Nel deliberare in ordine al
riconoscimento della continuazione il giudice della
esecuzione verifica che i reati siano frutto della
medesima, preventiva risoluzione criminosa, tenendo
conto se il condannato, in concomitanza della relativa
commissione, era tossicodipendente e se il suddetto
stato aveva influito sulla commissione delle condotte
criminose
Cassazione, sez. I, 20 maggio 2011,
n. 20144
(Pres. Giordano – Rel. Vecchio)
Rileva
1. - Con ordinanza, deliberata il
28 giugno 2010 e depositata il 9 ottobre 2010, la Corte
di appello di Milano, in funzione di giudice della
esecuzione, ha respinto la richiesta di riconoscimento
della continuazione, avanzata dal condannato C.A.,
motivando che non era dato apprezzare - né l'interessato
aveva prospettato - elementi idonei a suffragare la
supposizione che le rapine e i furti perpetrati
dall'instante fossero frutto del medesimo disegno
criminoso, a dispetto degli intervalli di tempo
trascorsi tra i delitti e dei periodi di detenzione
medio tempore patiti.
2. — Ricorre per cassazione il
condannato, personalmente, mediante atto recante la data
del 19 ottobre 2010, col quale denunzia inosservanza
dell'articolo 671 c.p.p. per aver il giudice della
esecuzione omesso di valutare il dedotto stato di
tossicodipendenza.
3. — Il Procuratore generale della
Repubblica presso questa Corte suprema, con requisitoria
del 18 gennaio 2011, rileva: il condannato ha posto a
base della richiesta di riconoscimento della
continuazione la considerazione del proprio stato di
tossicodipendenza; l'ordinanza impugnata è, pertanto,
viziata da "palese carenza della motivazione".
4. - Il ricorso è fondato.
L'ultimo periodo del primo comma
dell'articolo 671 c.p.p. — siccome novellato
dall'articolo 4-vicies dalla legge 21 febbraio 2006, n.
49, di conversione del decreto legge 30 dicembre 2005,
n. 271 — recita: "Fra gli elementi che incidono sulla
applicazione della disciplina del reato continuato vi è
la consumazione di più reati in relazione allo stato di
tossicodipendenza".
Nella specie il condannato aveva
dedotto col libello introduttivo di essere "dedito
all'uso di sostanze stupefacenti” (allegando opportuna
documentazione); aveva prospettato che la attività
illecita perpetrata era "finalizzata a reperire denaro
per l'acquisto di sostanza stupefacente per uso proprio”
e aveva invocato la applicazione della novella 21
febbraio 2006, n. 49.
Risulta, pertanto, palese che il
giudice della esecuzione, avendo omesso di valutare la
deduzione del condannato circa il succitato stato di
tossicodipendenza, è incorso nella inosservanza della
anzidetta disposizione.
Conseguono l'annullamento della
ordinanza impugnata e il rinvio per nuovo esame alla
Corte di appello di Milano la quale si uniformerà al
seguente principio di diritto che questa Corte suprema
enuncia ai sensi dell'articolo 173, comma 2, disp. att.
c.p.p.:
“Nel deliberare in ordine al
riconoscimento della continuazione il giudice della
esecuzione verifica che i reati siano frutto della
medesima, preventiva risoluzione criminosa, tenendo
conto se il condannato, in concomitanza della relativa
commissione, era tossicodipendente e se il suddetto
stato aveva influito sulla commissione delle condotte
criminose.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e
rinvia per nuovo esame alla Corte di appello di Milano.
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