Tizio, mentre stava
nuotando nelle acque antistanti una spiaggia di Messina,
avesse riportato gravissime lesioni personali con
residua epilessia post-traumatica per essere stato
investito da un motoscafo.
La Corte di appello di Messina, con la sentenza
impugnata per cassazione, aveva liquidato il danno
biologico, quello morale soggettivo pari al 50% del
biologico, «il danno morale latu sensu, richiesto dalla
vittima quale danno alla vita di relazione […] definito
come voce di danno che integra e completa il danno
biologico e non è da considerarsi autonoma», ed infine
il danno patrimoniale e per spese mediche.
La
Cassazione rammenta come le Sezioni Unite, nel procedere
alla sistemazione della figura del "danno non
patrimoniale", abbiano chiaramente affermato che, in
tema di danno alla persona, il riconoscimento del
carattere "omnicomprensivo" del risarcimento del danno
non patrimoniale non può andare a scapito del principio
della "integralità" del risarcimento medesimo.
Il
risarcimento del danno non patrimoniale «deve ristorare
interamente il pregiudizio, ma non oltre» e deve essere
identificato con «il danno determinato dalla lesione di
interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza
economica».
Ne
deriva che il danno non patrimoniale rappresenta una
«categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in
sottocategorie». Ond’è che «il riferimento a determinati
tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno
morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto
parentale) risponde ad esigenze descrittive».
Tuttavia nel procedere alla quantificazione ed alla
liquidazione dell'unica categoria "danno non
patrimoniale", il giudice deve tenere conto di tutti gli
aspetti di cui sopra; se, pertanto, debbono essere
evitate duplicazioni risarcitorie, mediante
l'attribuzione di somme separate e diverse in relazione
alle diverse voci (sofferenza morale, danno alla salute,
danno estetico, ecc), i danni non patrimoniali debbono
comunque essere integralmente risarciti, nei casi in cui
la legge ne ammette la riparazione: nel senso che il
giudice, nel liquidare quanto spetta al danneggiato,
deve tenere conto dei diversi aspetti in cui il danno si
atteggia nel caso concreto.
Nel
caso di specie, procedendo al riconoscimento del danno
morale soggettivo, la Corte territoriale non ha violato
le indicate disposizioni di legge e non ha dato luogo ad
un'inammissibile duplicazione, avendo attribuito tale
componente del danno, dotata di logica autonomia in
relazione alla diversità del bene protetto, che attiene
ad un diritto inviolabile della persona ovvero
all'integrità morale, quale massima espressione della
dignità umana, desumibile dall'art. 2 Cost. in relazione
all'art. 1 della Carta dei diritti fondamentali
dell'U.E., contenuta nel Trattato di Lisbona (ratificato
dall'Italia con legge n. 190/08), tenendo conto delle
condizioni soggettive della vittima e della gravità del
fatto (Cass. n. 29091/08; 5770/10). La Corte
territoriale ha congruamente e correttamente
riconosciuto un'ulteriore componente del danno non
patrimoniale, distinta dal danno morale ed integrativa
di quello quantificato a titolo di danno biologico, in
considerazione che, a seguito dell'incidente e
dell'insorta epilessia traumatica, il B. non aveva
potuto coltivare gli esercizi di atletica pesante, in
cui aveva ottenuto lusinghieri risultati, non aveva
potuto continuare la pratica di commercialista, né
coltivare la vita di relazione e sociale, isolandosi
socialmente, alterando le proprie abitudini di vita, ciò
anche a causa delle crisi depressive conseguenti ai
frequenti attacchi di epilessia. Ciò dimostra che vi è
stato un congruo e corretto apprezzamento delle
risultanze processuali e che la decisione, sul piano
giuridico, è in armonia con il richiamato principio
della "integralità" del risarcimento del danno alla
persona.
***
Corte
di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 14 aprile – 26
maggio 2011, n. 11609
Presidente Petti – Relatore Giacalone
In
fatto e in diritto
1.1.
In controversia relativa al risarcimento dei danni
richiesti da R..B., investito da un motoscafo condotto
da C.P. mentre nuotava nelle acque antistanti la
spiaggia di (OMISSIS), riportando gravissime lesioni
personali con residua epilessia post-traumatica, la
Corte di Appello di Messina, con sentenza depositata il
4 febbraio 2009, sui punti che qui rilevano: a. ha
riconosciuto il B. affetto da crisi epilettiche
post-traumatiche, con frequenza 4-5 volte al mese anche
plurisettimanali, attribuendogli, ai fini della
determinazione del danno biologico, un'invalidità
permanente del 50%; b. ha liquidato in Euro 51.645,49 il
danno biologico; ha liquidato il danno morale soggettivo
nel 50% del biologico (Euro 25.823,84); ha attribuito
anche il danno morale latu sensu, richiesto dalla
vittima quale danno alla vita di relazione, stimato
equitativamente in Euro 41.316,55, definito come voce di
danno "che integra e completa il danno biologico e non è
da considerarsi autonoma"; ha liquidato in via
equitativa anche il danno patrimoniale futuro in Euro
61.974,72= e quello per spese mediche e cure passate e
future in Euro 25.882,84.
1.2.
Propone ricorso per cassazione il C., conducente del
motoscafo investitore, basato su otto motivi; resiste
con controricorso il B. che chiede respingersi il
ricorso, in quanto inammissibile o infondato.
2.1.1. Con il primo motivo, il ricorrente chiede alla
Corte "se il giudice abbia commesso violazione dell'art.
112 c.p.c. omettendo di pronunziarsi sull'eccezione
ritualmente proposta in primo grado all'udienza del
30.11.1995 e reiterata, al punto n. 5 delle conclusioni
dell'appello incidentale, di nullità di attività
processuali di primo grado che coinvolgono, ai sensi
dell'art. 159 c.p.c., anche l'espletamento di una prova
testimoniale delegata posta a fondamento della decisione
impugnata.
2.1.2. Il motivo, che lamenta l'omessa pronuncia su un
motivo di appello incidentale, si rivela inammissibile,
perché formulato in violazione del canone di
autosufficienza del ricorso per cassazione. Infatti,
affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità
un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato,
che al giudice di merito siano state rivolte una domanda
o un'eccezione autonomamente apprezzabili, e,
dall'altro, che tali domande o eccezioni siano riportate
puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per
cassazione, per il principio dell'autosufficienza, con
l'indicazione specifica altresì, dell'atto difensivo o
del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano
state proposte, onde consentire al giudice di
verificarne, sia la ritualità e la tempestività, sia la
decisività (Cass. S. U. n. 15781/05; Cass. n. 26234/05;
16752/06). Nel ricorso per cassazione si deve
specificare quale sia il "chiesto" al giudice del
gravame su cui questi non si sarebbe pronunciato, non
potendosi limitare ad un mero rinvio all'atto di appello
(il quale però non è da solo sufficiente, come ritiene
il ricorrente anche nelle note di replica alle richieste
del P.G.), atteso che la Corte di cassazione non è
tenuta a ricercare al di fuori del contesto del ricorso
le ragioni che dovrebbero sostenerlo, ma può accertarne
il riscontro in atti processuali al di fuori del ricorso
sempre che tali ragioni siano state specificamente
formulate nello stesso (Cass. n. 317/02; v. anche Cass.
n. 5148/03). Nella specie, la censura è anche priva di
autosufficienza in relazione ordine alle prove asserite
come rilevanti in ordine a quanto argomentato nelle
pagine da 5 a 7 della sentenza impugnata.
2.2.1
Con il secondo ed il terzo motivo, il ricorrente deduce
insufficienza della motivazione sul fatto controverso e
decisivo del ritenuto aumento della frequenza delle
crisi epilettiche del B., non illustrando le fonti del
convincimento e rinviando genericamente a relazioni,
senza indicarne contenuto, data e qualità dell'autore ed
a testimonianze di cui omette qualsiasi riferimento,
senza consentire di valutare l’iter argomentativo
(secondo motivo); nonché sul punto controverso
dell'attualità e gravità della malattia, non tenendo
conto di due C.T.U. depositate nel fascicolo di ufficio
in cui si descrive il numero delle crisi epilettiche
(due in 33 giorni di ricovero), né della perizia di
parte depositata in appello, né della relazione
investigativa sul comportamento del B. nel 1993, e
disattendendo la richiesta di acquisire la
documentazione presentata dal soggetto per i rinnovi
della patente; tutti elementi che avrebbero dovuto
indurre la Corte a disporre nuova C.T.U. o
approfondimenti istruttori.
2.2.2. Anche questi motivi non colgono nel segno.
Invero, nella parte in cui censurano la prova e le
modalità di accertamento della gravità dei postumi
permanenti, derivanti dall'incidente, essi si
riferiscono ad una questione di fatto, sulla quale la
Corte di appello ha congruamente motivato; i rispettivi
"momenti di sintesi" si rivelano comunque inidonei, non
indicando specificamente le ragioni per cui la dedotta
insufficienza della motivazione non consentirebbe di
giustificare la decisione. Inoltre, nella misura in cui
censura la ritenuta sussistenza dei presupposti della
componente "biologica" del danno non patrimoniale la
doglianza è inammissibile, perché prospettata quale
vizio motivazionale a norma dell'art. 360 n. 5 c.p.c.,
anziché come violazione degli artt. 2056 e 2059 c.c..
2.3.1. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce
insufficienza di motivazione sulla liquidazione
equitativa delle spese e delle cure mediche passate e
future, il cui accertamento aveva formato oggetto di
mandato al C.T.U. F. in primo grado; mentre la Corte ha
deciso immotivatamente ed ha liquidato tali poste in via
equitativa in pieno contrasto con le risultanze della
C.T.U. 10 11 1994 di cui non ha tenuto conto.
2.3.2. Anche questa censura non coglie nel segno, perché
lamenta come vizio motivazionale, a norma dell'art. 360,
comma primo n. 5, c.p.c. un vero e proprio error in
iudicando, consistente nella violazione e falsa
applicazione dell'art. 2056 in relazione all'art. 1223
c.c., perché sarebbero state riconosciute le predette
componenti del danno patrimoniale, rappresentanti parti
del "danno emergente", procedendone alla liquidazione in
via equitativa, senza la necessaria previa prova
dell'esistenza dei relativi pregiudizi (Cass. n.
15585/07; 24680/06). Ne deriva che la censura é
inammissibile, poiché non attiene all'accertamento ed
alla valutazione di fatti rilevanti per la decisione, ma
involge profili di stretto diritto. Pertanto, essa
pacificamente non può trovare ingresso ai sensi
dell'art. 360 n. 5 c.p.c., salva la eventuale correzione
o integrazione della motivazione, ove il dispositivo
risulti conforme a diritto (Cass. n. 5595/2003, in
motivazione; 4526/2001; 14630 e 4593/2000; 2940/1990).
2.4.1. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 1226, 2056 e
2059 c.c. e chiede a questa S.C. se la liquidazione da
parte della Corte di Appello del danno morale
soggettivo, già liquidato in sentenza quello biologico,
costituisca inammissibile duplicazione risarcitoria in
quanto attribuisce alla vittima di lesioni personali,
ove derivanti da reato, il risarcimento sia per il danno
biologico che per il danno morale, inteso quale
sofferenza soggettiva, che costituisce necessariamente
una componente del primo.
2.5.1. Con il sesto motivo, sotto il profilo del vizio
motivazionale, e con il settimo, sotto quello della
violazione degli artt. 1226, 2056 e 2059 c.c., il
ricorrente lamenta che la Corte territoriale ha
insufficientemente motivato (non indicando le fonti del
proprio convincimento) ed illegittimamente liquidato il
danno alla vita di relazione come danno non patrimoniale
distinto da quello morale, qualificato dalla Corte come
integrazione del danno biologico già liquidato
(chiedendo alla Corte di verificare se ciò costituisca
inammissibile duplicazione risarcitoria a vantaggio
della vittima di lesioni, ove derivanti da reato,
trattandosi di componente necessaria del danno
biologico).
2.5.2. Questi tre motivi - che possono essere trattati
congiuntamente, data la loro intima connessione, in
quanto riguardano la questione della configurazione e
della liquidazione delle componenti del danno non
patrimoniale - si rivelano infondati.
2.5.3. Giova premettere che le Sezioni Unite di questa
S.C., nel procedere alla sistemazione della figura del
"danno non patrimoniale" hanno chiaramente affermato
che, in tema di danno alla persona, il riconoscimento
del carattere "omnicomprensivo" del risarcimento del
danno non patrimoniale non può andare a scapito del
principio della "integralità" del risarcimento medesimo.
Secondo le Sezioni Unite, infatti, il risarcimento del
danno alla persona deve essere integrale, nel senso che
deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre;
il danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c.,
identificandosi con il danno determinato dalla lesione
di interessi inerenti la persona non connotati da
rilevanza economica, costituisce categoria unitaria non
suscettiva di suddivisione in sottocategorie; il
riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario
modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da
perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze
descrittive, ma non implica il riconoscimento di
distinte categorie di danno; é compito del giudice
accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio
allegato, a prescindere dal nome attribuitogli,
individuando quali ripercussioni negative sul
valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro
integrale riparazione (affermazioni contenute nel punto
4.8 di Cass. S.U. n. 26972/08). Ciò significa che la
giurisprudenza di questa S.C., da un lato, ha ricondotto
i danni risarcibili nell'ambito della classificazione
bipolare stabilita dal legislatore, riassumendoli tutti
nelle due categorie dei danni patrimoniali e dei danni
non patrimoniali, specificando che le distinzioni
elaborate dalla dottrina e dalla prassi fra danno
biologico, danno per morte, danno esistenziale, ecc,
hanno funzione meramente descrittiva; dall'altro lato,
ha precisato che, nel procedere alla quantificazione ed
alla liquidazione dell'unica categoria "danno non
patrimoniale", il giudice deve tenere conto di tutti gli
aspetti di cui sopra; se, pertanto, debbono essere
evitate duplicazioni risarcitorie, mediante
l'attribuzione di somme separate e diverse in relazione
alle diverse voci (sofferenza morale, danno alla salute,
danno estetico, ecc), i danni non patrimoniali debbono
comunque essere integralmente risarciti, nei casi in cui
la legge ne ammette la riparazione: nel senso che il
giudice, nel liquidare quanto spetta al danneggiato,
deve tenere conto dei diversi aspetti in cui il danno si
atteggia nel caso concreto (v. Cass. n. 8360/10).
2.5.4. Nel caso di specie, procedendo al riconoscimento
del danno morale soggettivo, la Corte territoriale non
ha violato le indicate disposizioni di legge e non ha
dato luogo ad un'inammissibile duplicazione, avendo
attribuito tale componente del danno, dotata di logica
autonomia in relazione alla diversità del bene protetto,
che attiene ad un diritto inviolabile della persona
ovvero all'integrità morale, quale massima espressione
della dignità umana, desumibile dall'art. 2 Cost. in
relazione all'art. 1 della Carta dei diritti
fondamentali dell'U.E., contenuta nel Trattato di
Lisbona (ratificato dall'Italia con legge n. 190/08),
tenendo conto delle condizioni soggettive della vittima
e della gravità del fatto (Cass. n. 29091/08; 5770/10).
Parimenti, non sussistono né la violazione di legge, né
l'insufficienza di motivazione lamentate nel sesto e nel
settimo motivo. La Corte territoriale ha congruamente e
correttamente riconosciuto un'ulteriore componente del
danno non patrimoniale, distinta dal danno morale ed
integrativa di quello quantificato a titolo di danno
biologico, in considerazione che, a seguito
dell'incidente e dell'insorta epilessia traumatica, il
B. non aveva potuto coltivare gli esercizi di atletica
pesante, in cui aveva ottenuto lusinghieri risultati,
non aveva potuto continuare la pratica di
commercialista, né coltivare la vita di relazione e
sociale, isolandosi socialmente, alterando le proprie
abitudini di vita, ciò anche a causa delle crisi
depressive conseguenti ai frequenti attacchi di
epilessia. Ciò dimostra che vi è stato un congruo e
corretto apprezzamento delle risultanze processuali e
che la decisione, sul piano giuridico, è in armonia con
il richiamato principio della "integralità" del
risarcimento del danno alla persona, il quale, per
quanto concerne il "danno biologico", comporta che tale
figura - che ha avuto espresso riconoscimento normativo
nel d.lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139, recante il
Codice delle assicurazioni private, va individuata nella
"lesione temporanea o permanente all'integrità
psicofisica della persona suscettibile di accertamento
medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle
attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali
della vita del danneggiato, indipendentemente da
eventuali ripercussioni sulla sua capacità di reddito",
con una definizione suscettiva di generale applicazione,
in quanto recepisce i risultati ormai definitivamente
acquisiti di una lunga elaborazione dottrinale e
giurisprudenziale (v., in tal senso, Cass. S.U. n.
26972/08, punto 2.13). Riconoscendo, pertanto, detta
componente - in considerazione dei gravi postumi
permanenti incidenti negativamente sulle attività
quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della
vita del danneggiato - la Corte territoriale ha
proceduto alla corretta "personalizzazione" del
risarcimento del danno biologico (Cass. n. 3906/10;
25236/09).
Del
resto, al di là della generica deduzione di asserite
"duplicazioni", il ricorrente non ha specificato come le
componenti di danno contestate con i riferiti motivi
siano invece da ritenersi già incluse nella
"prudenziale" liquidazione (50%) del danno biologico,
operata dalla Corte territoriale con esclusivo
riferimento all'invalidità permanente (inquadrabile,
sotto il profilo medico-legale, secondo la stessa Corte,
nel 50-60%).
2.6.1. Con gli ultimi due motivi il ricorrente lamenta
vizi di motivazione in ordine all'esistenza del danno
patrimoniale futuro per mancato svolgimento
dell'attività di ragioniere commercialista, per avere la
Corte rinviato genericamente a documenti senza indicarne
il contenuto (prima di queste due censure), nonché per
avere la Corte individuato un pregiudizio meramente
potenziale e possibile, niente affatto connesso
all'illecito in termini di certezza o almeno con un
grado di elevata probabilità, limitandosi a valutazioni
possibilistiche etichettate con lo stereotipo dell’id
quod plerumque accidit.
2.6.2. Anche questi motivi sono privi di pregio. In
primo luogo, anche qui i rispettivi "momenti di sintesi"
si rivelano inidonei, non indicando specificamente le
ragioni per cui la dedotta insufficienza della
motivazione non consentirebbe di giustificare la
decisione. Inoltre, diversamente da quanto sostiene il
ricorrente, la Corte territoriale ha puntualmente
indicato le ragioni che stanno alla base del
riconoscimento e della quantificazione del danno
patrimoniale futuro (tenuto conto che il B. a venti anni
era già ragioniere, secondo una ragionevole previsione,
avrebbe potuto ragionevolmente superare gli esami per
raggiungere il traguardo di esercitare l'attività
professionale autonoma di ragioniere e commercialista),
procedendo poi in via equitativa e sula base delle
risultanze di causa alla valutazione della riduzione
della capacità di guadagno. Del resto, anche se tale
componente del danno patrimoniale dovesse essere
inquadrata, anziché nella perdita della capacità di
guadagno, nella cosiddetta perdita di chances, comunque
le censure di cui al ricorso si rivelerebbero infondate,
dato che questa va rettamente intesa non come mancato
conseguimento di un risultato probabile, ma come mera
perdita della possibilità di conseguirlo, secondo una
valutazione ex ante da ricondursi al momento in cui il
comportamento illecito (e il conseguente evento di
danno) ha inciso su tale possibilità in termini di
conseguenza dannosa potenziale Cass. 4400/2004; Cass.
21619/07); tale perdita ha natura di danno patrimoniale
futuro, la cui liquidazione, secondo criteri
indiscutibilmente equitativi, può rapportarsi a
valutazioni di circostanze di fatto (quali quelle nella
specie considerate dal giudice del merito in ordine alle
condizioni personali e professionali del soggetto
all'atto dell'incidente e all'entità del reddito
all'epoca goduto) che, se motivate secondo un iter
argomentativo scevro da vizi logico-giuridici (quale
quello indiscutibilmente seguito nel caso di specie) si
sottraggono a qualsiasi forma di censura in sede di
legittimità (Cass. n. 10111/08).
Ne
deriva il rigetto del ricorso. Nel rapporto tra le parti
costituite, le spese del presente giudizio seguono la
soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento
delle spese nei confronti del B., che liquida in Euro
6.400=, di cui Euro 6.200= per onorario, oltre spese
generali ed accessori di legge. |