Lazzini Sonia
Tutela della concorrenza – Corte
dei Conti - La violazione della concorrenza è
apprezzabile sia sotto il profilo soggettivo che per
l’aspetto oggettivo_ danno alla concorrenza come voce
autonoma - possibilità per l’Amministrazione di
scegliere tra le migliori offerte conseguibili, a
seguito di una procedura di gara rivolta ad una adeguata
platea di imprese con conseguente inutile dispendio di
risorse pubbliche_ condanna del Rup per 6.000 euro
Danno alla concorrenza:la scelta
della trattativa privata come metodo di individuazione
del contraente non è stata supportata da idonea
motivazione
il dirigente in qualità di Rup
quale dominus esclusivo ai sensi delle rammentate
disposizioni del TUEL in ordine alla scelta del
contraente nelle pubbliche gare per cui era sua
esclusiva competenza (e responsabilità) la
determinazione della procedura da seguire.
Come puntualizzato efficacemente
dal P.M. in udienza, oltre ad aver invitato soltanto
cinque ditte anziché le quindici indicate nella legge
“Merloni”, i tempi di convocazione e di presentazione
delle offerte sono stati così ristretti da rendere
praticamente quasi impossibile la partecipazione, come
dimostrato dalla presentazione di sole due offerte
La violazione delle regole della
concorrenza e della trasparenza, lesiva dei principi
costituzionalmente tutelati dagli artt. 41 e 97 e dalla
legge n. 241 del 1990, realizza un vulnus all’obbligo di
servizio del dirigente preposto, e cioè il c.d. “danno
alla concorrenza”.
I valori dell’economicità,
dell'efficacia e dell'efficienza dell'attività
amministrativa rappresentano ormai i profili di maggior
rilievo della <<legalità sostanziale>> del sistema
giuscontabile e, in relazione ad essi, non è più
consentito <<omettere un minimo di confronto
concorrenziale per qualsiasi procedura contrattuale ad
oggetto pubblico>>, come giustamente puntualizzato dalla
Sezione Giurisdizionale della Lombardia con la sent.
n°447/2006. Un simile confronto, del resto, è ancor più
necessario oggi <<che i basilari principi in materia di
concorrenza e libera prestazione dei servizi, di cui
agli artt. 81 e ss. e 49 e ss. del Trattato CE, si
impongono al rispetto degli Stati membri,
indipendentemente dall'ammontare delle commesse
pubbliche>>, come ancora una volta giustamente
evidenziato nella precitata sentenza della Sez.
Lombardia, e come indica - con maggior pregnanza
normativa per il nostro Paese - l'art. 2 del D.L.vo
n°163/2006 che, in attuazione della direttive 2004/17/CE
e 2004/18/CE, annovera tra i principi fondamentali dei
contratti pubblici anche il <<principio concorrenza>>.
In questa ottica, è evidente che ogni accertamento di
<<convenienza>> della P.A.” deve “necessariamente
avvenire in un sistema di negoziazione concorrenziale”.
La violazione della concorrenza è
apprezzabile sia sotto il profilo soggettivo che per
l’aspetto oggettivo. Per il primo profilo viene in
rilievo la lesione arrecata ai possibili concorrenti
nella medesima gara per l’acquisizione di quote di
mercato, la cui tutela è affidata al Giudice
Amministrativo. Per la seconda accezione, che qui viene
valutata, emerge il danno all’Amministrazione
committente per aver ignorato di applicare il principio
della concorrenza nell’intrapresa attività contrattuale
(C.d.C., Sez. Giur. Umbria, sent. nn. 122/2009 e
256/2007).
Trattasi di voce autonomamente
valutabile e che si determina nella perdita della
possibilità per l’Amministrazione di scegliere tra le
migliori offerte conseguibili, a seguito di una
procedura di gara rivolta ad una adeguata platea di
imprese con conseguente inutile dispendio di risorse
pubbliche.
La giurisprudenza, soprattutto
della Sezione della Lombardia di questa Corte dei conti
(ex multis sentenze nn. 447/2006, cit., 447/2008,
135/2008, 598 e 767del 2009) ha dato rilievo a detta
species di danno seguendo la giurisprudenza della Corte
di Giustizia dell’Unione Europea per la violazione degli
artt. 49 e ss., 81 e ss. del Trattato UE, della
Cassazione (sent. n. 11031/2008) e amministrativa
(C.d.S. sez. V n. 3806/2008; sez. IV n. 5012/2004; sez.
V 3472/2004; T.A.R. Campania-Napoli Sez. I n.
2545/2006). Inoltre, la Sezione I di Appello di questa
Corte, nel riformare la precedente sentenza di I grado
sulla vicenda che ne occupa, ha testualmente affermato
che “E’ di tutta evidenza che l’asserita violazione
della concorrenza provoca maggiori oneri per
l’Amministrazione, in quanto, ad esempio (come in
fattispecie) determina ribassi di gara inferiori a
quelli conseguibili” (cfr. pag. 10 sent. n. 440/10).
Detta tipologia di danno, dunque,
non è una mera costruzione dottrinale, come affermato
dalla Difesa del convenuto, ma ha assunto da tempo
importanza e validità nel panorama delle pronunce
nazionali e internazionali degli Organi giudiziari,
anche di vertice, delle Magistrature.
Nel caso in esame la violazione
alla par condicio si è verificata considerando la
maggiore convenienza, derivante da un maggiore ribasso
che avrebbe potuto portare una gara equa e meno
frettolosa; ribasso che, si ripete, è stato ben
superiore in una gara analoga svolta a breve distanza di
tempo e per la medesima tipologia di lavori di pubblica
illuminazione.
Il Collegio ritiene che le
criticità sopra evidenziate dimostrino altresì la
sussistenza della colpa grave in capo al convenuto.
Egli, infatti, come chiarito innanzi, aveva la
responsabilità precipua delle gare e degli appalti per
il suo settore e doveva essere particolarmente avveduto
sia nell’individuazione della tipologia di gara da
adottare, sia delle ditte che dovevano partecipare;
tanto più che nel medesimo settore si erano tenute
procedure analoghe in cui il ribasso conseguito
dall’Amministrazione era stato di dieci volte superiore.
L’attività svolta dal M_ evidenzia,
invece, superficialità e negligenza non ridotta
dall’attività concorrente della Giunta Comunale, non
competente ad emanare indirizzi vincolanti nei confronti
del dirigente tecnico del settore.
Quanto alla determinazione
dell’importo da risarcire, esso può essere calcolato in
via esclusivamente equitativa, tenendo conto del valore
del contratto (importo a base d’asta euro 87.951,02,
ridotto ad euro 82.366,99) e dei criteri elaborati dalla
giurisprudenza amministrativa in materia di risarcimento
del danno per equivalente nel caso in cui non sia
possibile la reintegrazione in forma specifica della
pretesa dell’impresa ricorrente vittoriosa, a cui viene
in genere riconosciuto un importo variabile tra il 5% e
il 10% del valore del contratto originario. Vengono al
riguardo in rilievo sia l’art. 1226 del codice civile,
sia, per analogia, l’art. 345 della legge 20 marzo 1865,
all. F), sul presupposto che tale ultima norma sia
espressiva del criterio di quantificazione del margine
di profitto dell’appaltatore nei contratti con le
amministrazioni pubbliche. La norma prevede infatti la
possibilità per l’Amministrazione di risolvere in
qualunque tempo il contratto di appalto con il pagamento
dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili
esistenti in cantiere, oltre al decimo dell’importo
delle opere non eseguite, e dunque commisura al 10%
l’utile di impresa per l’appalto di lavori (cfr. C.d.C.,
Sez. Giurdisdizionale Piemonte, n. 96/2010).
Pertanto, tutto considerato, al
convenuto deve essere addebitato l’importo di euro 6.000
(seimila/00) da rifondere al Comune di Città Sant’angelo
(PE), cifra media tra le percentuali sopra indicate,
oltre interessi legali dalla data del fatto
(determinazione n. 260/M del 18.9.2003) e il deposito
della presente sentenza e rivalutazione monetaria da
quest’ultima data al soddisfo, e alle spese del presente
giudizio, quantificate come da dispositivo, in favore
dello Stato.
Riportiamo qui di seguito la
sentenza numero 23 del 20 gennaio 2011 pronunciata dala
Corte Dei Conti _Sezione Giurisdizionale Per La Regione
Abruzzo
Giud. 18438/ E.L. SENT. N.23/2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA
REGIONE ABRUZZO
composta dai seguenti magistrati:
Presidente di sez. Dott. Martino
Colella Presidente
Cons. Dott. Giovanni Mocci
Componente
Cons. Dott.ssa Elena Tomassini
Componente relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità
amministrativa, iscritto al n. 18438/E.L. del registro
di segreteria, promosso e riassunto dalla Procura
regionale della Corte dei conti per l’Abruzzo nei
confronti di:
M_ Gabriele, nato a Città Sant’
Angelo (PE) il 10.3.1967 e residente a Silvi (TE),
Contrada S. Stefano n. 130/5 (C.F. MRGGRL67C10C750Z),
rappresentato e difeso dall’avv. Andrea Modesti del Foro
di Pescara ed elettivamente domiciliato alla via
Cardinale Mazzarino in L’Aquila, presso l’avv. Giulio
Agnelli.
Visto il decreto-legge 15 novembre
1993, n. 453, convertito, con modificazioni, nella legge
14 gennaio 1994, n. 19.
Vista la legge 14 gennaio 1994, n.
20, nel testo novellato dal decreto-legge 26 ottobre
1996, n. 543, convertito, con modificazioni, nella legge
20 dicembre 1996, n. 639.
Visto l’atto di riassunzione in
giudizio depositato in data 10 settembre 2010 della
Procura regionale presso questa Sezione giurisdizionale,
ritualmente notificato al convenuto.
Vista la comparsa di costituzione e
risposta depositata in Segreteria il 9 dicembre 2010.
Uditi, nella pubblica udienza del
giorno 12 gennaio 2011, con l’assistenza della
Segretaria Dottoressa Antonella Lanzi, il Giudice
Relatore Cons. Elena Tomassini e il Pubblico Ministero
nella persona del Vice Procuratore Regionale Cons.
Massimo Perin, non presente la parte ritualmente
convocata.
FATTO
Con l’atto all’esame, la Procura
regionale ha riassunto il giudizio (originariamente sub
n. 17241/E.L.) definito con la sentenza della Sezione n.
776 del 2007. Detta decisione di primo grado, in diversa
composizione dall’attuale, aveva dichiarato
inammissibile la citazione per difformità totale
dall’invito a dedurre.
La sentenza era stata riformata
dalla I Sezione centrale di appello (sentenza n. 440 del
10 luglio 2010) che quindi aveva rinviato gli atti per
un nuovo giudizio al giudice di primo grado.
Con l’originaria citazione la
Procura aveva chiamato a rispondere l’odierno convenuto,
nella qualità di dirigente preposto al Settore
Manutenzioni del Comune di Città Sant’ Angelo (PE), a
risarcire il danno, quantificato equitativamente in euro
20.000, per aver aggiudicato a trattativa privata per i
lavori di completamento della pubblica illuminazione
“Madonna della Pace Crocifisso – II lotto” in data
20.9.2003. La procedura, previo invito a cinque ditte
del settore, era stata vinta dalla ditta De Leonibus
Costruzioni S.n.c. con un ribasso del 6,5%.
Alla trattativa non era stata
invitata la ditta SANMARCO s.a.s. di Pescara che si era
aggiudicati un mese prima i lavori analoghi per un
importo similare, con un ribasso del 52%.
Le indagini erano iniziate a
seguito di un esposto inviato dalla ditta esclusa, e
avevano evidenziato, ad avviso del requirente, la colpa
grave del geom. M_, in qualità di responsabile del
procedimento, poiché avrebbe dovuto valutare e conoscere
l’esistenza sul mercato di potenziali ditte che, con la
loro partecipazione, avrebbero potuto consentire
migliori economie per l’Amministrazione.
Dopo aver definito con
archiviazione le posizioni di altri componenti della
Commissione di gara, i quali si erano limitati a
valutare le sole offerte pervenute senza alcuna
competenza in ordine alla scelta delle ditte da
invitare, il P.M. ribadiva la scorrettezza della
procedura scelta – che ai sensi dell’art. 20 della legge
n. 109 del 1994, vigente all’epoca, avrebbero dovuto
essere pubblico incanto o licitazione privata – senza
alcuna motivazione e senza la sussistenza di una
situazione di urgenza. Inoltre, ai sensi della
deliberazione n. 193 del 3.7.2003 dell’Autorità di
Vigilanza dei Lavori pubblici, trattandosi di un secondo
lotto di lavori, esso non avrebbe potuto essere
aggiudicato a trattativa privata come il primo,
essendosi in presenza di circostanza prevedibili e
prevenibili sulla base di elementari canoni di
diligenza.
Inoltre, era mancato un sostanziale
confronto, non essendo stata effettuata una previa
indagine di mercato né presenti un numero sufficiente di
offerte (solo due su cinque ditte invitate) che, quindi,
non aveva consentito una valutazione obiettiva ed
effettiva in termini di convenienza per l’ente locale.
Infine, non erano stati rispettati nè il disposto
dell’art. 24 comma 5° della legge n. 109 del 1994 che
impone la convocazione di almeno quindici concorrenti né
l’obbligo di fornire idonea motivazione alla deroga ai
principi di massima concorrenza.
La violazione di tali principi
astratti aveva prodotto un danno risarcibile,
pregiudicando le possibilità di conseguire offerte
migliori; e, infatti, con gara indetta appena un mese
prima, per la realizzazione di altro impianto di
illuminazione, i lavori erano stati aggiudicati alla
SANMARCO Costruzioni con un ribasso ben più favorevole
per l’amministrazione.
Con la comparsa di risposta il
convenuto, dopo aver riepilogato le vicende processuali,
chiedeva la reiezione della domanda attrice.
Egli, quale responsabile del 5°
settore manutenzione, seguiva di norma rigidi criteri
per l’affidamento dei lavori a seconda dell’importo
degli stessi. Nel caso in esame si seguiva la regola
standard di adottare la trattativa privata tra un numero
di ditte non inferiore a cinque poichè l’importo dei
lavori era inferiore a euro 100.000. Inoltre era stata
erroneamente indicato dal progettista quale “secondo
lotto” l’intervento per i lavori di illuminazione in
questione, che invece era del tutto autonomo poiché
insisteva su tratti diversi della stessa strada.
Mentre, infatti, il primo
intervento era stato inserito nel pieno triennale delle
opere pubbliche e riguardava la strada provinciale
dall’hotel Giardino alla Madonna della Pace, il secondo
era stato finanziato con le economie residuali di altri
interventi ai sensi dell’art. 14, comma 9, della legge
n. 109 del 1994 ed era quindi autonomo. Al riguardo si
produceva una relazione tecnica a sostegno.
Il convenuto contestava poi la
sussistenza di un concreto danno poichè da un lato la
figura del danno alla concorrenza non aveva autonoma
consistenza né giuridica ed economica e dall’altro, a
tutto concedere, esso si poteva produrre in assenza di
un pur minimo confronto concorrenziale per la scelta del
contraente, che nel caso in esame vi era stato.
Si contestava infine la
determinazione del danno da risarcire poiché per un
importo di euro 20.000 il ribasso sarebbe dovuto essere
del 29%; ma la Procura non aveva dato contezza dei
criteri seguiti.
Al contrario il geom. M_, per la
determinazione del prezzo a base d’asta, aveva adottato
un prezziario vecchio per cui i prezzi praticati erano
inferiori del 9% rispetto a quelli di mercato.
Quanto alla maggiore convenienza
della ditta SANMARCO, che con l’esposto aveva dato luogo
alla vicenda, si puntualizzava che a essa era stata
revocata la SOA e che comunque i lavori realizzati su
una strada provinciale erano più onerosi di quelli
eseguiti sulla strada comunale via Ranalli.
Nel ribadire che comunque nella
Pubblica Amministrazione il risparmio economico era
soltanto accessorio all’obiettivo primario di realizzare
un’opera ben fatta e nei tempi pattuiti, si sosteneva
l’assenza di colpa del M_ poiché, con la delibera di
G.C. n. 174 del 4.9.2003 di approvazione del progetto
definitivo-esecutivo dei lavori la Giunta aveva
formulato un indirizzo in merito all’utilizzo della
trattativa privata quale metodo più rapido per
l’esecuzione dei lavori.
Conclusivamente quindi il convenuto
insisteva per la sua assoluzione con vittoria di spese e
onorari.
All’udienza in data 12 gennaio
2011, in assenza della parte ritualmente convocata, il
P.M. ribadiva la sussistenza di un danno alla
concorrenza, figura ormai consolidata nell’odierno
panorama giurisprudenziale sia contabile, che
amministrativo, che della Corte di Giustizia dell’U.E. e
affermato anche nel caso in esame dalla decisione di
appello che aveva annullato la prima sentenza.
Nel caso in esame, poi, addirittura
gli inviti a contrarre erano stati soltanto apparenti;
e, infatti, tenuto conto delle modalità di presentazione
delle offerte stabilite dal bando, le ditte invitate
avevano a disposizione soltanto due giorni per formulare
un’offerta; il che non era agevole, tenuto conto dei
lavori da svolgere, relativi ad un impianto di pubblica
illuminazione e non a fornitura di beni i cui prezzi
potevano essere desunti da un listino. Era quindi
probabile che, delle cinque ditte invitate, ben tre non
fossero state in grado, a causa della ristrettezza
temporale a disposizione, di predisporre un’offerta.
Era dunque evidente che la gara non
aveva neppure rispettato la pur illegittima previsione
della Giunta comunale.
Nel contestare, poi, l’affermazione
del convenuto di aver utilizzato un prezziario più
favorevole per l’Amministrazione, poiché non
documentata, e di natura prettamente tecnica, si
insisteva per una condanna in via equitativa,
rimettendosi in tal senso all’apprezzamento del Collegio
giudicante.
La causa veniva pertanto rimessa in
decisione.
DIRITTO
Con la citazione all’esame la
Procura Regionale ha chiesto la condanna del convenuto,
geometra comunale e Dirigente del Settore V Manutenzioni
del Comune di Città Sant’Angelo (Pescara) al
risarcimento del danno cagionato alla concorrenza con
una erronea e colpevole scelta del contraente per il
completamento dei lavori di illuminazione pubblica della
strada provinciale “Madonna della Pace“.
Giova ricordare che
l’aggiudicazione alla ditta De Leonibus s.n.c. era
avvenuta a trattativa privata ai sensi dell’art. 21
comma 1) della legge n. 109 del 28.2.1994 e successive
modificazioni e integrazioni, con il criterio del
ribasso percentuale sul prezzo a base d’asta, per
l’importo di euro 82.366,99 di cui euro 80.324,18 con un
ribasso del 6,50% all’importo a base di gara di euro
85.908,21.
Alla gara informale erano state
invitate cinque ditte, con lettera di invito, secondo
quanto disposto con determinazione del Dirigente M_ n.
260/M del 18.9.2003, in data 19.9.2003 con il termine
perentorio per l’invio delle offerte, a mezzo r.a.r. o
agenzia di recapito autorizzata, ovvero a mano, nel
rispetto delle procedure indicate, per le ore 13,00 del
26.9.2003.
Soltanto due ditte (Stella Tonino
di Villa Celliera e la De Leonibus di Città
Sant’Angelo), facevano pervenire offerte tra cui era
stata scelta la seconda con il criterio del massimo
ribasso percentuale.
Viene quindi in primo luogo
all’esame la correttezza della procedura seguita dal
Dirigente per l’aggiudicazione dei lavori.
Ai sensi dell’art. 107 del D.Lgs.
n. 267 del 2000, infatti, spettano ai dirigenti la
direzione degli uffici e servizi, nonché tutti i compiti
compresa l’adozione di atti amministrativi, tra cui il
medesimo articolo indica, al terzo comma, lett. B), “la
responsabilità delle procedure di appalto e di
concorso”.
Quindi, l’indirizzo dato in
proposito dalla Giunta comunale poteva soltanto fungere
come tale, e cioè come indicazione di massima che
peraltro non poteva prevalere sul contrario dettato
legislativo.
Nel caso in esame la responsabilità
esclusiva, al riguardo, del M_ era amplificata dalla
qualifica dello stesso di responsabile unico del
procedimento. Questo, secondo l’art. 7 della legge n.
109 del 1994, nonché dell’art. 8, comma 1, lett. H) del
d.P.R. 21.12.1999, n. 554, vigente all’epoca, “propone
all’Amministrazione aggiudicatrice i sistemi di
affidamento dei lavori e garantisce la conformità a
legge delle disposizioni contenute nei bandi di gara e
negli inviti; nel caso di trattativa privata effettua le
dovute comunicazioni all’Autorità, promuove la gara
informale e garantisce la pubblicità dei relativi atti”.
Così delineata l’esclusiva
competenza del convenuto, e non dell’organo politico, in
ordine alla procedura di scelta del contraente, va ora
esaminato l’oggetto dell’appalto.
I lavori in questione concernevano
il completamento della pubblica illuminazione
provinciale della strada Madonna della pace, II lotto,
per un importo dei lavori a base d’asta pari ad euro
85.908,21.
Trattandosi di un secondo lotto di
lavori, esso avrebbe dovuto essere affidato unitamente
al primo (lavori relativi al primo tratto della strada)
con il superamento della soglia di euro 100.000 fissati
dall’art. 24 primo comma lett. A) della legge n. 109 del
1994 e impossibilità di ricorso alla trattativa privata.
Nonostante le contrarie affermazioni difensive è infatti
evidente dalla dizione riportata sul progetto e in tutti
i provvedimenti relativi, a cominciare dalla citata
determinazione n. 260/2003 dello stesso M_, ma anche
dalla tipologia dei lavori (realizzazione
dell’illuminazione stradale) che essi costituivano un
corpus unitario che, come tale, avrebbe dovuto essere
oggetto di un’unica gara.
Non valgono a far dubitare della
valutazione del Collegio le deduzioni del geom.
Mazzocchetti nella relazione tecnica di parte prodotta
dal convenuto. Essa infatti inferisce l’autonomia dei
lavori del primo e del secondo lotto dalla circostanza
che soltanto il primo era stato inserito nel piano
triennale dei lavori pubblici ai fini della
programmazione finanziaria. Trattasi, infatti, di
affermazioni che non cambiano la sostanza delle cose:
l’unicità di un intervento riguardante lo stesso oggetto
(realizzazione dell’impianto di illuminazione) nello
stesso ambito (unica strada provinciale in uno stesso
Comune). Si è trattato, quindi, di un errore di
programmazione dell’Ente locale il quale avrebbe dovuto
considerare l’unitarietà degli interventi ai fini della
programmazione finanziaria. E’ inoltre implausibile che
siano errate le indicazioni come “Secondo lotto”
riportate in tutte le intestazioni dei progetti dei
lavori di cui agli atti del giudizio, nella relazione
sul conto finale dei lavori nonché nell’intestazione
della deliberazione n. 174/2003 della Giunta Comunale.
In particolare nella relazione tecnica allegata al
progetto definitivo-esecutivo, a firma del direttore dei
lavori e coordinatore per l’esecuzione Geom. M_, si
legge testualmente: ”Il progetto si allaccia alle
indicazioni fornite dalla relazione illustrativa del
progetto preliminare approvato con delibera di G.C. del
15.1.2002 che prevedeva la realizzazione del nuovo
impianto di pubblica illuminazione dalla fine di Viale
Petruzzi fino alla Chiesetta di Madonna della Pace. Tale
intervento è stato recentemente realizzato ma con una
differente tipologia esecutiva, il che ha comportato un
notevole risparmio di capitali per l’ente, che ora sono
disponibili per essere utilizzati per il finanziamento
di un successivo lotto, il secondo appunto, che prevede
il congiungimento degli impianti di Madonna della Pace
con quelli del Crocifisso" .
Sono stati dunque violati i divieti
di cui ai commi 4 (divieto di artificioso frazionamento
delle opere) e 7 dell’art. 24 della legge n. 109 del
1994 (divieto di affidamento a trattativa privata di un
secondo lotto funzionale), ribaditi proprio in epoca
coeva ai fatti di cui si tratta da numerose
deliberazioni dell’Autorità di Vigilanza sui Lavori
Pubblici (delibere nn. 257, 259, 259, tra le altre, in
data 24.9.2003).
Sul punto non possono essere
invocati da parte convenuta la delibera di Giunta
comunale n. 174/2003 del 4.9.2003 e neppure il
regolamento comunale per la disciplina dei contratti
che, per imprimere una maggiore celerità, aveva indicato
l’utilizzo della trattativa privata poiché, per le
ragioni suesposte, erano disposizioni illegittime per
violazione di legge e si basavano sull’equivoco di fondo
per il quale il lavoro sul secondo tratto della via
provinciale Madonna della Pace avesse una sua autonomia
funzionale e finanziaria.
A ciò si aggiunga che la scelta
della trattativa privata come metodo di individuazione
del contraente non è stata supportata da idonea
motivazione come previsto dall’art. 24, II comma, della
citata legge n. 109 del 1994 e s.m.i. e dai numerosi
avvisi dell’Autorità di Vigilanza sui Lavori pubblici,
tutti ben conosciuti dal geom. M_ in ordine
all’eccezionalità del ricorso alla trattativa privata e
alla, per contro, doverosità del ricorso alla gara.
Ma, in ogni caso, come già esposto,
il dirigente era dominus esclusivo ai sensi delle
rammentate disposizioni del TUEL in ordine alla scelta
del contraente nelle pubbliche gare per cui era sua
esclusiva competenza (e responsabilità) la
determinazione della procedura da seguire.
Ma anche ammettendo, con la Difesa,
che i lavori potessero essere affidati a trattativa
privata, anche tale procedura non è stata rispettata.
Come puntualizzato efficacemente
dal P.M. in udienza, oltre ad aver invitato soltanto
cinque ditte anziché le quindici indicate nella legge
“Merloni”, i tempi di convocazione e di presentazione
delle offerte sono stati così ristretti da rendere
praticamente quasi impossibile la partecipazione, come
dimostrato dalla presentazione di sole due offerte. E,
infatti, i concorrenti avrebbero dovuto, in un termine
di pochi giorni (l’invito è del 19 settembre e
presumibilmente ricevuto quantomeno due giorni dopo; il
termine perentorio da rispettare era del 26 settembre,
con deposito a mano o mediante r.a.r.) fare una
valutazione economica del progetto previo esame del
capitolato speciale - visibile, unitamente agli altri
elaborati tecnici, presso il V settore del Comune, nei
giorni feriali e durante le ore di ufficio - depositando
anche una fideiussione assicurativa (cfr. bando di gara,
determinazione n. 260/M del 18.9.2003).
Va dunque condivisa la valutazione
dell’Attore per cui nel caso in esame non vi è stata
alcuna valida gara, mancando di un numero sufficiente di
offerte per valutare un intervento economicamente
vantaggioso per l’Amministrazione.
La violazione delle regole della
concorrenza e della trasparenza, lesiva dei principi
costituzionalmente tutelati dagli artt. 41 e 97 e dalla
legge n. 241 del 1990, realizza un vulnus all’obbligo di
servizio del dirigente preposto, e cioè il c.d. “danno
alla concorrenza”.
I valori dell’economicità,
dell'efficacia e dell'efficienza dell'attività
amministrativa rappresentano ormai i profili di maggior
rilievo della <<legalità sostanziale>> del sistema
giuscontabile e, in relazione ad essi, non è più
consentito <<omettere un minimo di confronto
concorrenziale per qualsiasi procedura contrattuale ad
oggetto pubblico>>, come giustamente puntualizzato dalla
Sezione Giurisdizionale della Lombardia con la sent.
n°447/2006. Un simile confronto, del resto, è ancor più
necessario oggi <<che i basilari principi in materia di
concorrenza e libera prestazione dei servizi, di cui
agli artt. 81 e ss. e 49 e ss. del Trattato CE, si
impongono al rispetto degli Stati membri,
indipendentemente dall'ammontare delle commesse
pubbliche>>, come ancora una volta giustamente
evidenziato nella precitata sentenza della Sez.
Lombardia, e come indica - con maggior pregnanza
normativa per il nostro Paese - l'art. 2 del D.L.vo
n°163/2006 che, in attuazione della direttive 2004/17/CE
e 2004/18/CE, annovera tra i principi fondamentali dei
contratti pubblici anche il <<principio concorrenza>>.
In questa ottica, è evidente che ogni accertamento di
<<convenienza>> della P.A.” deve “necessariamente
avvenire in un sistema di negoziazione concorrenziale”.
La violazione della concorrenza è
apprezzabile sia sotto il profilo soggettivo che per
l’aspetto oggettivo. Per il primo profilo viene in
rilievo la lesione arrecata ai possibili concorrenti
nella medesima gara per l’acquisizione di quote di
mercato, la cui tutela è affidata al Giudice
Amministrativo. Per la seconda accezione, che qui viene
valutata, emerge il danno all’Amministrazione
committente per aver ignorato di applicare il principio
della concorrenza nell’intrapresa attività contrattuale
(C.d.C., Sez. Giur. Umbria, sent. nn. 122/2009 e
256/2007).
Trattasi di voce autonomamente
valutabile e che si determina nella perdita della
possibilità per l’Amministrazione di scegliere tra le
migliori offerte conseguibili, a seguito di una
procedura di gara rivolta ad una adeguata platea di
imprese con conseguente inutile dispendio di risorse
pubbliche.
La giurisprudenza, soprattutto
della Sezione della Lombardia di questa Corte dei conti
(ex multis sentenze nn. 447/2006, cit., 447/2008,
135/2008, 598 e 767del 2009) ha dato rilievo a detta
species di danno seguendo la giurisprudenza della Corte
di Giustizia dell’Unione Europea per la violazione degli
artt. 49 e ss., 81 e ss. del Trattato UE, della
Cassazione (sent. n. 11031/2008) e amministrativa
(C.d.S. sez. V n. 3806/2008; sez. IV n. 5012/2004; sez.
V 3472/2004; T.A.R. Campania-Napoli Sez. I n.
2545/2006). Inoltre, la Sezione I di Appello di questa
Corte, nel riformare la precedente sentenza di I grado
sulla vicenda che ne occupa, ha testualmente affermato
che “E’ di tutta evidenza che l’asserita violazione
della concorrenza provoca maggiori oneri per
l’Amministrazione, in quanto, ad esempio (come in
fattispecie) determina ribassi di gara inferiori a
quelli conseguibili” (cfr. pag. 10 sent. n. 440/10).
Detta tipologia di danno, dunque,
non è una mera costruzione dottrinale, come affermato
dalla Difesa del convenuto, ma ha assunto da tempo
importanza e validità nel panorama delle pronunce
nazionali e internazionali degli Organi giudiziari,
anche di vertice, delle Magistrature.
Nel caso in esame la violazione
alla par condicio si è verificata considerando la
maggiore convenienza, derivante da un maggiore ribasso
che avrebbe potuto portare una gara equa e meno
frettolosa; ribasso che, si ripete, è stato ben
superiore in una gara analoga svolta a breve distanza di
tempo e per la medesima tipologia di lavori di pubblica
illuminazione.
Il Collegio ritiene che le
criticità sopra evidenziate dimostrino altresì la
sussistenza della colpa grave in capo al convenuto.
Egli, infatti, come chiarito innanzi, aveva la
responsabilità precipua delle gare e degli appalti per
il suo settore e doveva essere particolarmente avveduto
sia nell’individuazione della tipologia di gara da
adottare, sia delle ditte che dovevano partecipare;
tanto più che nel medesimo settore si erano tenute
procedure analoghe in cui il ribasso conseguito
dall’Amministrazione era stato di dieci volte superiore.
L’attività svolta dal M_ evidenzia,
invece, superficialità e negligenza non ridotta
dall’attività concorrente della Giunta Comunale, non
competente ad emanare indirizzi vincolanti nei confronti
del dirigente tecnico del settore.
Quanto alla determinazione
dell’importo da risarcire, esso può essere calcolato in
via esclusivamente equitativa, tenendo conto del valore
del contratto (importo a base d’asta euro 87.951,02,
ridotto ad euro 82.366,99) e dei criteri elaborati dalla
giurisprudenza amministrativa in materia di risarcimento
del danno per equivalente nel caso in cui non sia
possibile la reintegrazione in forma specifica della
pretesa dell’impresa ricorrente vittoriosa, a cui viene
in genere riconosciuto un importo variabile tra il 5% e
il 10% del valore del contratto originario. Vengono al
riguardo in rilievo sia l’art. 1226 del codice civile,
sia, per analogia, l’art. 345 della legge 20 marzo 1865,
all. F), sul presupposto che tale ultima norma sia
espressiva del criterio di quantificazione del margine
di profitto dell’appaltatore nei contratti con le
amministrazioni pubbliche. La norma prevede infatti la
possibilità per l’Amministrazione di risolvere in
qualunque tempo il contratto di appalto con il pagamento
dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili
esistenti in cantiere, oltre al decimo dell’importo
delle opere non eseguite, e dunque commisura al 10%
l’utile di impresa per l’appalto di lavori (cfr. C.d.C.,
Sez. Giurdisdizionale Piemonte, n. 96/2010).
Pertanto, tutto considerato, al
convenuto deve essere addebitato l’importo di euro 6.000
(seimila/00) da rifondere al Comune di Città Sant’angelo
(PE), cifra media tra le percentuali sopra indicate,
oltre interessi legali dalla data del fatto
(determinazione n. 260/M del 18.9.2003) e il deposito
della presente sentenza e rivalutazione monetaria da
quest’ultima data al soddisfo, e alle spese del presente
giudizio, quantificate come da dispositivo, in favore
dello Stato.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA
REGIONE ABRUZZO
Condanna M_ Gabriele, generalizzato
in atti, al risarcimento del danno nei confronti del
Comune di Città Sant’Angelo (PE) della somma di euro
6.000/00 (seimila/00) oltre interessi legali e
rivalutazione monetaria come specificato in motivazione,
e alle spese del giudizio in favore dello Stato,
quantificate in euro 374,52 ( trecentosettantaquattro/52
)
MANDA
alla Segreteria per gli adempimenti
di competenza.
Così deciso in L’Aquila, nella
Camera di Consiglio del giorno 12 gennaio 2011.
IL GIUDICE ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.to Elena TOMASSINI F.to Martino
COLELLA
PUBBLICATA MEDIANTE DEPOSITO IN
SEGRETERIA
IL 20/01/2011
IL DIRETTORE DELLA SEGRETERIA |