nel cofano vi erano due casse d'acqua
e numerose scatolette di tonno.
Anche il predetto indagato ha
chiesto che fosse riconosciuta la speciale causa di
giustificazione di cui al secondo comma dell'art. 12
D.L.vo 286/1998, in quanto i clandestini versavano in
evidente pericolo di vita.
A.R.A.A.T. ha dedotto i seguenti
motivi.
Il Tribunale del riesame non aveva
tenuto conto che gli indagati avevano agito ai solo fine
di aiutare gli immigrati clandestini, che erano già in
territorio italiano da diversi giorni e che erano in
pericolo di vita, perché correvano il rischio di essere
buttati in alto mare, se il peschereccio fosse tornato
indietro senza fare sbarcare i clandestini.
Il quadro indiziario a carico
dell'indagato, formato dal riconoscimento fotografico di
alcuni testimoni e dalle dichiarazioni di E.S., era
carente, poiché 1 Carabinieri si erano limitati a
sottoporre ai testi solo la foto dell'indagato; il
possesso delle chiavi dell'appartamento di E.S. non
provava che l'indagato avesse portato in questo
appartamento i clandestini.
Questa Corte ritiene che non
debbano essere accolti i motivi di ricorso dedotti degli
indagati attinenti alla questione procedurale e alla
esistenza delle condizioni di cui agli artt. 273 e 274
c.p.p., non essendo ravvisabili vizi di legittimità né
in rito né nella motivazione del provvedimento
impugnato.
Quanto alla doglianza relativa alla
mancata trasmissione ai Tribunale del Riesame
dell'interrogatorio reso da D. in data 7.10.2010, la
stessa appare infondata in quanto non sono stati dedotti
elementi, con riferimento al suo contenuto, da cui si
possa evincere che dovesse essere considerato un
elemento sopravvenuto a favore degli indagati, il che
contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti non si
può presumere.
Non appare carente la motivazione
dell'ordinanza impugnata per aver fatto rinvio anche
alla motivazione delle ordinanze cautelari, sia perché
queste ordinanze erano in possesso degli indagati e dei
difensori, essendo state foro notificate, sia perché il
Tribunale del riesame ha motivato anche sui punti delle
ordinanze cautelari che ha richiamato ad integrazione
della propria motivazione.
Sulla sussistenza dei gravi indizi
di colpevolezza a carico degli indagati, la motivazione
del Tribunale del riesame appare congrua e scevra da
vizi logico giuridici, risultando il grave quadro
indiziario dalla ricostruzione complessiva
dell'operazione, alla quale ciascuno degli indagati ha
dato uno specifico apporto, svolgendo il ruolo delineato
nell'ordinanza impugnata.
I ricorsi degli indagati deducono
solo motivi di fatto, non apprezzabili in questa sede di
legittimità, poiché non denunciano vizi logici della
motivazione, ma si limitano a sostenere, come base per
le censure, una possibile ricostruzione alternativa del
ruolo ricoperto nella vicenda da ciascun indagato e
delle finalità perseguite.
Non risulta, se non da mere
asserzioni difensive, che gli indagati avrebbero agito
nei confronti di stranieri già presenti nel territorio
dello Stato al fine di prestare loro soccorso e
assistenza umanitaria.
Si deve, quindi, ritenere
correttamente accertata, allo stato degli atti, la
sussistenza di gravi indizi di reità in capo a tutti i
suddetti indagati.
L'ordinanza impugnata appare
congruamente motivata anche sul punto dei mancato
superamento della presunzione relativa di esistènza
delle esigenze cautelari, avendo fatto uno specifico
richiamo a quelle indicate nella motivazione
dell'ordinanza del GIP di Velletri, il quale, per ogni
indagato, ha evidenziato concreti elementi di
pericolosità, desunti dalla gravità del fatto e dalle
capacità e disponibilità dimostrate nelle modalità
esecutive.
Appare, invece, rilevante e non
manifestamente infondata. In riferimento agli articoli
3, 13 comma 1 e 27 comma 2 della Costituzione, la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 12
comma 4-bis del Decreto Legislativo 25.7.1998 n. 286,
nella parte in cui - nei prevedere che, quando
sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai
reati previsti dai comma 3, è applicata la custodia
cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi
dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari
- non fa salva, altresì, l'ipotesi In cui siano
acquisiti elementi specifici, in relazione al caso
concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari
possono essere soddisfatte con altre misure.
Non è compito di questa Corte
scegliere quale sia la misura cautelare più adatta a
soddisfare le esigenze cautelari nei confronti degli
indagati, ma nel caso de quo appare rilevante stabilire
se sia compatibile con i principi della Costituzione la
citata norma che, in presenza di esigenze cautelari,
impone al giudice dei merito di applicare, come unica
misura adeguata, la custodia cautelare in carcere.
Nei motivi di ricorso si sostiene
invero non senza fondamento - ciò risultando dallo
stesso provvedimento impugnato, in cui si riconosce come
"la rudimentale organizzazione delle attività di
collaborazione poste in essere da ciascuno degli
indagati deponga per una condotta episodica e, in
sostanza, di non peculiare gravità" - che non risulta in
alcun modo che il fatto sfa stato commesso nell'ambito
di una struttura criminale organizzata con le
caratteristiche di quelle di stampo mafioso; inoltre fin
dall'inizio del procedimento è apparso opportuno allo
stesso PM. distinguere la posizione di almeno uno degli
imputati, chiedendo per il D. la misura degli arresti
domiciliari non accolta dal Giudice - che df regola non
può applicare una misura più afflittiva di quella
richiesta dal P.M. - solo per l'obbligo derivante dalla
norma in questione di applicare là custodia cautelare in
carcere, in presenza di esigenze cautelari. Con la
sentenza deità Corte Costituzionale n, 263, depositata
in data 21.7.2010, con la quale è stata dichiarata
l'illegittimità costituzionale dell'art. 275/3, secondo
e terzo periodo, dei codice di procedura penale nella
parte in cui - nei prevedere che, quando sussistono
gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui
agli articoli 600-bis, primo comma, 609-bis e 609-quater
c.p., è applicata la custodia cautelare in carcere,
salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che
non sussistono esigenze cautelari - non fa salva,
altresì, l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi
specifici, in relazione al caso concreto, dai quali
risulti che le esigenze cautelari possono essere
soddisfatte con altre misure, sono stati enucleati, con
chiarezza ed incisività, una serie di principi
regolatori della delicata materia delle misure cautelari
personali che appaiono a questa Corte rilevanti anche al
fine di sottoporre a verifica la compatibilità della
norma di cui all'art. 12 comma 4-bis dei Decreto
legislativo 286/1998 con detti principi.
Nella menzionata sentenza si è
premesso che le restrizioni della libertà personale
dell'indagato o imputato nei corso del procedimento
possono essere compatibili con la presunzione di non
colpevolezza solo se assumono connotazioni nitidamente
differenziate da quelle della pena, irrigabile solo dopo
l'accertamento definitivo della responsabilità.
La disciplina della materia deve,
quindi, essere ispirata ai criterio del "minore
sacrificio necessario", dovendosi contenere la
compressione della libertà personale entro i limiti
minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari
riconoscibili nel caso concreto.
La gravità in astratto dei reati
oggetto dei procedimento non può rilevare come criterio
di scelta sul "se" e sulla "specie" della misura,
essendo le misure previste solo per soddisfare le
esigenze cautelari specificamente individuate dalla
legge.
Dal fondamentale principio di
adeguatezza della misura discende che il giudice ha
l'obbligo di prescegliere la misura meno afflittiva tra
quelle astrattamente idonee a tutelare le esigenze
cautelari nel caso concreto.
Tratto saliente complessivo del
regime delle misure cautelari - ha puntualizzato ancora
la menzionata sentenza della Corte costituzionale - è
quello di non prevedere automatismi né presunzioni.
Lo scostamento dal predetto
principio, con riguardo ai delitti di mafia, è stato
dalla Corte costituzionale con l'ordinanza 18.10.1995
n.450 ritenuto giustificato per la specificità di detti
delitti, caratterizzati dalla permanenza e vischiosità
del rapporto del reo con il sodalizio di riferimento,
apparendo la custodia cautelare in carcere la sola
misura idonea a neutralizzare il periculum libertatis
connesso al verosimile protrarsi dei contatti tra
imputato ed associazione. Il legislatore ha però,
successivamente, esteso la presunzione assoluta di
adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere per
fattispecie penali in larga misura eterogenee fra loro,
per alcune delle quali è stata posta in dubbio la
legittimità costituzionale, apparendo non rispettato il
principio del "minore sacrificio necessario".
L'estensione, a giudizio della
Corte Costituzionale, non può essere giustificata né
dalla gravità del reato né, tanto meno, dall'esigenza di
contrastare situazioni causa di allarme sociale,
determinate dalla asserita crescita numerica di taluni
delitti non potendo essere annoverati i suddetti profili
- ai quali invece ha fatto riferimento il Tribunale del
riesame per dichiarare manifestamente infondata la
questione di costituzionalità - tra le finalità della
custodia preventiva in relazione alle quali il solo
aspetto rilevante è, lo si ripete, l'idoneità della
misura a soddisfare concretamente le esigenze cautelari.
Alla luce di tali principi, appare
a questa Corte non manifestamente infondata la questione
di legittimità costituzionale dell'art. 12 comma 4-bis
D. Lv. 286/1998, essendo stato sottoposto il delitto di
atti diretti a procurare illegalmente a stranieri
l'ingresso nel territorio dello Stato - defitto che,
pure nelle ipotesi aggravate, può essere compiuto anche
occasionalmente, con condotte individuali che possono
presentare forti differenze, e al di fuori di una
struttura criminale organizzata - ai medesimo regime dei
delitti compiuti nell'ambito di un'organizzazione di
tipo mafioso.
Deve, quindi, essere sottoposta
alla Corte Costituzionale la sollevata questione,
essendovi validi elementi per ritenere sussistente una
violazione dell'art. 3 Cost., per l'ingiustificata
parificazione dei procedimenti relativi al delitto in
questione con quelli per i delitti di mafia; una
violazione dell'art. 13 Cost., essendo derogato il
regime ordinario delle misure cautelari privative della
libertà personale senza una adeguata ragione; una
violazione dell'art. 27/2 Cost., in quanto vengono
attribuiti alla coercizione processuale tratti
funzionali tipici della pena.
P.Q.M.
Visto l'art. 23 della legge
11.3.1953 n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente
infondata, in riferimento agli articoli 3, 13 comma 1 e
27 comma 2 della Costituzione, la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 12 comma 4-bis del
Decreto Legislativo 25.7.1998 n. 286, inserito dall'art.
1 comma 26 lett. f della legge 15.7,2009 n. 94, nella
parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono
gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati previsti
dal comma 3, è applicata la custodia cautelare in
carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali
risulti che non sussistono esigenze cautelari - non fa
salva, altresì, l'ipotesi in cui siano acquisiti
elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai
quali risulti che le esigenze cautelari possono essere
soddisfatte con altre misure.
Dispone la immediata trasmissione
degli atti alla Corte Costituzionale e la sospensione
dei giudizio in corso.
Dispone che a cura della
cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle
parti nonché al Presidente del Consiglio dei ministri e
comunicata ai Presidenti delle due Camere del
Parlamento.
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